Visualizzazione post con etichetta teste. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta teste. Mostra tutti i post

mercoledì 2 luglio 2025

Le prime “graffette chirurgiche” della storia.

 

Le prime “graffette chirurgiche” della storia non erano di metallo, ma teste di formiche ancora attaccate alla pelle!

Per quanto possa sembrare sorprendente, oltre 2.000 anni fa, diverse civiltà dell’India, dell’Africa e del Sud America utilizzavano formiche vive come un’ingegnosa alternativa medica per chiudere le ferite.

Guaritori e guerrieri impiegavano specie come le formiche soldato, lasciando che le loro potenti mandibole serrassero i lembi della ferita; una volta che si aggrappavano saldamente alla pelle, veniva strappato il corpo della formica, lasciando la testa incastrata, funzionando come una graffetta naturale.

Questa tecnica, documentata in testi medici antichi come il Sushruta Samhita, veniva usata in contesti d’emergenza, come sul campo di battaglia. Sebbene non fosse priva di rischi — come infezioni o dolore — rappresentava una soluzione efficace e adattata alle condizioni dell’epoca.

Ancora oggi, questa pratica ancestrale continua ad affascinare la medicina e la scienza, come chiaro esempio di come il sapere tradizionale e l’osservazione della natura abbiano dato origine a soluzioni pratiche e ingegnose. 

https://www.facebook.com/photo?fbid=713495134882077&set=a.138608255704104

venerdì 23 maggio 2025

Le teste colossali olmeca. - @ndrea Milanesi

 

La ricerca dell'immortalità attraverso l'arte e la memoria rappresenta un desiderio universale che affonda le sue radici nelle profondità dell'animo umano. Fin dai tempi antichi, civiltà come gli olmeca, gli egizi e i greci hanno cercato di lasciare tracce durature di sé, attraverso monumenti, scritti e opere d’arte, come se la nostra esistenza fosse imperfettamente legata a un bisogno di perpetuare il proprio nome oltre i limiti del tempo. Questa spinta verso l’immortalità rivela un bisogno intrinseco di lasciare un segno e di sfidare l’oblio, una volontà di essere riconosciuti e ricordati nel continuum della storia.
Le testimonianze materiali del passato influenzano profondamente la nostra percezione del presente e del futuro, in quanto costituiscono le fondamenta della nostra identità culturale e collettiva. La memoria storica, rappresentata dai monumenti, dalle opere d’arte e dalle narrazioni tramandate, ci permette di conoscere le radici delle civiltà, di comprendere chi siamo e di proiettare un senso di continuità attraverso i secoli. Attraverso queste tracce, il passato diventa un ponte che ci collega alle generazioni precedenti, arricchendo il nostro presente di significato e di consapevolezza.
Infine, la costruzione di monumenti epici e imponenti riflette un duplice desiderio: quello di esercitare un controllo sul tempo e di vivere oltre la morte. Questi monumenti sono come scheletri di memorie che sfidano l’effimero dell’esistenza, incarnando una volontà di eternità che si manifesta nel desiderio di essere ricordati e venerati anche dopo il nostro scomparire. Essi rappresentano un atto di resistenza contro l’oblio, un tentativo di afferrare un frammento di eternità attraverso la tangible testimonianza della nostra presenza nel mondo.
In questo senso, l’arte e l’architettura diventano strumenti di immortalità, veicoli di un desiderio di trascendenza che accompagna l’umanità fin dai tempi più remoti. La nostra stessa natura ci spinge a cercare un senso oltre il limite temporale, a voler lasciare un’impronta che sfidi il trascorrere delle ere. La memoria collettiva, dunque, non è solo un patrimonio storico, ma un atto filosofico che rivela la nostra incessante aspirazione a superare i confini dell’effimero, a trovare un senso nell’eternità.
@ndrea Milanesi

