sabato 22 maggio 2010

Rai,Busi rinuncia a condurre Tg1 Minzolini: "Nessuna epurazione"



Con una lettera nella bacheca della redazione la giornalista spiega i motivi: "Non mi riconosco più nella testata". Il Cdr: "La redazione è chiamata a una riflessione". Rainews24, sciopero il 31 maggio

ROMA - Maria Luisa Busi rinuncia alla conduzione del Tg1. Lo scrive lei stessa in una lettera 1 affissa stamattina nella bacheca della redazione. Tre cartelle e mezzo per spiegare che non si riconosce più nella testata, e per dire che come un giornalista ha come unico strumento per decidere di difendere le sue prerogative professionali, ovvero togliere la propria firma, un conduttore può solo togliere la sua faccia. Così ha deciso di fare lei, abbandonando la conduzione del Tg1 delle 20. La decisione arriva dopo una serie di scontri con il direttore Augusto Minzolini.

Minzolini: "Nessuna epurazione". Dal canto suo, Minzolini minimizza: "In realtà, nell'ambito della rinnovamento del telegiornale, nei giorni scorsi avevo ragionato con la direzione dell'ufficio del personale sulla mia intenzione di spostare la Busi al Tg delle 13. Del rinnovamento, infatti, oltre alla sigla, allo studio e al nuovo sito, deve far parte anche la scelta di un nuovo volto". Seccata la risposta del direttore del Tg1 alla domanda se sia in atto una 'epurazione' nel Tg della rete ammiraglia: "Ma quale epurazione, ma quale epurator, non sopporto questa storia. Sotto la mia direzione sono stati assunti diciotto precari, ho mantenuto tutti i capiredattori, ma di che parliamo?". A chi gli fa notare cheBusi si 'dimette' perché non condivide la linea della testata, Minzolini replica: "Se ha questa convinzione, è giusto che abbia preso questa decisione. Se non si riconosce, ha fatto bene. Ma sono motivazioni che non condivido".

Il Cdr: "Decisione Busi è spia di disagio". Per la rappresentanza sindacale del Tg1, la decisione di Maria Luisa Busi è una spia di disagio che riguarda una parte della redazione. "Il Comitato di redazione del Tg1 - si legge in una nota - ha ricevuto da Maria Luisa Busi una lettera da lei inviata al direttore Augusto Minzolini e ai vertici aziendali in cui chiede di essere sollevata dalla mansione di conduttrice del Tg delle 20". E ancora: "La lettera chiama la redazione a una riflessione. Quello di Maria Luisa Busi è un gesto mai fatto prima da nessun altro conduttore nella testata che testimonia il suo disagio e quello che attraversa una parte della redazione sull'indirizzo che Augusto Minzolini ha fatto prendere al Tg1. Come la collega Busi siamo preoccupati per la rinuncia del Tg1 alla leadership nella qualità e nella credibilità: anche ieri la clamorosa notizia sulla prima cellula artificiale che ha aperto i siti mondiali, uscita nelle agenzie alle 14 con embargo fino alle 20, nonostante fosse stata segnalata dal servizio competente, è stata ignorata nell'edizione delle 20".

Idv: "Solidarietà fuori dai partiti". "Tutta la nostra solidarietà a Maria Luisa Busi, grande professionista ed ennesima vittima di un abuso di potere esercitato dai soliti noti mercenari che rispondono agli ordini di Palazzo Grazioli". Il presidente dell'Idv, Antonio Di Pietro, in una nota esprime il suo appoggio alla giornalista. "L'Italia dei Valori si batterà con tutte le forze nelle sedi competenti affinché si affronti il caso e chiede a tutti i partiti che hanno occupato un servizio di proprietà dei cittadini di risolvere questa gravissima situazione. La politica faccia un passo indietro, alleati compresi, e lasci la gestione ai valorosi professionisti presenti in azienda... Bisogna mettere in campo, oltre a una riforma della Rai lontana dagli appetiti dei partiti, delle proposte immediate: si parta subito con il ritiro dei propri membri dal Cda e si assegnino quei posti a professionisti dell'azienda che abbiano dimostrato la loro professionalità senza svendersi a questo o a quel partito".

Rizzo Nervo: "Necessario un intervento urgente". "Adesso basta. Il presidente e il direttore generale devono intervenire con urgenza sulla situazione che si è creata al Tg1. Dopo la rimozione ingiustificata dai loro incarichi di Tiziana Ferrario, Massimo De Strobel, Piero Damosso e Paolo Di Gianannatonio, la notizia che Maria Luisa Busi ha chiesto di essere sollevata dalla conduzione del Tg1 delle 20 è la dimostrazione che la misura è ormai colma - afferma il consigliere di amministrazione Rai Nino Rizzo Nervo - Un editore responsabile deve difendere e valorizzare il patrimonio di professionalità dell'azienda e non deve petmettere che quel patrimonio, costruito negli anni, venga devastato. Il Tg1 è la principale testata televisiva italiana, appartiene al pubblico e non al suo direttore pro tempore".

Usigrai: "Un nobile grido". Il patto sul quale si fondava il Tg1 è stato infranto. "Minzolini ha rotto il patto sul quale si fondava un grande giornale come il Tg1, ha spaccato la redazione, e quello della Busi è uno dei tanti esempi, ma è soprattutto un nobile grido che serve ad attrarre ancora una volta l'attenzione degli italiani sulla rete ammiraglia del loro servizio pubblico". Sono parole dure quelle che il segretario dell'Usigrai, Carlo Verna, usa per esprimere il suo parere sulla vicenda. "Maria Luisa Busi - rileva Verna- rinuncia a un suo ruolo rilevante per affermare un diritto che è di tutti, quello di non riconoscersi nel Tg1 di Augusto Minzolini. Prima di lei hanno rinunciato al ruolo di spettatori tantissimi italiani. Dopo di lei non vorremmo che altri rinunciassero. Il Tg1 che Maria Luisa descrive nella sua appassionata lettera non è solo un ricordo perché quei protagonisti non ci sono più, era il telegiornale che 'dava voce a tutte le voci'. Ma in Rai c'è un vertice aziendale?".

