mercoledì 26 febbraio 2014

Fonsai, sequestrati 2,5 milioni destinati a Paolo Ligresti su conto svizzero. - Andrea Giambartolomei

Paolo Giulia Ligresti

Le Fiamme Gialle hanno precisato che i capitali erano "in fuga" verso un conto corrente bancario di Lugano. Il figlio di Salvatore Ligresti, diventato cittadino svizzero poco prima dell'emissione dell'ordinanza di custodia cautelare che ha fatto scattare gli arresti per la sua famiglia, è imputato nel cosiddetto processo 'Fonsai bis'.

Paolo Ligresti stava per mettere le mani su una fetta di Unipol-Sai. Quasi due milioni di euro in azioni della nuova compagnia assicurativa e 400mila euro di fondi sono stati bloccati dalla Guardia di finanza su ordine del gip di Torino Paola Boemio per il rischio che il malloppo fosse sottratto a possibili azioni della giustizia. I valori erano destinati alla holding lussemburghese dell’ultimogenito di Salvatore Ligresti. 
All’origine di questa operazione c’è una scoperta fatta dalla Banca d’Italia che ha segnalato un’operazione sospetta alle Fiamme Gialle. La Compagnia Fiduciaria Nazionale spa, società che detiene una parte delle azioni di Unipol Sai e dietro la quale si cela la famiglia Ligresti, stava inviando questo pacchetto azionario su un conto corrente di Lugano appartenente alla Limbo Invest SA. Si tratta della società fiduciaria lussemburghese il cui amministratore delegato è Gioacchino Paolo Ligresti, indagato di falso in bilancio e manipolazione del mercato dalla Procura di Torino, e sfuggito agli arresti del 17 luglio perché residente a Montagnola, vicino Lugano, ed era cittadino svizzero da poche settimane.
Gli investigatori, dopo l’allerta della Banca d’Italia, si sono resi conto che i Ligresti stavano cercando di veicolare i capitali schermati dalla società fiduciaria. Ora tutto è stato sequestrato a garanzia delle spese del processo e di ogni altra somma dovuta all’Erario.  
La Limbo Invest SA non ha terminato la sua attività nonostante l’indagine del pm Marco Gianoglio della Procura di Torino avesse già svelato la sua funzione. Stando agli atti la fiduciaria di Gioacchino Paolo (così come la Hike Securites SA di Jonella e la Canoe SA di Giulia Maria, tutte lussemburghesi) permette ai Ligresti di contare all’estero “su di una rete di relazioni in grado di offrire loro un valido supporto” e di tutelare i “propri capitali personali ubicati fuori dal territorio nazionale”. 
Le tre società del Granducato detenevano il 30% di Premafin, la finanziaria di famiglia che controllava Fonsai. “Si tratta delle tre società che risultano integralmente partecipate dalla Compagnia Fiduciaria Nazionale – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare del 17 luglio scorso -, società che non svolgono attività commerciale alcuna, risultando strumento attraverso il quale vi è controllo indiretto da parte della famiglia Ligresti di Fondiaria-Sai S.p.A. attraverso Premafin”.  
Il dispositivo dei sequestri è coperto da segreto investigativo e verrà depositato nel fascicolo “Fonsai bis” che riguarda Paolo Ligresti. L’udienza preliminare sarà il 5 marzo, quando le difese solleveranno nuovamente la questione di competenza territoriale del processo, già sollevata e già respinta nel giudizio immediato contro Salvatore Ligresti e gli ex manager. Domani al tribunale di Torino comincerà il giudizio immediato contro Jonella Ligresti, che non ha potuto patteggiare la condanna. L’intenzione della Procura è ottenere l’accorpamento dei tre procedimenti in un unico processo. 

Monete rare italiane: ecco le lire che valgono una piccola fortuna.



Ecco le monete del vecchio conio che potrebbero essere vendute ai collezionisti perché rare. Attenzione alla data di produzione e alla conservazione.

