Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
domenica 18 novembre 2012
Peseranno sulle nostre coscienze.
The bodies of four Palestinian sibling children of the al-Dalo family, who were killed in an Israeli air strike, lie on a hospital morgue in Gaza City November 18, 2012. Ten Palestinian civilians were killed on Sunday in an Israeli air strike on a house in Gaza, Palestinian medics said, the highest civilian death toll in a single incident during five days of fighting. REUTERS/Mohammed Salem.
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10151082160997101&set=a.399920977100.184844.257182797100&type=1&theater
POLITICA > MAZARA DEL VALLO, L`AUTO BLU DEL SINDACO IN SOSTA NELL`AREA RISERVATA AI PORTATORI DI HANDICAP.
(18 Novembre) Durante l’ultima seduta di consiglio comunale svoltasi nei giorni scorsi a Mazara, si è registrato un momento di diverbio altisonante tra il consigliere comunale Gianluca Messina e Il primo cittadino Nicola Cristaldi, presente in aula per l’approvazione del bilancio. Andiamo ai fatti: Nel chiedere la parola per intervenire su un punto dell’ ordine del giorno, il Messina invitava il Cristaldi a spostare l’auto blu di cui ne fa uso (ovviamente nel rispetto della legge e dei diritti consentiti al ruolo di primo cittadino) che in quel momento era parcheggiata adiacente al palazzo di città ma erroneamente, sulle strisce gialle, area riservata ai portatori di handicap. A quel punto è scattato il diverbio e lo scontro verbale conclusosi con pacatezza dopo l’intervento del vice presidente del consiglio Frazzetta che ha invitato alla calma i due interlocutori. Amarezza per chi ha poi visto l’infrazione dell’auto blu che sostava nel posto sbagliato. Ci si chiede, i vigili urbani avranno preso la multa o chiamato il carro attrezzi? Un semplice cittadino sarebbe stato già infrazionato.
(Fonte articolo: Piero Campisi - Foto: Facebook)
Il delitto di usura - Emidio Orsini.
("Gli Usurai" di Quentin Metsys)
Viviamo in bancocrazia, il naturale sviluppo capitalistico della democrazia affidata alle banche che hanno persino il potere di nominare i loro premier. Il blog ospita l'intervento di Emidio Orsini, segretario del "Il delitto di Usura" un foro informatico, senza scopo di lucro, costituito esclusivamente da vittime di usura ed estorsione bancaria e criminale, nonché da sostenitori anche anonimi.
Intervento di Emidio Orsini, Segretario nazionale del movimento "Il delitto di Usura"
"Saluti a tutti, sono Emidio Orsini, segretario nazionale di un movimento apartitico, che è “Il delitto di usura”. Quando parliamo di usura bancaria qualcuno mi chiede: “Ma come fanno le banche a applicare i tassi usurari?”. Perché le banche sull’assunto che delle circolari della Banca d’ Italia li hanno indotte in errore, non hanno mai conteggiato nel costo del denaro le commissioni di massimo scoperto, quindi applicando gli interessi sono sempre qualche centesimo di percentuale sotto al tasso soglia, quello applicato trimestralmente sulla gazzetta ufficiale. Poi lo hanno superato, naturalmente, aggiungendo le commissioni e le spese non dovute che superano di gran lunga i tassi soglia, che diventano tasso da usurario.
Vorrei parlare dei tanti privilegi delle banche, perché oltre a applicare l’usura, le banche detengono privilegi immensi. Tra questi ne voglio indicare due: la possibilità, solo per esse, di segnalare il modo discrezionale, unilaterale alla Centrale Rischi il cattivo pagatore o il presunto debitore. Il più delle volte questo presunto debitore alla fine di lunghi e costosi procedimenti civili, magari si dimostra che non è debitore di ciò che crede la banca o, addirittura, è creditore della banca, però gli viene sbarrata la porta di accesso a qualsiasi credito legale, viene emarginato dalla società e considerato come un appestato in quanto segnalato come cattivo pagatore nella centrale rischi della Banca d’ Italia e delle CRIF.
