lunedì 14 giugno 2021

Lettera di Graviano alla ministra Cartabia: l’ha inviata dal carcere dopo il giuramento. - Giuseppe Pipitone

 

L’uomo che custodisce i segreti delle stragi ha scritto al ministero della Giustizia. Non a un ufficio qualsiasi che si occupa di detenuti: Giuseppe Graviano ha preso carta e penna per rivolgersi direttamente alla guardasigilli Marta Cartabia. Lo ha fatto praticamente subito dopo la formazione del del governo di Mario Draghi: il nuovo esecutivo ha giurato il 13 febbraio, il boss di Brancaccio ha scritto la sua lettera nel carcere di Terni una decina di giorni dopo. Cosa nostra non perde mai tempo. Impossibile conoscere il contenuto della missiva di Graviano, visto che l’ordinamento penitenziario non prevede il controllo della corrispondenza dei detenuti quando questi si rivolgono ad autorità come il capo dello Stato o il ministro della Giustizia. Quella lettera, però, potrebbe essere divulgata dalla stessa Cartabia, in modo da chiarire anche tre interrogativi: la ministra era a conoscenza della missiva a lei indirizzata dall’uomo condannato per le stragi di Roma, Milano e Firenze del 1993? Ha mai risposto? Lo hanno fatto i suoi uffici senza farglielo sapere?

Non sarebbe la prima volta che accade. Nel 2013 il boss di Brancaccio ha scritto a Beatrice Lorenzin, in quel momento ministra della Salute – in quota Pdl – dell’esecutivo di Enrico Letta: tra le altre cose il mafioso faceva riferimento alla “provenienza dei capitali per formare il patrimonio della famiglia Berlusconi”, auspicando il coraggio di qualche politico per “abolire la pena dell’ergastolo”. Di quella missiva si è avuta notizia solo nel 2016 perché lo stesso Graviano – intercettato in carcere – ne aveva fatto cenno con il compagno d’ora d’aria. Poi nel 2020 il boss ne ha parlato in aula al processo “’Ndrangheta stragista”, sostenendo anche di aver avuto un riscontro: “Il ministero mi ha risposto che stava portando avanti tutto quello che avevo chiesto. Io avevo quella lettera, ma è scomparsa quando mi hanno trasferito ad Ascoli nel 2014”. La Lorenzin, da parte sua, ha spiegato di non averne mai saputo nulla e che di solito questo tipo di corrispondenza non passa dalle scrivanie dei ministri ma viene smistata agli uffici competenti.

La missiva del boss di Brancaccio era stata spedita al suo dicastero il 21 agosto, ma era stata esaminata dalla Direzione generale solo il 17 settembre. In mezzo, e cioè il 31 agosto del 2013, Silvio Berlusconi si era fatto fotografare mentre firmava i referendum dei Radicali sulla giustizia: tra i 12 quesiti c’era anche l’abolizione dell’ergastolo. La soglia delle 500mila sottoscrizioni, però, non venne poi raggiunta.

Otto anni dopo Forza Italia è tornata per la prima volta al governo. E Graviano ha scritto subito a un’esponente dell’esecutivo. Lo ha fatto alla vigilia della sentenza della Consulta, che nell’aprile scorso ha decretato l’incostituzionalità della legge sull’ergastolo ostativo. Se il Parlamento non approva una nuova norma entro il maggio dell’anno prossimo, anche i boss irriducibili potranno sperare di ottenere la libertà vigilata dopo 26 anni di pena: non servirà aver mai collaborato con la giustizia, ma basterà dare prova di non essere più pericolosi. In che modo? “Si potrebbero prevedere specifiche condizioni e procedure per l’accesso alla liberazione condizionale” dei mafiosi, “più rigorose di quelle applicabili ad altri detenuti”, ha detto di recente la stessa Cartabia in commissione Antimafia, spiegando che le nuove norme dovranno tenere “in considerazione le peculiarità del fenomeno mafioso e della criminalità organizzata”.