Le monete rare italiane dei nostri tempi non sono tantissime. La cara vecchia Lira ha tuttavia lasciato alcune rarità agli appassionati di numismatica che possono arrivare a pagare svariate migliaia d’euro per un esemplare come si dice in gergo, “in Fdc”, ovvero “Fior di conio” vale a dire moneta che non presenta segni. 
Già, perché graffi, solchi e usura compromettono significativamente il valore di un esemplare per gli appassionati del genere. 
È questo il caso delle 100 lire coniate dell’anno 1955 e delle 50 lire dell’anno 1958. Le prime non sono particolarmente rare (ne furono tirate circa 8,6 milioni). Tuttavia gli esemplari appunto “in fior di conio” possono veder schizzare il prezzo fino a 1.200 euro. Non male per un cento lire di poco meno di sessant’anni fa. Stesso discorso  per le monete da 50 lire che riportano la data del 1958. Ne furono stampati e diffusi 825.000 esemplari e tuttavia di questi non se ne trovano molti in giro. Dunque una 50 lire del 58 può variare tantissimo il suo valore e passare dai 20 euro per un esemplare usurato ai 2.000 euro per quelle in perfetto stato di conservazione
E ancora: ci sono le 10 lire dell’anno 1954. Coniate in oltre 95 milioni di esemplari, valgono 70 euro ognuna al massimo, sempre stante una perfetta conservazione. Poi ci sono le 5 lire del 1956: queste sono sicuramente più rare. Ne furono messi in circolazione dalla Zecca solamente 400mila esemplari e possono valere un minimo di 50 e un massimo di 1.500 euro. Di recente la Bolaffi ha reso noto un dettagliato elenco di monete antiche e rare: vale la pena dargli una occhiata. Anche nell’ambito dell’euro ci sono delle monete rare che valgono letteralmente una fortuna come un particolare tipo di centesimo con la stampa della mole Antonelliana che può valere fino a 2.500 euro.

martedì 25 febbraio 2014

L’UMANITA’ DISUMANA. - Maria Caporuscio



E’ davvero triste constatare che le parole più belle che arricchivano la nostra umanità come bontà, solidarietà e riconoscenza sono scomparse non solo dal vocabolario, ma dalla nostra coscienza di esseri umani.
La scomparsa di queste qualità, che rappresentavano le fondamenta della nostra civiltà, sta riportando gli uomini indietro di secoli, quando le differenze con le altre specie animali erano minime.
Ieri ho assistito sconcertata ad un episodio per davvero indegno, compiuto dagli esponenti di un condominio contro una donna, colpevole di non essere stata baciata dalla fortuna (come invece era toccato a loro) di non ritrovarsi proprietaria di una casa, quasi regalata. 
Questa brutta storia ha avuto inizio dalla svendita di quello che era e doveva restare patrimonio pubblico: le case popolari. 
Case pagate dai nostri padri con una trattenuta a vita sulla busta paga e che dovevano servire a dare una casa a chi non poteva permettersi di pagare un affitto oneroso. 
Oltretutto questi affitti, anche se minimi, andavano ad incrementare il monte premio dell’INPS, per il pagamento delle pensioni. Purtroppo per fare cassa, è stato svenduto agli inquilini questo patrimonio pubblico al prezzo irrisorio di 30.000,00 (trentamila euro per 50 mq). Questo immobile (restaurato a spese delle belle arti che si trova in una zona semi-centrale della capitale) disponeva anche dell’abitazione del portiere (vuoto da circa trent’anni perché nessuno più poteva permettersi di pagare un portierato, tant’è che le nuove costruzioni ne sono prive) veniva anche questa abitazione “regalata” ai fortunati acquirenti. 
Quest’appartamentino di 48 mq è abitato da una pensionata vedova a 500 euro al mese (che aveva reso abitabile a sue spese con l’aiuto dei parenti) dove paga un affitto di 260,00 euro al mese. Ora questi “padroni” vorrebbero cacciare questa disgraziata, per riaffittarlo ad un prezzo più elevato o rivenderlo addirittura, naturalmente a prezzo di mercato. La motivazione addotta è quella che nella capitale con 260 euro non si affitta neppure un box, dimenticando, questi “graziati dalla sorte” che essi, con trentamila euro non lo avrebbero mai potuto comprare quel box.