Le teste colossali olmeca rappresentano uno dei simboli più affascinanti e enigmatici dell'antica civiltà mesoamericana. Questi monumenti di pietra, scolpiti oltre 2.500 anni fa tra il 1400 e il 400 a.C., testimoniano non solo le capacità tecniche degli artigiani olmeca, ma anche le profonde credenze religiose e sociali di una delle prime grandi civiltà delle Americhe. Situate principalmente presso San Lorenzo, La Venta e Tres Zapotes nello stato di Veracruz in Messico, queste teste sono state probabilmente commissionate dai sovrani che desideravano lasciare un'impronta eterna della loro potenza e divinità.
Il fatto che ogni testa sia unica, con caratteristiche somatiche che probabilmente rappresentano specifici sovrani o figure divine, ci invita a riflettere sulla percezione dell'identità e del potere. La più grande, alta 3,4 metri e pesante 40 tonnellate, scolpita da un unico masso di basalto, non è solo un capolavoro di ingegneria, ma anche un simbolo di immortalità e di una cultura che aspirava a trascendere il tempo. Questi manufatti ci ricordano come le società antiche cercassero di comunicare con il divino attraverso l'arte e la scultura, e come il potere si manifestasse attraverso simboli tangibili.
L'origine stessa del loro scopo e il metodo di trasporto di questi enormi blocchi di pietra, spesso per lunghe distanze, continuano a alimentare leggende e teorie, alimentando il mistero che le circonda. La testa di Tres Zapotes, ad esempio, viene spesso considerata tra le prime, e rappresenta un ponte tra il passato e il presente, tra il tangibile e l'ignoto.
Questi monumenti ci invitano a considerare non solo la storia e la tecnica, ma anche il senso più profondo della nostra esistenza: come le civiltà antiche cercano di lasciare un'eredità eterna, come il potere e la spiritualità si intrecciano, e quale ruolo abbia l'arte come veicolo di memoria e di identità collettiva.
Domande filosofiche da riflettere:
La ricerca dell'immortalità attraverso l'arte e la memoria è un desiderio universale dell'umanità?
In che modo le testimonianze materiali del passato influenzano la nostra percezione del presente e del futuro?
La costruzione di monumenti epici riflette un bisogno di controllo sul tempo o una volontà di vivere oltre la morte?
Questi interrogativi ci spingono a interrogare il senso profondo del nostro essere e del nostro lasciar traccia nel mondo.

mercoledì 24 ottobre 2018

Le gigantesche Teste di un popolo venuto forse dalle Stelle.



Lungo la costa del Golfo del Messico all’inizio del secondo millennio a.C., vide la luce la civiltà più antica e misteriosa perduta di tutti i tempi: gli Olmechi. Questo popolo, raggiunse il massimo splendore intorno al 1500/1200 a C.

A loro si devono le prime forme di scrittura glifica, il sistema di numerazione fatto di punti e linee, le prime iscrizioni relative al calendario di Lungo Conto, con la misteriosa data d’inizio nel 3113 a.C.
I primi esempi di grande scultura artistica e monumentale; il primo utilizzo della giada; le prime raffigurazioni di armi o utensili; i primi centri cerimoniali; i primi orientamenti celesti… tutto questo fu opera degli Olmechi.
Con tutti questi primati, non sorprende che qualcuno abbia paragonato la civiltà olmeca a quella dei Sumeri che vanta primati simili in Mesopotamia. Tra l’altro, entrambe le civiltà apparirono improvvisamente nella storia. Nei loro testi, i Sumeri parlavano della loro civiltà come di un dono ricevuto dagli dèi, i visitatori della Terra che potevano vagare per i cieli e che perciò venivano spesso rappresentati come esseri alati.
Ma chi era questo popolo? Stranieri in una terra straniera, provenienti dall’altra parte del mare, addirittura da un altro continente? Forse sì. Essi lasciarono dietro di sé monumenti in pietra che ancora oggi lasciano senza parole e che ritraggono proprio loro stessi.
Davvero uniche sotto tutti gli aspetti, sono delle enormi teste in pietra scolpite con incredibile maestria e con strumenti che non conosciamo, raffiguranti i vari capi olmechi. Il primo a vedere una di queste teste, fu J. M. Melgar y Serrano nel 1869, che così le descrisse: “un’opera d’arte… una scultura stupenda che rappresenta stranamente un etiope”.
Nel 1925, gli studiosi occidentali confermarono la scoperta di altre teste enormi, una delle quali era alta 2,5 metri per m. 6,5 di circonferenza e pesava circa 24 tonnellate. Non vi è dubbio che raffiguri un negroide africano con un elmetto in testa.
Ad oggi sono circa 16 le teste ritrovate: vanno da una altezza di un metro e mezzo a tre metri, e pesano fino a 25 tonnellate. Ognuna raffigura un individuo diverso e anche gli elmetti sono tutti diversi. L’esame al radiocarbonio le ha datate al 1200 a.C. circa, ma non si esclude che possano essere più antiche, in quanto l’esame prende in considerazione lo strato organico presente sul sito del ritrovamento.
Tutte le pietre basaltiche usate per le teste, vennero portate dal luogo di origine fino al luogo dove poi sarebbero state scolpite, e talvolta la destinazione definitiva si trovava anche ad un centinaio di chilometri di distanza dal luogo di origine, e per giunta la distanza da percorrere era costituita da giungla ed acquitrini. Come sia stato, quindi, possibile trasportare i giganteschi massi e infine scolpire e levigare queste enormi statue, resta ancora oggi un vero mistero.

Fonte: conoscenzealconfine del 24/10/2018