martedì 1 settembre 2020

Le riforme degli altri. Anche in Europa provano a sforbiciare. - Giacomo Salvini

Le riforme degli altri. Anche in Europa provano a sforbiciare

L’Italia non è un unicum, anzi: l’obiettivo di ridurre il numero dei parlamentari è comune alle altre grandi democrazie europee. Non solo con il “sì” al referendum costituzionale il nostro Paese resterà al vertice in Ue per rappresentanza tra eletti ed elettori, ma si assimilerà a molti paesi simili: in mezza Europa fioccano proposte per ridurre il numero dei parlamentari. Quanto basta per far dire allo studioso Giacomo Delledonne, ricercatore di Diritto pubblico comparato all’Università Sant’Anna di Pisa che all’argomento ha dedicato un paper, che “la vicenda italiana più recente può essere letta come una declinazione particolare di un più vasto movimento europeo”. Partendo dalla stretta attualità, parallelamente alla campagna referendaria italiana c’è un’altra grande democrazia europea che sta provando a tagliare i parlamentari: la Germania.
Nella notte tra martedì e mercoledì la Grosse Koalition che sostiene Angela Merkel (Spd e Cdu) ha trovato un accordo dopo un’estenuante trattativa sulla riforma elettorale che avrà l’obiettivo di ridurre da 298 a 280 i distretti e, di conseguenza, tagliare anche molti parlamentari. Al momento infatti, il Bundestag (la Camera bassa tedesca, l’unica elettiva) è composto da un numero variabile di parlamentari: oggi sono ben 709 nonostante nel 1996 il governo ne avesse stabiliti 598. E questo per un complesso principio di mandati in eccedenza e mandati compensativi del sistema elettorale che fa sì che dal 2002 a oggi i componenti del Bundestag siano cresciuti esponenzialmente da 603 ai 709 attuali. E, secondo le previsioni, il prossimo parlamento tedesco potrebbe arrivare a 800 componenti, la seconda camera al mondo dopo la Cina: sarà il “Bundestag XXL” come lo hanno ribattezzato i giornali tedeschi. Ma considerata l’attenzione teutonica per costi e sprechi (il Bundestag è arrivato a 1 miliardo l’anno), la Germania sta correndo ai ripari: la riduzione dei distretti avverrà gradualmente già a partire dalle elezioni federali del prossimo anno e si completerà dopo quella del 2025.
Un’altra riforma sovrapponibile a quella italiana è quella del governo francese. Il progetto di riduzione degli eletti all’Assemblea Nazionale era uno dei punti principali del discorso di inizio mandato del Presidente Emmanuel Macron e da qui è nato il progetto di legge governativo presentato dal premier Philippe il 29 agosto 2019 che riduce il numero dei deputati di un quarto: da 577 a 404. In caso di approvazione, la Francia passerebbe da 0,9 deputati ogni 100.000 abitanti a 0,6 contro l’1 dell’Italia.
Infine anche il Regno Unito si sta muovendo per tagliare i componenti della House of Commons composta da 659 deputati contro gli 800 della Camera dei Lords (non eletti). Il progetto è partito nella legislatura 2010-2015 (governo Cameron) in cui conservatori e liberaldemocratici avviarono il processo di riforma: il Parliamentary voting system and Constituencies Act individuò a 600 il numero massimo di deputati, ma a oggi non è ancora stato trovato un accordo sulle nuove circoscrizioni elettorali. Per questo, conclude Delledonne, “non c’è nessun caso italiano e nessuna anomalia: “La tendenza è comune a molti altri Paesi europei”.

Sabrina Beccalli, nell’auto anche ossa umane? -

Sabrina Beccalli, nell’auto anche ossa umane?

Potrebbe essere Cristina Cattaneo a mettere il punto sul caso di Sabrina Beccalli, la 39enne di Crema scomparsa dal giorno di Ferragosto. Al medico legale, nota per essersi occupata, tra l'altro, della vicenda di Yara Gambirasio, saranno consegnati nelle prossime ore i reperti trovati nella Fiat Panda nera di Sabrina e data alle fiamme da Alessandro Pasini, il 45enne amico della donna, che si trova in carcere con l’accusa di omicidio e distruzione di cadavere. A Cattaneo l'incarico verrà conferito a mezzogiorno di domani.

All’interno dell’auto di Sabrina gli inquirenti avevano trovato delle ossa di un cane, come accertato da due veterinari. Ma l’avvocato di Pasini, Paolo Sperolini, ha illustrato il parere di un altro medico legale secondo il quale tra le ossa ritrovate ci sarebbe una clavicola dello scheletro umano.
La Procura di Cremona ha dunque accolto il riesame, disponendo una nuova perizia. A fare luce sulla vicenda sarà anche il responso del Dna che potrà così chiarire se quelle ritrovate sono effettivamente ossa di un cane o se appartengono a Sabrina. "Aspettiamo l’esito della perizia - spiega all’Adnkronos il tenente colonnello dei carabinieri di Cremona, Lorenzo Carlo Maria Repetto -. Non escludiamo più niente ormai. Noi carabinieri abbiamo conservato i resti ritrovati in auto. Le certezze di prima non ci sono più anche se suffragate da certificati medici veterinari. La Procura ha deciso di riesaminare quella parte di reperti, posso dire che quello che c’era in macchina non ricordava vagamente un corpo umano”.