Questa gente è la stessa che pretende dalla politica diritti uguali per tutti. Sono gli stessi che contestano i privilegi della casta, gli stessi che parlano di pari opportunità fra tutti gli uomini, di leggi giuste, di solidarietà, di giustizia sociale. Mi chiedo con quale diritto si pretende onestà e giustizia dagli altri quando essi per primi la negano al loro prossimo?
Vergogna! Tutti si vuole la giustizia ma fuori la porta di casa nostra!
Piuttosto che regalare a questa gente (già ampiamente graziata) anche quella casetta, non sarebbe stato più giusto e logico l’avesse venduta a quella disgraziata che ci viveva dentro? Questa vergognosa ingiustizia ce la saremmo risparmiata!

Passaparola - La Difesa a picco - Domenico Leggiero


“Vediamo il nascere di soggetti industriali: la Difesa Servizi, Difesa spa, un sistema di scatole vuote, si creano strutture per capitalizzare un prodotto interno lordo come qualsiasi altro settore. 
Nascono strutture per controllare la valorizzazione del patrimonio abitativo. Quando si parla di ministero della Difesa si immaginano fucili, carri armati, navi e aeroplani. 
La Difesa è fatta di uomini, di strutture logistiche, di immobili, di tantissime altre cose che rappresentano una spugna per il sistema economico italiano. Le proprietà immobiliari della Difesa, senza considerare le strutture andate in dismissione, sono circa 37 mila alloggi distribuiti su tutto il territorio che, anziché essere uno strumento di produzione di reddito, sono diventati una dispersione di bilancio di circa il tre per cento. Il 15% dell’intero parco alloggi è in malora, stanno cadendo a pezzi.” Domenico Leggiero
Oggi parleremo di F-35, degli alloggi della Difesa, della valorizzazione del patrimonio abitativo della Difesa, quella che dovrebbe essere una risorsa è invece uno spreco. Voglio salutare gli amici del blog di Beppe Grillo, sono Domenico Leggiero, ho denunciato il problema dell’uranio impoverito, ho fatto la rappresentanza militare per quattro anni e sono un pilota militare in pensione e uno fra i pochissimi ispettori CFE ancora rimasti in Europa.
Da buon pilota posso fare considerazioni di doppio profilo, il primo dal punto di vista tecnico e operativo: è un velivolo poco funzionale, molto pericoloso per gli obiettivi e esigenze che si prefigge di coprire, un velivolo inefficiente che mette a repentaglio lo stesso equipaggio durante le missioni operative. 

La illogicità di questo acquisto è naturale: se non lo acquista neanche chi lo fa … figurati gli altri! Se tutti coloro che lo hanno prenotato non l’hanno acquistato, soltanto noi siamo rimasti in corsa, chiediamoci quanto meno il perché! 
Che poi lo sviluppo tecnologico di un velivolo o di un carro armato o di una nave possa rappresentare uno spunto per ricerca ben venga, ma deve avere una logica! Per esempio un programma molto positivo è stato il programma Tornado. Sull'operazione e sull'evoluzione della strumentazione dell’equipaggiamento del Tornado abbiamo dato lezioni al mondo, sia noi che i francesi che gli inglesi. Il Tornado era un velivolo fatto bene, con dei criteri di aerodinamicità e di costi abbastanza buoni, e apriva un percorso di studio e di sviluppo che oltre alla tecnologia ha fruttato anche economicamente a tutti i partner che hanno partecipato. 

