domenica 6 luglio 2014

DEBORA BILLI AI TEMPI DEL COLERA VIA WEB. - Pino Cabras

    billi


Come le polemiche istantanee del web hanno ingigantito la portata di una battuta di Debora Billi. Ai tempi di Biagi, invece... [Pino Cabras]

Tutta la blogosfera sa che Debora Billi, dell'ufficio comunicazione dei deputati M5S, ha scritto su Facebook un commento infelice sulla morte dell'artista Giorgio Faletti («Se ne è andato Giorgio. Quello sbagliato #Faletti»).

Rispetto a questo errore, su cui si sono accaniti giornalisti e linciatori da tastiera, non faccio un tweet, ma parto da lontano, dal 1973. 
In quell'anno Napoli passò due mesi da incubo per un'epidemia di colera causata da cozze d'importazione, che provocò marasma, confusione, quarant'anni di "Napoli colera" urlato dagli ossessi negli stadi, ma soprattutto causò decine di terribili lutti che segnarono per sempre altrettante famiglie. Non mancarono le polemiche politiche sulla gestione dell'emergenza, che bersagliarono la famiglia politica dominante in Campania, i Gava del pluriministro Silvio (1901-1999) e dell'astro nascente Antonio (1930-2008), leader dei dorotei democristiani. 

Enzo Biagi (1920-2007), venerato maestro del giornalismo italiano, disse: «Il colera passa, i Gava restano. È dunque vero che se ne vanno sempre i migliori.» La battuta è stata inserita dal Corriere della Sera nella lista delle migliori di Biagi, ed è anche la battuta n. 648 del celebre libro "Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano".

Al presidente della Repubblica di allora, il napoletano Giovanni Leone (1908-2001), mentre era in visita a Pisa, gli studenti che lo contestavano gli augurarono di morire di colera. Leone rispose esibendo il poco presidenziale gesto delle corna. E finì lì.

Silvio Gava , Antonio Gava , Enzo Biagi, Giovanni Leone, se ne sono tutti andati prima dell'epoca irriflessiva di Facebook e di Twitter. Perciò non sapremo mai che tipo di reazioni e controreazioni si sarebbero innescate sulla battuta di Biagi. Mi immagino il rimbalzo frenetico sui social network di dichiarazioni dei familiari delle vittime del colera contro un presunto sciacallaggio sulla loro tragedia, affrontata con troppa leggerezza. Mi immagino la valanga crescere su se stessa, tweet dopo tweet, a ingigantire la portata della battuta, scavandone i risvolti irriguardosi, e così via. La battuta sarebbe stata un'altra cosa da quel che è stata, e le polemiche istantanee del web avrebbero scagliato di tutto contro il demone satirico che aveva spinto un giornalista a lanciarsi in una battuta cattiva, senza calcolare se tagliasse la pelle dei nemici, se avesse invece un doppio taglio, o se tagliasse solo la propria pelle.

Un politico della stessa generazione di Napolitano, lo svedese Olof Palme (1927-1986), parlando delle grandi sfide dell'umanità, disse che quella generazione era la prima che «non poteva permettersi di sbagliare». Quella generazione ha sbagliato invece tanto, troppo, e il conto drammatico di quegli sbagli minaccia tutti noi: guerre assurde, insicurezza energetica, neoliberismo, catastrofi ambientali. Sono gli argomenti su cui da anni Debora Billi scrive articoli molto belli, informati, ironici, degli autentici piccoli capolavori di sintesi, sempre animati da un pungente spirito wit. Cercateli in Rete, anziché scegliere dal cesto solo le ciliege storte.
Scoprirete che è perlomeno esagerato applicare a lei, anziché alla generazione Napolitano, il principio che «non poteva permettersi di sbagliare». Basta con la caccia alle streghe.

Quanto al presidente Giorgio Napolitano (1925-2125), sono certo che gli basterà aggiornare le manovre di sicurezza manuali del suo predecessore e concittadino, e tutto si aggiusterà. 