L’altro grande privilegio che hanno le banche è la possibilità, ai sensi dell’articolo 50 del Testo unico bancario, con una dichiarazione estesa da un proprio funzionario (non da un soggetto terzo) che attesta che il credito richiesto è certo, liquido e esigibile. Il giudice a occhi chiusi concede i decreti ingiuntivi provvisoriamente esecutivi, poi nelle more dei lunghi e costosi procedimenti civili le banche espropriano la vittima, l’utente, di ogni proprietà, con aste giudiziarie. Dopo vent’anni arriva la sentenza che asserisce che quel credito non era vero o esigibile.
Sono anni che stiamo facendo una battaglia per ristabilire quanto meno la pari dignità, altrimenti è un confronto impari quando un utente vessato dalle banche deve confrontarsi con soggetti che hanno tempi illimitati e soldi a non finire, che si definiscono imprenditori, ma non possono essere definiti tali, perché di imprenditori non hanno nulla! L’imprenditore rischia, fallisce, le banche non rischiano nulla, prendono i soldi all’1% e li rivendono allo Stato al 5 % o 6% quando va bene! Ai privati a oltre il 10%! Non falliscono mai! L’esempio del Monte dei Paschi di Siena, la più antica banca del mondo. Se fosse stata veramente una azienda privata sarebbe fallita da tanti anni, invece è lì e resiste con i soldi degli utenti, dei cittadini italiani, e il suo ex Presidente oggi è Presidente dell’ABI, Mussari,
Sarebbe opportuno ridurre le contrapposizioni e le ostilità tra i consumatori e le banche, i fallimenti, i contenziosi, decongestionare gli uffici giudiziari. Porto l’esempio della Spagna: l’Associazione bancaria spagnola due giorni fa ha deciso di venire in contro ai proprietari di case in difficoltà con le rate del mutuo, e i partiti spagnoli stanno per varare una legge ad hoc. In pratica l’associazione bancaria spagnola ha congelato ogni azione esecutiva, loro li chiamano gli sfratti immobiliari, per due anni, per tutti i soggetti che non possono più pagare le rate puntualmente. Questa sarebbe una bella boccata d’ossigeno per gli italiani, ridotti alla fame. È una battaglia che noi come “Il delitto di usura” conduciamo da anni, in tutte le sedi istituzionali, politiche e partitiche e di governo, ma non siamo ascoltati. Io spero che veramente accada qualche cosa su questi rapporti, perché non è più possibile tenere un popolo schiavo di istituti di credito, allora sarebbe meglio nazionalizzarli! "
Vorrei parlare dei tanti privilegi delle banche, perché oltre a applicare l’usura, le banche detengono privilegi immensi. Tra questi ne voglio indicare due: la possibilità, solo per esse, di segnalare il modo discrezionale, unilaterale alla Centrale Rischi il cattivo pagatore o il presunto debitore. Il più delle volte questo presunto debitore alla fine di lunghi e costosi procedimenti civili, magari si dimostra che non è debitore di ciò che crede la banca o, addirittura, è creditore della banca, però gli viene sbarrata la porta di accesso a qualsiasi credito legale, viene emarginato dalla società e considerato come un appestato in quanto segnalato come cattivo pagatore nella centrale rischi della Banca d’ Italia e delle CRIF.
L’altro grande privilegio che hanno le banche è la possibilità, ai sensi dell’articolo 50 del Testo unico bancario, con una dichiarazione estesa da un proprio funzionario (non da un soggetto terzo) che attesta che il credito richiesto è certo, liquido e esigibile. Il giudice a occhi chiusi concede i decreti ingiuntivi provvisoriamente esecutivi, poi nelle more dei lunghi e costosi procedimenti civili le banche espropriano la vittima, l’utente, di ogni proprietà, con aste giudiziarie. Dopo vent’anni arriva la sentenza che asserisce che quel credito non era vero o esigibile.