Scelta coraggiosa. Paolo Gentiloni, presidente del forum ICT del Partito Democratico invita l'azienda a interrogarsi sulla gravità della situazione: "La scelta di Maria Luisa Busi di opporsi alla vera e propria mutazione che sta subendo il Tg1 è una scelta coraggiosa e di grande valore professionale - dice Gentiloni -. L'azienda deve interrogarsi sulla gravità dello snaturamento in atto nella sua principale testata giornalistica: quella che era la voce istituzionale dell'informazione Rai, sta diventando una testata militante e di parte".

Rispetto e preoccupazione. Una decisione da rispettare, ma anche un segnale preoccupante lanciato ai vertici dell'azienda. Il presidente della Rai, Paolo Garimberti, commenta la scelta della Busi, riferendo di aver sollevato anche ieri "per l'ennesima volta" in consiglio di amministrazione "la questione della qualità dell'informazione Rai". "L'informazione della Rai - sottolinea Garimberti in una nota - mi sta a cuore, prima ancora che da presidente, da cittadino e da giornalista. Prova ne è, e anche Rizzo Nervo ne è testimone diretto, il mio intervento di ieri in Cda dove ho per l'ennesima volta sollevato la questione della qualità dell'informazione Rai, segnatamente nei telegiornali". E ha aggiunto, dicendosi dispiaciuto del fatto che il Tg1 perda uno dei suoi volti storici, che "la decisione di Maria Luisa Busi di lasciare la conduzione del Tg1 delle 20 è un ulteriore e preoccupante segnale di una situazione che richiede massima attenzione da parte dei vertici dell'azienda, un'attenzione che sollecito da tempo nella sede deputata, cioè il Consiglio di amministrazione, nel pieno rispetto delle responsabilità che fanno capo al direttore generale".

Fnsi: "Gesto che indica un malessere diffuso". A fianco di Maria Luisa Busi si schiera la Federazione della stampa che esprime "massima solidarietà" alla giornalista. "La sua rinuncia alla conduzione del Tg1 è la spia del grande disagio di una professionista seria e credibile che, nella sua funzione, ha concorso fino ad ora a rendere affidabile un telegiornale che, da qualche tempo va cambiando connotati", affermano in una nota congiunta il segretario generale e il presidente della Federazione nazionale della stampa italiana, Franco Siddi e Roberto Natale. "Il suo non dev'essere considerato un gesto solitario - si legge ancora nella nota-, ma l'espressione di un disagio di tanti che vedono la loro professionalità mortificata. Il contributo creativo sui temi che, nella dialettica naturale di una redazione, giorno dopo giorno, portano alla creazione di un giornale deve essere considerato sempre una ricchezza non un problema". I vertici aggiungono che "nelle parole della Busi c'è amarezza e rigore; c'è la ferma rivendicazione dell'identità professionale, della sua qualificazione, dell'adesione a un giornalismo che sta dentro i fatti che contano per la vita di tutta la comunità, testimone prima che protagonista".

Capezzone: "Dalla Busi surreale predica". "Esprimo la mia solidarietà al direttore Minzolini e alla stragrande maggioranza dei redattori del Tg1, che oggi devono subire una surreale predica da Maria Luisa Busi". Daniele Capezzone, portavoce del Pdl, si schiera al fianco del direttore del Tg1. "Né la Busi né altri sono proprietari del Tg1 - aggiunge -. E il divismo di chi si ritiene intoccabile (o addirittura detentore di una moralità civile superiore) è qualcosa di inaccettabile per i milioni di italiani che pagano il canone, e che hanno subito per anni un'informazione faziosa a favore della sinistra (senza che le Busi se ne dolesse). Il Tg1 è oggi premiato dagli ascolti. A qualcuno, forse, dispiace?".

Gesto coerente, ma ragioni non condivisibili. Quello di Maria Luisa Busi è stato un gesto di "grande coerenza" rispetto a quanto ha sempre affermato sul Tg1, ma le ragioni che l'hanno spinta ad abbandonare la conduzione del Tg delle 20 "non sono condivisibili". Il consigliere di amministrazione della Rai, Antonio Verro auspica che la scelta della giornalista della Rai non sia stata condizionata dalle parole che lui pronunciò in un'intervista di qualche tempo fa. "Prendo atto - premette in una nota il rappresentante della maggioranza nel Cda di Viale Mazzini - della decisione di Maria Luisa Busi di voler rinunciare alla conduzione del Tg1 e spero che l'intervista da me rilasciata qualche tempo fa su alcune sue dichiarazioni non abbia in alcun modo condizionato tale scelta. Le spiegazioni e le motivazioni addotte dalla giornalista non sono comunque condivisibili e mi auguro vivamente che non siano strumentali a qualche altro ragionamento di tipo politico".

Rainews24 conferma lo sciopero. La redazione di Rainews24 conferma lo sciopero del 31 maggio. Lo ha comunicato il Cdr dopo un incontro infruttuoso durante il quale Viale Mazzini ha dato risposte "insufficienti" sull'oscuramente di fatto del canale 2 di informazione 24 ore su 24. "Intanto - aggiunge la rappresentanza sindacale - il disservizio prosegue in molte parti d'Italia e all'estero, sia sul digitale terrestre che sul satellite. Migliaia di persone continuano a segnalarcelo attraverso il nostro sito 3 internet".