Sicilia, 100 milioni di buco nella sanità. Corte Conti: “Bilancio incongruente”. - Giuseppe Pipitone

Sicilia, 100 milioni di buco nella sanità. Corte Conti: “Bilancio incongruente”

Tra gli altri rilievi della magistratura contabile anche il doppio dei dirigenti rispetto alle altre Regioni. Ma il presidente Crocetta è soddisfatto: "E' stato riconosciuto il lavoro fatto".
Quindici miliardi di euro di residui attivi, un dirigente ogni 9 dipendenti, cento milioni di buco nella sanità. Sono rilievi pesanti quelli che la Corte dei Conti ha riservato al bilancio 2013 dellaRegione Sicilia. I magistrati contabili, nei giorni scorsi, hanno dato il via libera all’esercizio di bilancio 2013, ma il ritratto dei conti regionali tratteggiato dal giudizio di parifica è impietoso. “Nel riconoscere la parifica del bilancio della Regione la Corte dei Conti riconosce al governo il lavoro già realizzato e le proposte di riforma contenute in alcuni significativi settori di intervento” ha commentato entusiasta il governatore Rosario Crocetta. Leggere il giudizio della Corte però consiglierebbe di frenare gli entusiasmi. “Incongruente” è l’aggettivo utilizzato più spesso dai magistrati per definire il bilancio di Palazzo d’Orleans.
Prima tegola, come capita ormai da anni, è il capitolo dei residui attivi, i crediti mai riscossi dalla Regione Sicilia, che hanno ormai raggiunto quota 15 miliardi di euro, 11 ereditati dalle passate amministrazioni. Diminuiscono, seppur di poco, i debiti della Regione: 5 miliardi di euro il passivo, che però presto potrebbe tornare a crescere “a causa della crisi economica e dei tagli imposti dallo Stato” scrivono sempre i magistrati contabili. Una vera e propria grana è invece rappresentata dalla Sanità che nel 2013 ha fatto registrare un buco di quasi cento milioni di euro.
Un capitolo a parte è invece rappresentato dalla questione inerente ai dirigenti: in Sicilia sono 1800: in pratica uno ogni nove dipendenti, più del doppio rispetto alle altre regioni dove il rapporto e di uno ogni venti. Il procuratore generale Diana Calaciura ha poi puntato il dito sulla dilagante corruzione nella pubblica amministrazione. Una corruzione che, secondo il magistrato, si mostra anche con il volto di “consulenze inutili e incarichi fiduciari”. “Lo diciamo anche noi da tempo” ha commentato Crocetta, finito nel frattempo al centro delle polemiche per un accordo siglato col ministero delle Finanze. “La Regione Siciliana – si legge nel testo sottoscritto il 5 giugno – si impegna a ritirare tutti i ricorsi contro lo Stato pendenti dinnanzi alle diverse giurisdizioni relativi alle impugnative di leggi in materia di finanza pubblica promossi prima del presente accordo, o comunque di rinunciare per gli anni 20014-2017 agli effetti positivi sia in termini di saldo netto da finanziare che in termini di indebitamento netto che dovessero derivare da eventuali pronunce di accoglimento”. In pratica il governatore rinuncia preventivamente ad incassare qualsiasi indennizzo dovuto alla vittoria di contenziosi contro lo Stato, in cambio di una rinegoziazione del patto di stabilità, che porterebbe liquidi per 500 milioni nelle casse regionali. “È un traditore dei siciliani – lo ha attaccato l’ex assessore al Bilancio Gaetano Armao – Con una firmetta disinvolta ha buttato a mare contenziosi che hanno e che avrebbero dato ingenti risorse alla Sicilia, ma soprattutto svilito ogni forma di autonomia finanziaria”.

sabato 5 luglio 2014

LA PORCELLANA. PIANTA COMMESTIBILE DALLE PROPRIETA' BENEFICHE.



