Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
martedì 25 dicembre 2012
lunedì 24 dicembre 2012
Trattativa, nell'inchiesta anche la mancata cattura del boss Santapaola. - Aaron Pettinari
Si arricchisce di un nuovo tassello l'inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia: la mancata cattura del boss Nitto Santapaola. Secondo i magistrati che stanno portando avanti l'indagine, i pm Di Matteo, Del Bene, Sava e Tartaglia, tra il 1992 e il 1993 il vertice del Ros avrebbe offerto un salvacondotto, oltre che a Bernardo Provenzano, anche al capomafia catanese. Gli inquirenti hanno recuperato alcune intercettazioni dell'aprile 1993.
In alcune conversazioni due mafiosi avrebbero parlato di un incontro recente col capomafia catanese quindi in un'altra registrazione all´interno di un ufficio di autotrasporti tenuto sotto controllo a Terme Vigliatore, nel messinese, sarebbe registrata persino la voce del boss. Gli interlocutori lo chiamavano “zio Filippo”. “So che hanno fatto un blitz a Milano per droga... - diceva -. E lì ci hanno messo Totò Riina, a me, Madonia, tutti lì, tutti catanesi, perciò alcuni sbirri pensano una cosa, altri ne pensano un'altra...”. In un secondo colloquio intercettato lo stesso giorno, uno degli interlocutori dice all'altro: “Se non svieni e non lo dici a nessuno, io ti dico chi era quella persona che c'era qua dentro poco fa. Era Nitto Santapaola...”. Nonostante ciò non venne effettuato alcun blitz ed anzi gli uomoni dell'arma furono protagonisti di una sparatoria in cui fu coinvolto un ignaro passante, scambiato per il ricercato Pietro Aglieri. Un disguido, venne detto all'epoca. Per l'accusa un messaggio a Santapaola per proteggerne la latitanza che durò fino al 18 maggio, quando venne arrestato dalla Polizia.
Adesso, queste intercettazioni sono state inserite nei cinque faldoni depositati agli atti dell´udienza preliminare del processo per la trattativa in corso a Palermo. I documenti sono stati scovati negli archivi di Messina, Reggio Calabria e Barcellona Pozzo di Gotto. Secondo gli inqurenti Santapaola si sarebbe nascosto a Barcellona Pozzo di Gotto e nella stessa zona, ad aprile, si sarebbero trovati anche l’ex ufficiale Giuseppe De Donno, tra gli imputati del procedimento sulla trattativa, e l’allora capitano Sergio De Caprio, l’uomo che arrestò Totò Riina e che fu processato (e assolto, come Mori) per la mancata perquisizione del covo del boss corleonese. Dopo la mancata cattura di Provenzano nel 1995, contestata all’ex generale del Ros Mario Mori, ‘concessione’, secondo i pm, fatta al boss proprio in nome della trattativa in corso, anche il mancato arresto di Santapaola sarebbe inserito in un possibile accordo.
Trattativa che sarebbe continuata anche dopo l’arresto, attraverso Francesco Di Maggio, allora vicedirettore del penitenziario in cui si trovava detenuto Santapaola.
A raccontare questa fase della trattativa è l'avvocato Rosario Cattafi, arrestato l'estate scorsa dai magistrati di Messina che lo considerano il referente della cosca barcellonese e ora detenuto al “carcere duro”. Nell'aprile '93 il vice direttore delle carceri lo avrebbe contattato proprio per far arrivare un messaggio a Santapaola per fermare le stragi.
A raccontare questa fase della trattativa è l'avvocato Rosario Cattafi, arrestato l'estate scorsa dai magistrati di Messina che lo considerano il referente della cosca barcellonese e ora detenuto al “carcere duro”. Nell'aprile '93 il vice direttore delle carceri lo avrebbe contattato proprio per far arrivare un messaggio a Santapaola per fermare le stragi.