Sono anni che stiamo facendo una battaglia per ristabilire quanto meno la pari dignità, altrimenti è un confronto impari quando un utente vessato dalle banche deve confrontarsi con soggetti che hanno tempi illimitati e soldi a non finire, che si definiscono imprenditori, ma non possono essere definiti tali, perché di imprenditori non hanno nulla! L’imprenditore rischia, fallisce, le banche non rischiano nulla, prendono i soldi all’1% e li rivendono allo Stato al 5 % o 6% quando va bene! Ai privati a oltre il 10%! Non falliscono mai! L’esempio del Monte dei Paschi di Siena, la più antica banca del mondo. Se fosse stata veramente una azienda privata sarebbe fallita da tanti anni, invece è lì e resiste con i soldi degli utenti, dei cittadini italiani, e il suo ex Presidente oggi è Presidente dell’ABI, Mussari,
Sarebbe opportuno ridurre le contrapposizioni e le ostilità tra i consumatori e le banche, i fallimenti, i contenziosi, decongestionare gli uffici giudiziari. Porto l’esempio della Spagna: l’Associazione bancaria spagnola due giorni fa ha deciso di venire in contro ai proprietari di case in difficoltà con le rate del mutuo, e i partiti spagnoli stanno per varare una legge ad hoc. In pratica l’associazione bancaria spagnola ha congelato ogni azione esecutiva, loro li chiamano gli sfratti immobiliari, per due anni, per tutti i soggetti che non possono più pagare le rate puntualmente. Questa sarebbe una bella boccata d’ossigeno per gli italiani, ridotti alla fame. È una battaglia che noi come “Il delitto di usura” conduciamo da anni, in tutte le sedi istituzionali, politiche e partitiche e di governo, ma non siamo ascoltati. Io spero che veramente accada qualche cosa su questi rapporti, perché non è più possibile tenere un popolo schiavo di istituti di credito, allora sarebbe meglio nazionalizzarli! "
Sicilia: la spending rewiev di Crocetta, via i 21 capiredattori dell’ufficio stampa. - Giuseppe Pipitone
Ventuno capiredattori, con uno stipendio da quattro mila euro al mese a testa e nessun redattore semplice da coordinare. Sembra la redazione dei sogni e invece è “soltanto” l’ufficio stampa della presidenza regionale siciliana. Un ufficio che, numeri alla mano, dovrebbe produrre la migliore comunicazione del mondo. Ma a Rosario Crocetta, neo eletto governatore della Sicilia con il Pd e l’Udc, quell’ufficio stampa fatto di soli capiredattori non va proprio a genio. E per questo ha intenzione di azzerarlo. “Quei 21 giornalisti sono decaduti dal giorno in cui mi sono insediato e se sono ancora al loro posto lo sono in modo volontario e li ringrazio, per carità gli verranno retribuite queste giornate lavorative”, ha sentenziato il neo presidente, mettendo in apprensione tutti i componenti dell’ufficio stampa più ricco d’Italia.
Assunti ai tempi in cui sullo scranno più alto di palazzo d’Orleans sedeva Salvatore Cuffaro, l’ex governatore condannato per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra, i ventuno capiredattori erano passati indenni all’arrivo di Raffaele Lombardo, che li aveva confermati in toto. Adesso però Crocetta intende iniziare la sua spending review proprio dall’ufficio stampa presidenziale. “Costano 3,2 milioni di euro all’anno, con questi soldi la Regione può pagare 200 precari. Nemmeno alla Rai o a Repubblica ci sono 21 capiredattori” ha calcolato il neo governatore che poi ha puntato il dito contro Gregorio Arena, l’addetto stampa della presidenza di stanza a Bruxelles.