Santoro: 'E' il momento di fare da soli' - Marco Travaglio



22 maggio 2010

I nemici, gli amici, i conti in tasca e la tv: il conduttore a tutto campo

“Scusa, Marco, ma tu pensi davvero che, se la Rai mi offriva di dirigere una rete o un tg, o se soltanto mi chiedeva di continuare Annozero senza più guerre, io me ne sarei andato a fare un salto nel buio?”.

Michele, è un’ipotetica del terzo tipo: alla Rai comanda Berlusconi.

Certo, ma il Pd ha tre consiglieri, tra cui il presidente. A me sarebbe bastato che un pezzo del Cda facesse una battaglia per noi. Invece, appena ricevuta la proposta di
Masi sulla transazione per farmi uscire dall’azienda, anche i consiglieri del Pd si sono affrettati a votarla. La prova che non considerano Annozero una risorsa strategica per la Rai.

Secondo te perché?

Prima del 2002,a ogni tornata di nomine Rai, si faceva il mio nome per dirigere tg e reti. Nel ’94 la presidente
Letizia Moratti (Forza Italia) mi voleva direttore del Tg3. Dall’editto bulgaro in poi, il mio nome è scomparso anche dalle rose di nomi, anche del centrosinistra. La verità è che l’editto bulgaro vige tutt’oggi, per giunta condiviso dal centrosinistra. La pregiudiziale contro di noi è unanime, anche molto in alto...

Quanto in alto?

Lasciamo perdere, per carità di patria.

La gente ti chiede perché non sei rimasto a difendere la trincea di Annozero: pensavi che comunque, a settembre, il programma non sarebbe ripartito?

Naufragata – grazie alle intercettazioni di Trani – la maxi-multa dell’authority che doveva fornire il pretesto per chiuderci, a settembre saremmo entrati in una diversa sfera di scontro: nuove trappole e altri ostacoli per impedirci di ripetere questa stagione straordinaria. Avremmo passato il tempo a schivare le pallottole, anziché studiare nuovi linguaggi per raccontare al meglio la realtà italiana. Innovare è impossibile in un’azienda che ti fa la guerra. Io per esempio non ne posso più di questo contraddittorio spacciato per pluralismo: il pluralismo è una regola democratica che dà voce a tutte le opinioni, il contraddittorio è un
formatspettacolare. Non sta scritto da nessuna parte che tutte le opinioni debbano esprimersi nello stesso posto contemporaneamente, magari l’una sull’altra, magari per coprire o per calunniare te mentre stai raccontando un fatto. Ma come si fa? Nella gabbia di questa Rai non avremmo potuto cambiare una virgola: ogni novità diventa un pretesto per bloccarci.

E quindi?

O garantiscono di smetterla, oppure è ora di raccogliere il messaggio di
Raiperunanotte: ce ne andiamo fuori dalla Rai a sperimentare forme narrative nuove e più efficaci. A farla fuori dal vaso, liberandoci dal cappio dei partiti, ora che al Paladozza abbiamo sperimentato con successo nuovi canali di trasmissione. Perché il conflitto di interessi non è solo di Berlusconi, ma di tutti i partiti che occupano la Rai, le Authority e tutto il resto.

Davvero non c’erano speranze per Annozero quinta edizione?

Chi non vive in redazione non sa quante armi sfoderano per bloccarti: niente
cachetper questo o quell’ospite, niente docufiction, no a questa o quella troupe, e poi le diffide dell’ufficio legale, i contratti dei collaboratori, le convocazioni dei ministri, la commissione di Vigilanza, le multe, i divieti di parlare di processi e inchieste, oltreché naturalmente di Berlusconi...Devi chiedere autorizzazioni su tutto e per tutto, anche per usare al meglio il tuo budget. Non a caso i prodotti più forti della Rai sono ormai fatti in outsourcing, vedi Che tempo che fa: molto meglio che sia laEndemol a invitare questo o quell’ospite...Poi c’è la strategia giudiziaria: cause civili abnormi come quella da 40 milioni di euro degli Angelucci e, alle spalle, un’azienda che invece di sostenerti ti fa causa a sua volta. Stare lì a parare i colpi significherebbe dare gioco facile ai censori e alla censura. Non potevamo continuare a pagare noi il biglietto per andare in onda.

Ma Annozero sotto assedio non è comunque meglio che nienteAnnozero?

Non è detto. Oggi l’intero sistema politico è in crisi, ma
Annozero da solo non può ribaltare il sottostante sistema dell’informazione. Rischierebbe di diventare un rito consolatorio, con una gigantesca platea che si ritrova il giovedì a celebrare il giorno del marinaio: stasera si parla male di tizio o di caio. Io speravo, tornando nel 2006, di contribuire a cambiare il sistema verso la libertà: lo dissi subito, invocando il ritorno di Biagi, di Luttazzi e della Guzzanti. Invece Annozero non si è propagato nel resto del sistema, che anzi espelle altre voci meno “eversive” della tua, di quelle di Sabina, di Daniele: ora tocca a Morgan, a Busi...Che faccio, li chiamo tutti io nell’accampamento recintato? Arroccarsi sulla difensiva è sbagliato. A volte siamo riusciti a intaccare l’Agenda Unica, ma solo quando qualche grande giornale ci veniva dietro e trattava i nostri temi, o viceversa. Per il resto siamo rimasti soli nella gabbia.

