martedì 31 agosto 2021

Reddito, così parlavano: Lega (e Pd) hanno cambiato idea. - Giacomo Salvini

 

Il vestito era quello delle grandi occasioni, il tono anche. Il 19 gennaio 2019, Matteo Salvini non riusciva a contenere l’entusiasmo per l’approvazione del decreto che introduceva il Reddito di cittadinanza e Quota 100: “Quello di oggi è un passaggio storico. Fra Reddito di cittadinanza, flat tax, Quota 100 e pace fiscale saranno almeno 10 milioni gli italiani che riceveranno un aiuto: Giuseppe e Luigi, io vi dico grazie per i sette mesi entusiasmanti e i prossimi 10 anni lo saranno altrettanto”. Dieci giorni dopo il leader della Lega e ministro dell’Interno ribadiva il concetto senza paura di diventare pomposo: “Sono estremamente felice e orgoglioso”. E sul Reddito cittadinanza voluto dal Movimento 5 Stelle Salvini diceva: “Aiutare 5 milioni di poveri e i 3 milioni di disoccupati è un atto di giustizia sociale”. Dall’altra parte c’era il Pd, all’opposizione del governo gialloverde, che ogni giorno tirava bombe a mano contro il Reddito di cittadinanza, misura chiesta da anni dal Forum sulle Diseguaglianze e dall’Alleanza contro la Povertà: dal segretario reggente Maurizio Martina a Nicola Zingaretti passando per Andrea Orlando e Matteo Renzi, tutti si prodigavano in dichiarazioni, interviste e uscite chiedendo di cambiare, abolire o addirittura abrogare con un referendum il reddito grillino. Due anni, e molta acqua sotto i ponti, più tardi il mondo si è rovesciato: oggi Salvini, sempre al governo ma con Draghi a Palazzo Chigi, sostiene che “il Reddito di cittadinanza disincentiva il sacrificio” e va “cancellato”, mentre il Pd, alleato con il M5S, ha cambiato idea e si esercita nell’arte di difendere l’aiuto ai più poveri, sebbene proponendo qualche piccola modifica. Fatto sta che oggi la modifica del Reddito di cittadinanza sembra essere diventata la priorità della politica italiana. E dunque è utile tornare al 2019 per ricordare come in soli due anni tutto si sia ribaltato.

Lega da svolta storica a legge per i fannulloni.

Il voltafaccia più evidente è quello di chi quella misura la volle, la condivise e la votò nel Consiglio dei ministri del 19 gennaio 2019: cioè la Lega di Matteo Salvini. Una norma contenuta nel cosiddetto “decretone” che conteneva anche Quota 100. Le dichiarazioni di allora del vicepremier Salvini si sprecano: “Una svolta storica” (19.01), “coronamento di anni di battaglie” e “una misura che mette il lavoro al centro” (29.01). Anche i parlamentari e ministri leghisti condividevano la posizione del capo. L’allora sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon si preoccupava addirittura di estenderlo a “invalidi e famiglie numerose” (21.01) mentre il suo omologo all’Economia, Massimo Bitonci, spiegava che “dare soldi alle persone povere va bene, è giusto, perché il povero consuma tutto e questa è una misura di crescita dei consumi” (22.02). Anche la ministra della Pubblica amministrazione Giulia Bongiorno sosteneva in pieno il Reddito: “Condividiamo questa misura – diceva alla vigilia dell’approvazione – l’abbiamo sicuramente migliorata e certamente la voteremo” (18.01). Durante il dibattito in Parlamento il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo addirittura si travestiva da grillino della prima ora: “Se questo meccanismo (il Reddito di cittadinanza, ndr) esiste in molti Paesi europei, evidentemente una ragione ci sarà. Noi consideriamo che sia giusto aiutare i cinque milioni di poveri e tre milioni di disoccupati: per noi è un atto di giustizia sociale”. (27.02). Salvini rispondeva anche a chi, nella Lega, come Giancarlo Giorgetti, si preoccupava per le proteste degli imprenditori del Nord: “È giusto pensare agli imprenditori ma dobbiamo pensare anche a chi non ce la fa. Aiutare gli ultimi, i disoccupati, i dimenticati è un atto di giustizia di cui vado fiero (22.02). E poi, col tono da celerino, rispondeva così ai critici secondo cui il Reddito di cittadinanza avrebbe favorito il lavoro nero: “Faremo l’impossibile per evitare i furbetti, so che qualche fenomeno fa cambi di residenza, divorzia o altro: ‘Amico mio ti arriva la Finanza se pensi di prendermi per scemo’”. (24.01).

Due anni dopo, è tutto cambiato. Oggi nonostante sia stato un aiuto fondamentale in tempi di pandemia, Salvini dice questo del Reddito di cittadinanza: “È un insulto a chi lavora”, “favorisce il lavoro nero”, “disincentiva sacrificio e passione”. E quindi? “Va cancellato” e “deve sparire” a costo di presentare un emendamento a sua firma in legge di Bilancio.

Pd da iniquità a legge giusta.

Il Pd invece ha fatto il percorso inverso. Due anni fa, dall’opposizione al governo gialloverde, faceva le barricate contro la misura grillina, ma dopo pochi mesi ha cambiato idea: da quando i dem sono al governo con il M5S hanno sempre difeso il Reddito di cittadinanza come norma fondamentale per il contrasto alla povertà. Anche allora, com’è solito nella storia del partito, il Pd si divideva tra le sue molteplici correnti. I renziani, per bocca di Roberto Giachetti, iniziarono a far balenare l’ipotesi di raccogliere le firme per un referendum abrogativo (oggi proposto proprio da Matteo Renzi) con Maria Elena Boschi che twittava sulla “vita in vacanza” degli italiani col Reddito, mentre la minoranza diceva “no” al referendum ma opponendosi alla misura. Il segretario reggente Maurizio Martina parlava di “errore” e per lui quei 10 miliardi si potevano “spendere meglio” (20.01) mentre Andrea Orlando, leader della sinistra dem e oggi ministro del Lavoro, andava all’attacco: “La finalità è giusta ma il rischio di assistenzialismo c’è perché non è legato a percorsi di reinserimento al lavoro. Il decreto è sbagliato e rischia di screditare lo strumento stesso” (20.01). Al Fatto Orlando ribadiva: “La finalità è giusta, ma produrrà gli effetti contrari”. E giù dichiarazioni durissime: “Un capolavoro di incoerenza e bugie” (Debora Serracchiani), “una misura iniqua e a volte paradossale” (Edoardo Patriarca), “una corsa a dare i soldi prima delle elezioni, lo avrà anche il piccolo camorrista” (Vincenzo De Luca), “Reddito e Quota 100 sono fuffa e truffa” (Andrea Marcucci). L’allora capogruppo Graziano Delrio nella sua dichiarazione di voto alla Camera parlava di “meccanismo di risorse che esclude i più poveri” (21.03). Anche Nicola Zingaretti, che da lì a pochi giorni sarebbe diventato segretario del Pd, criticava il Reddito: “Sono favorevole a sussidi per la povertà, ma lo cambierei radicalmente e farei investimenti per creare posti di lavoro”. Oggi i dem difendono a spada tratta la norma e propongono piccole ma limitate “modifiche”. L’unico coerente è il segretario Enrico Letta. Nel 2019, in esilio da Parigi, criticò l’opposizione del suo partito e abbracciò la misura del M5S: “È nel Dna del centrosinistra”. Oggi può difenderla senza paura di guardarsi allo specchio.

ILFQ.

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