Pianta erbacea infestante, perenne o annuale, a portamento eretto, diffusa sino a 1700 mt. È nota nelle diverse regioni con diversa denominazione: porcellana, procaccia, porcacchia, pucchiacchella. 
Le foglie, spesse e carnose, sono principalmente alterne; talvolta le foglie sono piatte e in altri casi cilindriche. 
Le foglie superiori formano un involucro al di sotto del fiore. Dal mese di giugno comincia ad emettere fiorellini gialli che si chiudono con il buio. 
Cresce bene in pieno sole e con l’arrivo dei primi freddi deperisce rapidamente, non prima di aver sparso attorno i suoi semini neri. Preferisce i terreni di tipo sabbioso ma cresce bene in qualsiasi altro tipo di terreno. Il nome botanico latino Portulaca Oleracea L. significa “piccola porta”, per il modo con cui si aprono le capsule. Di probabili origini asiatiche, nell’antico Egitto era utilizzata come pianta medicinale, mentre era coltivata durante il Medio Evo nel Bacino del Mediterraneo, soprattutto in Spagna, e nei Paesi Arabi. Proprio gli Arabi l’hanno denominata baqla hamqa, che significa “pianta pazza” o “pazzesca” a causa del modo in cui i rami si estendono per terra senza alcun controllo. Sin dai tempi più antichi questa pianta erbacea era conosciuta e apprezzata come ortaggio; entrava infatti a far parte di insalate e minestre. Gli antichi Romani l'apprezzavano molto sia dal punto di vista alimentare che da quello terapeutico e magico. Plinio il Vecchio, infatti, la riteneva utile per combattere le febbri e per togliere il malocchio a persone ed animali. Questa pianta ricorre anche in un’opera perduta di Varrone (I secolo a. C.), di cui ci dà notizia Nonio, un grammatico del IV sec. d. C.: “La portulaca masticata toglie la sete”(Varrone, libro VIII delle Discipline).
Oggi si può dire che la porcellana è stata completamente dimenticata e ritenuta, come altre erbe preziose per l’uomo, infestante. Invece la realtà è un’altra, perché oltre ad essere commestibile, gradevole di gusto, sia cruda che cotta, possiede numerose virtù terapeutiche. Raccolta allo stato spontaneo o talvolta coltivata, le foglie della Portulaca, dal sapore acidulo, si consumano in insalata o come erba aromatica; sono utilizzate per preparare minestre saporite e rinfrescanti. Anche i fiori gialli si consumano in insalata oppure bolliti o fritti in pastella come si fa con i fiori di zucca. 
Le foglie sono molto buone conservate sottaceto. Le ramificazioni più grosse e tenere della portulaca possono essere conservate sotto olio in vasetti di vetro dopo una brevissima bollitura, condite con spezie a piacere. Si tratta senz'altro di una conserva facile ed originale per antipasti creativi. I semi, piccolissimi e neri, possono essere usati con i cereali nella colazione del mattino, nelle zuppe a base di cereali e legumi, ecc... Si possono consumare interi o macinati, ridotti in farina, che si può miscelare a quella del grano per dolci, pani ed altri prodotti lievitati.

Proprietà terapeutiche
Le molte proprietà della portulaca sono dovute ai suoi "preziosi" componenti: mucillagine (in elevata percentuale), proteine (20-40% sul peso secco), calcio, ferro, ricca di vitamine A, C ed E, infine, saponina. A rendere questo ortaggio particolarmente "prezioso" per la nostra salute è il contenuto, più alto che nel pesce, di omega 3, utile nella prevenzione e nella cura delle malattie cardiovascolari.
A livello medicinale, per uso interno l’erba porcellana viene impiegata per curare dissenteria, enterite acuta, emorroidi ed emorragie post-partum. In passato era considerata particolarmente utile dagli equipaggi delle navi per combattere lo scorbuto. La porcellana, infatti, è dissetante, rinfrescante, antinfiammatoria, vermifuga, diuretica e depurativa. Per un uso depurativo basta bere qualche cucchiaio di succo ogni giorno. Per uso esterno, un impacco di foglie è usato in caso di foruncoli, punture d’api ed eczema. Per la cura di foruncoli e altre infiammazioni della pelle si possono fare lavaggi o applicare batuffoli imbevuti di infuso ottenuto con 10 gr di pianta fresca in 100 ml di acqua. Inoltre, negli ultimi anni sono state scoperte ulteriori proprietà nutritive e medicinali riferibili all'erba porcellana. 