Il meccanismo del “fine pena mai” per i mafiosi inventato da Giovanni Falcone è l’incubo di tutti i boss. Pure di Graviano, che da tempo porta avanti la sua strategia per uscire dal carcere senza rivelare i segreti di cui è custode. Ferratissimo sulle sentenze della Cedu sul 41bis e sull’ergastolo, ha spesso sostenuto di essere stato condannato solo sulla base di false accuse dei collaboratori di giustizia. Lo ha fatto anche davanti alla corte d’Assise di Reggio Calabria, quando ha rotto il silenzio per la prima volta dal 27 gennaio del 1994, il giorno in cui venne fermato a Milano insieme al fratello Filippo. “Andate a indagare sul mio arresto e scoprirete i veri mandanti delle stragi”, è uno dei tanti avvertimenti pronunciati in aula dal capomafia, che ha annunciato anche l’imminente uscita di un libro sulla storia della sua famiglia: di quella pubblicazione, però, non si ha più avuto alcuna notizia. Lo stesso Graviano è tornato a chiudersi nel suo storico silenzio, dopo lo show messo in scena al processo ’Ndrangheta stragista: uno spettacolo fatto di messaggi trasversali dal velato sapore ricattatorio.

Il mafioso ha parlato di “imprenditori del nord che non volevano fermare le stragi”, ha sostenuto di aver incontrato Silvio Berlusconi “almeno tre volte” a Milano mentre era latitante, di averlo conosciuto tramite suo nonno, che negli anni ’70 avrebbe finanziato l’uomo di Arcore con venti miliardi di lire. Accuse tutte da dimostrare, che per l’avvocato Niccolò Ghedini erano “palesemente diffamatorie”, anche se non si è poi avuta notizia di una denuncia da parte del legale dell’ex premier. Nel frattempo Graviano è stato interrogato dai pm della procura di Firenze, che indagano sulle bombe del 1993: nel novembre scorso l’uomo delle stragi ha risposto per ore alle domande degli aggiunti Luca Tescaroli e Luca Turco. Negli stessi giorni i due magistrati hanno sentito pure l’altro Graviano, Filippo: un interrogatorio molto più breve, in cui il mafioso ha messo a verbale di essersi dissociato da Cosa nostra, ammettendo di averne fatto parte, ma negando le accuse relative alle stragi. Poi ha chiesto al giudice di Sorveglianza di avere un giorno di permesso premio: richiesta respinta. Graviano ha potuto avanzarla perché già nel 2019 la Consulta aveva dichiarato illegittimo il divieto di concedere benefici agli ergastolani condannati per mafia che non si fossero pentiti. Quella decisione è stata definita “di particolare rilievo” nella relazione della corte Costituzionale dell’aprile 2020. A scriverla era proprio Marta Cartabia, all’epoca presidente della Consulta.

ILFQ

Sono 40,5 milioni gli italiani in zona bianca, le regole.

 

(nella foto: Folla di gente per la movida e controlli dei Carabinieri in Darsena e sui navigli il sabato pomeriggio a Milano)

Al ristorante al chiuso massimo in sei persone, feste con il green pass. 

Da oggi 40,5 milioni di italiani saranno in zona bianca, di fatto due cittadini su tre vivranno in regioni dove le restrizioni sono ridotte al minimo: smettono infatti di applicarsi le misure che regolano tutte le attività nelle altre zone, compreso il coprifuoco che nel resto d'Italia sparirà il 21 giugno.

In vigore restano sostanzialmente l'obbligo del distanziamento di almeno un metro, l'UTILIZZO DELLA MASCHERINA, l'igienizzazione delle mani e il DIVIETO DI ASSEMBRAMENTO, sia all'aperto che al chiuso. Dal Dpcm del 2 marzo, che ha introdotto la zona bianca, sono però state approvate una serie di regole che valgono anche nelle regioni che si trovano in questa fascia.