E ieri, durante l'udienza preliminare, il pm Nino Di Matteo ha spiegato il perché nell'ottobre '95 non venne arrestato Provenzano: “Non si trattò di un episodio isolato ma della volontà di adempiere a un patto, un accordo che è parte della trattativa scaturita dal ricatto mafioso. Provenzano venne lasciato in latitanza perché una parte delle istituzioni riteneva utile che prevalesse la fazione interna a Cosa nostra da lui guidata. Perciò conveniva che Provenzano rimanesse in libertà”.
All'udienza davanti al gup Piergiorgio Morosini è anche intervenuto con delle dichiarazioni spontanee Massimo Ciancimino, figlio di don Vito, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e di calunnia. “Sono stato il primo a parlare di una trattativa tra Stato e mafia” ha dichiarato mente i suoi legali depositavano agli atti un verbale di interrogatorio reso nel 2008 davanti ai giudici di Caltanissetta. Nel corso dell'udienza, che si è tenuta ancora a porte chiuse, sono state numerose le richieste avanzate dai difensori dei 12 imputati. Il legale di Mori, l'avvocato Basilio Milio ha chiesto la produzione delle intercettazioni fatte due anni fa a Verona tra Massimo Ciancimino ed un uomo ritenuto vicino alla 'Ndrangheta. Inoltre, il legale ha chiesto anche la produzione degli atti del processo Mori. I legali di Nicola Mancino hanno, invece, fatto sapere che nell'udienza del 9 gennaio 2013 l'ex ministro dell'Interno farà dichiarazioni spontanee. Anche i pm Nino Di Matteo, Lia Sava e Roberto Tartaglia hanno annunciato la produzione di nuovi atti. L'udienza è stata rinviata a lunedì prossimo quando il guo Morosini si esprimerà sulle decisioni.
Il caso Scarpinato verso l’archiviazione, la discussione del Csm.
Lo scorso 7 novembre il Plenum del Csm ha votato a favore dell'archiviazione della pratica relativa alle dichiarazioni del Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Caltanissetta, Roberto Scarpinato, in occasione dell'anniversario di via D'Amelio. Quel giorno Scarpinato aveva letto una lettera a Paolo Borsellino.
“Caro Paolo – si leggeva nel testo - stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e di legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere; personaggi dal passato e dal presente equivoco le cui vite – per usare le tue parole - emanano quel puzzo del compromesso morale che tu tanto aborrivi e che si contrappone al fresco profumo della libertà”. Parole ineccepibili, prive di alcun cenno offensivo o infamante, nella piena libertà di espressione che rientra in una democrazia compiuta. Ma non in Italia, dove, su decisione del Comitato di presidenza del Csm (su richiesta del laico del Pdl Nicolò Zanon), a seguito di quelle dichiarazioni, si era proceduto ad inviare gli atti riguardo la nomina del nuovo procuratore generale di Palermo al pg della Cassazione Gianfranco Ciani. In questo modo si metteva a rischio la domanda di trasferimento di Roberto Scarpinato da Caltanissetta al capoluogo siciliano, così da minare la sua nomina a procuratore generale di Palermo. A sostegno di Scarpinato era stata redatta una lettera-appello firmata da oltre 400 magistrati, da diversi familiari di vittime di mafia (tra cui Agnese, Salvatore e Rita Borsellino) e numerosi esponenti della società civile; anche l'Anm aveva criticato l'apertura della pratica nei confronti del pg nisseno.
Riportiamo di seguito il testo integrale della discussione al Plenum del Csm in attesa di conoscere la decisione dell’organo di autogoverno delle toghe.
SCARICA IL DOCUMENTO: Trascrizione discussione Csm
Riportiamo di seguito il testo integrale della discussione al Plenum del Csm in attesa di conoscere la decisione dell’organo di autogoverno delle toghe.
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Le "Ragioni di Stato" e le parole vuote di Nicola Mancino. - Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo
“Ho buoni e doverosi motivi per affermare che io non sono stato spregiudicato nel coinvolgere nelle indagini sulla cosiddetta trattativa il capo dello Stato, che ho sempre stimato per la sua alta funzione e con il quale ho avuto modo di conservare, collaborando, stima, rispetto, amicizia e devozione”.