Ora occorreranno ancora dei giorni per poter risolvere almeno parte del giallo, per il quale i carabinieri sono stati da subito in prima linea grazie alla prontezza nelle ricerche. "L’importante per noi è stato trovare subito un responsabile - fa notare Repetto - era fondamentale dal nostro punto di vista. Il responsabile in casi del genere va trovato entro 48-72 ore altrimenti poi diventa difficile. Fortunatamente da questo punto di vista il bandolo della matassa è stato trovato subito". Al momento le ricerche del cadavere di Sabrina sono state sospese, in attesa di avere un riscontro dalla perizia che Cattaneo inizierà nelle prossime ore assieme a un pool di esperti.

https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2020/09/01/sabrina-beccalli-nell-auto-anche-ossa-umane_DMTPhNYUeVzgZEMW7r0W3H.html?refresh_ce

Arguisco da tale domanda che in Italia siamo mostruosamente indietro in quanto ad anatomia patologica... non saper distinguere le ossa di un animale da quelle di un umano è da ignoranti o superficiali... In ogni caso, scusate il gioco di parole, tutto è affidato al caso!

Non riuscivo a non pensarci. - Salvatore Buccheri

L'immagine può contenere: il seguente testo "In Sicilia i boschi bruciano? Tranquilli: ci sono pronti i fondi"

Non riuscivo a non pensarci.
Così ho passato un paio d'ore su internet.
Lungi da me, ora, considerarmi esperto, la domanda ricorrente è:
Chi ci guadagna?
Lo scandalo che emerge di più nella cronaca social sono i 15000 euro/ora per i Canadair, ma non può essere solo quello.
La Sicilia per estensione degli incendi copre il 30% dell'estensione nazionale. (www.datiallefiamme.it)
Il bello di internet è la semplicità.
Ho cercato "Finanziamenti Incendi Boschivi"
Come se cercassi chi li finanzia.
Il quadro è allarmante.
Viene fuori una massa di soldi con cifre astronomiche che viene distribuita dall'Europa alle regioni in cui il Piano di Sviluppo Rurale 2014-2020 fa la parte del leone. Il PSR è lo strumento di finanziamento e di attuazione del Fondo Europeo Agricolo di Sviluppo Rurale (FEASR) dell’Isola.

Nell’ambito della programmazione delle risorse FEASR, per il periodo 2014-2020, sono stati assegnati alla Regione Siciliana €2.212.747.000 che costituiscono la maggiore dotazione finanziaria assegnata tra le regioni italiane a livello nazionale.

In questo complesso sistema di bandi per finanziamenti due voci interessano il nostro patrimonio naturalistico
La misura 4 che mira a "Preservare, ripristinare e valorizzare gli ecosistemi connessi all’agricoltura e alla silvicoltura:

Suddivisa in sottomisure:
4A Salvaguardia, ripristino e miglioramento della biodiversità, compreso nelle zone Natura 2000 e nelle zone soggette a vincoli naturali o ad altri vincoli specifici, nell'agricoltura ad alto valore naturalistico, nonché dell'assetto paesaggistico dell'Europa;
4B Migliore gestione delle risorse idriche, compresa la gestione dei fertilizzanti e dei pesticidi;
4C Prevenzione dell'erosione dei suoli e migliore gestione degli stessi;

Dotazione Finanziaria 710.000.000,00 di euro

E la "Misura 8 – Investimenti nello sviluppo delle aree forestali e nel miglioramento della redditività delle foreste" con le sottomisure:
- Misura 8.1 - Sostegno alla forestazione/all’imboschimento
- Misura 8.3 - Sostegno alla prevenzione dei danni arrecati alle foreste da incendi, calamità naturali ed eventi catastrofici
- Misura 8.4 - Sostegno al ripristino delle foreste danneggiate da incendi, calamità naturali ed eventi catastrofici
- Misura 8.5 - Aiuti agli investimenti destinati ad accrescere la resilienza e il pregio ambientale degli ecosistemi forestali
- Misura 8.6 - Sostegno agli investimenti in tecnologie silvicole e nella trasformazione, mobilitazione e commercializzazione dei prodotti delle foreste

Con una dotazione finanziaria di 202.150.000,00 euro

Quindi ci attestiamo sui 900 milioni di euro per la salvaguardia del patrimonio naturalistico
Fonte: http://www.psrsicilia.it/Allegati/ComitatoSorveglianza/CdS14giugno2018/2_Relazione%20stato%20di%20attuazione.pdf

Ci sarebbe un gran bel da fare in prevenzione, ripristino, sorveglianza, implementazione!

