lunedì 9 dicembre 2013

Mafia, l’ultima strage silenziosa: i morti di tumore per i rifiuti interrati nelle cave. - Giuseppe Pipitone

Mafia, l’ultima strage silenziosa: i morti di tumore per i rifiuti interrati nelle cave


Inchiesta su 11 Comuni: in provincia di Caltanissetta chi vive vicino ai poli industriali ha più possibilità di sopravvivenza rispetto a chi abita nei pressi di una miniera abbandonata.

L’ultima strage di Cosa Nostra non fa rumore. Non è un omicidio, non sparge sangue a colpi di kalashnikov e non ha bisogno di tritolo. Perché l’ultimo eccidio lasciato in eredità dai boss affonda il suo potenziale di morte in profondità, decine e decine di metri sottoterra, nel silenzio della campagna siciliana. Il nuovo triangolo della morte in Sicilia dimora in lembi di terra sconosciuti: PasquasiaMussomeliBosco Palo. Tutti nomi di cave ormai dimenticate ma che un tempo rappresentavano l’industrializzazione dell’isola. Perché quelle cave all’inizio del secolo scorso erano miniere di zolfo, di salgemma, utili persino a Giovanni Verga per raccontare del suo Rosso Malpelo.
Finiti i tempi d’oro dello zolfo, cresciuti i carusi sopravvissuti allo sfruttamento, quelle miniere tornarono a diventare semplici cave. Incustodite, abbandonate. Buchi neri scavati nella salgemma e quindi utilissimi per inghiottire ogni tipo di veleno prodotto dalla superficie. Un’occasione troppo ghiotta per i manager di Cosa Nostra che d’accordo con i cugini della Camorra campana misero su la più ricca multinazionale di smaltimento rifiuti. Polveri di metallo, amianto, scorie liquide, rifiuti ospedalieri speciali e persino radiottivi attraversarono l’Europa e il Nord Italia, per finire seppellite nel Meridione. “Il sistema era unico, dalla Sicilia alla Campania. Anche in Calabria era lo stesso: non è che lì rifiutassero i soldi. Che poteva importargli, a loro, se la gente moriva o non moriva? – ha raccontato l’ex camorrista Carmine Schiavone già nel 1997 – L’essenziale era il business. So per esperienza che, fino al 1991, per la zona del sud, fino alle Puglie, era tutta infettata da rifiuti tossici provenienti da tutta Europa e non solo dall’Italia”.
Verbali subito secretati, ricorda Antimafia Duemila, e i veleni trafficati dalle cosche rimasero ancora una volta a dormire sottoterra. Non è la Terra dei Fuochi e non è la Campania, non è l’Ilva di Taranto e nemmeno il Petrolchimico di Gela: nel cuore della Sicilia, le miniere un tempo ricche di zolfo sono rimaste per un trentennio a custodire nello stomaco rifiuti di ogni specie. Che oggi continuano ad uccidere nel silenzio. Perché nel lembo di terra tra CaltanissettaEnna e Ragusa, morire di tumore è più facile che nel resto d’Italia.
Se ne sono accorti anche alla procura di Caltanissetta, dove dopo un’inchiesta archiviata negli anni Novanta, i pm guidati da Sergio Lari hanno aperto nel 2012 un’indagine per traffico illecito di rifiuti e disastro ambientale. Il riserbo sull’inchiesta è massimo, in Procura le bocche sono cucite e nessun nome sarebbe ancora stato iscritto nel registro degli indagati, ma gli investigatori nisseni stanno cercando soprattutto di incrociare i dati, molti dei quali accumulati dall’ex assessore provinciale Salvatore Alaimo. Numeri sconcertanti che raccontano di come negli 11 Comuni vicini alle miniere di Pasquasia e Bosco Palo il 43 per cento dei decessi avvenga a causa di tumore, quattro volte in più di quanto accade a Gela, che pure è appestata dagli anni Sessanta dalle ciminiere del Petrolchimico.