Te la sei presa con Curzio Maltese che ha parlato di resa, ma non ha ragione lui quando osserva che oggettivamente Berlusconi e Masi hanno coronato il sogno di chiudere Annozero?

Diversamente da
Aldo Grasso, che è prevenuto e prevedibile, al parere di Curzio tengo molto. Gli chiedo di aspettare qualche mese prima di giudicarmi: io non alzo bandiera bianca e non vado in pensione, non oserei più guardarmi allo specchio. L’avventura che voglio intraprendere è rischiosa, ma appassionante. Spero che possa essere valutata già tra qualche mese. So bene che il pubblico, quando viene privato di un programma libero, uno dei pochi, reagisce male. È una reazione che non puoi cancellare, a meno di stare lì a lottare fino all’ultimo sangue, in attesa che ti neutralizzino. Ma, ora che posso, voglio fare quello che avete fatto voi con il Fatto Quotidiano: è il momento di liberarsi dei grandi gruppi editoriali e di fare da soli, cercando soluzioni più agili per far arrivare le notizie alla gente tramite altri canali. Se poi non ci riesco, vorrà dire che avrà vinto Berlusconi. Anzi i partiti. Ma non posso restare a queste condizioni in una Rai che – lo dice il suo presidente – potrebbe morire. Sarei complice dell’omicidio e l’alibi per l’assassino.

Che cosa vuoi fare da grande, oltre alle docufiction per la Rai?

È il capitolo più importante della mia nuova ricerca.
Raiperunanotte insegna che, se il contenuto è forte, i contenitori si trovano, e con ascolti da grande tv generalista. Senza che nessuno ti possa bloccare o condizionare. La sfida è trasferire l’esperienza di quella serata unica nelle forme più efficaci, per fare di Raiperunanotte qualcosa di non episodico, di stabile.

Sogni ancora di fare un telegiornale?

Odio questa parola. L’obiettivo più scomodo per il potere, da raggiungere anche per gradi, è comunque qualcosa di nuovo che incida sul flusso quotidiano delle notizie. Ora che torno libero, mi guarderò intorno...

Parliamo di soldi. Da uomo di comunicazione, riconoscerai che certe cifre impressionano molto.

L’importante è che siano esatte e non inventate. Io non sono san Francesco né voglio apparire tale: sono un professionista che si occupa di questioni sociali e non vuole rinunciarvi per il ricattuccio volgare dei compensi. Se volevo far soldi, sarei rimasto a Mediaset, dove prendevo il doppio che alla Rai. Se volevo vendermi a Berlusconi, mi ero già venduto, come insinuava qualcuno. Ma è possibile che, per i cantori del libero mercato di casa Berlusconi o del
Corriere della Sera, le regole della concorrenza valgano per tutti tranne che per me o per Grillo? Prima o poi farò un museo open air della mia vita, farò entrare la gente in casa mia, appenderò i miei stipendi e le mie dichiarazioni dei redditi, così si vedrà che non sono un nababbo: vivo bene, sono un privilegiato rispetto a milioni di persone in difficoltà, ma non rispetto ai miei colleghi. Sono disposti i miei colleghi a fare altrettanto?

Insisto sui soldi: che sono quei 10, quei 17 milioni di cui leggiamo?

Io guadagno 700 mila euro lordi, 370 mila netti, all’anno: stesso stipendio del 1999. L’azienda incentiva i dipendenti a uscire, me compreso, con uno scivolo di tre annualità. E siamo a due milioni, fine. Così me ne vado da un’azienda che dovrebbe pagarmi, anche se non facessi più
Annozero, fino al 2016.

Vespa lamenta di essersene andato con soli 150 mila euro di liquidazione nel 2001.

Sì, ma poi gli hanno fatto un contratto di collaborazione di circa due milioni all’anno per molti anni in esclusiva. Io non avrò nulla del genere.

E i milioni per le docufiction?

Creerò una società per realizzare e fornire alla Rai “chiavi in mano” quattordici serate in due anni con prodotti prevalentemente cinematografici. Ovviamente è previsto un largo uso di attori. Costo medio: meno di quello che spende RaiDue per le sue prime serate. Quei soldi non sono mica per me, ma per tutta la squadra e soprattutto per il prodotto. Se poi prendo i soldi e scappo, mi arresteranno. Capirei se qualcuno dicesse: facciamole dentro l’azienda, queste serate. Ma è quel che dico da quattro anni e non trovo nessuno con cui parlarne.

Hai evocato Bersani e lui ti ha paragonato a Balotelli.

Ringrazio per la battuta, ma io attendo di sapere se il Pd vuole
Annozero oppure no.

È vero che hai incontrato Bersani prima di decidere?

No, e perché mai? Io ai partiti non ho mai chiesto niente per il mio lavoro. Ma ho buone ragioni per sapere che Bersani era bene informato di quel che succedeva.

Van Straten e Rizzo Nervo dicono di aver approvato la transazione per farti un favore.

Nemmeno a loro ho chiesto niente, se non che dicessero la verità su cosa vogliono che la Rai faccia di me. Li ho informati della situazione due mesi fa, avevano tutto il tempo per farsi un’idea. Così come il presidente
Garimberti: è impensabile che non conoscesse i termini della mia transazione con Masi. Se non erano d’accordo, potevano fare qualche obiezione.

Ricapitoliamo: tu prima hai parlato con Masi?