Qui intervengono le diatribe e gli interessi dei vari corpi antincendio che da questi bandi potrebbero trovare fondi per la sussistenza e il proprio lavoro.
Invece poche sembrano le voci che interessano lo spegnimento, ma (c'è sempre un ma) leggiucchiando di qui e di la si scopre che c'è tensione fra i vari corpi e dipartimenti.
i Forestali ad. es lamentano che sempre più frequentemente i comuni si affidano alla protezione civile lasciandoli fermi a guardare https://www.forestalinews.it/incendi-boschivi-in-sicilia-la-protezione-civile-si-fa-largo-a-danno-dei-forestali-antincendio-aumentano-gli-accordi-con-le-citta/

Da parte loro i VV.FF. lamentano: "Dall’altro lato il controllo del territorio da parte di Regione e Comuni stenta, come spiega Antonio Sasso, segretario generale della Fns Cisl di Catania (sindacato dei vigili del fuoco, ndr), che fotografa la situazione, quella etnea in particolare, evidenziando come la programmazione non tempestiva di uomini e risorse contribuisca a rendere l’emergenza “ancora più emergenza”. “Gli incendi, come ogni anno, si moltiplicano in estate – afferma -. Non abbiamo una stima precisa rispetto allo scorso anno, in virtù del fatto che ancora la stagione non si è conclusa. Siamo più o meno nell’ordine degli stessi numeri e potremmo operare al meglio avendo a disposizione più squadre”.

Altra questione arcinota e paradossale è come tutto ciò possa accadere in "un’Isola che conta circa 21 mila operai forestali – considerando solo quelli a tempo “determinato”, il “contingente” più corposo: in totale si arriva a oltre 22 mila (da non confondere con il Corpo forestale, le cui unità oscillerebbero tra 500 e 800) -, la metà di quelli presenti in tutta Italia".

Secondo stime dei forestali stessi "ognuno di questi lavoratori precari potrebbe controllare “appena” 17 ettari di vegetazione: un territorio modestissimo se raffrontato a quello che ipoteticamente dovrebbero monitorare gli omologhi della Lombardia (sono solo 373 per 664 mila ettari di superficie forestale)".

Insomma tutti gli attori principali puntano il dito sulla mancata programmazione e sui ritardi dell'organizzazione per cui gli interventi di prevenzione dovrebbero iniziare a marzo mentre è ormai routine che le convenzioni si firmino a giugno se non luglio quando già buona parte degli eventi si è gia' compiuta.

Quello che manca è un coordinamento tra uomini dello Stato e personale regionale. “Come organizzazione sindacale Cisl Fns – conclude Sasso – avevamo proposto di utilizzare gli uomini della Forestale per riuscire ad avere un servizio più efficiente: invece di dedicarsi agli incendi, si potrebbero dedicare alla manutenzione sul territorio, facendo attività di prevenzione attraverso la realizzazione di barriere tagliafuoco, ripulitura, interventi nei boschi per bloccare gli incendi”.

Non è però solo una questione di dove impiegare gli operai forestali, ma anche di “come”. Si tratta di una categoria “ostaggio” delle promesse di una classe politica che li ha relegati nell’eterno precariato tanto che la Commissione europea ha avviato nel luglio 2019 una nuova procedura nei confronti dell’Italia per aver abusato dei contratti a tempo determinato, in particolare proprio nel settore dei forestali. “Un metodo da condannare”, lo ha definito il governatore Nello Musumeci, quando a febbraio – prima che sull’Italia piombasse l’emergenza Covid-19 – aveva annunciato una riforma sistemica del settore entro la primavera. Riforma che per ora ha riguardato solo lo sblocco dei concorsi nel Corpo forestale: per mettere mano all’intero comparto si dovrà attendere il confronto con i sindacati che ripartirà il primo settembre in un tavolo a cui siederanno sia l’assessore all’Agricoltura Edy Bandiera che quello all’Ambiente Toto Cordaro. E intanto un’altra estate di incendi è passata"
https://www.forestalinews.it/sicilia-preda-dei-piromani-incuria-e-zero-prevenzione-la-cronaca-di-un-disastro-annunciato/

Da questo breve excursus con qualche leggero approfondimento da bar mi sento di potervi rassicurare perchè in fondo i fondi ci sono, 900 milioni di euro, non sono bruscolini, considerando che poco meno di questi sono stati approntati per il PSR precedente.
Quindi se la Sicilia brucia è perchè poi (non è dato sapere quando) diventerà verdissima.
La domanda che continuo a pormi è "La Sicilia brucia perchè ci sono i soldi?".
Ormai ne ho certezza.
L'hanno bruciata ieri per guadagnarci oggi e oggi sta bruciando per garantire il guadagno di domani.

Immagine tratta e modificata da: https://www.inuovivespri.it/2017/08/06/in-sicilia-i-boschi-bruciano-tranquilli-ci-sono-pronti-i-fondi-europei-per-i-privati/

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10220909159352658&set=a.1035750347926&type=3&theater