Numeri catastrofici che peggiorano ancora se si allarga il cerchio all’intero territorio nisseno dove nel biennio 2008-2009 i malati di tumore sfiorano i 4mila casi, contro i 1.200 della media nazionale. In provincia di Caltanissetta, in pratica, chi vive vicino ai poli industriali ha più possibilità di sopravvivenza rispetto a chi abita vicino a una miniera abbandonata. Perché abbandonate quelle miniere non lo sono, nonostante parecchie siano state dismesse già negli anni Ottanta.
“Fino al 1994 gli abitanti della zona raccontano di aver visto un via vai di camion: nessuno sa cosa trasportassero, ma li vedevano dirigersi verso le miniere che invece avrebbero dovevano essere chiuse da almeno un decennio” racconta Saul Caia, autore insieme a Rosario Sardella della video inchiesta Miniere di Stato. I due giornalisti, durante un sopralluogo nei pressi della miniera di Bosco Palo, si sono imbattuti in alcuni documenti che proverebbero l’arrivo in Sicilia di rifiuti speciali ospedalieri provenienti da Forlì in maniera assolutamente clandestina. “Per anni un traffico di rifiuti speciali ha interessato la Sicilia, usata come enorme pattumiera con ingenti guadagni per i clan mafiosi, in un contesto di silenzio generale delle autorità preposte al controllo del territorio. Appare logico ipotizzare che l’area mineraria dismessa tra le province di Enna e Caltanissetta, a causa della totale mancanza di vigilanza, possa essere identificata come l’area finale dello stoccaggio illegale dei rifiuti speciali. Anche per via di una forte presenza mafiosa nel territorio” scrive il deputato di Sel Erasmo Palazzotto in un’interrogazione parlamentare del maggio scorso.
Un caso, quello delle ex cave trasformate in discariche di rifiuti tossici, che è approdato anche in Regione, dove il capogruppo del Movimento Cinque Stelle Giancarlo Cancelleri ha chiesto e ottenuto l’istituzione di una sottocommissione sulle miniere all’assemblea regionale. In Sicilia le ex cave poi diventate pozzi di morte sarebbero almeno quattro: l’ex miniera Ciavalotta a pochi metri dalla valle dei Templi di Agrigento, la cava di Mussomeli e quella di Bosco Palo, vicino San Cataldo (Caltanissetta), chiusa negli anni Ottanta ma visitata fino a pochi anni fa da anonimi camion probabilmente stracolmi di rifiuti da seppellire. Poi c’è la miniera di Pasquasia a Enna, fino al 1988 serbatoio dorato di salgemma per l’Italkali. Qui per anni lavorò come caposquadra un uomo d’onore, Leonardo Messina, fedelissimo del boss Piddu Madonia. “Cosa Nostra usava dal 1984 le gallerie sotterranee per smaltire scorie nucleari” raccontò Messina al giudice Paolo Borsellino, dopo essere diventato collaboratore di giustizia. Era il 30 giugno del 1992, pochi giorni prima che Borsellino saltasse in aria nella strage di via d’Amelio. Ventuno anni dopo in Sicilia un’altra strage continua a mietere vittime ogni giorno. In maniera più subdola, più infida, più silenziosa, ma sempre con la stessa firma: quella di Cosa Nostra.

