Matteo Renzi ieri ha depositato il suo esposto alla Procura di Genova contro i pm che lo indagano a Firenze: Giuseppe Creazzo, Luca Turco e Antonino Nastasi. La sua tesi è che abbiano violato le guarentigie del Parlamento depositando nell’inchiesta Open le sue chat. Erano state trovate nei cellulari sequestrati non a Renzi ma ad altri soggetti che avevano interlocuzioni su Whatsapp con il senatore. I pm di Firenze le hanno depositate perché non le considerano conversazioni o corrispondenza (quindi tutelata dall’articolo 68 della Costituzione), bensì documenti sequestrati a terzi utilizzabili esattamente come la lettera di Tiziano Renzi trovata nel pc del padre durante una perquisizione (e non si sa se mai inviata al figlio senatore) depositata nel processo del padre per bancarotta.
Se le chat non sono conversazioni o corrispondenza, come dicono i pm, non serve la richiesta di utilizzazione. Ergo Matteo Renzi sta denunciando i pm per una violazione inesistente. Se lo sono però dovrebbe essere un giudice a stabilirlo. Non Renzi, il Senato, la Procura di Genova o l’opinione pubblica. Questo è il punto.
Il leader di Italia Viva invece, prima di sollevare la questione di fronte al giudice competente, è andato in tv (Porta a Porta, Tg2 Post) e persino a Radio Leopolda per sostenere la sua tesi aggiungendoci sopra il carico di attacchi ad personam per i tre pm su altre questioni. Renzi non è il primo ex premier che preferisce difendersi dal processo piuttosto che nel suo processo. Però c’è un dato che nessuno ha sottolineato: a indebolire le sue tesi ardite sono i comportamenti ben diversi di due parlamentari indagati con lui che, trovandosi nella medesima condizione, hanno scelto una strada diversa. Maria Elena Boschi e Luca Lotti non hanno sollevato la questione dell’articolo 68 della Costituzione obbligando la Giunta della Camera a un braccio di ferro analogo a quello aperto in Senato con la magistratura. Lotti e Boschi avrebbero potuto firmare anche loro un esposto a Genova come quello di Renzi contro i pm. Non lo hanno fatto. Probabilmente i due parlamentari faranno valere i loro diritti nella sede propria, cioé a Firenze davanti al giudice competente. In caso di uso delle chat contro di loro, probabilmente chiederanno al giudice di stabilire se le loro prerogative sono violate. Punto. Niente interviste, niente denunce, niente attacchi personali.
La guerra di Renzi parte un anno e mezzo fa. Il 21 settembre 2020 i suoi difensori intimano al pm Turco “di astenersi dallo svolgimento di qualsivoglia attività investigativa preclusa ai sensi dell’articolo 68 della Costituzione”. Il 4 ottobre Turco risponde picche e allora il 7 ottobre 2020 Renzi scrive alla Presidente del Senato Casellati che il 14 ottobre scrive a Turco per fargli sapere che la questione “su richiesta del Senatore Renzi è stata deferita alla Giunta”. Renzi scrive ancora a Turco il 24 novembre 2020 e poi il 27 novembre allegando la missiva alla solita Casellati e anche al procuratore generale della Cassazione e al vicepresidente del CSM, competenti per le azioni disciplinari contro i pm. La Giunta delle immunità ha ora votato a favore di Renzi e la questione del conflitto di attribuzione dovrà essere votata in aula al Senato. Lotti e Boschi non hanno chiesto nulla di simile ai colleghi della Camera.