Certo, è il direttore generale. Gli ho chiesto che cosa voleva la Rai da me: mi date un canale satellitare, avete una proposta da farmi per il futuro? Risposta: proponga lei. Ho fatto una serie di proposte per il mio futuro da dipendente della Rai. Risultato: mi hanno trascinato in Cassazione per far annullare la sentenza d’appello che mi reintegrava in onda in base al mio contratto con la Rai. Ho chiesto a
Masi: come si esce da una vertenza che potrebbe durare altri tre anni? Mi ha risposto che la soluzione era che uscissi dall’azienda con una transazione. Una condizione senza alternative. Allora ne ho parlato col presidente Garimberti e gli ho esposto il “paradosso Santoro”: la Rai tratta come un clandestino, come un criminale, l’autore di un programma di punta che porta ascolti, pubblicità e guadagni all’azienda. Possibile che io sia un ingombro sopportato, anzi imposto dai giudici? Lui mi ha assicurato di non sapere nulla del ricorso della Rai in Cassazione. A te pare possibile? Gli ho detto ciò che avevo appena detto agli altri due consiglieri Pd: che intendevo riprendere il mio percorso creativo per la televisione che ho in mente, attendevo proposte dagli amministratori e le avrei considerate. Nessuna suggestione nemmeno da loro.

Ma non avevi chiesto l’unanimità del Cda sulla tua transazione?

Avevo chiesto che la Rai prendesse una decisione condivisa. Sono i consiglieri che dovevano analizzare l’accordo: se non li convinceva, non l’avrei firmato neanch’io. Se pensavano che dovessi andare avanti, anche rifacendo Annozero e basta, ne avrei tenuto conto. Invece hanno firmato tutti e ora dicono che l’hanno fatto per me: è la bugia del secolo. Hanno preferito accreditare la tesi che ero stanco e volevo arrendermi.

Ci sono spazi per rivedere tutto?

Gli amministratori sono loro, io sono un conduttore televisivo. Se hanno detto sì, vuol dire che erano tutti d’accordo con la linea di Masi per la mia uscita dall’azienda concordata con me. Ora si assumano la loro parte di responsabilità. Dicano che questa è l’unica soluzione possibile, per la destra e per la sinistra, oppure dicano che hanno cambiato idea. Se il Cda approva la delibera, io ne deduco che sono tutti d’accordo che io me ne vada. Se non lo fossero stati, io non me ne sarei andato. Ci hanno ripensato? Hanno deciso, finalmente, di costruire un progetto editoriale intorno a me e alla mia squadra? Se me lo dice qualcuno, io resto, anche per rifare
Annozero. Ma se pensano che è meglio liberarsi di noi, allora voglio far rivivere lo spirito di Annozero fuori dal sistema dei partiti. È tutto molto chiaro, tutte le carte sono in tavola, troppo facile scaricare ogni cosa su di me. Del resto, Marco, ragioniamo: ma da quando in qua gli amministratori di questa Rai fanno quel che gli dice Michele Santoro?



(Michele Santoro visto da Emanuele Fucecchi)

LEGGI:
Van Straten: 'Gli abbiamo detto di restare' di Carlo Tecce

Da
il Fatto Quotidiano del 22 maggio

http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2490209&title=2490209



Una legge che ferisce la Costituzione - CARLO FEDERICO GROSSO


La commissione Giustizia del Senato ha approvato a maggioranza gli emendamenti del governo al disegno di legge sulle intercettazioni. Sono previste limitazioni inaccettabili ai poteri dell’autorità giudiziaria, una cappa plumbea di silenzio nei confronti delle indagini penali in corso.

Inoltre, sanzioni severe per i giornalisti che contravvengono al nuovo regime e, soprattutto, per gli editori che consentono le pubblicazioni illegittime. Una disciplina che lascia stupefatti e che, se dovesse diventare davvero legge dello Stato, cambierebbe il volto delle indagini penali e di parte dell’informazione nel Paese.

Nonostante le critiche, le osservazioni e le proteste di una porzione consistente dell’opinione pubblica, l'azione non si è fermata. Non sono serviti i problemi economici urgenti, gli scandali della «cricca», il crollo di credibilità della classe politica, la necessità di affrontare finalmente il nodo della corruzione. In altre parole, le vere urgenze. La priorità, per il governo, era, ed è rimasta, tagliare le unghie alla magistratura che indaga e togliere voce e penna ai giornalisti che informano. Ne prendiamo atto con sconcerto, cercando di fare un bilancio di ciò che il Parlamento sta predisponendo.

In materia di indagini è risaputo che le intercettazioni costituiscono mezzo insostituibile di accertamento di molti gravi reati. Circoscrivere i casi nei quali esse possono essere disposte e stabilire che esse non possono durare più di un periodo prestabilito fisso di settantacinque giorni, e poi automaticamente cessare anche se stanno emergendo elementi utili ad individuare i responsabili, significa rinunciare ad uno strumento fondamentale nella lotta al crimine. Uno strano regalo alla criminalità, da parte di chi di tale lotta, dell’ordine pubblico e della difesa dei cittadini fa, almeno a parole, la sua bandiera. Un regalo, addirittura, alla criminalità organizzata, se è vero, che, come hanno spiegato gli esperti della materia, le restrizioni peseranno anche nelle indagini contro mafia, ’ndrangheta e camorra.

In materia d’informazione dovremo abituarci a non conoscere più nulla sulle indagini disposte dall’autorità giudiziaria. Se un ministro si fa pagare una casa a sua insaputa, non lo sapremo, perché i giornalisti non potranno più pubblicarlo. Come non sapremo più se un parlamentare, un presidente o un sindaco hanno peculato, rubato, si sono fatti corrompere o comprare e sono per questo indagati. A ciò conduce, inesorabilmente, l’avere previsto che non sarà più consentito pubblicare nulla, neppure «il contenuto» non più coperto da segreto, delle investigazioni giudiziarie in corso.