domenica 8 dicembre 2013

Lievito per dolci fai da te con il bicarbonato: la ricetta di Stefania Rossini.

Lievito per dolci fai da te con il bicarbonato: la ricetta di Stefania Rossini


Perfetto per le pulizie di casa e per la preparazione di ricette sia dolci che salate, il bicarbonato è un ingrediente perfetto anche per la realizzazione di un ottimo lievito casalingo.

Il bicarbonato di sodio è uno di quei prodotti di cui le nostre nonne non sapevano proprio fare a meno a causa della sua incredibile versatilità.
I MILLE USI DEL BICARBONATO IN CUCINA - Molto economico, ottimo ed efficace comerimedio naturale per le pulizie di casa al posto dei comuni detersiviil bicarbonato è anche un ingrediente ideale per la realizzazione di torte, biscotti, pasta frolla e altre ricette sia dolci che salate. Basta infatti un pizzico di questa speciale polverina bianca per rendere più fragranti i prodotti da forno, ridurre l’acidità dei pomodori ed eliminare l’amaro di alcune verdure come ad esempio cicorie o broccoli.
Ma non solo: sapete che il bicarbonato è anche una valida alternativa al lievito acquistato in negozi e supermercati? Può capitare infatti di voler preparare un dolce e di accorgersi all’ultimo momento di non avere in casa il lievito. In questo caso potete tranquillamente sostituirlo con il bicarbonato di sodio.
COME FARE IL LIEVITO CON IL BICARBONATO - Per capire come fare anche questa volta ci viene incontro Stefania Rossini che ci svela come adoperare il bicarbonato come ingrediente per la realizzazione di un ottimo lievito casalingo:
  • Mescolate insieme 1/4  di cucchiaino di bicarbonato, 1/2 cucchiaino di aceto o succo di limone o 100 gr di latte.
  • In alternativa versate in una ciotola 1/4 di cucchiaino di bicarbonato  e 125 gr di yogurt, mescolate il tutto ed ecco pronto il vostro lievitante per dolci fai da te.
Il bicarbonato di per sé non è un agente lievitante come il lievito ma è in grado di agevolare la lievitazione. Per far ciò deve però essere mescolato con un altro ingrediente acido come nel nostro caso l’aceto, il succo di limone,il latte o lo yogurt.
Un consiglio:
Dal momento che si tratta di un prodotto realizzato in casa e quindi senza conservanti, è bene consumare il lievito in breve tempo.

BENI IMPIGNORABILI PURE PER LE BANCHE: STOP A OFF-SHORE DI STATO


In nome di Giovanni Guarascio, l’imprenditore vittoriese che si diede fuoco, e non solo. La Sicilia degli amministratori locali, con il sostegno del governo regionale, è in prima fila. Una missione impossibile: ottenere l’impignorabilità della prima casa e dei beni strumentali anche per le banche. Impossibile e tuttavia, in corso.
Piero Gurrieri, assessore alla trasparenza a Vittoria e coordinatore del movimento dei sindaci italiani che si battono contro le “aste” senza se e senza ma. La tragedia nella sua città, certo, ma c’è dell’altro. Le Procure cominciano a dare uno sguardo, finalmente attento, a tutto ciò che gira attorno alle aste, brutti ceffi e malandrini, insieme a comitati d’affari che speculano sulle sventure altrui. Falchi in attesa della preda, grazie a una normativa che sembra stare tutta dalla loro parte.
I municipi sono chiusi ai pregiudicati ed a malavitosi, ma le aule del tribunali sono aperte. Chiunque può partecipare ad un’asta, la fedina penale non conta nulla. La Procura di Ragusa ha ordinato le manette per un avvocato, l’inchiesta è in corso e promette importanti risultati. Ci sono 800 aste in attesa di essere espletate nel ragusano. La provincia più ricca dell’Isola. Immaginate quel che succede altrove. Un mondo opaco, spesso privo di scrupoli. Off shore amministrato dallo Stato.
Per avvantaggiare il creditore? No, nemmeno questo. Le procedure che vengono seguite – in specie le banche: il 95 per cento delle aste sono originate da loro istanze – danneggiano il più delle volte proprio i creditori, perché quel che si “arraffa” nelle aste è niente rispetto al valore dell’immobile. Il debitore viene rovinato – perché gli si toglie tutto e non può onorare il suo debito – il creditore incassa una percentuale irrisoria della sorte capitale del credito, la pubblica amministrazione perde il gettito d’imposta di un cittadino che, sostenuto, può ancora produrre reddito per sé e per lo Stato.
C’è di più: per alleggerire il lavoro dei tribunali fallimentari, si delegano le aste ai professionisti, che svolgono il loro lavoro negli studi professionali. Controlli modesti, quasi inesistenti.
Il decreto del fare ha affrontato la questione dell’impignorabilità delle case d’abitazione e dei beni strumentali, se unici, ma solo sul versante dell’ente di riscossione. Le banche sono state lasciate fuori, come al solito. La legislazione tende a tutelare le posizioni dominanti, non è una novità.
Giovanni Gurrieri e Dario Cartabellotta, il movimentio dei sindaci e l’assessore alle Risorse agricole, in rappresentanza del governo della Regione Siciliana, hanno spiegato ai giornalisti, nel corso di una conferenza stampa, che i provvedimenti emanati dal governo potrebbero essere migliorati. “Chiederemo una sospensione di sei mesi delle procedure, stop alle aste, in attesa dell’approvazione di una nuova legge, al fine di evitare che nel cinque-sei mesi previsti per il suo esame e l’approvazione della legge, vengano rovinate altre imprese”.
Svolta nella legislazione e nell’amministrazione della giustizia, dunque. Dalla parte del debitore “onesto”, dell’imprenditore inguaiato dalla crisi, di chi non paga perché non può e vuole essere aiutato a rispettare i patti e ricominciare da capo. Finora si è stretta la mano agli speculatori, avvantaggiato la nascita, crescita ed arricchimento dei comitati d’affari, gli usurai ed i “cartelli” della speculazione. Il governo regionale ha proposto una legge voto – la materia non è di competenza regionale – i sindaci hanno mobilitato i parlamentari – di maggioranza e di opposizione (M5Stelle) – credono di potercela fare. Giovanni Guarascio non sarebbe morto invano. Il miracolo gli appartiene.