Insalata di purciddana o portulaca.


INGREDIENTI PER 4 PERSONE

500 g di purciddana
1 cipolla rossa di Tropea
300 g di pomodorini
5 cucchiai di olio extravergine di oliva
10 olive nere
1 cucchiaio di aceto
Sale q.b.
PROCEDIMENTO

Lavate con cura la purciddana e recuperate le foglie e le cimette più tenere. Lasciatele asciugare su un telo.
Trasferitele in un’insalatiera e aggiungete il pomodoro a spicchi e la cipolla ad anelli.
Condite l’insalata con olio, aceto e sale, quindi servite.
SUGGERIMENTI

La purciddana può essere utilizzata sia cotta che cruda per accompagnare, con il suo sapore acidulo, i cibi fritti.

Ve POSsino, ovvero le banche e l'interpretazione dei sogni. - Barbara Tampieri





Ho fatto un sogno strano che voglio raccontarvi. Ero in uno dei nostri bei centri storici, di fronte ad una di quelle banche dalle belle facciate curate e i muri antichi impregnati di storia. Varcandone la soglia mi sono ritrovata in un cortile interno, chiuso da alte inferriate che nemmeno ad Alcatraz buonanima.
Era come andare a visitare un parente al gabbio. Poi, oltrepassata la blindatura a protezione di soldi contanti che non esistono più e nemmeno rapinatori perché i ruoli ormai si sono invertiti, come i poli magnetici, mi sono accorta di respirare una strana atmosfera, leggermente carica di ozono, parecchio frizzante.

Mi viene incontro un funzionario che mi accoglie con un gran sorriso, accompagnandomi su per uno scalone in un ufficio odoroso di legno, cuoio e quadri a olio e dominato da un alto soffitto affrescato da una scena di arcadia con putti e mamme dei puttini.
Prima che io possa parlare il funzionario mi anticipa: "So che è molto preoccupata ma sono qui per rassicurarla."
In effetti fuori ho appena lasciato un paese in condizioni critiche dove, domenica scorsa, ci sono stati tre suicidi per disperazione nel giro di poche ore. Sono in ansia, certo, e dato che sono qui ne approfitto per chiedere cosa ci attende per il futuro, visto che nonostante la tendenza bifronte formichella genovese vs. cicala della serie i soldi vanno comunque spesi perché nel lungo periodo saremo tutti morti, sono previdente, penso alla mia vecchiaia senza figli e, cosa fondamentale, dei piddini non mi fido.

Mi accorgo di avere un fiume di domande pronto a tracimare, a cui il funzionario ben vestito risponde con calma ma fermamente e soprattutto senza dimostrare alcuna incertezza.

Prelievo forzoso? Assolutamente no, lo escludo nella maniera più assoluta! Si ma, scusi, e Cipro, dove l'hanno già fatto? Non siamo Cipro, noi-non-siamo-Cipro checciavevaimafiosirussitacciloro. 

La tassazione al 26%? Ah si, ma i titoli di stato non verrebbero comunque toccati.
La patrimoniale, le tasse di successione al 40% che vogliono introdurre? No - con un sorriso ancor più ampio - non si preoccupi, il paese è in ottima forma, ispira fiducia ai mercati, guardi i benchmarks. 

