Ormai qualunque cosa accada, anche la più misteriosa o imprevedibile, una certezza matematica ci conforta: la cazzata più enorme la dirà Salvini, peraltro opposta a quelle sparate fino a un attimo prima. É capitato sul lockdown, da lui chiesto a gran voce il 10 marzo (“Tutta Italia zona rossa, tutta Europa zona rossa, chiudere tutto!”), cinque mesi prima di invocare l’arresto di Conte per aver “sequestrato tutta Italia contro il parere del Comitato tecnico scientifico” (che ovviamente era d’accodo). É ricapitato per lo scandalo dei cinque deputati (più 2mila politici locali e un esercito di professionisti) che han chiesto e ottenuto il bonus da 600-1000 euro per partite Iva in difficoltà pur guadagnando 13-14 mila euro netti al mese. Noi pensiamo che le regole della privacy non valgano per gli eletti: i cittadini elettori hanno il diritto di conoscerne i nomi e le spiegazioni, per decidere se rivotarli o mandarli a casa. Perciò oggi il Fatto invierà una richiesta di accesso agli atti all’Inps sostenuta da una petizione fra i lettori sul sito, pronto anche a ricorrere al Tar. Ma nell’attesa, torniamo al Cazzaro Verde, che neppure stavolta ha deluso le attese. Prima, a botta calda, ha strillato: “Vergogna, dimissioni subito!”. Poi ha saputo che tre su cinque sono suoi e allora ha virato sulla “sospensione subito”. E ha incolpato “il governo che ha fatto il decreto che lo permette e l’Inps che ha dato quei soldi” (e ha scoperto i profittatori).
Ora, quel bonus era una misura di pronto soccorso per tutte le partite Iva impoverite dal lockdown e, per raggiungerne il maggior numero nel minor tempo possibile, doveva essere per tutti: altrimenti, a furia di carte bollate e controlli, avrebbe mancato lo scopo. Com’è accaduto per la Cig straordinaria, che ha le sue regole pluridecennali e infatti non è ancora arrivata a tutti; e per la nuova norma sui prestiti bancari garantiti dallo Stato che, provenendo da istituti privati, richiedono un’istruttoria minima su solvibilità, bilanci, garanzie, con tempi spesso lunghi. La logica del bonus Iva è l’“elicopter money” di Milton Friedman che, per raggiungere tanta gente, non va troppo per il sottile. Ci si affida al buon senso, al buon cuore e al buon gusto dei cittadini. Poi, a posteriori, si controlla. E, se qualcuno fa il furbo, è colpa sua, non del governo o dell’Inps: a meno che il quoziente intellettivo dei parlamentari che ha in mente Salvini (i suoi) sia così basso da non capire che un deputato con partita Iva che prende 13-14 mila euro al mese il bonus non deve proprio chiederlo, anche se il decreto non glielo vieta. Il bello è che, quando il bonus fu varato, Salvini e tutta la destra al seguito accusavano il governo di bonus troppo bassi e controlli troppo severi.
Come ricorda Emiliano Rubbi su Fb, il 30 marzo Salvini girava per tv e dirette social a strillare: “La Svizzera, compilando un foglio, ti mette a disposizione fino a 500mila euro. Servono aiuti subito! Io mi fido degli italiani!”. Naturalmente la Svizzera non s’è mai sognata di regalare mezzo milione a chicchessia in cambio di un foglio compilato, ma questo era il mantra del Cazzaro e dei suoi trombettieri. Gli stessi che ora incolpano il governo di non aver escluso i politici, come se fossero tutti uguali (ci sono sindaci e consiglieri comunali sottopagati che lavorano per mantenersi, diversamente dai governatori, consiglieri e assessori regionali che viaggiano dai 5-6 ai 13 mila euro netti al mese). “Ovviamente –scrive Rubbi– se per il bonus il governo avesse previsto parametri più stringenti, i tempi si sarebbero allungati per i controlli. E Salvini avrebbe urlato che il governo non si fidava degli italiani, diversamente da lui, e che di quei soldi c’era bisogno subito, non dopo mesi. Io mi chiedo come facciano gli elettori leghisti a sopportare di essere presi per il culo ogni giorno, costantemente, dal loro leader. Forse non capiscono, o forse gli sta proprio bene così, boh”.
Forse il suo calo di consensi, tanto clamoroso quanto tardivo, dipende anche da questo. Se vuole rialzarsi, o almeno provarci, il Cazzaro dovrebbe fare come i 5Stelle: chiedere a tutti i suoi eletti una rinuncia alla privacy da consegnare all’Inps per sapere chi ha ottenuto il bonus; e magari anche le dimissioni in bianco, per mandare a casa gli accattoni. Se non lo farà, provvederemo noi a ottenere le informazioni a cui tutti i cittadini hanno diritto. Anzi, non tutti: solo quelli che non hanno fatto i furbi. Perchè, oltre ai politici nazionali e locali, nelle stesse condizioni ci sono migliaia fra imprenditori, notai, avvocati, professionisti con conti in banca milionari che hanno pensato bene di arraffare pure i 600 e poi i 1000 euro con la scusa del Covid. Anch’essi non hanno violato alcuna norma, a parte quelle dell’etica e della decenza. É grazie a gente come loro (e sono milioni) che in Italia ogni misura di Welfare diventa una potenziale truffa, ogni bonus un malus: evasori fiscali e contributivi, prenditori che mandano i dipendenti in cassa e li fanno lavorare lo stesso, schiavisti del lavoro nero, falsi invalidi, finti disoccupati. Anziché farsi lapidare con ridicole scuse scajoliane (“è stato un disguido”, “è una vendetta di mia moglie da cui mi sto separando”, “è stato il il commercialista che ha chiesto il bonus a mia insaputa”), i cinque onorevoli furbastri potrebbero dire così: “Siamo rappresentanti del popolo e il nostro popolo ruba come noi”. Verrebbero lapidati lo stesso, ma per aver detto la verità.
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