sabato 7 dicembre 2013

Costruire una Casa Spendendo 180 Euro si può. Ecco Come. - Fabiana Cipro

Per costruire questa casa il 59enne ha speso solo 180 euro, e l'ha anche già affittata....
Un uomo ha costruito una casa spendendo solo 150 sterline, circa 180 euro, utilizzando una tecnica di costruzione antica e materiali che ha trovato nei cassonetti. Michael Buck, 59 anni,ha usato solo materiali naturali o cose buttate nella spazzatura per costruire la ‘cob house’ nel suo giardino nella campagna dell’Oxfordshire. L’ex insegnante di arte, oggi piccolo proprietario terriero nei pressi di Oxford, ha già iniziato ad affittare la proprietà e il suo attuale inquilino – un operaio in una fattoria vicina – paga l’affitto con il latte.
Interno: il signor Buck ha preso le assi del pavimento abbandonate da un vicino e utilizzato il parabrezza di un vecchio autocarro per creare molte delle finestre della casa
All'interno: Anche se la casa non ha elettricità, è provvista di acqua corrente che proviene da una vicina sorgente e le pareti sono state tinte con il gesso e una miscela di resina vegetale
La casa ha una cucina e zona pranzo, con un letto a castello in stile per massimizzare lo spazio
La Cob Huse è stata costruita in base a un metodo che risale alla preistoria dove veniva utilizza solo la terra, argilla e paglia. 
Risorse: Mr Buck, nella foto al di fuori della Cob House, ha detto di aver voluto sfidare l'idea che per costruire una casa bisogna indebitarsi per tutta la vita
Il calore è fornito da una stufa a legna – e grazie alle pareti in pannocchia e al tetto di paglia la casa è sorprendentemente ben isolata. Il cottage ha anche una propria dependance di paglia completa di servizi igienici. Buck, che ha trascorso due anni raccogliendo materiali e nella costruzione della casa, ha detto che ‘Non doveva costare nulla, ma alcune cose sono andate storte quindi abbiamo finito per spendere 150 sterline‘.
Prendendo forma: Mr Buck ha detto che voleva la casa 'in sintonia con il paesaggio, piuttosto che intromettersi su di esso
Sviluppo: Il cottage è costruito con materiali di provenienza locale, che, a parte il vetro, sono biodegradabili
La casa può durare per sempre con una corretta manutenzione, ma potrebbe anche scomparire se un giorno dovesse venire abbandonata
Un giorno scomparirà di nuovo nel paesaggio – spiega il suo costruttore – diventerebbe solo un tumulo di terra, se venisse abbandonata. Ci sono anche alcuni tocchi personali – i nomi di tutti coloro che hanno contribuito a costruire la casa sono scritti sul muro, come quelli di tre mucche – Marigold, Crystal e Mist – che hanno fornito sterco che ha contribuito a fare le pareti’.
Il signor Buck è stato premiato da una famosa trasmissione per la sua Cob House
George Clark conduce degli speciali sulle case più incredibili del mondo, cliccate qua se volete stupirvi e vedere il video dettagliato della Cob House! 

Evasione fiscale, il Vaticano non rivela i nomi. E il governo mette la dogana. - Marco Lillo

Vaticano


Da mesi l'Autorità di informazione finanziaria della Santa Sede rifiuta di collaborare, anche sul fronte del riciclaggio. In due anni sono state 3669 le dichiarazioni non presentate. In riposta a un'interrogazione del M5S, seguita a un'inchiesta del Fatto, il ministero dell'Economia annuncia che l’Agenzia delle dogane "ravvisa l’opportunità" di sorvegliare "i punti di entrata e di uscita" con lo Stato pontificio.