FESTE CON IL GREEN PASS: Nelle zone bianche è consentito organizzare feste private successive a cerimonie religiose o civili, dunque matrimoni, cresime, comunioni, battesimi ma anche compleanni, feste di laurea e anniversari.

Per parteciparvi però (esattamente come avverrà in zona gialla da martedì 15 giugno) bisognerà avere una delle 3 certificazioni verdi previste dai decreti attualmente in vigore: certificato di vaccinazione - che vale 9 mesi a partire dal completamento dell'intero ciclo, dunque anche con la seconda dose, oppure dal 15/esimo giorno dopo la prima dose fino alla somministrazione della seconda - certificato di guarigione, che ha validità 6 mesi, tampone negativo effettuato nelle 48 ore precedenti la partecipazione all'evento. Nel Dcpm che dovrà essere approvato nei prossimi giorni è previsto che la verifica delle certificazioni spetta "ai soggetti che erogano i servizi per fruire dei quali è prescritto il possesso di certificazione verde e gli organizzatori di eventi ed attività per partecipare ai quali è prescritto il possesso della medesima certificazione, nonché i pubblici ufficiali".

RISTORANTI AL CHIUSO: Dopo un confronto tra regioni e governo, è stato stabilito con un'ordinanza firmata del ministro della Salute Roberto Speranza il 4 giugno scorso che fino al 21 giugno in zona bianca "il consumo al tavolo negli spazi al chiuso è consentito per le attività dei servizi di ristorazione per un massimo di 6 persone per tavolo, salvo che siano tutti conviventi".

DISCOTECHE: Il Dpcm del 2 marzo che definisce le misure per la zona bianca afferma che "restano sospese le attività che abbiano luogo in sale da ballo, discoteche e locali assimilati, all'aperto e al chiuso". Di fatto dunque, le discoteche potranno aprire ma solo per l'attività di ristorazione e somministrazione, mentre resta vietato ballare in pista.

ANSA

Roma, sparatoria al parco ad Ardea: uccisi un anziano e due bambini. Aggressore barricato in un appartamento.

 

Un anziano e due bambini di 5 e 10 anni sono morti dopo essere stati feriti da un aggressore in un parco pubblico in via degli Astri a Colle Romito, consorzio residenziale di Ardea, un piccolo centro sul litorale a sud di Roma. Da quanto emerso sembra che intorno alle 11 di domenica mattina un uomo di 34 anni con dei problemi psichici abbia sparato ai tre, si sia allontanato e poi si sia barricato in un appartamento dove è arrivato un negoziatore. Ignoti i motivi degli spari.

“Pare che il tutto sia nato da una futile lite“, ha detto all’Ansa il sindaco di Ardea Mario Savarese intervenuto sul posto spiegando che “tutte le persone coinvolte sono residenti del consorzio, compresa la persona che ha sparato. Ho fornito tutte le indicazioni necessarie ai carabinieri, spero che venga preso al più presto”. Al momento non risulta alcun legame tra le tre vittime e l’omicida. I due bambini erano fratelli.

I carabinieri della compagnia di Anzio e Pomezia sono intervenuti in seguito a numerose segnalazioni e sono scattate le ricerche dell’aggressore, finché non hanno individuato l’uomo. I feriti erano stati soccorsi dal 118 e anche da un elisoccorso.

“Ho ricevuto ora una telefonata che non avrei mai voluto avere, il Direttore Sanitario dell’Ares 118 mi ha appena comunicato che i medici soccorritori stanno facendo la constatazione di decesso per entrambi i bambini. Il primo a non farcela è stato il più piccolo, poi purtroppo è mancato anche il secondo bambino – ha scritto in una nota l’Assessore regionale alla Sanità Alessio D’Amato -. Gli operatori intervenuti sul posto hanno impiegato tutti gli sforzi possibili per salvare le vittime con ripetuti tentativi di rianimazione, ma la situazione è apparsa fin da subito compromessa. Sono profondamente scosso per l’accaduto ed esprimo tutto il mio rammarico e le più sentite condoglianze ai familiari e all’intera comunità di Ardea che oggi vive un terribile lutto per questa tragedia”.