Si voleva fare la stessa cosa con l’F-35 . Io, nella mia esperienza, ho avuto due velivoli che rappresentano, secondo me, l’antitesi del volo. 

Per primi gli AMX. Altro scandalo, li abbiamo venduti, siamo usciti dal programma, erano velivoli efficientissimi e meravigliosi, bastava non metterci un proiettile sopra, appena ci montava un tipo di armamento perdeva in aerodinamicità, in prestazioni e in tutto, e poi abbiamo avuto gli F-35. Stiamo allestendo hangar, preparando strutture, per ospitare l’assemblaggio dell’F-35. Ma, se già adesso è fallito prima di partire come possiamo pretendere che il nostro impianto di preparazione possa andare avanti? 

Mi piacerebbe che non si ponga il problema di un velivolo militare, ma di uno civile,mi piacerebbe sviluppare studio e evoluzione sui mezzi che già abbiamo. Il sistema militare può essere visto come un indotto, tutte le prime tecnologie, dai cellulari, tutto quello che noi usiamo normalmente, deriva dalla ricerca militare.

Vediamo il nascere di soggetti industriali: la Difesa Servizi, Difesa S.p.A., un sistema di scatole vuote, si creano strutture per capitalizzare un prodotto interno lordo come qualsiasi altro settore. Nascono strutture per controllare la valorizzazione del patrimonio abitativo. Quando si parla di ministero della Difesa si immaginano fucili, carri armati, navi e aeroplani. La Difesa è fatta di uomini, di strutture logistiche, di immobili, di tantissime altre cose che rappresentano una spugna per il sistema economico italiano. Le proprietà immobiliari della Difesa, senza considerare le strutture andate in dismissione, sono circa 37 mila alloggi distribuiti su tutto il territorio che, anziché essere uno strumento di produzione di reddito, sono diventati una dispersione di bilancio di circa il tre per cento. Il 15% dell’intero parco alloggi è in malora, stanno cadendo a pezzi. La legge del 2005 prevedeva che chi era all’interno, quindi il personale militare, avesse il diritto di prelazione. Un costo che doveva essere calmierato e tenere conto degli affitti pagati durante il tempo di servizio. Questo non è avvenuto, ci sono stati costi pazzeschi al punto tale che una buona parte di questo personale non ha aderito all’acquisto. 

La politica non è mai entrata nel sistema Difesa, non ha voluto pestare i piedi a chi lo gestisce. I vertici militari hanno creato delle correnti che fanno capo a questo o quell’altra forza politica. Io mi sono arruolato nell’85, ma fino agli anni ‘60 se chi faceva il concorso al ministero della Difesa aveva dei precedenti per una iscrizione ai movimenti giovanili comunisti o era stato fotografato in piazza in una manifestazione nell’esercito non entrava. Oppure se entrava arrivava a un certo grado e non accedeva agli organi di comando. Chi veniva da una famiglia che aveva una connotazione politica veniva controllato e bloccato a gradi e posizioni in cui non poteva nuocere né poteva essere pericoloso. Non si può entrare in caserma, non si può indagare un ufficiale, un sottoufficiale, perché si discreditano le Forze armate. Il militare è ancora visto come qualche cosa di chiuso, ma il militare non è chi difende il potente di turno, ma chi difende gli italiani. 