Concorso a premier. - Marco Travaglio


Avete presente la sofferenza di Nanni Moretti (Aprile, 1996) mentre guarda Porta a Porta con D’Alema e B.? “D’Alema reagisci, di’ qualcosa, rispondi, dài, non ti far mettere in mezzo sulla giustizia proprio da Berlusconi! Di’ una cosa di sinistra, di’ una cosa anche non di sinistra, di civiltà. D’Alema di’ qualcosa!”. Ecco, da quando mi son preso un po’ di ferie dalla tv e càpito sui talk show popolati di rottweiler antigovernativi che mettono in mezzo (anzi, sotto) i rari e afasici esponenti della maggioranza, mi domando sempre perché nessuno di questi dia la risposta più semplice e definitiva: “Voi, al posto nostro, cosa avreste fatto esattamente?”. Ora va di moda inventare gialli sui nuovi “documenti segreti” (regolarmente sui giornali) che proverebbero come il governo già a febbraio, o a gennaio, o forse a novembre-dicembre (prima della Cina), sapesse tutto e non facesse nulla: l’ultimo l’ha svelato Repubblica (noi ne scrivemmo il 28 marzo e il ministro Speranza ne riferì al Copasir il 28 aprile).
È uno studio sui possibili impatti del contagio in Italia, richiesto dal ministero della Salute il 22 gennaio a un ricercatore della fondazione Kessler, che ne consegnò una bozza il 12 febbraio e la stesura definitiva di 55 pagine il 4 marzo con vari scenari: da 1 milione a 2 milioni di contagiati, da 200mila a 400mila ricoverati, da 35mila a 60mila morti. Ovviamente fu tenuto riservato per non scatenare il panico, visto che gli scenari erano tutti da verificare e non c’erano due esperti che facessero la stessa previsione. Basti pensare che il 14 febbraio l’Agenzia europea per la prevenzione e il controllo delle malattie dava “bassa probabilità” di contagio in Europa. Che, in tutto, contava 46 infetti (e l’Italia 3). Ma il governo prese sul serio il rapporto Kessler là dove segnalava un dato oggettivo: il drammatico deficit di posti letto nelle terapie intensive. Infatti, già tre giorni prima della consegna definitiva, ordinò alle Regioni (che non ne volevano sapere) di raddoppiarli da 5 a 10mila. Ma tutto questo gli aspiranti premier e ministri da divano che infestano i media non lo sanno. E strillano contro il governo che “sapeva tutto” (falso), ma “non fece nulla” (falso), “non informò le Regioni” (falso) e anzi “spedì 18 tonnellate di mascherine e guanti alla Cina” (l’unico Paese allora massicciamente colpito dall’epidemia che poi, quando toccò a noi, ci ricambiò per tre mesi con 25 milioni di tonnellate di mascherine alla settimana). Ma il bello degli attacchi al governo che non dispose il lockdown il 12.2 (con 3 positivi, tutti cinesi) è che vengono dagli stessi che lo contestarono quando lo dispose un mese dopo (con 12.462 positivi e 827 morti).
Gli stessi che non volevano saperne della zona rossa in Val Seriana e ora accusano il governo di non averla disposta. Gli stessi che accusano Conte di aver chiuso troppo e troppo tardi, ma anche troppo poco e troppo presto. Gli stessi che negano il virus contro gli “allarmisti” e attaccano il governo per averlo sottovalutato, cioè per non essere stato abbastanza allarmista. Ieri La Verità titolava: “Sapevano tutto dal 12 febbraio. Ma non hanno fermato l’epidemia” . E Libero, invece: “Conte ha insabbiato il report sull’emergenza Coronavirus e continuato a spedire camici in Cina”. E il Giornale, viceversa: “Sapevano tutto il 12 febbraio. Il report segreto inguaia Conte. L’opposizione: ‘Incapaci’”. A parte che non è vero niente, chissà come avrebbero titolato Sallusti, Feltri e Belpietro se Conte avesse chiuso tutto il 12.2, con tre contagiati cinesi in tutt’Italia: se dopo il lockdown dell’11.3 gridavano alla dittatura e paragonavano Conte a Maduro, Chávez, Stalin e Hitler (a Mussolini no perché per loro è un complimento), che avrebbero fatto se fosse arrivato un mese prima, senza un solo italiano infetto? Si sarebbero messi a sparare: non le solite cazzate, ma proiettili veri.
Infatti un mese fa, quando Conte prolungò lo stato di emergenza fino a metà ottobre, tornarono a strillare al golpe, sventolando le scemenze di Cassese sullo “stato di emergenza senza emergenza” (a proposito: che dice ora Cassese con oltre mille contagi al giorno?). E quando s’è scoperto che il Cts, ai primi di marzo, suggerì la zona rossa ad Alzano, mentre il governo era già orientato a chiudere tutta la Lombardia e poi tutta l’Italia, partiti e giornali di destra han ricominciato a contestare il lockdown. Poi se la son presa con Conte per i divieti estivi. Il Giornale: “Conte paralizza l’estate”, “Fermano pure i treni per dispetto a Zangrillo”, “Ganasce all’Italia”. La Verità: “Regime sanitario”, “Il virus è sotto controllo, l’allarmismo meno” . Libero: “Il Covid arma il governo per avere più potere e sospendere la democrazia: nuovi divieti, balli vietati, obbligo di mascherina di sera”, “Sfrutta la pandemia per fottere il popolo”. Salvo poi accusarlo di avere riaperto le discoteche (sono state le Regioni), ma anche di averle richiuse. Ciliegina sulla torta: la Verità che ieri tuonava contro “il governo dei misteri” che “sapeva tutto già dal 12 febbraio ma ha fatto finta di nulla”, il 25.8 esaltava i tre governi più fallimentari contro il Covid, quelli che hanno fieramente evitato il lockdown: “Non siamo come Usa e Brasile. Purtroppo”, “I numeri assolvono il modello Svezia”. Quindi, per tornare a bomba: gentili signori Tutto-e-il-contrario-di-tutto, voi esattamente cosa avreste fatto?

domenica 30 agosto 2020

Maltempo flagella il Nord, un disperso nel Varesotto.