Le sanzioni previste per i contravventori sono, d’altronde, molto elevate. Chi dall’interno degli uffici rivela il contenuto di atti coperti da segreto investigativo sarà punito con la reclusione fino a sei anni, e in tale pena incapperà pure il giornalista che pubblicherà la notizia. Chi pubblica atti di un’indagine penale non più coperti da segreto, ma di cui è comunque vietata la pubblicazione, rischierà l'arresto fino a 30 giorni o il pagamento di un’ammenda da 1000 a 5000 euro, che sarà raddoppiata nel caso si tratti di un’intercettazione. Per l’editore del giornale che pubblicherà la notizia vietata è prevista una sanzione pecuniaria che potrà arrivare a 464.000 euro.

A quanto si è appreso, il varo definitivo in commissione del disegno di legge è stato sospeso fino a lunedì prossimo. In materia di sanzioni la novità più devastante è la pesantissima sanzione pecuniaria prevista per gli editori, che rischierà di alterare la relazione d’indipendenza che ha caratterizzato, fino ad oggi, il rapporto fra proprietà e direzione dei giornali. Pensate a che cosa accadrà quando, se si verificherà un’infrazione prevista dalla nuova legge, l’editore saprà di rischiare ben 464.000 euro. Credete davvero che, di fronte al pericolo di fallire e di chiudere l’azienda, si farà scrupolo d’imbavagliare, lui stesso, i direttori e i giornalisti? A quest’ulteriore scempio, a quanto pare, nessuno, nel palazzo, pensa di rimediare. La libertà di stampa è l’ultima delle preoccupazioni.

L’importante è creare un clima d’intimidazione complessiva in grado di bloccare ad ogni costo le notizie.

Si obietterà, a mali estremi, estremi rimedi. Gli abusi della stampa, con la pubblicazione di notizie coperte dalla privacy, con quella, indiscriminata, d’intercettazioni che non c’entrano con le indagini, con la demolizione mediatica di colpevoli ed innocenti, esigeva una reazione adeguata. L’obiezione è del tutto inconferente: a parare gli abusi sarebbe più che sufficiente la rigorosa applicazione della legge vigente sulla privacy, l’originaria previsione del divieto di rendere pubblici gli atti irrilevanti per le indagini e la predisposizione di un archivio riservato nel quale depositare provvisoriamente tali atti in attesa di una loro distruzione.

La realtà è che, con un colpo solo, governo e maggioranza (con l’avallo, magari, anche di qualche oppositore) vogliono indebolire la magistratura, rendere meno incisive le indagini, evitare che politici e potenti finiscano in prima pagina in ragione delle loro malefatte. Un’indebita limitazione del controllo di legalità e del diritto d’informare che, se dovesse passare, cambierebbe inevitabilmente la costituzione materiale. Speriamo che, nel frattempo, qualcuno che ha potere si accorga che è, anche, violazione della Costituzione formale.




La disobbedienza civile del 'Fatto' - Bruno Tinti



21 maggio 2010

Sulla nuova legge in materia di intercettazioni si è detto tutto. I limiti di tempo: come si fa a sapere quando un telefono comincerà a “parlare”? Si sa solo che, presto o tardi, qualcosa di utile dirà. Ma ora, dopo 75 giorni si dovrà smettere. Chi usa quel telefono sta progettando un omicidio; non si sa dove né a danno di chi né quando. Ma i 75 giorni scadono e si deve staccare la spina. E qualcuno, non si sa chi, non si sa dove, sarà ammazzato. Il divieto di usare il contenuto di un’intercettazione per chiedere altra intercettazione: e se solo questo hanno in mano gli investigatori? La persona intercettata parla con qualcuno di un omicidio: non si sa dove né a danno di chi né quando. Si potrebbe intercettare il nuovo telefono: ma non si può, l’unico elemento è la telefonata e la legge non consente di utilizzarla per una nuova intercettazione E qualcuno, non si sa chi, non si sa dove, sarà ammazzato.

Il divieto di intercettare il telefono della persona offesa in caso di reato commesso da ignoti; a meno che sia la stessa persona offesa a richiederlo. Così tutte le vittime di estorsioni, che abitualmente hanno paura di far intervenire la Giustizia e preferiscono pagare, continueranno a pagare in silenzio. L’ipocrisia di binari preferenziali per i delitti di mafia e terrorismo, per i quali si può intercettare senza limiti di tempo e, in caso di reato commesso da ignoti, senza consenso della persona offesa: vera e propria mistificazione per far credere ai cittadini che, nei casi di maggiore gravità, la “sicurezza” prevarrà sulla “privacy”.

Ipocrisia vergognosa, perché nessun delitto ha un’etichetta che dica “mafia”. Un omicidio, un incendio, possono avere mille moventi; solo con le intercettazioni si scoprirà se, a monte, vi era la mafia oppure passione, interesse. Così, per l’incendio del negozio, della macchina, della casa ci sarà sempre bisogno della richiesta della parte offesa per intercettare. E questa sarà sempre meno probabile quanto più gli autori dell’incendio siano mafiosi. Il divieto di microspie, salvo che non vi siano prove che lì, in quel momento, si stanno commettendo reati. Che è ridicolo solo a dirlo, visto che, a quel punto, le microspie non si fa più in tempo a piazzarle.

E poi: quanti progetti criminosi, quanti discorsi su delitti già commessi si fanno in macchina, in cella, al bar? Ma nessuno ne saprà mai nulla. Si è detto tutto; e anche io ho detto tutto, tante volte. Ho fatto il magistrato per tutta la vita, so che cosa succederà con questa legge. Ma oggi voglio dire una cosa diversa; posso dirla perché non faccio più il magistrato. Il blocco delle intercettazioni impedirà le indagini, soprattutto quelle nei confronti di una classe dirigente che ha toccato il fondo dell’abiezione etica e criminale. Ma il blocco dell’informazione, che è il secondo (o il primo a pari merito) obiettivo della legge, distruggerà l’assetto democratico del nostro Paese.