Lo so ma io non mi fido dei creditori - e alludo casualmente ai tedeschi, a quella voragine che inizia per Deutsche e finisce per Bank con quell'enorme Schwanstuck da 55.6 trilioni di euro di esposizione sui derivati (anzi, dicono che non è mica vero, che sono solo 991,6 milardi di €. Aaah beh, allora!)
Il funzionario è certo: i tedeschi dovranno cedere, alla fine.
E il pareggio di bilancio in costituzione??? Leggerissima incertezza, ma proprio un accenno, poi il funzionario cambia discorso:vede, l'introduzione del POS per i pagamenti oltre i € 30 è un grosso passo avanti.
Già, la castacriccacorruzione. Ma, mi scusi, noi italiani non abbiamo prosperato per decenni tra mafia, corruzione e politica malata? Come le dicevo, il POS obbligatorio combatte l'evasione fiscale.
Il Carpathia non risponde. Forse riesco a farlo vacillare sull'immobiliare. La crisi del mattone? Giusta, non bisogna investire in immobili. E'  giusto non concedere mutui perché non bisogna alimentare bolle e speculazioni. I soldi vanno investiti. Da noi.
Giusto non concedere mutui??? Ma che sta dicendo? Si, perché poi i soldi finiscono immobilizzati nelle case e non fanno girare l'economia. Li affidi a noi, gli eurini.
Ma egregio, l'economia non sta girando lo stesso, siamo in recessione, la disoccupazione, la morte economica. Si, però ci sono segni positivi.

Ecco, sui segni positivi ho pensato subito a Medjugorije e a quei lampi della madre de Dios nel cielo ma un attimo dopo mi sono accorta che la botta fenomenale che mi aveva svegliato era stato un fulmine vero che aveva appena schiantato due pioppi non lontano e che quello che suonava impazzito era un allarme.
Peccato, proprio sul più bello. Avrei avuto tante altre domande da porre al fantasmatico bancario. Sarà per un altro sogno.

P.S. Devo confessarvi una cosa. Non era un sogno. E' tutto vero, compresa la botta dei pioppi schiantati.

Primi...in peggio.



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Copia privata, ecco le nuove “tasse” su pc e smartphone. Venti euro per un hard disk. - Guido Scorza

Computer

Nel decreto firmato da Franceschini - non ancora pubblicato ma che ilfattoquotidiano.it ha potuto leggere - il sovrapprezzo che i consumatori dovranno pagare alla Siae come "risarcimento" preventivo per eventuali diritti d'autore violati. 5,20 euro per un computer, addirittura 9 per una semplice pennetta Usb. Il testo sostanzialmente identico a un documento Siae circolato nei mesi scorsi.