ILFQ

domenica 13 giugno 2021

Mario è Grande e traccia il solco: per la stampa è sempre capolavoro. - Tommaso Rodano

 

Ripresa, Covid, Nato… - Comunque ci pensa lui. il summit inglese raccontato in modo poco british.

A leggere le cronache della stampa italiana, sempre attenta e generosa con l’immenso Super Mario, doveva essere un vertice bilaterale che per poco non riscriveva i confini degli equilibri geopolitici nell’area Nato. L’incontro col presidente americano Joe Biden era stato anticipato e infiocchettato con grandi titoloni gonfi d’enfasi e ammirazione: “Draghi fa asse con Biden”, “Draghi apre il vertice dei Grandi”, “Draghi indica la strada”, “Draghi con l’Occidente”. Insomma Mario mostra la via dell’uscita dalla crisi al resto del pianeta; e poi Mario e Joe s’intendono alla grande, Mario e Joe sfidano Pechino, Mario e Joe giocano a canasta e bevono amaro del capo mentre decidono le sorti del mondo.

La cronaca del giorno dopo ovviamente è molto più modesta e meno affascinante: i giornali – è noto – invecchiano male e in fretta. Ma almeno stavolta i generosi titoli di 24 ore prima regalano grandi sorrisi.

Repubblica, pagina 8: “‘Avanti sulla crescita’. Draghi guida il G7 sul rilancio post Covid”. Densissimo il retroscena degli inviati di Molinari, che con voluminose pennellate di giornalismo raccontano l’investitura di Super Mario da parte del “padrone di casa” Boris Johnson: “Mario, qualche anno fa ti ascoltai in un seminario. Con una frase hai salvato l’euro. Ora dacci la tua prospettiva”. Il lettore, per magia, inizia a salivare come il cane di Pavlov: si apre un orizzonte di benessere e floridità. S’intravede la medicina di Draghi per l’Occidente ferito. Per fortuna “l’ex banchiere non si risparmia. E illustra la sua ricetta per dimenticare la crisi”. Sempre Repubblica nella stessa pagina anticipa le magnifiche sorti del vertice Draghi-Biden, con un menu ricco e ambizioso: “L’incontro bilaterale di oggi (ieri, ndr) tra il premier e il presidente americano. Nell’agenda di Italia e Usa un’alleanza su Libia e Nato”. Il Corriere della Sera è sulla stessa falsariga. Pagina 10, grande foto dei big mondiali, titolo enfatico: “Draghi apre il vertice dei Grandi: ‘Investimenti e coesione sociale’”. Lo spin è lo stesso pubblicato dai cronisti di Repubblica, Johnson, uno dei Grandi, ferma il premier italiano e gli chiede “la prospettiva”. E pure qui c’è un ulteriore succoso retroscena su Boris che scherza affettuosamente con Mario, paragonando le scogliere della Cornovaglia alla Costiera amalfitana (insomma…).

È un trionfo a giornali unificati. La Stampa: “Draghi indica la strada al G7, più investimenti meno sussidi”. Sempre grande è la sintonia con Biden: “Futuro della Nato, Libia e dazi nell’incontro tra Joe e Mario”. Menu ricco, perché l’Italia sogna la segreteria dell’alleanza atlantica e nello staff draghiano “nessuno se la sente di escludere che tra le tante cose che Biden e Draghi hanno da dirsi ci sarà anche la futura guida della Nato”. Da sinistra a destra, l’encomio è collettivo. Anche Il Giornale si spella le mani sulla sintonia tra Mario e Joe: “Draghi fa asse con Biden su Libia e stop ai dazi. E punta a guidare la Nato”. “Il premier, non è certo una novita, ha infatti un rapporto molto stretto con il nuovo inquilino della Casa Bianca”. Forse non quanto Matteo Renzi, ma quasi.