La penosa replica dell'ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino, alle pesanti accuse di Agnese Borsellino rilasciate alla giornalista di Servizio Pubblico si commenta da sola. L’ex vice presidente del Csm ha ribadito la sua totale estraneità alla trattativa Stato-mafia: “Non ho mai saputo niente e, perciò, non ho avuto nessun ruolo...”.
Al di là della sua prevedibile autodifesa resta però ancora sospesa la mancata spiegazione di una sua affermazione intercettata al telefono con l’allora Consigliere di Giorgio Napolitano, Loris D’Ambrosio, scomparso lo scorso 26 luglio. In quella telefonata il privato cittadino Nicola Mancino dichiarava di essere “un uomo solo” che in quanto tale “va protetto” affinché non chiami in causa “altre persone”.
Di fronte alla nostra richiesta di un chiarimento Mancino aveva definito “una sciocchezza” la domanda stessa, aggiungendo che prima di rispondere alla stampa lo avrebbe riferito “al giudice”.
Ma allo stato non ci risulta alcuna sua intenzione di fare chiarezza in merito. La sua paventata “estraneità” alla trattativa Stato-mafia stride ulteriormente con le sue stesse affermazioni fatte a D’Ambrosio.
Quello che vorremmo chiedere al senatore Mancino è cosa avrebbe risposto se a chiedergli conto di quella telefonata fosse stata la signora Agnese Borsellino. Quali giustificazioni avrebbe utilizzato per sviare l’attenzione dalla gravità di quelle sue affermazioni? E soprattutto quale diabolica “ragione di Stato” avrebbe possibilmente chiamato in causa per scagionare se stesso e quelle “altre persone” coinvolte di cui sarebbe a conoscenza?
Il suo silenzio è forse legato alla paura di finire vittima di un sistema criminale che non perdona coloro che “parlano”? Al momento non è possibile ipotizzare se Mancino mai riferirà ad un giudice tutto – ma proprio tutto – quello che sa su una trattativa che si è consumata anche nel periodo della sua reggenza al ministero dell’Interno.
“Perché Paolo rientrato la sera di quello stesso giorno da Roma, mi disse che aveva respirato aria di morte?”, si è chiesta la signora Agnese. Il riferimento al primo luglio 1992 è legato al suo incontro al Viminale con Paolo Borsellino. Senatore Mancino, a distanza di vent’anni, seppur con fatica, lei ammette di avergli potuto stringere la mano, ma non chiarisce minimamente il tema di quell’incontro. Oggi, dopo le dichiarazioni di Agnese Borsellino, lei tenta nuovamente la carta dell’auto assoluzione.
Di fonte alla purezza d’animo della signora Agnese nei confronti della quale siamo tutti debitori e soprattutto di fronte alla pretesa di giustizia della vedova del giudice Borsellino lei ha il dovere di dire la verità. Non ci potrà essere alcuna “ragione di Stato” eterna che potrà proteggere chi la utilizza a mo’ di scudo protettivo. Allo stesso modo non ci potrà essere alcuna garanzia di impunità per chi non ha intenzione di fare luce sul biennio stragista ‘92/’93, costoro non potranno in ogni caso ritenersi esenti da eventuali ritorsioni da parte di quegli stessi apparati che hanno ordito stragi e depistaggi. Probabilmente è questo il dilemma che agita le notti e i giorni di coloro che, in un modo o nell’altro, sono stati protagonisti o spettatori della trattativa. E Nicola Mancino non può non essere consapevole di ciò. Se, come abbiamo riportato all’inizio, Mancino afferma di non essere stato “spregiudicato nel coinvolgere nelle indagini sulla cosiddetta trattativa il capo dello Stato” implicitamente fa intendere invece di avere coinvolto Napolitano.
E allora perché l’ha coinvolto?
E allora perché l’ha coinvolto?
Italo Calvino.
“Un Paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per soldi, perchè le risorse mancano, o i costi sono eccessivi.
Un Paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere.”