I cittadini non sapranno più nulla, i delinquenti che hanno infiltrato la politica a ogni livello si presenteranno con le mentite spoglie di brave e oneste persone. La classe dirigente perpetuerà se stessa senza controlli e senza resistenze. La parte sana di essa si ridurrà progressivamente. E l’Italia diventerà un paese senza legge e senza etica, sempre più povera e indifesa. Fino al disastro finale, fino alla bancarotta istituzionale ed economica. Non possiamo permetterlo. Non so quali e quante informazioni riuscirò a conoscere; non so in che misura farle conoscere ai cittadini potrà rallentare il degrado del nostro paese. Ma io non rispetterò questa legge; e sono certo che molti altri non la rispetteranno. Vedremo se davvero è arrivato il tempo della dittatura.

LEGGI

Anselmi: insorgiamo, è una legge liberticida di Silvia Truzzi

Bice Biagi su Articolo 21: "Peggio che la Spagna franchista"

Busi contro Minzolini: il Tg1 perde la faccia di Luigi Franco



(Clicca sull'immagine per ascoltare la storica intercettazione Berlusconi-Saccà - Youtube)

Da
il Fatto Quotidiano del 21 maggio

http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2489905&title=2489905



venerdì 21 maggio 2010

I paradossi del bigottismo - Cinzia Sciuto


Quando i paraocchi del bigottismo impediscono di guardare in faccia la realtà si rischia di produrre effetti grotteschi e paradossali, che negano persino le (cattive) intenzione dei bigotti. L’ottusa e miope volontà di relegare ai margini del mondo dei diritti le coppie di fatto, e quelle omosessuali in particolare, per garantire – così dicono i fanatici del Family day – la massima tutela alla famiglia «tradizionale», qualunque cosa questa espressione voglia significare, si ritorce contro se stessa, tagliando talvolta fuori dal cerchio dei diritti proprio quest’ultima.

Bando del comune di Roma per gli asili nido della capitale. Si entra per punteggio, che è assegnato principalmente in base alla condizione familiare (numero di figli a carico, portatori di handicap in famiglia, genitori entrambi lavoratori e via discorrendo), e solo in seconda battuta, a parità di punteggio, entra in gioco la condizione economica. Tra le situazioni che fanno ottenere un maggior punteggio c’è, giustamente, quella della famiglia monoparentale, ossia un bambino con un genitore solo. Ed ecco che scatta il paradosso: un bambino figlio di una coppia di lesbiche, nato grazie all’inseminazione artificiale (ovviamente all’estero), ottiene i 50 punti della famiglia monoparentale, visto che formalmente è figlio soltanto della donna che lo ha partorito. La compagna – pienamente presente in famiglia – non viene considerata affatto e il bambino risulta figlio di una donna sola, con tutti i «vantaggi» che ne derivano. A tutto danno delle tanto osannate famiglie tradizionali che, con un solo figlio ed entrambi i genitori lavoratori, ottengono solo 40 punti, rimanendo perlopiù fuori dalle graduatorie.

Certo, magra consolazione per queste famiglie (perché tali sono) costrette ogni giorno ad acrobazie burocratiche per poter garantire ai propri figli una vita normale. A partire dalla completa assenza di tutele per l’altro genitore, che non può accudire il figlio in ospedale in caso di ricovero, non può viaggiare da solo con lui e non può neanche accompagnarlo all’asilo senza una precisa delega. Assenze di tutele che, in fin de conti, si ripercuotono soprattutto sui bambini che si ritrovano orfani di un genitore di fronte allo Stato, nonostante abbiano in casa una normalissima e serenissima famiglia.

Nelle pieghe delle leggi e dei regolamenti il buon senso si prende una piccola rivincita, creando però, come abbiamo visto, effetti paradossali. Binetti & c. si mettano l’anima in pace: persino per tutelare davvero la famiglia tradizionale bisognerà riconoscere a tutti gli stessi diritti.

(21 maggio 2010)


La “teocrazia debole” di Ratzinger, una minaccia per la democrazia. Flores d’Arcais replica a Navarro-Valls


di Paolo Flores d'Arcais, da Repubblica

Joaquìn Navarro-Valls ha pubblicamente
confessato il programma di "teocrazia debole" che la Chiesa gerarchica di Karol Wojtyla prima, e quella di Joseph Ratzinger oggi, stanno tenacemente perseguendo. Con esiti fin qui fallimentari nel mondo, ma di peculiare successo nella "eccezione" Italia. Non meraviglia perciò che l' articolo dell' ex portavoce di Giovanni Paolo II, ancora oggi autorevolissimo nell' esprimere umori e "desiderata" della Chiesa vaticana, prenda le mosse proprio dall' apologia del "caso italiano", osannato perché «è veramente considerevole il ruolo assunto dalla religione» nel dibattito (e soprattutto nella realtà del potere, ma su questo Navarro-Valls sorvola), per cui «l' enorme complessità e originalità di questo Paese» (cioè le macerie morali e materiali a cui l' ha ridotto il berlusconismo) «costituisce una ricchezza stimolante che altrove manca del tutto».