Poi c’è il filone del terrore cinese: mentre Mario faceva il filo a Biden, gli stolti Cinque Stelle rovinavano tutto con l’occhiolino alla Cina. Il Foglio e Libero hanno praticamente lo stesso titolo. Il quotidiano diretto da Claudio Cerasa, più ermetico: “Draghi con Biden, M5s con Xi”. Libero lo traduce in italiano e ci mette entusiasmo: “Draghi con l’Occidente, Grillo dai cinesi”. Super Mario difende i valori occidentali, mentre i grillini giocano col Dragone cattivo. È irresponsabilità, mica diplomazia: “Può il capo del primo partito della maggioranza (Giuseppe Conte, ndr) andare in pellegrinaggio politico dall’ambasciatore cinese mentre il presidente del consiglio s’incontra con Joe Biden?”. Conte alla fine non è andato, forse proprio per timore di Sallusti.

ILFQ

Pd: la federazione-fuffa per rompere col M5S. - Wanda Marra

 

Si scrive “Federazione di centrosinistra”, si legge “No all’alleanza privilegiata con i Cinque Stelle”. Il dibattito dentro il nuovo Pd di Enrico Letta (o piuttosto presunto tale) in questi ultimi giorni si è concentrato sulla formula, vagamente creata a tavolino. Tra le difficoltà della nuova segreteria e la tattica scelta dalle correnti (ovvero, logorare, non affrontare), non si attacca frontalmente la linea del Nazareno, ma si lavora a indebolirla. Anche perché, poi, la linea non è diritta: l’alleanza privilegiata con il Movimento guidato da Giuseppe Conte finora si è scontrata con le difficoltà sia del M5S che del suo appena ufficializzato leader. E le Amministrative raccontano di accordi che si fanno e si disfano in 24 ore. Ma in tutto questo ieri il Pd in un sondaggio Ipsos risulta il primo partito. Una posizione che da un certo punto di vista consentirebbe di trattare tutti i compagni di strada da una posizione di forza.

Dunque, la “federazione”. Che significa unire le forze da Renzi e Calenda a Bersani. A lanciarla sono stati il sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, ma soprattutto il senatore Luigi Zanda. Uno di quelli che quando parla fa raddrizzare le antenne: fu il primo a esprimersi chiaramente contro la linea “Conte o voto” allora strenuamente raccontata dalla segreteria dem targata Nicola Zingaretti. Quindi, sa tanto di slavina. La ridotta, poi, sta tutta in Senato. Andrea Marcucci a Letta gliel’ha giurata e non perde occasione per dirlo. Ma non è il solo. A Palazzo Madama è andata in scena giovedì una riunione del gruppo in cui a scagliarsi contro il segretario sono stati Gianni PittellaSalvatore MargiottaStefano Collina. “Il nostro destino è il matrimonio con Conte o la maggioranza Ursula?”, ha chiesto Pittella, con un tono molto polemico.

Dopodiché è tutta Base Riformista, la corrente di Luca Lotti e Lorenzo Guerini, che inizia a contestare la strategia di Letta. Mercoledì sera c’è stata una riunione dei parlamentari nella quale è stato presentato un documento per ribadire la “vocazione maggioritaria” dei dem, intesa come approccio verso il centro e verso i Cinque stelle: il “contributo” ha l’obiettivo di riequilibrare, e al tempo stesso di proporsi come alternativa alla linea gauchiste di Enrico Letta. “Noi freniamo? No, non c’è alcuna contrarietà ma prudenza. I 5Stelle sono in evoluzione, vediamo dove arrivano”, per sintetizzarla con il coordinatore, Alessandro Alfieri. Nella riunione ha fatto capolino Graziano Delrio insieme a Debora Serracchiani (in teoria franceschiniana). Lui nega sia di essere entrato dentro Br, sia di essere contro l’alleanza con M5S. Di certo, però, i rapporti con Letta non sono dei migliori, dopo la sostituzione alla guida del gruppo dem alla Camera.

Va detto che quattro mesi dopo la fine del governo giallorosa, coloro che fecero da sponda nel Pd a Renzi per defenestrare Conte sono gli stessi che oggi iniziano a venire allo scoperto contro Letta. Ma non è questo l’unico tema.