5,20 euro per un Pc – quali che ne siano le caratteristiche – e 5,20 per uno smartphone o un tablet se dotati di capacità di memoria superiore a 32 Giga [rispettivamente 3, 4 o 4,80 euro se la capacità è inferiore ovvero fino a 8 giga, da 8 a 16 giga o da 16 a 32 giga]. Quattro euro, invece, per televisori dotati di capacità di registrazione, cui, peraltro, dovranno aggiungersi quelli dovuti per il supporto di registrazione che si tratti di una pendrive Usb o di un hard disk. Fino a 20 euro per un hard disk e fino 9 per una pendrive Usb.
Sono queste alcune delle nuove tariffe del cosiddetto equo compenso per copia privata, risultato degli aumenti disposti da Dario Franceschini, Ministro dei Beni e delle attività culturali con il Decreto firmato lo scors0 20 giugno ma, sin qui, curiosamente, non pubblicato né sulla Gazzetta Ufficiale né sul sito Istituzionale del Ministero.
A rivelarle per primo, Gianfranco Giardina, questa mattina di buon ora, sulle pagine di Dday. Le tariffe, pubblicate da Giardina, peraltro, trovano tutte puntuale conferma in una copia del Decreto della quale siamo venuti in possesso.
Sono – come peraltro era già dato immaginare dalle anticipazioni contenute nel comunicato stampa del Ministero dello scorso 20 giugno ed in quello, di pari data, della Siae – aumenti tariffari da capogiro che costeranno ai consumatori italiani oltre 150 milioni di euro l’anno e porteranno nelle casse della Siae– solo a titolo di rimborsi di costi di gestione – oltre 10 milioni di euro cui andranno ad aggiungersi importi egualmente esorbitanti grazie agli interessi bancari ed ai proventi finanziari che la Società maturerà avendo in deposito la montagna di denaro in questione.
Ma scorrendo il testo del Decreto, oltre ai numeri, ci sono altri aspetti che balzano agli occhi e colorano questa vicenda delle tinte fosche dei peggiori esempi di buona amministrazione.
Cominciamo dal principio. La legge prevede che il Ministro dei beni e delle attività culturali aggiorni – e, non necessariamente aumenti – le tariffe dell’equo compenso, sentito il Comitato permanente sul diritto d’autore e le associazioni di categoria dei produttori di tecnologia. Nessun riferimento, dunque, alla Siae.
Eppure il Decreto che il Ministro Franceschini ha firmato è stato, sostanzialmente, dettato proprio dalla Siae, soggetto che, nella partita, è portatore di un doppio interesse, evidentemente, di parte sia in quanto rappresentante di autori ed editori destinatari ultimi del compenso sia perché, più sono alte le tariffe dell’equo compenso maggiore è l’importo che essa trattiene per sé a titolo di rimborso dei costi di gestione.
Nessun Ministro della Repubblica dovrebbe lasciarsi suggerire cosa scrivere in un proprio decreto da un soggetto portatore di un palese ed evidente proprio interesse di parte.
Eppure è sufficiente mettere a confronto il testo decreto firmato da Dario Franceschini con quello circolato, tra gli addetti ai lavori, nei mesi scorsi e stampato su carta intestata della Siae per avvedersi che, salvo un paio di marginali, scostamenti i due testi sono esattamente identici. Le cifre degli aumenti tariffari proposte dalla Siae sono state, sostanzialmente, recepite al centesimo di euro, nel Decreto del Ministro Franceschini.
E’ un fatto inaccettabile che, probabilmente, in un Paese normale giustificherebbe le immediate dimissioni di chi ha consentito che un’amministrazione apicale dello Stato venisse asservita agli interessi di parte di un soggetto come la Siae.
Ma non basta. C’è un altro passaggio del Decreto firmato da Franceschini e in attesa di pubblicazione che getta sconforto in chiunque creda che la macchina dello Stato dovrebbe operare nell’interesse di tutti e secondo principi di obiettività e ragionevolezza.
Vale la pena riportare letteralmente uno stralcio del Decreto: “CONSIDERATO che la discrezionalità tecnica demandata dalla norma primaria all’amministrazione, nell’esercizio della funzione di aggiornamento triennale del compenso… si connota di elementi di equità integrativa come evidenziato dalla fonte comunitaria… che usa la locuzione ‘equo compenso’ e RITENUTO, pertanto, che l’aggiornamento non debba corrispondere in modo vincolato a un criterio puramente ricognitivo di dati aritmetici in ordine all’evoluzione tecnica, all’ingresso sul mercato e nell’uso comune di nuovi dispositivi, agli spostamenti delle abitudini di impiego e/o alla capacità di memoria degli apparecchi e dei supporti… ma debba tenere conto delle informazioni e dei dati acquisiti, nonché dei diversi punti di vista e delle proposte delle categorie interessate, al fine di definire un punto di equilibrio tra le opposte esigenze, di assicurare da un lato, la giusta remunerazione dell’attività creativa e artistica degli autori e degli interpreti ed esecutori, nonché dei produttori… e dall’altro un’incidenza proporzionata e ragionevole del meccanismo di prelievo alla fonte… tale da non colpire in modo eccessivo i settori produttivi interessati dal prelievo medesimo”.
Un modo come un altro per dire che le decisioni del Ministro in termini di aumenti tariffari – almeno secondo il Ministro – non dovrebbero necessariamente avere solide basi obiettive, matematiche o statistiche.
Per capire l’importanza e, a un tempo, la gravità del passaggio contenuto nel Decreto, bisogna tornare indietro con la memoria di qualche mese a quando, l’ex Ministro dei Beni e delle attività culturali Massimo Bray – che, evidentemente, la pensava diversamente – commissionò una ricerca di mercato che accertò come gli italiani fanno sempre meno “copie private” e, comunque, è raro che usino per farne tablet e smartphone.
Quella inserita dal Ministero nel decreto è dunque una giustificazione non richiesta –e per la verità anche poco condivisibile – che suggerisce di ricordare il vecchio proverbio latino secondo il quale:excusatio non petita, accusatio manifesta ovvero se non hai niente di cui giustificarti, non scusarti.