© ANSA

L'uomo è stato travolto da un torrente, un secondo muore nel mare in tempesta nello Spezzino. Controesodo con frane e incendi. A Milano tetto scoperchiato in una Rsa, trasferiti i pazienti.

Due bambine sono in gravissime condizioni dopo che per il maltempo un albero è caduto sulla tenda dove dormivano in un campeggio a Marina di Massa (Massa Carrara). Durante un temporale nella notte, con forte vento, un albero è finito sulla tenda occupata dalla famiglia e due bimbe di 10 anni e 2 anni e mezzo sono state travolte e ora si trovano in ospedale. Sul posto sono intervenute le automediche del 118 da Massa e Querceta, un'ambulanza da Massa, carabinieri e vigili del Fuoco. È stato richiesto anche l'intervento dell'elisoccorso Pegaso ma non è potuto intervenire per il forte vento.
Ieri un uomo era stato travolto da un torrente in piena nel Varesotto. Un altro affogato nel mare in tempesta. Un diciassettenne ferito dall'ondina di un tetto staccata da una tromba d'aria a Genova. Persone bloccate in una chiesa allagata sulle sponde del lago d'Orta. I pazienti di una casa di riposo di Milano trasferiti perché nella notte, a causa del vento e della pioggia, si è scoperchiato il tetto. I passeggeri di un treno bloccato sulla linea del Brennero evacuati in Trentino: sono solo alcuni dei danni causati dalle continue ondate di maltempo che da ieri hanno colpito tutte le regioni del Nord e che non accennano a fermarsi. L'allerta infatti rimane alta per pioggia, grandine e frane nel giorno del controesodo in cui si sono registrate code e rallentamenti per chi rientrava dalle vacanze. Traffico intenso sulla A14 fra Forlì e Bologna, sull'Autosole all'altezza di Firenze e in diversi punti in Emilia, sull'autobrennero, alla barriera di Roma dell'A27, sulla A10 fra Ventimiglia e Genova e anche in Puglia. Pioggia e vento con fulmini in Versilia hanno ancora una volta provocato allagamenti nelle strade, soprattutto a Viareggio (Lucca), con notevoli rallentamenti del traffico e disagi alla popolazione. Annullati alcuni eventi programmati all'aperto per la serata, visto il preannunciato allerta arancione delle condizioni meteo.
Non sono solo i temporali a minacciare i territori e la popolazione in queste ore. Al Centro e al Sud Italia, le squadre dei vigili del fuoco e la flotta aerea del Corpo sono impegnate per fronteggiare gli incendi boschivi nelle Marche, in Toscana e in Sicilia. E in Sardegna, nell'ambito di un'operazione del Corpo forestale per individuare i responsabili di alcuni roghi nell'Isola, tredici persone sono state indagate e alcune di queste arrestate: si tratterebbe di addetti alle operazioni di spegnimento degli incendi stessi. Ma i danni maggiori riguardano soprattutto il maltempo e in particolare il dramma del disperso nel Varesotto. A dare l'allarme per il trentottenne è stato un amico che era con lui nella zona vicino al lago Delio, e che lo ha visto trascinare via nelle acque del torrente in piena. Le ricerche sono andate avanti fino a che le condizioni meteo lo hanno permesso. Poi, complice la pioggia battente, si sono dovute interrompere e riprenderanno domani. Tempo permettendo. Nello Spezzino, invece, un 51enne è annegato nelle acque di Punta Bianca: si sarebbe tuffato con la fidanzata, nonostante il forte vento e le onde. Mentre la donna è riuscita a rientrare a riva l'uomo sarebbe stato risucchiato e rapidamente scomparso tra le onde. Episodio simile, ma non dovuto al maltempo, è accaduto a Villasimius, in Sardegna, dove un turista polacco di 39 anni è morto a causa di un malore dopo essersi tuffato in mare. Ed è stato trovato senza vita fra le montagne della Valle Vigezzo, in Piemonte, l'escursionista di 47 anni di cui non si avevano notizie da giovedì scorso.
Vigili del fuoco al lavoro, da ieri sera, per arginare i danni del violento nubifragio che si è abbattuto, a più riprese, su Milano e l'hinterland milanese. Sono alcune decine gli interventi per tetti scoperchiati, allagamenti di cantine e sottopassi, cornicioni pericolanti, e soprattutto cadute di alberi, anche se fortunatamente non si registra nessun ferito. Dalle 21 di ieri, e poi ancora intorno alla mezzanotte, vento, pioggia e fulmini si sono scatenati sulla metropoli provocando l'intasamento dei tombini e delle 'bocche di lupo' dei marciapiedi, e creando gigantesche pozze. In metropolitana ci sono state alcune infiltrazioni, con la Lilla che ha riportato il blocco di svariate scale mobili in diverse stazioni. I danni più consistenti, secondo il Comando provinciale dei vigili del fuoco, si sarebbero 
 Vicino al lago di Como, fra Domaso e Gravedona, una ventina di abitanti e turisti è stata costretta a lasciare la propria casa, mentre nell'Alessandrino una frana è arrivata sull'A7, l'autostrada che collega Milano a Genova. Nel Veronese - colpito domenica scorsa dal tifone - si è verificato un nubifragio nella notte che ha creato allagamenti e sradicato piante, mentre nel pomeriggio è stata la volta di una tromba d'aria e di una fortissima grandinata, con chicchi che, nella provincia confinante di Cremona e Mantova, avevano la grandezza di uova. Danni ingenti ma ancora da quantificare a diversi edifici e soprattutto alle coltivazioni, non ultima quella dell'uva dato che la a zona del Veronese colpita è quella dove si produce il Soave. Danni ancora maggiori per una tromba d'aria nel Vicentino, mentre anche la provincia di Belluno, Cortina d'Ampezzo inclusa, è stata investita da grandinate, e forte vento con relativi danni e smottamenti.