A tre mesi dal ritorno da Parigi dell’ex premier, si è assistito a un proliferare di correnti.

L’ultima in ordine di tempo è “Prossima”, e praticamente riunisce gli zingarettiani senza Zingaretti: Nicola Oddati, ex responsabile Enti Locali, l’ex responsabile comunicazione Marco Furfaro, l’ex responsabile lavoro Marco MiccoliStefano Vaccari (ancora responsabile dell’organizzazione). Poi ci sono le “Agorà” di Goffredo Bettini e “Rigenerazione democratica” di Paola De Micheli. Anche qui, il gioco delle correnti si incrocia con quello delle alleanze. Gli zingarettiani, per dire, sono per un’alleanza con i Cinque Stelle, ma senza sudditanza. Lo stesso Bettini – il fautore dell’amalgama giallorosa – si va raffreddando, come si evince dall’uscita sulla giustizia della settimana scorsa, in cui più che a Conte si riferiva a Matteo Salvini. Perché il rocchetto si è ampiamente complicato.

Letta e Francesco Boccia hanno cercato in tutti i modi di chiudere accordi su candidati di coalizione con il Movimento, ma si sono trovati di fronte spesso e volentieri le resistenze dei grillini e le difficoltà dello stesso Conte a interpretare la sua leadership. O almeno così se la raccontano al Nazareno. A Roma, dopo aver cercato di chiudere su Nicola Zingaretti, hanno dovuto virare su Roberto Gualtieri, visto che il primo non aveva ottenuto la garanzia che i Cinque Stelle non avrebbero fatto cadere la sua giunta alla Regione Lazio. A Napoli, dopo aver puntato su Roberto Fico, hanno ripiegato su Gaetano Manfredi. A Torino, anche se in silenzio, sperano nella vittoria del civico Enzo Lavolta, con conseguente accordo con il M5S. Speranze, entrambe, piuttosto peregrine.

E poi c’è il caso Calabria: con il candidato dem, Nicola Irto che si è ritirato una volta, è tornato in corsa, è stato poi di nuovo indotto a ritirarsi in nome dell’accordo con il Movimento. Un pasticcio tutto ancora da risolvere e che la dice lunga sulle difficoltà dell’alleanza. Anche qui, l’alfiere dell’accordo con il Movimento è stato Peppe Provenzano. A proposito di sfumature.

Nel frattempo, Letta conduce la sua battaglia piuttosto complessa. Ha scelto i temi di sinistra, come identitari, dal ddl Zan allo Ius soli. Criticatissimo. Nella partita dei licenziamenti, si è visto scavalcare dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando, che poi però ha dovuto cambiare posizione e dare spiegazioni più volte. Per inciso, mentre Letta lanciava la dote sui 18enni da finanziare con la tassa di successione, Orlando era al tavolo per la conferenza stampa con Mario Draghi e non ne sapeva niente. In generale, i rapporti del segretario del Pd con il premier sono più difficili di quanto ci si potesse aspettare. Ma questa è un’altra storia. Nel capitolo “relazioni difficili con M5s” va aggiunta la storia della candidatura alle suppletive. Per Letta è pronto il seggio di Siena, ma lui tentenna. Tra i motivi, il fatto che Conte non vuole candidarsi a sua volta a Pietralata, a Roma. E questo, non aiuta l’immagine. In mezzo a questo mare di incertezze, però, ieri al Nazareno si consolavano con il sondaggio Ipsos, che dava il Pd al 20,8%.