Eni indagata per corruzione internazionale. Inchiesta sul grande giacimento in Nigeria. - Marco Lillo

Paolo Scaroni

Il gruppo petrolifero pubblico accusato per la concessione del più grande deposito petrolifero del paese africano, un affare da un miliardo di euro. Indagato Scaroni, nelle carte il nome del faccendiere Bisignani. Il pm milanese De Pasquale chiama in causa l’uomo d’affari Di Nardo che avrebbe agito da intermediario.

L’Eni è indagata per corruzione internazionale per l’acquisizione nel 2011 di un giacimento petrolifero al largo della Nigeria del valore di un miliardo e 300 milioni di dollari. Mercoledì 11 giugno i finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria di Milano su mandato dei pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, della Procura di Milano, sono entrati nella sede della società energetica quotata in borsa e controllata dal ministero dell’economia per notificare due atti. Il primo era un avviso di garanzia per responsabilità di tipo amministrativo secondo il decreto legislativo 231 del 2001 nei confronti della società. L’ipotesi contestata è la corruzione internazionale e l’Eni è stata iscritta nel registro degli indagati perché la legge del 2001 estende alle persone giuridiche la responsabilità per reati commessi in Italia e all’estero da persone fisiche che operano per la società.
Il secondo atto notificato all’Eni è una richiesta di acquisizione di una lunga serie di documenti riguardanti l’accordo stipulato nell’aprile del 2011 con il governo nigeriano e anche le trattative intervenute nel 2009-2010 con la società Malabu. Risulta indagato Gianluca Di Nardo, l’imprenditore legato da un lato all’uomo di affari che faceva da interfaccia con i nigeriani, Ebeka Obi e dall’altro a Luigi Bisignani, che garantiva un canale preferenziale grazie al suo amico: l’allora amministratore dell’Eni, Paolo Scaroni. L’indagine dei pm De Pasquale e Spadaro coinvolge anche l’ex amministratore dell’Eni e Bisignani, che è stato già sentito dai pm a Milano nei mesi scorsi. Nel doppio avviso all’Eni la Procura non scopre le sue carte. Tutto parte dai numerosi esposti dell’associazione Re:common. L’indagine ha però preso vigore quando sono state acquisite dai pm milanesi le intercettazioni dell’indagine del 2010 sulla cosiddetta P4 di Henry John Woodcock e Francesco Curcio.
In quelle intercettazioni emerge chiaramente l’intervento di Bisignani, attivato dal suo amico Di Nardo, su vertici dell’Eni di allora. Bisignani, che poi ha patteggiato nell’indagine P4 una pena di 19 mesi per associazione a delinquere e rivelazione di segreto, parlava al telefono con il suo compagno di partite a tennis Scaroni e anche con Claudio Descalzi. L’attuale amministratore delegato dell’Eni agiva su indicazione del suo capo di allora ma ha partecipato a numerosi incontri con il mediatore Obi e anche a una cena all’hotel Principe Savoia di Milano con l’ex ministro nigeriano Dan Etete, personaggio chiave del caso. Etete deteneva la concessione OPL 245 dal 1998 quando, poco prima di lasciare il posto di ministro dell’energia nel Governo nigeriano del generale Abacha, la assegnò alla società Malabu, riferibile tramite prestanomi, a lui stesso e al generale Abacha. La posta in gioco è enorme. OPL 245 è un giacimento immenso così descritto dal bilancio dell’Eni: “L’area comprende il maggiore potenziale minerario non sviluppato dell’offshore profondo del Paese. Le riserve scoperte sono stimate in circa 500 milioni di boe”, cioè barili di petrolio equivalente.