“Da eurodeputato sono stato nella sede della Regione a Bruxelles una dozzina di volte e lui non c’era, dicono che era in ferie. L’ho trovato a lavoro soltanto una volta. Quell’ufficio stampa non serve a nulla e costa dodici mila euro al mese”. Le dichiarazioni dell’ex sindaco di Gela hanno ovviamente provocato una serie di reazioni dagli organi di categoria. A cominciare proprio dal cdr dell’ufficio stampa presidenziale, che ha sottolineato come “qualsiasi decisione non possa essere assunta se non attraverso il rispetto delle norme previste dal contratto di lavoro dei giornalisti, a noi applicato, e dallo Statuto dei lavoratori”. “Se i giornalisti vorranno fare vertenza, lo facciano pure – ha replicato il neo governatore – . Non hanno un rapporto a tempo indeterminato perché non hanno fatto un concorso pubblico, il loro rapporto è fiduciario. Presentino i curricula e li verificherò assieme agli altri che riceverò”.
Crocetta però prima di azzerare l’ufficio stampa dovrà fare i conti con i contratti giornalistici a tempo indeterminato che blindano di fatto la posizione dei giornalisti. E anche la posizione dell’addetto stampa a Bruxelles è blindata per almeno tre anni. In caso contrario la Regione dovrebbe pagare un anno di stipendio a tutti i giornalisti sollevati dall’incarico dal neo governatore. “Abbiamo difeso dagli attacchi arroganti, mossi dai predecessori di Crocetta, i giornalisti che scrivevano su di loro – ha scritto l’ordine dei giornalisti in una nota – e difendiamo ora i giornalisti dagli attacchi arroganti di chi vuol cambiare tutto per non cambiare niente”.
In passato anche la Corte dei Conti si era interessata alla vicenda, aprendo un’indagine che calcolava in circa cinque milioni e trecento mila euro il danno erariale provocato dall’istituzione dell’ufficio stampa. Alla fine però i magistrati contabili avevano assolto sia Lombardo che Cuffaro.
Nel frattempo va prendendo forma la nuova giunta regionale. Lunedì dovrebbe essere il giorno in cui Crocetta nominerà il nuovo assessore all’energia. Un ruolo che sarà occupato da Nicolò Marino, per anni magistrato antimafia a Catania e oggi sostituto procuratore a Caltanissetta dove ha indagato sulla strage di via d’Amelio. Il nome di Marino circola da giorni, ma solo nelle ultime ore il magistrato ha annunciato che sarà a Palermo lunedì per partecipare ad una conferenza stampa con Crocetta a Palazzo d’Orleans. “Il resto lo desumete da voi” ha glissato il magistrato catanese. Come dire che sta per appendere la toga al chiodo.
Intervista: SAPELLI: DALL'ECUADOR "UN'UTOPIA" CHE INCANTA L' ITALIA. - Claudio Perlini
Intervista a Giulio Sapelli
L’Ecuador, il più piccolo tra i paesi del Sudamerica, propone un nuovo modo di gestione del debito pubblico. Lo fa attraverso le parole del suo Presidente, l’economista Rafael Correa, intervenuto all'Università Bicocca di Milano nel corso degli incontri previsti con i rettori degli atenei lombardi. A lui è infatti stata assegnata una lectio magistralis dal titolo "L'esempio dell'Ecuador di fronte alla crisi del debito in Europa". La ricetta del Paese Sudamericano è tanto semplice quanto complessa: “Rifiutando di pagare quanto richiesto dai nostri debitori - ha detto Correa - abbiamo risparmiato e investito l’equivalente di due anni di nuove infrastrutture nel Paese”. Secondo il presidente ecuadoriano, questo metodo è applicabile in qualunque Paese, anche in quelli europei: “Bisogna avere coraggio per prendere decisioni politiche anche se questo può influire sul rating, sul rischio-Paese. Un’economia sociale e solidale con il mercato porta benessere al Paese”. Insieme al professor Giulio Sapelli, docente di Storia economica all’Università di Milano, commentiamo questa proposta.