Italo Calvino
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A Varchetella. - Francesca Riccio
a Varchetella...la barchetta....la giostra che veniva montata dal giostraio ambulante quando c'era la festa del sabti del quartiere, e costava cinquanta lire...e anche quando non c'erano i soldi per salirci restavamo comunque intorno a guardarla.....
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Siria: centinaia di morti in un raid aereo su un panificio.
Un nuovo massacro porta la guerra in Siria sulle prime pagine di tutto il mondo: decine di civili, 94 secondo gli attivisti, oltre 300 secondo al Arabiya, sono rimasti uccisi da un bombardamento aereo mentre facevano la fila per comprare un pezzo di pane, a Helfaya, nella provincia di Hama.
"C'erano mille persone in coda", ha raccontato un testimone ad al Arabiya: "Da giorni non arrivava farina, oggi per la prima volta il panificio aveva prodotto qualcosa". Tra le
vittime molte donne e bambini. I video pubblicati sul web dagli attivisti anti-regime mostrano decine di cadaveri dilaniati, brandelli di carne umana sparsi ovunque, il sangue che imbratta la strada e le mura dell'edificio rimaste in piedi. Uno scatto
tra gli altri testimonia la strage, quello di un ribelle che raccoglie una tradizionale pita, il pane siriano, da una pozza di sangue.
"Quando sono arrivato c'erano mucchi di cadaveri, anche donne e bambini", racconta un altro attivista. I comitati locali dell'opposizione (Lcc) hanno contato almeno
90 morti, ma il bilancio finale e' difficile da prevedere: "Stiamo ancora effettuando i soccorsi, i feriti sono molti, il numero finale dei morti e' destinato a crescere a dismisura", avvertono sui social network.
La notizia del massacro nella citta' conquistata dai ribelli la scorsa settimana, e' rimbalzata in tutto il mondo, come anche nel Paese nonostante i limiti imposti dalla censura: numerose manifestazioni spontanee si sono celebrate sfidando il regime,
accusato di questo nuovo orrendo crimine. A Gharb Mashtal, un sobborgo di Hama, "l'esercito siriano ha sparato sulla folla", denunciano ancora gli Lcc in una nota diffusa in tarda serata.
Non e' la prima volta che le forze fedeli al presidente Bashar al Assad finiscono con il colpire luoghi di raduno dei civili: questa estate un bombardamento su un panificio di Aleppo ha causato almeno 60 morti, e spinto le organizzazioni della difesa dei diritti umani, tra le quali Human Rights Watch, a condannare il governo di Damasco, accusato di non prestare troppa attenzione agli obiettivi da colpire, e dunque di sparare intenzionalmente sui civili.
I sodali di Assad rimandano al mittente le accuse, spiegando che sono i ribelli, i 'terroristi', che si nascondono tra i civili perche' questi vengano colpiti. L'escalation militare delle ultime settimane, con il regime che ha iniziato a usare i missili Scud contro le postazioni dei ribelli nel nord, sta causando oltre 100 morti al giorno.
Israele sottolinea che "nonostante il governo stia perdendo" la battaglia, le "armi chimiche restano sotto il suo controllo".
I ribelli guadagnano terreno, con le fazioni jihadiste che secondo molteplici fonti stanno acquistando fama e sempre più peso all'interno dell'opposizione armata.
Le minacce arrivate a due villaggi cristiani, sempre nella provincia di Hama, hanno spinto oggi anche la conferenza islamica (Oci) a condannare i gruppi estremisti: "Queste minacce sono contrarie ai principi dell'Islam, la tolleranza, la fratellanza e la pace", si legge in un comunicato dell'Oci in riferimento all'ultimatum lanciato contro le citta' cristiane di Mharda e Sqilbiya, che gli insorti sunniti hanno posto sotto
assedio, chiedendo ai residenti di schierarsi contro il regime se vogliono evitare un attacco.
Intanto, a Damasco e' arrivato a sorpresa l'inviato speciale di Onu e Lega Araba, Lakhdar Brahimi: le autorita' siriane hanno affermato di non essere stati informati della visita. Potrebbe trattarsi dell'ultimo serio tentativo per arrivare ad una pace negoziale.
http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=172993
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