Lo Stato Città del Vaticano nasconde all’Italia migliaia di potenziali evasori fiscali o, nella peggiore delle ipotesi, riciclatori di capitali sporchi. Probabilmente all’insaputa di papa Francesco, l’Autorità di informazione finanziaria, Aif, diretta dallo svizzero René Brulhart si rifiuta da mesi di collaborare con l’Agenzia delle dogane e non fornisce all’Italia i nomi delle migliaia di persone che hanno prelevato importi considerevoli in contanti allo Ior e che poi li hanno introdotti nel territorio italiano senza dichiararlo alla Dogana, violando la nostra legge antiririclaggio. Tanto che l’Agenzia sta pensando di rinforzare i controlli alla frontiera.
Il Fatto Quotidiano ha denunciato, senza avere i numeri esatti, questa violazione sotto gli occhi di tutti, da anni, in un articolo del 26 ottobre. Nel silenzio generale, un deputato 27enne del Movimento 5 stelle, Silvia Chimenti, ha presentato un’interrogazione firmata da una dozzina di colleghi del M5S per chiedere al ministero dell’Economia conto di questo scandalo internazionale alla luce del sole. Intanto anche il Fatto Quotidiano ha chiesto all’Agenzia delle Dogane i dati delle dichiarazioni transfrontaliere presentate da chi trasporta contante in entrata sul nostro territorio e in uscita dal Vaticano.
L’agenzia ha risposto al Fatto con un’ammissione sconcertante: in due anni ci sono ben 3669 dichiarazioni non presentate per altrettanti flussi che violano la legge dal Vaticano verso l’Italia. “Il 22 maggio 2013 l’Autorità d’informazione finanziaria della Città del Vaticano ha pubblicato il primo rapporto annuale 2012 sulle attività per la prevenzione e il contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo nel quale è stato reso noto, tra l’altro, il numero delle dichiarazioni valutarie (e non i relativi importi) ricevute, in ingresso e in uscita dal territorio della Città del Vaticano, negli anni 2011 e 2012”. Ecco i dati dell’Aif: nel 2011 ci sono state 658 dichiarazioni in entrata (da Italia a Vaticano) e 1894 in uscita (da Vaticano a Italia) mentre nel 2012 ci sono state 598 dichiarazioni in entrata e 1782 in uscita verso l’Italia.
A questi numeri dovrebbero corrispondere esattamente altrettante simmetriche dichiarazioni alla Dogana italiana. Poiché ogni volta che qualcuno esce dal Vaticano con un importo di contanti superiore a 10 mila euro deve dichiararlo due volte: prima all’Aif dello Stato vaticano poi alla Dogana italiana. E viceversa per i flussi inversi . Come il Fatto aveva scritto, invece, le cose non vanno così: “Presso il competente Ufficio Dogana di Roma I di questa Agenzia – ci ha scritto il direttore dell’Agenzia delle dogane, Giuseppe Peleggi – sono state presentate 3 (avete letto bene: 3 contro 1894, ndr) dichiarazioni in ingresso in Italia nel 2011 e 4 (4 contro 1782, ndr) nel 2012. Mentre le dichiarazioni in uscita sono state 21 (contro 658, ndr) nel 2011 e 13 (contro 598, ndr) nel 2012”. Il direttore Peleggi, rendendosi conto che i due dati dovrebbero essere identici e che l’Agenzia è titolare dei poteri in materia, aggiunge “in relazione alle marcate differenze rilevate dalla lettura dei dati pubblicati a fine maggio 2013, l’Agenzia in data 19 giugno 2013 ha interessato l’Aif per richiedere un incontro, con l’auspicato intervento delle altre amministrazioni nazionali competenti in materia valutaria (Mef, Uif – Banca d’Italia), volto a chiarire gli aspetti legati agli obblighi dichiarativi ed alla connessa azione di monitoraggio e controllo. In risposta, l’Aif ha manifestato interesse riservandosi di far conoscere la propria posizione all’esito dell’esame interno della richiesta”. Poi silenzio.