Professore, cosa ne pensa?
Quello fatto da Correa è in sostanza lo stesso annuncio che aveva fatto anche l’Argentina alcuni anni fa attraverso la politica economica, certamente avventurosa, di Nestor Kirchner. Numerosi esperti della scienza economica ufficiale avevano preconizzato che, a seguito di questo, l’Argentina si sarebbe ritrovata isolata dal resto del mondo; eppure, come sappiamo, questo non si è mai verificato.
Quindi la posizione di Correa non la stupisce?
Non molto. Semplicemente Correa, ritrovatosi schiacciato dal debito estero, adesso si rifiuta di pagarlo, a fronte di una politica del Fondo monetario internazionale che in certi casi si è rivelata catastrofica. Abbiamo cominciato a capire quanto hanno sofferto i Paesi dell’America del Sud a causa del Washington Consensus (insieme di specifiche direttive di politica economica elaborate nel 1989 dall'economista John Williamson da destinare ai paesi in via di sviluppo che si trovassero in crisi economica, ndr) e per la politica del Fmi solamente quando le stesse regole sono state applicate in Grecia e in Portogallo.
Quanto si rischia però con una politica del genere?
Ovviamente molto, ma evidentemente tra la politica del Fmi e quella del rischio anche il popolo ecuadoriano preferisce di gran lunga la seconda ipotesi, ed è assolutamente comprensibile. Alcune conseguenze negative probabilmente ci saranno, l’Ecuador potrebbe essere espulso dal Wto oppure subire alcune forme di embargo, ma se Correa ha assunto tale posizione significa che può permetterselo, magari contando sul solido rapporto con il Brasile che vanta una politica economica molto autonoma.
È davvero applicabile una politica del genere anche in Europa, per esempio in Italia?
Credo proprio di no. L’Italia, come ben sappiamo, si ritrova con una “camicia di forza” chiamata euro, quindi una soluzione come quella dell’Ecuador non è assolutamente applicabile. Forse lo è in via assolutamente teorica, ma non possiamo non guardare alla realtà: nel contesto dell’Eurozona un’ipotesi del genere non è pensabile.
Come giudica comunque un atteggiamento di questo tipo nei confronti del debito estero?
Conosco molto bene il Sudamerica e devo dire che il neoliberismo del Washington Consensus ha distrutto gran parte dell’economia latinoamericana, così come l’avevano già indebolita anche le politiche protezioniste. Adesso, invece, fortunatamente si è capito che ad andare molto bene è un’economia mista come quella brasiliana. Anche se difficilmente applicabili altrove, esempi come questi risultano in tutti i casi molto interessanti.
In Islanda invece i cittadini hanno chiesto in un referendum che la Costituzione venga riscritta per impedire il ripetersi della crisi finanziaria del 2008. Vogliono una quota maggiore dei proventi da energia geotermica e pesca. Cosa ne pensa?
Personalmente sono favorevole a iniziative di questo tipo e credo che gli islandesi abbiano fatto bene a richiedere il referendum, ma anche in questo caso parliamo di un Paese molto piccolo, con pochi abitanti, un'immensa fonte di energia e una grande educazione civica. Hanno poi avuto la fortuna di non essere stati integrati nell’euro, quindi non hanno il nostro stesso vincolo.
Entrambi i casi sono quindi interessanti, ma solo sulla carta.
Esatto. Stiamo parlando di Paesi capaci di rialzarsi dopo essersi avvicinati pericolosamente al baratro, di cui possiamo certamente imitare una spiccata creatività con la quale far nascere idee di questo tipo che a noi evidentemente manca. La lezione da imparare è questa, certamente non di politica economica.
