Di Maio risponde al “Fatto”.
Gentile Direttore, la seguente perché da qualche giorno ho notato che sta facendo notizia la mia agenda di appuntamenti, con ricostruzioni fuorvianti che con dispiacere ho letto – in parte – anche dalla sua penna.
Sia ben chiaro, la stampa fa il proprio mestiere. Diceva qualcuno che il dovere dei giornalisti fosse quello di “girare la penna nella piaga”. E quindi il mio non vuole essere un attacco a chi dà le notizie. Come prima cosa voglio dire che confermo gli incontri che ho avuto e personalmente da Ministro degli Esteri credo proprio che ne avrò tanti altri. Perché da quando sono Ministro ho sempre tenuto un contatto diretto con membri di maggioranza e opposizione, come ho sempre tenuto incontri con coloro che rappresentavano e rappresentano istituzioni internazionali e nazionali. Ognuna di queste persone si rivela preziosa per uno scambio di opinioni, soprattutto quando finiamo a discutere con forza perché non la pensiamo allo stesso modo.
Ciò che sta diventando insopportabile invece è il livello di retropensiero che in questi giorni si cela dietro ad ognuno dei miei incontri. Come ad esempio l’ipotesi che sarebbe stato il mio staff a far trapelare la notizia. I giornalisti che hanno firmato gli articoli e i loro direttori possono facilmente testimoniare il contrario.
Sia con l’ex presidente della Bce Mario Draghi, sia con Gianni Letta non ci eravamo mai incontrati prima e il tutto rientra in un sano e tradizionale spirito dialogante. Nella fattispecie, peraltro, come lei ben sa, l’Italia si appresta ad affrontare una delle più importanti partite mai giocate sui tavoli europei e la Farnesina lavora in prima linea sul negoziato Ue.
In questa cornice, e in virtù del particolare momento che stiamo attraversando, non trovo sconvolgente che io veda l’ex presidente della Banca Centrale Europea, visto anche il ruolo svolto dall’Eurotower negli ultimi anni a sostegno della zona euro. Per quanto riguarda il dottor Letta, invece, smentisco categoricamente i contenuti riportati nel retroscena pubblicato su La Stampa. D’altronde, Direttore, lei stesso nel suo editoriale ha parlato di numerose “chiacchiere politichesi dei retroscenisti”…
Riguardo ad Autostrade, colgo l’occasione per riferirle che corrisponde al vero anche il mio incontro con il manager Gianni Mion, al quale ho ribadito la posizione espressa dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, secondo cui “le autostrade non possono più essere gestite dalla famiglia Benetton”. Posizione, questa, che non viene espressa o improvvisata oggi, ma che io per primo ho portato sui tavoli governativi e in Parlamento.
Nell’ambito dell’esperienza di governo, io per primo, infatti, ho combattuto contro la famiglia Benetton. Io per primo sono finito nel mirino della speculazione mediatica per portare avanti una battaglia che nessun altro aveva il coraggio di intraprendere. Sono stato accusato di aver fatto crollare il titolo in borsa di Atlantia, il M5S è stato deriso e colpito solo per aver difeso un principio fondamentale che, dopo la tragica morte di 43 persone, a nostro avviso equivale al senso di giustizia.
L’encefalogramma, mi permetta, non è stato piatto. E lo dimostra anche la mia uscita pubblica in serata sui miei profili social a supporto delle parole del Presidente Conte. Ho forse peccato per non essermi palesato prima delle 21? Me ne dispiaccio, ma ero a Trieste con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al rientro ho effettuato un punto sull’incontro tenuto ieri pomeriggio con il presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk, Aguila Saleh, e il giorno prima ero a Bruxelles per un mini vertice a 4 con i colleghi Le Drian, Mass e l’Alto rappresentante Borrell sempre sulla Libia. Insomma, possiamo dire che non ci si annoia mai.
Infine, e concludo, lei ha anche scritto che io due anni fa mi giocai la premiership per non stringere la mano pubblicamente a Silvio Berlusconi. Devo ringraziarla, perché indirettamente mi riconosce lo sforzo di aver contribuito a costruire due governi. Le confesso tuttavia che la mia rinuncia fu motivata dalla convinzione che non sono i volti a cambiare un Paese, bensì i fatti e le idee (ed è per questo motivo che per ben due volte ho rinunciato al ruolo di premier e una terza a quello di vicepremier). Non le so dire se oggi ci stiamo riuscendo. Le posso dire però che stiamo facendo il massimo e qualche risultato, me lo conceda, a casa lo abbiamo portato.
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