Ieri il ministero dell’Economia ha risposto, con una nota letta in aula dal sottosegretario del Pd Sesa Amici, all’interrogazione di Silvia Chimenti. E si è scoperto che “l’Agenzia delle Dogane rileva che nessuna ulteriore comunicazione è a oggi pervenuta da parte dell’Autorità vaticana”. In pratica il Vaticano, nonostante l’avvento di papa Francesco, da ben sei mesi non risponde alla richiesta dell’Agenzia delle dogane italiana. I correntisti che hanno prelevato allo Ior valigie di contanti sono stati costretti a riempire il modulo della dichiarazione in uscita perché altrimenti non avrebbero avuto i soldi dalla banca vaticana. Poi in Italia hanno preferito rischiare violando gli obblighi piuttosto che dichiarare il contante. E’ evidente che per il Nucleo Valutario della Guardia di Finanza sarebbe fondamentale avere quell’elenco di 3.660 mancate dichiarazioni in due anni, più quelle che mancheranno nel 2013 ma l’Aif tace. Probabilmente Bergoglio non ha ancora messo mano a quel fortino dei fedelissimi dell’ex segretario di Stato, Tarcisio Bertone. L’Aif è tuttora guidata da un direttore vicino a monsignor Ettore Balestrero(spedito all’estero da Bergoglio) come René Brülhart che percepisce 30mila euro al mese più 5 mila di spese forfetarie, più le note spese, e risiede a Roma solitamente tre giorni alla settimana, mentre il lavoro viene svolto dal suo braccio destro Tommaso Di Ruzza, genero di Antonio Fazio, ex governatore di Bankitalia.
Brülhart, l’uomo che si rifiuta di rispondere alle Dogane italiane, nonostante lo stipendio poco coerente con il nuovo corso francescano e nonostante un potenziale conflitto di interessi (è amministratore di due società estere che non si sa bene cosa facciano) sarà l’uomo decisivo della delegazione del Vaticano alla sessione di Moneyval, l’organismo antiriciclaggio che da lunedì a Strasburgo farà l’esame alla Santa Sede. La scelta di Brülhart di non consegnare i 3669 nomi dei cittadini italiani o stranieri che hanno evaso il loro obbligo di dichiarazione alla Dogana italiana nel 2011-2012, non sarà certo un bel biglietto da visita. In base al decreto 195 del 2008, tutti i soggetti che trasportano verso l’Italia più di 10 mila euro devono comunicarlo ai funzionari delle dogane. Le sanzioni arrivano fino al 50 per cento dell’importo trasferito senza dichiarazione transfrontaliera.
L’Agenzia auspica che il memorandum firmato il 26 luglio tra l’Aif vaticana e l’Unità di informazione finanziaria (Uif) della Banca d’Italia possa migliorare la situazione. Oggi nessuno rispetta la legge. Tanto che ieri nella risposta all’interrogazione il ministero ha parlato dei controlli più stringenti che stanno per essere adottati alla frontiera tra Italia e Vaticano. L’Agenzia delle dogane “facendo seguito a un’informativa del Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza – spiega il ministero – ravvisa l’opportunità di un’attivazione di misure di attenzione nei confronti di tali movimentazioni da attuare sul territorio adiacente i punti di entrata e di uscita con lo Stato del Vaticano, attesa l’assenza di barriere fisiche e di uffici di confine tra i due Stati”.
Silvia Chimenti del M5S ieri in Parlamento ha lanciato un appello al papa: “Il ministero dell’Economia conferma in pieno i nostri sospetti: c’è un disallineamento totale tra il numero di dichiarazioni in entrata e in uscita tra Vaticano e Italia. A questo punto rivolgiamo un appello a papa Francesco che ha già dimostrato la sua volontà di voltare pagina e di improntare il suo pontificato alla massima trasparenza. Chiediamo al pontefice che si adoperi affinché l’Aif fornisca alla nostra Agenzia delle dogane i 1700 nominativi di potenziali evasori che nel 2012 hanno fatto viaggiare indisturbati denaro sporco tra Italia e Vaticano. In questo elenco, vogliamo sottolinearlo, sarebbero stati presenti anche i 456 mila euro di monsignor Scarano: se le autorità italiane ne fossero in possesso, le indagini sarebbero notevolmente facilitate. Il database dell’Aif potrebbe essere girato in pochi minuti alla Dogana o all’Agenzia delle Entrate: con un gesto così semplice il Vaticano fornirebbe un apporto decisivo alla lotta al riciclaggio”.