La Difesa opera in silenzio, senza grandi clamori, e mano a mano che i Capi di Stato Maggiore, finiscono la loro carriera militare, entrano in automatico a Montecitorio, vedi Di Paola, vedi Ramponi, il comandante dei servizi segreti, in Commissione Difesa, figurati se poteva dire che l’uranio uccide, o in Finmeccanica. Non è più la politica di servizio per le istituzioni, ma sono le istituzioni al servizio della politica.
Mi raccomando, passate parola. 

lunedì 24 febbraio 2014

Da “Ambizione” a “Zero”, tutto Renzi dalla A alla Z. - Andrea Scanzi

vignetta-renzi-bieber-apparato
Ogni statista, vero o presunto, ha la sua narrazione. Ce l’ha Vendola e ce l’ha Renzi. Entrambi sono accomunati da un aspetto decisivo: non essere di sinistra, cosa che riguarda solo Vendola, ma il rifugiarsi nella supercazzola. Ipercolta in Nichi, ipercool in Matteo. Dalla A alla Z, ecco tutto il mondo di Matteo. 
A come “auto”, semplice e comune per suscitare empatia con l’elettore: dunque Smart, o al limite Giulietta. “A” come “ambizione”, dichiaratamente “smisurata”. E “A” come “alibi”, che non esiste più: “Questo governo risponde solo a me. Se sbagliamo è colpa mia, solo mia. Se c’è una responsabilità è mia, punto. Non ci sono più alibi”. 
B come “baldanza”, parola che non si sentiva dai tempi di Badoglio, ma che Renzi ha sfoderato presentando la lista di ministri. B come “bolle”, l’effetto che suscitava in Renzi il sentir parlare di rimpasto (poi ha cambiato idea: ogni tanto gli capita). E “B” come “bomba”, il soprannome con cui lo chiamavano i compagni di classe per la propensione a spararle grosse. Almeno in questo non è cambiato: coerente in niente, se non nella bugia. 
C come “cazzaro”. “Resta il numero uno, è in forma strepitosa, un cazzaro insuperabile”. Renzi parlava del suo maestro Berlusconi, ma forse recensiva anche se stesso.
D come “discontinuità”, che Renzi voleva sottolineare con la scelta di Gratteri alla Giustizia: “È il segnale più importante della discontinuità che intendo dare al mio esecutivo”. Quel segnale non c’è stato. E “D” come “De Gasperi”, l’unico che ha guidato un governo con meno ministri (“Ma non è una competizione, nessuno gli si può paragonare”).
F come “fareeeee”, pronunciato rigorosamente alla Crozza. “Ce la faremo. Un impegno: rimanere noi stessi, liberi e semplici”. E un altro impegno, quello sì mai disatteso: non dire niente, ma dirlo bene.
G come “Gratteri” e “Giustizia”. Era la sfida più grande di Renzi a Napolitano: è andata male. Respinto con perdite, e un misero gol della bandiera chiamato Mogherini.
H come hashtag. Twitter è per Renzi il regno supremo della supercazzola del cambiamento. Qualche esempio: #cambiareverso, #proviamoci, #cominciamoildomani, #lavoltabuona. E soprattutto #comefosseantani.
I come “Italia”. “Un paese semplice e coraggioso”. Che sia coraggioso, è acclarato. Che sia semplice, lo pensa solo Renzi.
J come “Jovanotti”, amico e guru di Renzi, e la sua grande chiesa che come noto “parte da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa”. E magari, già che c’è, passa anche da Rignano sull’Arno. 
K come “Keating”, il professore de L’Attimo fuggente. Una delle citazioni preferite di Renzi, insieme (quando vuole darsi un tono) a Righeira e Moncler.