Scaroni l’8 marzo 2011 dichiarava al pm Woodcock: “Tale trattativa (con Malabu di Etete, ndr) non è andata a buon fine”. Invece con uno schema diverso rispetto a quello descritto nelle telefonate Scaroni-Bisignani del novembre 2010, l’affare da 1,3 miliardi è andato in porto con il Governo ma sempre a beneficio di Etete, che alla fine ha incassato un miliardo e 92 milioni di dollari, due mesi dopo, alla fine di aprile 2011. La concessione è stata per anni contesa e quando Etete nel 2009 ha deciso di venderla è entrato in campo il mediatore Obi e il suo referente italiano, Gianluca Di Nardo. Questi ha messo in pista Luigi Bisignani che ha contattato Paolo Scaroni. Per un lungo periodo fino al novembre del 2010 le trattative sono andate avanti tra Etete e l’Eni atraverso i due mediatori: il russo Ednan Agaev e il nigeriano Obi. L’affare alla fine però si è concluso con un altro schema. La concessione è stata ceduta a Eni non da Etete, che era accusato di averla ‘rubata’ al suo Governo, ma dal Governo Nigeriano stesso. Prima la Nigeria ha firmato una transazione con Etete per riprendersi la concessione e contestualmente l’ha girata all’ENI. La società italiana ha pagato esattamente la stessa cifra pattuita con la Malabu di Etete, a seguito delle trattative con la cordata Obi-Di Nardo-Bisignani: un miliardo e 92 milioni di dollari.
Il Governo nigeriano in più ha avuto dall’altra società petrolifera interessata all’affare con ENI, l’olandese Shell, un bonus di circa 200 milioni di dollari. Tutti questi particolari sull’affare sono divenuti di dominio pubblico grazie a una causa civile a Londra tra Malabu e le società dei suoi mediatori. Obi e Agaev hanno trascinato Malabu in giudizio rispettivamente a New York e Londra perché sono stati fatti fuori dall’affare. L’ex ministro Etete, ceduta la concessione e incassato il miliardo, non ha pagato i 200 milioni di dollari promessi ai due mediatori. Obi ha vinto la causa a luglio del 2013 davanti alla High Court londinese ottenendo il riconoscimento del diritto ad avere il 7,5 per cento dell’affare: 110,5 milioni. Le carte londinesi sono finite nel fascicolo dei pm De Pasquale e Spadaro. La sentenza descrive la trattativa Etete-Eni e il ruolo dell’allora direttore generale Eni Claudio Descalzi. In particolare il 4 febbraio 2010 all’hotel Principe di Savoia di Milano Descalzi partecipa a un incontro con Etete, Obi e Agaev, nella fase in cui Eni trattava ancora con Malabu.
Ovviamente De Scalzi non risulta indagato anche se è stato intercettato dalla Procura di Napoli mentre parlava di questo affare con Luigi Bisignani il 14 ottobre del 2010. “Eni ha ricevuto notizia – spiega al Fatto la società – dell’apertura di un’indagine da parte della Procura di Milano riguardo all’acquisizione del blocco OPL 245 in Nigeria da parte di Eni e Shell; la Procura ha richiesto la trasmissione di alcuni documenti. Eni dichiara la totale correttezza del proprio operato nella transazione in questione e assicurerà alla magistratura italiana la massima collaborazione. Eni ricorda che la concessione in questione denominata OPL 245 è stata assegnata a Eni e Shell dal Governo Nigeriano nel corso del 2011. I relativi accordi sono stati conclusi da Eni, senza l’ausilio di alcun intermediario ed unicamente con il governo Federale e Shell. Il pagamento del prezzo concordato è stato effettuato all’assegnazione del Blocco su un conto corrente vincolato a nome delGoverno Nigeriano presso una banca internazionale. Nessun accordo commerciale è stato raggiunto da Eni con la società Malabu”.