Assenteisti e fannulloni: un terzo dei parlamentari è a tempo perso. - Lorenzo Giarelli

Assenteisti e fannulloni: un terzo dei parlamentari è a tempo perso

Meno sono, più lavorano. C’è chi è mancato al 99% delle votazioni E l’attività legislativa si concentra su poco più del 10% degli eletti.
Quattordici lo frequentano da più di vent’anni. Pier Ferdinando Casini, il recordman in materia, ci ha messo piede per la prima volta il 12 luglio 1983. Altri ancora sono eletti, ma a votare in Aula vanno una volta su cento (e non per modo di dire). Tra le 945 storie che il Parlamento offre a ogni legislatura, anche questa volta non ne mancano di curiose, soprattutto perché l’alto numero di deputati e senatori difficilmente consente un controllo quotidiano sulla loro attività. Motivo per cui un taglio degli eletti, più che la deriva autoritaria paventata dal fronte del No al referendum potrebbe invece essere occasione per un utile snellimento. Basta guardare alcuni dati per scoprire come gran parte degli eletti passi il tempo altrove più che in Parlamento, come hanno notato anche Tito Boeri e Roberto Perotti su Repubblica: “Nella passata legislatura il 40% dei deputati e il 30% dei senatori ha disertato più di un terzo delle votazioni; l’attività legislativa si è concentrata su poco più del 10% dei parlamentari che hanno sommato tra loro più di un incarico, mentre due terzi non hanno ricoperto alcun ruolo”.
Chi l’ha visti? In fuga dalle Camere.
I dati diffusi da OpenParlamento sulle presenze in Aula di deputati e senatori sono allarmanti. Le percentuali sono calcolate non sulle sedute, ma sul totale delle votazioni svolte da inizio legislatura. Alla Camera il primato tra gli assenteisti spetta a Michela Vittoria Brambilla (Forza Italia), che dal 2018 ha partecipato soltanto a 78 votazioni su 6.304. Risultato: il tasso di assenze è del 98,76%. Ci si avvicina Antonio Angelucci, dominus della sanità privata laziale che supera il 94%di assenze a Montecitorio. Più distante Vittorio Sgarbi, tornato in Parlamento dopo 12 anni ma senza far troppo l’abitudine all’Aula: OpenParlamento riporta un 79,52% di assenze alle votazioni. A Palazzo Madama le cose non vanno meglio. Senatori a vita a parte, la percentuale di assenze più alta ce l’ha Tommaso Cerno, eletto col Pd e di recente passato al Misto, mancato all’84,31% dei voti. Segue il forzista Niccolò Ghedini, il fedelissimo avvocato di Silvio Berlusconi assente nel 69% delle sedute analizzate.
Altro da fare Più poltrone per tutti.
D’altra parte, lo si è accennato, il tempo per fare il parlamentare è un lusso che non tutti hanno a disposizione. È ancora OpenPolis ad aver realizzato un’indagine sugli incarichi privati di ogni eletto, scoprendo che la maggior parte dei deputati e dei senatori, al momento dell’elezione, aveva un ruolo nel board di almeno un’azienda. Anche qui si arriva a casi estremi, come quello di Guido Della Frera, deputato di FI alla prima legislatura: al marzo 2018, quando è diventato parlamentare, Della Frera aveva 21 incarichi in aziende, oltre a partecipazioni in 8 imprese. Su tutte c’è il Gdf Group, holding attiva nell’immobiliare e nel settore alberghiero.
Notevoli anche i 16 incarichi censiti per Daniela Santanché, senatrice berlusconiana socia e presidente di Visibilia Editore, oltreché di imprese dell’edilizia e di prodotti bio. Poco sotto, nella classifica dei più attivi nelle imprese, c’è un altro forzista, il deputato Maurizio Carrara, con interessi nel manufatturiero e nell’immobiliare che al momento dell’elezione risultava consigliere di ben 14 società.
Trai più attivi negli altri partiti ci sono poi i leghisti Massimo Bitonci e Giulio Centemero (11 incarichi a testa), il 5 Stelle Michele Gubitosa (otto incarichi) e alcuni giallorosa dagli interessi ingombranti, come Andrea Marcucci (sette incarichi, tra cui quello del colosso farmaceutico Kedrion) e Matteo Colaninno (Italia Viva), presente in sette imprese e soprattutto nel gioiello di famiglia Immsi (nautica, meccanica e alberghi).
Tasso zero Leggi, mozioni e altre fatiche
Per capire quanto un parlamentare lavori i numeri non bastano. Possono però aiutare a farsene un’idea. Durante la scorsa legislatura OpenParlamento aveva elaborato un “indice di produttività” calcolato sulla base delle proposte di legge presentate, delle presenze, degli interventi e così via. Un metodo non scientifico – e la fondazione sta lavorando per migliorarlo, tanto che i dati su questa legislatura non sono disponibili – ma utile a far emergere storture.
Spulciando tra i dati aggiornati al 2018, si scopre che molti dei parlamentari con indice più basso sono stati rieletti. È il caso di Gianfranco Rotondi: chiuse la scorsa legislatura al 619 esimo posto tra i deputati più produttivi, con un indice di 29,33 ben lontano dalla primatista alla Camera, la dem Donatella Ferranti (1.752), ma anche dalla media degli eletti, che si assestava a 213.
Peggio avevano fatto il deputato leghista Carmelo Lo Monte (620esimo), con un indice di 26,8 nonostante il suo partito fosse il più attivo (media oltre i 400), e il forzista Alfredo Messina al Senato (305esimo; 26,63). Nulla però in confronto a Antonio Angelucci e Niccolò Ghedini, uno a Montecitorio e l’altro a Palazzo Madama: il primo, 623esimo per produttività, fermo a 0,78; il secondo, 311esimo su 315, a 0,94. A ogni modo non si tratta di casi isolati, se si pensa che il 90% dei gruppi alla Camera e l’83,33% di quelli al Senato ha la maggior parte dei membri che produce meno della media. A dimostrazione che in molti sono già esclusi, di fatto, dall’attività del Parlamento.
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“Vogliamo firmare contratti rivoluzionari”. E Carlo Bonomi spiega come: nessun aumento ai dipendenti, libertà di licenziare. - Mauro Del Corno