L come Letta. Molto gioioso il passaggio di consegne di ieri, non si vedeva un tale affetto reciproco dai tempi di Caino e Abele. Per quanto disastroso, l’ex Premier non ha però tutti i torti a non “stare sereno”. I voltafaccia di Renzi non si contano più: “Mai al governo senza il voto”, “Non farò le scarpe a Letta”, “Mai più ricatti dai piccoli partiti”, “Basta Alfano nella squadra”, “Dureremo fino al 2018”. Eccetera.
M come “Movimento 5 Stelle”. Il vero nemico di Renzi. Dopo lo streaming ha twittato: “Mi spiace tanto per chi ha votato 5Stelle. Meritate di più, amici. Ma vi prometto che cambieremo l’Italia, anche per voi”. Metà Italia lo ha applaudito, l’altra metà ha contattato un avvocato per sporgere querela per diffamazione (l’insulto risiederebbe nella parola “amici”).
N come “Napolitano”, che Renzi vorrebbe in cuor suo rottamare ma al momento pare il contrario. E dunque “N” come “nuovo”, cioè come “niente”.
O come Orlando. Il neo-ministro della Giustizia. L’ennesimo inchino a Re Giorgio. L’ennesimo regalo a Berlusconi. 
P come “palude”, espressione democristiana per una narrazione 2.0 che non disdegna stilemi dorotei. E “P” come “Peppa Pig”, una delle fondamenta intellettuali di alcuni renziani. Così Marianna Madia, subito dopo la nomina a Ministro della Pubblica Amministrazione: “Non ho seguito i commenti politici, stavo guardando Peppa Pig”. Parole forti. 
Q come “quota rosa”. Renzi, attentissimo alla pagliuzza affinché essa ridimensioni la trave, ha abbassato come nessuno l’età media di un governo e portato al 50% la presenza di donne. È un aspetto su cui fa leva anche quando si rivolge agli elettori. Prima le donne, poi gli uomini: “Italiane e italiani”, “Cittadine e cittadini” (“Compagne e compagni” è già più desueto). 
R come “rifiuti”, che Renzi ha collezionato prima di scegliere i titolari: da Farinetti a Baricco, da Prodi ad Andrea Guerra. Anche per questo, fatti salvi rari casi, ha dovuto schierare panchina e tribuna. E “R” come “rivoluzione”. “Renzi mi è sempre piaciuto perché è un rivoluzionario come me e non nascondo che Berlusconi si rivede in lui”. Chi lo ha detto? Micaela Biancofiore. Auguri.
S come “speranza”, intesa sia come continua sottolineatura renziana di un lieto fine di là da venire (contrapposto al “cupismo pessimistico” dei 5 Stelle), sia come “Roberto Speranza”: in uno squadrone simile, un fenomeno di quella portata non avrebbe sfigurato.
T come “tapioca”, ovviamente prematurata e con scappellamento a destra. 
U come “ultimi”, riferito non ai vinti e ai dimenticati ma “agli ultimi trent’anni”. Secondo Renzi, il suo è infatti il governo “più di sinistra” dall’84 a oggi. E in effetti, tra lobby di Cl, Coop e Confindustria, sembra davvero di essere circondati da Gramsci, Gobetti e Berlinguer.
V come “vento”, evocato per spiegare la pugnalata a Letta: “Se il rischio lo dobbiamo correre anche noi, la disponibilità a correre il rischio deve essere presa con il vento in faccia“.
W come “Walt Whitman”, sparato per rimarcare il proprio coraggio: “Due strade trovai nel bosco e io, io scelsi quella meno battuta”. Pare però improbabile che il poeta si riferisse qui alla conferma di Lupi e Franceschini. Va poi aggiunto come quei versi, scoperti ne L’attimo fuggente e pure mal citati, non siano di Whitman ma di Robert Frost. Renzi ha detto che sono i suoi versi preferiti: figuriamoci gli altri.
Z come “zero”. L’attuale livello di coerenza e novità denotato da Renzi dopo l’elezione a segretario Pd. Più che stare sereno, forse è il caso che cambi rotta: #matteocambiaverso.