IlFQ

Pronto Amerega me senti? - Marco Travaglio

 

Uno dei fenomeni più comici del momento è il ritorno di Nando Mericoni. Solo che al posto di Sordi ci sono gli atlantisti fuori tempo massimo de noantri (“Pronto Amerega me senti?”), tutti eccitati perché Draghi incontra Biden al G7, anzi gli dà la linea nella sua nuova veste di Capo del Mondo. Repubblica: “Draghi guida il G7” (anzi, G1+6). Stampa: “Draghi indica la strada al G7” (“Maestro, ìndicaci la retta via!”, Brian di Nazareth), “Merkel si allinea alle posizioni italiane” (buona questa). Messaggero: “L’asse tra Draghi e Biden: ‘Meno sussidi, ora investire’” (infatti Biden ha appena stanziato 1.900 miliardi di sussidi e Draghi 40, più i 32 ereditati da Conte). Altri invece sono affranti perché, mentre Super Mario assume le redini del pianeta, in attesa di impadronirsi della galassia, Grillo vede l’ambasciatore cinese. Ora, basta leggere i dati dell’economia per capire che l’Italia può fare a meno più degli Usa che della Cina: le esportazioni da Roma a Pechino sono balzate in sei mesi del 75% e gli scambi commerciali del 50. Gli Usa hanno tutto da perdere dalla Cina. Noi tutto da guadagnare. La guerra fredda è finita da un pezzo, la “guerra al terrorismo” modello Usa ha moltiplicato il terrorismo e sterminato centinaia di migliaia di innocenti in Afghanistan e in Iraq, oltre ad aver causato la nascita dello Stato Islamico e gli attacchi dell’Isis in tutto il mondo, trascinando alleati e camerieri (fra cui l’Italia berlusconiana e ulivista) in una debacle senza fine, culminata nell’ingloriosa ritirata dall’Afghanistan più che mai in mano ai Talebani.

Per fortuna dal 2018 i “populisti” 5Stelle hanno imposto una visione un po’ più multilaterale del mondo, rifiutando di riconoscere – unico governo in Europa insieme al Vaticano – il golpista venezuelano Guaidó (ora disperso). L’unica cosa che dovremmo importare dagli Usa sono le politiche sociali e fiscali di Biden: invece Draghi è filoamericano in tutto tranne che in quelle (niente salario minimo e neppure la tassina di successione modello Letta). In vista dell’auspicato remake di Un americano a Roma, segnaliamo un possibile protagonista e una eventuale comparsa. Il protagonista è Maurizio Sambuca Molinari, che a Ottoemezzo esalta tra lo sconcerto generale “la convergenza tra le politiche economiche di Biden e Draghi” (ciao core). La comparsa è l’italomorente Faraone, che al Tg3 dirama la fake news di “Conte, che abbiamo mandato a casa, all’ambasciata cinese col comico Grillo, mentre Draghi sta rappresentando i valori dell’atlantismo e dell’europeismo al fianco di Biden”. Senza dimenticare il Rinascimento saudita, che lo vedrà impegnato nel remake di Totò d’Arabia nei panni dello sceicco Alì el Buzur.

IlFQ

𝗟𝗔 𝗠𝗜𝗔 𝗟𝗘𝗧𝗧𝗘𝗥𝗔 𝗣𝗨𝗕𝗕𝗟𝗜𝗖𝗔𝗧𝗔 𝗢𝗚𝗚𝗜 𝗦𝗨𝗟 “𝗥𝗘𝗦𝗧𝗢 𝗗𝗘𝗟 𝗖𝗔𝗥𝗟𝗜𝗡𝗢”. - Giuseppe Conte

 