Claudio Perlini
Fonte: www.ilsussidiario.netLink: http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2012/11/16/DEBITO-Sapelli-dall-Ecuador-un-utopia-che-incanta-l-Italia/338527/
16.11.2012
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=11098
Nino Galloni: “La deindustrializzazione italiana voluta da Francia e Germania”. - Pier Paolo Flammini
Nino Galloni
I contrasti con Ciampi e Andreatta. La prevista esplosione del debito pubblico. La riduzione degli investimenti. La svendita degli anni ’90. Maastricht e la moneta unica. Lo spiraglio di Draghi e la sovranità da riconquistare. L’opinione dell’economista allievo di Federico Caffè.
Verità che non vengono dette. L’Italia è confinata tra i Piigs (maiali) d’Europa e il pessimismo dilagante, assieme alla corruzione e alla recessione economica, sembrano non lasciare spazio ad inversioni di tendenza.
Nino Galloni, economista, allievo del grande Federico Caffè, funzionario al Ministero del Bilancio, del Tesoro e delle Partecipazioni Statali negli anni ’80, ha vissuto gli ultimi tre decenni in modo spesso ostile rispetto ad alcune scelte che hanno indirizzato l’economia e la società italiana. La sua ricostruzione delle vicende di allora e di oggi e le soluzioni previste crediamo servano da riflessione e da base critica ai tanti politici ed editorialisti che, spesso, ignorano di quel che parlano e scrivono.
A partire dagli anni Novanta, il debito pubblico è diventato il paradigma sul quale basare la solidità di uno Stato, almeno in Europa. La vulgata popolare ritiene che il debito pubblico negli anni ’80 sia dovuto agli sprechi. Lei – e molti altri – sostengono che il raddoppio del debito pubblico negli anni ’80 sia dovuto invece al divorzio tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro.
“È vero che la giustificazione di questa scelta dell’allora Ministro del Tesoro Andreatta e del Presidente della Banca d’Italia Ciampi risiedeva nel tentativo di ridurre gli sprechi della classe politica di allora. All’epoca ero un giovane funzionario del Ministero del Bilancio e dissi naturalmente che quella scelta avrebbe portato all’esplosione del debito pubblico e alla crescita della disoccupazione giovanile anche oltre il 50%. Si perse la possibilità di emettere titoli di Stato a tassi prestabiliti, perché da quel momento i tassi li ha determinati il mercato, il che equivale a dire un ristretto gruppo di banche in via di privatizzazione che si ponevano in una condizione di ricatto verso il pubblico. Come ho dimostrato nei miei libri, passammo da tassi di interessi reali negativi (ovvero quelli nominali erano inferiori al tasso di inflazione) a tassi reali, tra il 1982 e il 1983, del 6-7%. Questo comportò delle conseguenze disastrose sul debito pubblico: non avvenne alcuna riduzione della spesa pubblica, ma ovviamente un peggioramento. Non potendo tagliare stipendi e spesa corrente, il pagamento degli interessi avvenne riducendo gli investimenti in ricerca, infrastrutture. Ecco che l’Italia iniziò ad accumulare ritardo rispetto agli altri paesi”.
Ha senso rapportare un dato flusso come il Prodotto Interno Lordo con un dato “stock” come il Debito Pubblico? Eppure tutte le politiche economiche e fiscali degli ultimi 20 anni si basano su questo “chimerico” rapporto.
“Il debito è uno stock, il Pil un flusso: alla prima lezione di economia si impara a non confondere queste due grandezze. A noi interessa, piuttosto, un altro dato flusso, la spesa per interessi sul debito. In Giappone c’è un grandissimo debito pubblico eppure gli interessi sono all’1%; in Italia invece si pagano alti interessi, nonostante abbiamo l’avanzo primario (differenza tra entrate e uscite dello Stato al netto degli interessi passivi, ndr) più grande di tutto l’Occidente. Gli stolti si rallegrano di questo dato, perché credono sia un bene che lo Stato incassi più di quanto spenda: questo invece è l’esatto motivo per cui l’Italia è in recessione più che negli altri paesi, perché i cittadini e le imprese pagano più di quel che ricevono, e si impoveriscono”.