“Vogliamo firmare contratti rivoluzionari”. E Carlo Bonomi spiega come: nessun aumento ai dipendenti, libertà di licenziare

In una lettera alle associazioni confindustriali, il presidente degli industriali Carlo Bonomi torna su temi a lui più cari: più aiuti alle imprese, meno agli altri; niente soldi ma solo più welfare per i lavoratori e fine del blocco sui licenziamenti. Sulla diffusione dei contagi non ha dubbi: le fabbriche non c'entrano nulla.

Dopo tre interviste in tre giorni rilasciate dai vertici confindustriali su tre differenti grandi quotidiani, il presidente Carlo Bonomi denuncia, in una lettera interna destinata ai presidenti di tutte le associazioni del sistema, “intimidazioni alle imprese per indurle a tacere”. Torna insomma il tema del “sentimento anti imprese” che il leader degli industriali fiuta nell’aria ogni volta che mette piede oltre viale dell’Astronomia. La lettera tocca poi su molti dei punti toccati in questi giorni. Il primo, naturalmente, quello del rinnovo dei contratti collettivi. Dieci milioni di lavoratori italiani attendono infatti nuovi accordi visto che i precedenti sono scaduti, in alcuni casi da anni o decenni

“All’accusa che i leader sindacali hanno rivolto a Confindustria di non volere i contratti abbiamo risposto con chiarezza che Confindustria i contratti li vuole sottoscrivere e rinnovare. Solo che li vogliamo ‘rivoluzionarì”, scrive Bonomi in occasione dei suoi primi 100 giorni di presidenza. Nella lettera Bonomi specifica “contratti rivoluzionari rispetto al vecchio scambio di inizio Novecento tra salari e orari. Non perché siamo rivoluzionari noi, aggettivo che proprio non ci si addice, ma – spiega – perché nel frattempo è il lavoro e sono le tecnologie, i mercati e i prodotti, le modalità per produrli e distribuirli, ad essersi rivoluzionati, tutti e infinite volte rispetto a decenni fa”. Bonomi , in vista del tavolo con i sindacati del prossimo 7 settembre, indica quindi agli industriali che questa è una posizione da sostenere “con grande energia”, con “chiarezza e fermezza”, con “tutto l’equilibrio ma anche con tutta la risolutezza necessaria”. Una chiamata alle armi che mostra però già importanti defezioni.
No agli aumenti in busta paga – Sinora la linea Bonomi è stata quella di non accettare aumenti in busta paga poiché non c’è inflazione. Neppure per quelle categorie come dipendenti della sanità privata o dell’industria alimentare che hanno continuato a recarsi al lavoro durante tutta la pandemia. Al massimo qualche concessione in termini di welfare aziendale, tutti interventi con forti agevolazioni fiscali per le imprese. Una linea sconfessata peraltro apertamente da colossi come Barilla, Ferrero o Coca Cola Italia che hanno invece firmato il nuovo contratto collettivo dell’alimentare che prevede aumenti in busta paga (a regime, cioè dal 2023, 119 euro lordi in media al mese). I “ribelli” compariranno davanti al presidente il prossimo 9 settembre.
Oggi è stato anche annunciato che il 16 settembre sarà sciopero nazionale dei lavoratori della sanità privata che incroceranno le braccia in segno di protesta per “la mancata sottoscrizione definitiva, da parte delle controparti ovvero Aiop (Associazione italiana ospedalità privata che fa capo a Confindustria) e Aris (Associazione religiosa istituti socio-sanitari), della preintesa raggiunta il 10 giugno scorso sul rinnovo del contratto”
Libertà di licenziare – La scelta del governo di estendere gli ammortizzatori sociali e vietare per legge i licenziamenti nel pieno dell’emergenza Covid “poteva essere giustificata”, ma “protrarla ad oltranza è un errore molto rischioso”, afferma ancora Bonomi nella sua missiva. “Più si protrae nel tempo il binomio ‘cig per tutti-no licenziamenti più gli effetti di questo congelamento” del lavoro “potrebbero essere pesanti, in termini sociali e per le imprese”, afferma. Per alcune, questa sorta di “anestesia” potrebbe significare “‘al risveglio l’avvio di procedure concorsuali”. Bonomi rilancia, invece, la necessità di una riforma delle politiche per il lavoro “profondamente diverse”, orientate verso politiche attive e non passive, già a cominciare dalla prossima legge di Bilancio. Una riforma “complessiva e di sistema”.