Gentile Direttore,
il prossimo autunno anche la città di Bologna sarà chiamata ad eleggere il suo nuovo sindaco. Come è noto, il Movimento 5 Stelle sta vivendo un importante processo di rilancio e di rinnovamento, che io ho l’onore di guidare, ma questo non ci ha impedito di lavorare sino ad oggi con impegno e passione per arrivare preparati a questo appuntamento elettorale.
L’entusiasmo e l’energia che animano questa fase di rilancio del Movimento 5 Stelle ci hanno guidato anche nel percorso che ci ha portato alla costruzione a Bologna di un progetto per un campo largo insieme alle forze progressiste, sulla base di un modello che stiamo sperimentando anche in altre città che andranno al voto, come Napoli, o nelle regionali in Calabria.
Sono fortemente convinto che a Bologna ci siano le condizioni migliori per sviluppare questo laboratorio politico basato sul dialogo e la collaborazione fra M5S, PD, la lista Coraggiosa e le altre civiche che hanno aderito a questo progetto. Il terreno è fertile e i tempi sono maturi.
Il raggiungimento di questo obiettivo, la realizzazione di questo progetto devono essere garantiti da un candidato credibile, che sposi questo percorso con convinzione, passione, nel solo ed esclusivo interesse dei cittadini bolognesi. Questo candidato è Matteo Lepore del Partito Democratico, che il Movimento 5 Stelle sostiene convintamente.
Oggi l’errore da non fare è indebolire questo percorso fra PD e M5S bolognesi, che grazie agli esponenti locali si presenta già in uno stato avanzato. Lo dico anche a chi oggi nutre perplessità su questo percorso: è stato fatto un grande lavoro di avvicinamento e di confronto su importanti temi che hanno posto le basi per una solida coalizione.
Gli effetti della pandemia e della crisi economica si sentono forti anche a Bologna. Noi abbiamo il dovere e la responsabilità di dare ascolto alle sofferenze e alle paure di larghe fasce di popolazione, di farcene carico, a partire dai più deboli, dalle famiglie, fino al tessuto produttivo che da sempre anima e fa prosperare quest’area del Paese. Non possiamo commettere l’errore di lasciare che tali istanze vengano solo apparentemente intercettate da forze politiche di destra che mostrano di avere soluzioni semplici, sempre a portata di mano anche di fronte a sfide particolarmente complesse. Abbiamo il dovere di parlare chiaro a tutti i cittadini e non dobbiamo nascondere il fatto che alcuni processi riformatori richiedono tempo. Quel che possiamo garantire è la nostra lucida determinazione, la nostra perseveranza a realizzare anche i più incisivi e complessi processi trasformativi, in modo da rendere le nostre città - dal centro ai quartieri più distanti - più sicure, più verdi, in breve “più a misura d’uomo”.
Ci sono lavori e battaglie comuni da portare avanti insieme, sapendo che alcuni elementi ci distinguono dal PD e dalle altre forze politiche di sinistra, ma la sfida in un momento così difficile anche a livello internazionale deve essere quella di rimettere al centro la persona e la responsabilità per garantire un futuro migliore ai bolognesi, riconoscendo più diritti a partire dalla sfera del lavoro, e perseguendo maggiore equità in modo da garantire a tutti condizioni di maggiore benessere, nel segno della sostenibilità e dell’equità.
Il Movimento, dal canto suo, si presenterà mettendo in campo i suoi principi fondamentali, che non cambiano ma anzi si rafforzano: etica pubblica, legalità e lotta alle mafie, tutela ambientale, innovazione, trasparenza, partecipazione dei cittadini.
Per la città di Bologna, da sempre crocevia nel Paese dal punto di vista geografico, politico e culturale, oggi è necessario fare uno sforzo dal punto di vista ambientale per migliorare la qualità dell'aria e la salute delle persone, dal punto di vista sociale e di diritti sul lavoro, nella lotta alle mafie che hanno pesantemente infiltrato un territorio ricco come quello emiliano, nella innovazione tecnologica al servizio del cittadino per garantirgli semplificazione burocratica e servizi efficienti.
Con tutto il Movimento di Bologna, a partire da Max Bugani e Silvia Piccinini fino a tutti i nostri attivisti che si impegnano quotidianamente sul territorio, vogliamo costruire qualcosa di importante. Vogliamo dare un contributo positivo all’intera Emilia-Romagna e anche per questo ci aspettiamo appoggio, dal PD e dalle altre forze di sinistra, per confermare il sindaco uscente di Cattolica, Mariano Gennari, che ha dato un’ottima prova di sé nella capacità amministrativa. Questa è la strada giusta da percorrere tutti insieme, convintamente.
Giuseppe Conte
FB