mercoledì 16 settembre 2020

I Gattopardi con Bonaccini per far fuori Zinga (e Conte). - Wanda Marra

 


Se il Pd perde le elezioni il governatore può aprire la crisi nel partito, aiutato da “Repubblica” di Elkann.

Sostituire Giuseppe Conte alla guida del governo. L’obiettivo non è di pochi. Convergenze parallele di intenti, con interessi che si incontrano, anche se magari non si sovrappongono. L’operazione si svolge su più livelli: Stefano Bonaccini punta alla segreteria del Pd. Aprire un congresso per far fuori Nicola Zingaretti cambierebbe la strategia del Pd e l’indebolimento del governo sarebbe la prima conseguenza. Matteo Renzi vuol trovare un modo per rimettersi in gioco, dopo l’operazione fallimentare di Iv: rientrare nel Pd, oppure stabilire un’alleanza forte con il nuovo segretario sarebbe una strada da percorrere di pari passo alla creazione di un fronte moderato, ricongiungendosi con Carlo Calenda e Matteo Richetti di Azione e coagulando una parte di FI. E poi c’è Repubblica, che con la nuova proprietà degli Elkann e la nuova direzione di Maurizio Molinari, guarda più alle lobby che al tradizionale mondo di sinistra moderata.

L’occasione per un rovesciamento del quadro politico, che si porterebbe incorporata la gestione dei 209 miliardi del Recovery Fund, potrebbe arrivare da una sconfitta elettorale domenica e lunedì alle Regionali. Rafforzata, magari, dalla vittoria del No al referendum sul taglio dei parlamentari.

Ad anticipare la problematica è stato il vicesegretario, Andrea Orlando, lo scorso maggio. “Con questo governo mettiamo in circolo denaro come mai accaduto negli anni scorsi. E fa gola. Anche gli editori, diciamo non puri, sono interessati a gestire, o almeno a sfruttare, questo momento straordinario. Qualcuno potrebbe promuovere stravolgimenti nella maggioranza”, diceva Orlando. E si riferiva esplicitamente agli assetti azionari mutati nei grandi gruppi editoriali italiani, ovvero alla famiglia Agnelli/Elkann nella proprietà del gruppo Gedi, cioè dell’ex gruppo Espresso e di Repubblica. In chiusura della Festa dell’Unità di Modena, domenica, Zingaretti ha citato “i Gattopardi” pronti a mettere le mani sul Recovery Fund. Non è sfuggita nel frattempo qualche presa di posizione di Repubblica: nel bel mezzo del negoziato per ottenere i soldi europei, a luglio, il giornale titolava “Italia all’angolo”, in un momento in cui nell’angolo ci stava più l’Olanda. Poi, ha scelto di sposare il No al taglio dei seggi.

Quali sono i “Gattopardi” a cui si riferisce il segretario dem? Nel Pd si tende a identificarli con il fronte confindustriale, guidato da Bonomi. Lo stesso che in passato ha appoggiato il governo Conte e che adesso vorrebbe rovesciarlo. Si indica anche una stagione di licenziamenti che arriveranno, a cominciare dal gruppo Fiat, e che sia Repubblica, sia La Stampa (l’altro quotidiano del gruppo) dovranno avallare. Questa operazione potrebbe sfruttare la voglia di Bonaccini di partire alla conquista del Pd. L’uscita sul possibile ritorno di Renzi e di Bersani (lui la spiega per un Pd oltre il 20%) non è piaciuta a molti. In compenso ha ricevuto il plauso di Andrea Marcucci. In realtà, non ha convinto neanche i bersaniani, che non ci stanno a essere messi sullo stesso piano dei renziani. Tanto è vero che il presidente dell’Emilia-Romagna è apparso molto nervoso in questi giorni. Però, le tracce non sono così semplici e lineari: quello che viene definito l’“immobilismo” di Zingaretti non piace né dentro, né fuori il partito.

La partita è aperta. Per chi ci vede lo zampino di Confindustria, il progetto sarebbe più ampio, per una modifica totale del quadro: puntare da una parte su Bonaccini, dall’altra su Luca Zaia, governatore del Veneto, ben più moderato e convincente per alcuni mondi di Salvini. E Calenda in certi ambienti ci sta di diritto. Il disegno non è perfetto: anche i poteri forti sono ormai tutto tranne che un blocco unico. Resta poi da capire quando e con quali voti queste operazioni potrebbero portare a una nuova maggioranza. Di andare a votare senza legge elettorale non se ne parla. Torna l’idea di Mario Draghi. La maggioranza del Pd guarda a un Conte ter. Ma in politica, i cambi di scenario sono la regola.

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