All' ex portavoce di Wojtyla l' Italia appare dunque il luogo provvidenziale in cui sperimentare l' obiettivo che il cattolicesimo gerarchico ha scelto come stella polare: «Una democrazia deve riconoscere il valore di verità, naturale e generale, della religiosità umana, considerandolo un diritto comune, indispensabile cioè per il bene di tutti». Papale papale. Con questa logica, però, l'ateo, lo scettico, il miscredente, insomma il cittadino che non si riconosca in alcuna "religiosità umana", verrebbe irrimediabilmente colpito da ostracismo, e declassato a cittadino di serie B. Il suo ateismo, infatti, non solo non troverebbe posto in questo discriminatorio "diritto comune", ma verrebbe implicitamente tacciato di essere contrario al "bene di tutti".

Tanto perché non ci siano equivoci, infatti, Navarro-Valls aggiunge che «non è possibile, in effetti, escludere il valore politico e solidale della religione senza estromettere, al contempo, anche la giustizia dalle leggi dello Stato». E perché mai? Veramente Thomas Jefferson, eminente padre della democrazia americana - paese sempre citato come eden di libertà fondata su una religiosità onnipervasiva - , garantiva l' opposto: «Il manto della protezione costituzionale copre il giudeo e il gentile, il cristiano e il maomettano, l' indù e il miscredente di ogni genere» proprio perché la Costituzione «ha eretto un muro di separazione tra Chiesa e Stato». Wojtyla e Ratzinger hanno invece sistematicamente gettato l' anatema su ogni versione di «libera Chiesa in libero Stato». Una legge che prescinda dalla religione avrebbe niente meno che «estromesso la giustizia», riassume con precisione Navarro-Valls, renderebbe illegittima la democrazia trasformandola in un vaso di iniquità.

È esattamente quanto sostenne Papa Wojtyla di fronte al primo parlamento polacco democraticamente eletto, se la maggioranza parlamentare avesse promulgato una legge sull' aborto difforme dal diktat della morale vaticana. In perfetta sintonia papale la conclusione di Navarro-Valls: «La consapevolezza democratica di base» deve riconoscere che «la religione è un valore umano fondamentale e inevitabile, il quale deve essere valorizzato e garantito legalmente nella sua rilevanza pubblica» (sottolineatura mia). Con l' aggiunta finale di un criptico ma inquietante «a prescindere dal resto».

E invece no, dal "resto" non si può affatto prescindere. Perché il "resto" è che la democrazia si fonda sull'
autos nomos di tutti i cittadini, singolarmente e collettivamente presi. Nella democrazia sono i cittadini che «si danno da sé la legge». E nessun altro prima o sopra di loro. Se i cittadini non potessero decidere la legge liberamente, ma obbedire a una legge già data (dall' Alto, dall' Altro), non sarebbero sovrani, «per la contraddizion che nol consente», secondo un padre Dante molto tomistico e che quindi dovrebbe andar bene anche a Navarro-Valls.

Che la giustizia secondo il dettame della religione diventi tassativa e vincolante per la democrazia significa espropriare il cittadino della sovranità e riconsegnarla a Dio. Tecnicamente si chiama alienazione: alienare i famosi diritti inalienabili. Alienazione che coincide con l' annientamento stesso della democrazia. Insomma e senza perifrasi: la sovranità di Dio è incompatibile con la sovranità dell' uomo, in cui consiste la democrazia. Dovrebbe essere una ovvietà, da oltre un paio di secoli. Ma nell' italica «ricchezza stimolante che altrove manca del tutto» tutto è invece permesso. E sia.

Quale Dio, però? Il Dio cristiano dei valdesi - compassionevole - riconosce ai suoi figli il diritto all' eutanasia, quello di Ratzinger - gelido - lo nega, quello di Küng (cristiano cattolico come Ratzinger) di nuovo lo consente, il Dio dei "Testimoni di Geova" proibisce ogni trasfusione di sangue anche a costo della vita, il Dio di altri (sempre lo stesso, perché l' Uno) esige invece mutilazioni sessuali per le bambine. E si potrebbe continuare. Quale di queste incompatibili verità dovrà assumere lo Stato nella sua legge, per ottemperare alla pretesa di Navarro-Valls di «concepire la religione come un valore assoluto»?

Senza dimenticare che a pretendere che sia fatta la volontà di Dio, anziché quella democratica dei cittadini, c'è poi sempre in agguato un "Gott mit uns" che battezzerà di giustizia religiosa ogni terrena efferatezza. Naturalmente, in una democrazia liberale i cittadini non possono stabilire per legge "qualsiasi cosa", neppure con maggioranze plebiscitarie. Ma il limite all' esercizio della loro autonomia è la loro autonomia stessa, non un' eteronoma volontà di Dio (magari agghindata da "legge naturale"). Che è poi la volontà di chi pretende di conoscere la volontà di Dio e parlare in suo nome (in psichiatria si chiama delirio di onnipotenza).

Non si possono, a maggioranza, violare i diritti individuali sulla vita, la libertà, eccetera, di ciascuno, perché del ciascuno si distruggerebbe o amputerebbe la sovranità, dunque l' autonomia. Dio e la religione, come si vede, non c' entrano un bel nulla. L' anti-relativismo della democrazia sta tutto e solo nel comune riconoscimento - interiorizzato come ethos repubblicano - delle inalienabili libertà di ciascuno (fino a che non violano identica libertà altrui: dalla vignetta blasfema all' eutanasia, esattamente come non si proibisce la superstizione della Sindone o la sofferenza terminale volontaria). "Religiosità" civile, se si vuole. Che la "teocrazia debole" di Ratzinger e Navarro-Valls pretende invece di sovvertire.

(12 maggio 2010)


http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-teocrazia-debole-di-ratzinger-una-minaccia-per-la-democrazia-flores-darcais-replica-a-navarro-valls/