Il divorzio Banca d’Italia/Tesoro seguì di un paio d’anni la costituzione del Serpente Monetario Europeo. Da una parte si impedì allo Stato di finanziare a costo zero la propria spesa pubblica, dall’altra gli si impose di difendere un cambio di valuta fisso o quasi. Ci sono relazioni tra questi due eventi, poi culminati in Maastricht e nell’euro?
“Sicuramente entrambe le misure sono collegate, e rientrano in un contesto storico occidentale in cui si voleva rendere responsabili gli Stati rispetto alla propria bilancia dei pagamenti. Fino agli anni Settanta, ad un aumento della spesa pubblica si verificava un incremento della forza lavoro ma poi, a causa del cambiamento delle attitudini di consumo, ad un aumento della spesa pubblica corrispose un aumento delle importazioni di beni esteri (anche perché non vi era più il sistema regolatorio di Bretton Woods). Si creavano così disavanzi commerciali con la conseguenza di un aumento dei tassi di interesse, per attrarre capitali che bilanciassero il disavanzo. Le due scelte (divorzio e Sme) furono il preludio al Trattato di Maastricht, all’euro e alla perdita di sovranità”.
Lei afferma che questa crisi non è ciclica, ma sistemica: si tratterebbe della fine del sistema nato negli anni ’80, ovvero della globalizzazione incentrata sulle esportazioni, perché non sostenibile nel lungo periodo. Secondo lei si dovrebbe andare verso un sistema di tipo protezionistico?
“Non credo nel protezionismo, ma bisogna raggiungere un sistema in cui si cerca di sviluppare la domanda interna con un import/export più moderato. La bilancia commerciale deve tornare ad essere più equilibrata perché non è matematicamente possibile che tutti gli Stati del mondo siano in surplus commerciale. Questo è stato uno degli effetti perversi di questa globalizzazione in cui vincono i più furbi, ovvero chi pratica prezzi più bassi soprattutto nel settore del lavoro. Sarà molto interessante sapere quale sarà la decisione di politica economica del Partito Comunista Cinese, che potrebbe proprio riconvertire l’economia cinese verso l’interno anziché l’estero”.
La de-industrializzazione italiana e la crisi attuale si spiegano soltanto con le questioni monetarie e le politiche economiche pubbliche, o vi è anche – come sostengono i neoliberisti – un ritardo nell’innovazione dell’imprenditoria italiana?
“Non è che gli imprenditori italiani all’improvviso abbiano smesso di saper fare il proprio mestiere. Ci sono delle cause che hanno provocato il ritardo di una parte dell’imprenditoria italiana, e non viceversa come qualcuno sostiene. Nell’ordine: 1) l’accordo per l’unificazione monetaria voluto da Francia e Germania al tempo di Maastricht mirava alla de-industrializzazione dell’Italia; 2) la svendita del patrimonio pubblico e delle partecipazioni statali avvenuta negli anni ’90 ha provocato un indebolimento della struttura economica nazionale, a beneficio del lucro di qualcuno; 3) un sistema bancario che non funziona più come in precedenza e non sostiene le imprese, e per questo occorre ripristinare la Glass-Stegall per evitare che banche siano attratte dalla speculazione finanziaria anziché dall’economia reale; 4) la perdita della sovranità monetaria ha colpito la capacità dello Stato di creare infrastrutture senza dipendere esclusivamente dai privati; 5) e quindi lo Stato ha cessato di essere un elemento “amico” delle imprese, il che sarebbe la sua funzione basilare nel sistema economico”.
Possiamo dire alle famiglie che i tagli alla scuola, alla sanità, le tasse, l’Imu, insomma tutta “l’austerità” deriva non da scelte obbligate, ma da scelte consapevoli delle élite franco-tedesche in particolare, ma anche italiane?
