Tre anni fa ci ha messo lo zampino il maltempo eccezionale, nel 2019 è arrivato l’aiutino dell’ex ministro del Turismo, il leghista Gian Marco Centinaio. Quest’anno, causa Covid-19, è stato ancora più facile annacquare “spiaggiopoli”. Con una veloce trattativa tra il senatore forzista Maurizio Gasparri e il ministro Dario Franceschini (Pd) è stato inserito nel calderone del dl Rilancio un emendamento di Deborah Bergamini (FI) – con voto bipartisan in Commissione Bilancio – che proroga le concessioni demaniali marittime, cioè le spiagge, fino al 2033. La storia è sempre la stessa: per tutelare una realtà di piccole imprese – sono 30 mila per lo più a conduzione familiare – l’Italia non riesce a mettere all’asta le concessioni, come vuole l’Europa. Il nemico della lobby degli stabilimenti balneari è la direttiva Bolkestein del 2006. Aggirata nel 2010 dal governo Berlusconi, è stata prorogata di altri 15 anni dalla legge di Bilancio 2019. Ed ora l’emendamento l’ha riformulata per evitare che si creassero dei contenziosi a sfavore dei balneari: troppi Comuni non hanno aggiornato le delibere. Così, quella che dovrebbe essere una gigantesca risorsa economica, si traduce in un misero introito per lo Stato: le concessioni portano all’Erario appena 105 milioni di euro, a fronte di un giro di affari stimato da Nomisma in 15 miliardi di euro annui. Dividendo l’introito per le 25.000 concessioni, i gestori pagano allo Stato “zero”, per dirla con Carlo Calenda. “Il numero delle concessioni cresce ovunque, ma nessuno controlla”, spiega Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente. “Abbiamo svenduto le coste”, dice il segretario dei Verdi Angelo Bonelli: “I prezzi stracciati delle concessioni sono uno scandalo che porteranno l’Italia a risponderne di nuovo davanti alla Commissione Ue”.
Ed eccoli gli affari d’oro. Per il Twiga di Marina di Pietrasanta (quasi 4.500 mq), dove si spendono mille euro al giorno, il proprietario Flavio Briatore (Daniela Santanchè è una socia) paga 17.619 euro di canone allo Stato, contro 4 milioni di fatturato. Un anno e mezzo fa l’imprenditore ha acquistato la concessione dalla storica famiglia di proprietari a 3,5 milioni di euro. Al Papeete (5 mila mq e 35 euro per due lettini e un ombrellone), lo stabilimento romagnolo reso famoso da Matteo Salvini, lo scorso anno i ricavi sono volati a 3,2 milioni, ma il canone – riporta il Corriere – è rimasto fermo a 10 mila euro. Secondo il report di Legambiente, a Santa Margherita Ligure, il Lido Punta Pedale versa 7.500 euro all’anno; a Forte dei Marmi il Bagno Felice 6.560 euro per 4.860 mq; il Luna Rossa di Gaeta 11.800 euro per 5.381 metri, mentre il Bagno azzurro di Rimini ne versa 6.700. In Sardegna, per la spiaggia di Liscia Ruja, l’hotel Cala di Volpe paga 520 euro all’anno. Della proroga al 2033 ne beneficeranno di certo i 71 stabilimenti di Ostia (10 km di spiaggia) che, a fronte di ricavi da 300 mila euro, pagano tra i 20 e 40 mila euro l’anno. La giunta capitolina di Virginia Raggi sta portando avanti la battaglia per abbattere gli stabilimenti e le strutture abusive. “Sono arrabbiato – dice il consigliere M5S in Campidoglio, Paolo Ferrara – con questa norma siamo molto più deboli. Così hanno vinto gli stabilimenti balneari perché con una legge nazionale noi non possiamo più fare niente: ci hanno legato le mani”.
E intanto di aumentare i canoni di concessione non se ne parla. Anzi. Lo stesso emendamento per sanare “una palese ingiustizia” a danno dei gestori delle concessioni “pertinenziali” (cioè bar, ristoranti e chioschi in muratura), ha abolito il pagamento dei canoni calcolato attraverso i valori dell’Agenzia delle Entrate (fino a 200 mila euro), sancendo che non dovranno sborsare più di 2.500 euro. E potranno sanare le morosità pagando solo il 30% del dovuto in un’unica soluzione o rateizzare il 60% fino a un massimo di 6 annualità. Stessa spiaggia, stesso mare, affari d’oro.
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