Fusione Fredda, gli americani acquistano l'E-cat di Rossi. - Alessandro Martorana

E-Cat 1MW


La società statunitense Industrial Heat ha annunciato di aver acquisito i diritti relativi alla tecnologia LENR (Low-Energy Nuclear Reaction, reazioni nucleari a bassa energia) di Andrea Rossi, ossia l'Energy Catalyzer o E-Cat. Nel comunicato stampa la società non ha parlato di cifre, limitandosi a spiegare che l'obiettivo dell'operazione è quello di rendere questa tecnologia disponibile, considerato il suo impatto sull'inquinamento dell'aria e le emissioni di anidride carbonica derivanti dai combustibili fossili.

"Il mondo ha bisogno di una nuova fonte di energia che sia pulita ed efficiente. Una tecnologia di questo tipo alzerà gli standard di vita nei paesi in via di sviluppo e ridurrà l'impatto ambientale della produzione di energia", ha spiegato il portavoce JT Vaughn, che ha aggiunto che Industrial Heat ha acquisito la proprietà intellettuale e i diritti di licenza del dispositivo LENR di Rossi, dopo che "una commissione indipendente di scienziati europei ha condotto due test di più giorni presso le strutture di Rossi in Italia".
La tecnologia E-Cat sviluppata da Rossi ha fatto molto discutere a causa dell'alone di segretezza che l'ha avvolta sin dalla sua nascita. Sul sito di E-Cat viene spiegato che, "in attesa di una forte protezione della proprietà intellettuale attraverso dei brevetti, Rossi non desidera pubblicare tutti i dettagli conosciuti del processo". Una motivazione assolutamente plausibile, che però potrebbe essere stata rimossa dall'accordo con Industrial Heat.
La decisione dell'azienda statunitense di investire in questa tecnologia non rappresenta in alcun modo una validazione dal punto di vista scientifico, ma è innegabile che affrontando la cosa sotto l'aspetto concettuale, trovare una società disposta a mettere dei soldi su questa tecnologia sia un punto a favore di Rossi.

Generali, indagati Giovanni Perissinotto e Raffaele Agrusti,


   


L’ex amministratore delegato e l’ex direttore generale nel mirino per presunte irregolarità nei confronti della governance interna rispetto ad alcuni investimenti in private equity e fondi alternativi.

Un avviso di garanzia è stato emesso dalla Procura di Trieste nei confronti di Giovanni Perissinotto e Raffaele Agrusti, rispettivamente ex amministratore delegato ed ex direttore generale di Generali. Il provvedimento, emesso in dicembre, contesterebbe loro l’aver ostacolato l’esercizio delle autorità pubbliche di vigilanza.  

L’indagine è conseguenza delle segnalazioni di Consob e Ivass su presunte irregolarità nei confronti della governance interna rispetto ad alcuni investimenti in private equity e fondi alternativi, decisi o gestiti direttamente da Perissinotto e Agrusti, senza le necessarie deleghe, o senza perizie o strumenti di monitoraggio e di protezione. 

Generali aveva dichiarato di aver iscritto a bilancio su sette investimenti 234 milioni di perdite. Ma da un’analisi interna condotta da Kpmg a suo tempo, le operazioni controverse avrebbero però avuto un valore per 660 milioni. Tutte erano accomunate dal fatto di essere collegabili alla merchant bank Finint di Enrico Marchi e Andrea De Vido, a Palladio Finanziaria di Roberto Meneguzzo e al gruppo Valbruna della famiglia Amenduni, soci veneti in Generali tramite Ferak ed Effeti. Da qui la segnalazione all’autorità giudiziaria sul versante penale. 

Sulla vicenda il Cda di Generali si era espresso una prima volta, dopo un parere legale, decidendo di non procedere contro Perissinotto. L’Ivass aveva però chiesto alla compagnia di sottoporre nuovamente la decisione al comitato Controllo e rischi e quindi al Cda. In quella sede, la compagnia aveva escluso «qualsiasi profilo di rilevanza penale» nei comportamenti emersi. 
Il 19 febbraio scorso il consiglio di amministrazione del leone aveva quindi dato mandato al Group Ceo Mario Greco di ricorrere in sede giuslavoristica contro gli accordi risolutivi dei rapporti di lavoro di Perissinotto e Agrusti, ed eventualmente di intraprendere «ogni altra iniziativa volta al ristoro di tutti i danni subiti».