“Credo sia una approssimazione rischiosa. I tagli e le tasse sono una scelta deliberata del governo attuale il quale crede erroneamente che vi possa essere una ripresa dell’economia con tagli alla spesa pubblica e quindi incidendo sui redditi delle famiglie. Ovviamente queste scelte conducono ad una recessione”.
Lei sostiene che occorre uscire dall’euro il prima possibile? O si rischia anche di innescare politiche nazionalistiche? Molti temono che l’uscita dall’euro significhi una austerità ancor maggiore, ma senza solidarietà extra-nazionale.
“L’euro può anche essere trasformato in una vera moneta sovrana. Se ad esempio si ritiene che gli Stati debbano essere in pareggio di bilancio, la Banca Centrale Europea potrebbe spendere tranquillamente a deficit per coprire le spese necessarie agli investimenti pubblici produttivi. Naturalmente dovrebbe essere una moneta sovrana, non ancorata al debito pubblico in questo caso europeo, perché altrimenti si riprodurrebbero gli stessi problemi che abbiamo attualmente a livello nazionale”.
La Banca Centrale Europea ha per obiettivo il contenimento l’inflazione. Ma è possibile che rifinanziando la spesa pubblica, si crei iper-inflazione? O è un falso mito?
“Occorre dire che la Bce aveva un solo obiettivo, ovvero la lotta all’inflazione. Draghi ha dimostrato che si possono fare politiche diverse, anche se per ora solo a favore delle banche. C’è stata l’apertura alla possibilità che la Bce acquisti titoli di Stato, e quindi questa mossa andrà sfruttata politicamente affinché si possa passare a degli investimenti pubblici che aiutino le imprese. Queste operazioni della Bce possono causare iperinflazione se vengono attuate a favore della finanza speculativa, come con i derivati, che rischiano di creare masse monetarie enormi senza ricadute sulla produzione reale. Se invece sono impiegate per la spesa pubblica e gli investimenti non vi è alcun rischio perché l’immissione di denaro sarebbe immediatamente mitigata da un aumento della domanda e della produzione”.
Lei era un funzionario statale al tempo della Prima Repubblica. Quello che afferma, però, sembra eretico se confrontato con la discussione sulla stampa nazionale e nella politica dove vige il pensiero unico neoliberista. Come è stato possibile tutto ciò?
“Le mie posizioni erano molto note già negli anni ’80, avevo un piccolo ruolo nella Democrazia Cristiana ma anche altri partiti mi vedevano come un punto di riferimento per le mie visioni economiche alternative. Ricordo bene come Mario Schimberni, socialista, mi chiese un approfondimento riguardante le mie tesi monetarie, valutandole come alternative a quelle di Ciampi e Andreatta, ma poi il mio lavoro fu fatto marcire in un cassetto nonostante seppi poi che piacquero all’allora vicepresidente di Bankitalia, Antonio Fazio. Ma lo seppi solo nel 1990, quando Fazio si congratulò con me per la mia nomina di direttore al Ministero del Lavoro”.
Il suo intervento al Summit Mmt di Rimini, lo scorso febbraio, fu molto apprezzato. Ritiene che le ricette degli economisti americani della Mmt possano aiutare l’Italia e il Sud Europa?
“Le loro proposte conducono a soluzioni molto utili e praticabili. Occorre stare attenti a non ripetere gli errori del keynesismo classico, quando si rischiò di dare incentivo alle importazioni; inoltre bisognerebbe approfondire le tematiche relative ai rapporti di lavoro. C’è poi un rischio, sottolineato da Lidia Undiemi, ovvero il pericolo che tutto venga ricondotto alla monetarizzazione degli squilibri finanziari come unica causa del malessere dell’economia e della società, senza poi incidere sulle cause strutturali di queste derive”.
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