Giova ricordare che il blocco dei licenziamenti (il cui costo è stato sostenuto dalla fiscalità generale e non dalle imprese, attraverso la Cig Covid) è stato imposto dal governo nella speranza che nel frattempo l’economia iniziasse a dare segni di ripresa, limitando l’impatto occupazionale. Nel frattempo la valvola di sfogo delle aziende sono stati i contratti a termine quasi mai rinnovati una volta arrivati a scadenza.
I soldi devono andare solo alle imprese – Nella lettera ricompare un altro leitmotiv del Bonomi pensiero. Gli aiuti per superare la pandemia devono andare alle imprese, molto di più di quanto avvenuto sinora. Basta con i “sussidi a pioggia”, formula cara al presidente per indicare sostegni che vanno a persone e famiglie in difficoltà. “Se non saremo uniti negli obiettivi prioritari per cui ci battiamo, nel respingere le polemiche ed anche i tentativi di intimidirci, allora diventerà ancora più improbo il tentativo di trasformare l’Italia in quel Paese dell’innovazione permanente capace di accogliere e trattenere i nostri figli che, noi sappiamo, può e deve essere”.”Ci aspetta una stagione – scrive – in cui la demagogia rischia di essere la più fraudolenta delle seduzioni. E, al contempo, in cui il costo dell’incompetenza sopravanzerà per generazioni i benefici di chi oggi se ne avvantaggia”.
Belle parole che cozzano però con una realtà che vede le aziende private italiane tra le ultime in Europa per la quota di risorse destinate a ricerca, sviluppo e innovazione. Circa lo 0,5% del Pil, meno della metà rispetto a Francia o Germania. Ma certamente tutto sarebbe diverso se fosse stata accolta l’unica “rivoluzionaria” concreta proposta con cui Confindustria si è presentata agli Stati generali dello scorso giugno: restituiteci 3,4 miliardi di accise sull’energiaA Bonomi, che pochi giorni fa ha negato che Confindustria sia “un potere forte”, proprio non va giù che palazzo Chigi non esegua i desiderata degli industriali. E così ogni occasione è buona per randellare l’esecutivo: “I numerosi interventi specifici, i bonus frammentati e i nuovi fondi accesi presso ogni ministero, non sono stati certo la risposta articolata ed efficace che ci aspettavamo”. E ancora: politiche attive del lavoro “non possono essere attuate con il Reddito di cittadinanza“, la cui attuale configurazione va “smontata”, sostiene Bonomi. Bisogna “superare i limiti” dell’attuale sistema delle politiche del lavoro, puntando tra l’altro su formazione e riqualificazione professionale, ricollocazione e reimpiego, sottolinea inoltre il presidente di Confindustria facendo riferimento alla proposta di riforma “complessiva”, in dieci punti, inviata a metà luglio al governo e ai sindacati.
I contagi? Colpa solo degli altri – I panni sporchi si lavano in casa. La lettera interna avrebbe potuto fare un qualche accenno all‘uso indebito della Cig Covid attuato da alcune aziende o magari qualche accenno di autocritica sui contagi in fabbrica che continuano a registrarsi nelle fabbriche. Niente di tutto ciò. Anzi, Bonomi liquida come un “falso assoluto” la critica alle imprese di “aver osteggiato la chiusura di alcune aree del Paese a fronte della diffusione del Covid-19″. Il presidente di Confindustria non lesina però bacchettate tutti gli altri. “Sulle misure di sicurezza anti-Covid ancora non ci siamo”, scrive. E sottolinea: “Che il tema dopo tanti mesi sia purtroppo ancora irrisolto lo testimoniano due vicende in corso”. Si sofferma quindi sulle “profonde incertezze sulla riapertura delle scuole a settembre, che al di là del bando su 2,4 milioni di banchi a rotelle identificati come priorità ancora non vedono una risposta precisa alla domanda centrale: che cosa avverrà negli istituti in presenza di contagi?” C’è poi il tema per i presidi, come si era posto per gli imprenditori riguardo agli ambienti di lavoro, “dello scudo rispetto alla responsabilità penale in caso di contagi”. Bonomi sottolinea inoltre “l’esperienza dei mancati controlli e tamponi di massa al rientro dalle vacanze in Paesi posti dal Governo nella lista dei controlli obbligati”. E come “altra conferma” aggiunge “l’insuccesso della app Immuni”.