Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
venerdì 12 dicembre 2014
Il malaffare, l’"antipolitica" e le colpe di Napolitano. - Angelo Cannatà
Ci sono persone che amano essere venerate come divinità. Non sbagliano mai. Non hanno colpe. Possiedono la verità. Napolitano, per esempio. L’ultimo discorso mostra – come meglio non si potrebbe – questo stile di pensiero. I cortigiani plaudono. Il Presidente ha parlato. “L’ha detto lui”, dunque non può che essere vero. E’ lecito praticare – di fronte a tante certezze – l’esercizio del dubbio?
L’impressione, per dirla in modo chiaro, è che il testo letto all’Accademia dei Lincei contenga una forte carica di ambiguità. Vediamo.
Si parla della necessità di combattere il malaffare. Giusto. Venezia, Milano e “Mafia Capitale” fanno orrore e vedono coinvolti destra e sinistra. Dopodiché si additano come “patologia” coloro che negli scandali non sono coinvolti, non rubano, non sono collusi con la mafia. I conti non tornano. Vedere nei grillini una “patologia del sistema”, significa nascondere che non solo sono onesti ma restituiscono quanto gli spetta per legge. Ergo: il Presidente di fatto delegittima (come “antipolitica”), la forza parlamentare che lotta la corruzione, proprio mentre dice che la corruzione va combattuta. Protagora e Gorgia (insieme) non avrebbero fatto di meglio.
Il richiamo ai sofisti non è casuale. Perché i fatti, davvero, vengono stravolti con un gioco linguistico: a sentire Napolitano chi denuncia gli scandali “in realtà” li cavalca. Con un gioco di prestigio dialettico si cambiano i termini (e le carte in tavola), si fa sparire la verità e dal cilindro spuntano i 5Stelle – “patologia eversiva” – responsabili di tutti i mali d’Italia. Una favola. Alla quale non crede più nessuno.
Piuttosto. Visto che il Capo dello Stato riconosce, finalmente, le responsabilità di Renzi (“banditore di smisurate speranze”, “per giunta senza alcun ben determinato retroterra”), è lecito chiedere chi l’ha nominato/sostenuto/consigliato/guidato? Non sono sue – Presidente – le “smisurate speranze” nel segretario fiorentino e nel supertecnico Monti enella inflessibile Fornero, nell’inconcludente Letta? Non è responsabile anche lei del fallimento di una politica che – con ostinazione – ha tolto ai cittadini la possibilità di scegliersi un governo? Nessuna autocritica. Mai. È imbarazzante la certezza del Capo dello Stato.
Viene in mente Stirner. L’Unico. Benché provenga dalla tradizione marxista Re Giorgio adotta schemi e stili di pensiero che trascurano le cause economiche e sociali della crisi politica. Soprattutto: ha pensato di risolverla, la crisi, scrivendo il copione, dettando i tempi e dirigendo dalla cabina di regia. S’è sentito l’Unico in grado di capire e guidare il Paese. Intendiamoci. Che l’abbia guidato è incontestabile; che l’abbia anche capito e trovato soluzioni giuste – visto il fallimento – è un altro discorso. No. Napolitano non è stato un buon Presidente. E non va giudicato per le intenzioni (Kant), ma per le responsabilità (Weber): se il risultato delle sue scelte è un disastro non può chiamarsi fuori. Le smisurate (e mal riposte) speranze in progetti e uomini sbagliati fanno parte della storia del Presidente Giorgio Napolitano.
Infine. Il Nostro ritiene che il degrado sia frutto anche “d’infiniti canali di comunicazione, di giornali tradizionalmente paludati, opinion makers senza scrupoli”. I giornalisti. Ecco i responsabili: l’hanno tirato in ballo sulla trattativa Stato-mafia. Napolitano rifiuta l’evidenza: “lo Stato è sceso a patti dopo le stragi e oggi è ancora più succube delle organizzazioni criminali” (Ingroia). “Mafia Capitale” è figlia di un clima: di tolleranza e trattative, oltre che di squallidi interessi per il Dio denaro.
Se questo è il quadro – nonostante i banalizzatori (non solo Ferrara) – l’auspicio di Re Giorgio “di una larga mobilitazione collettiva” contro l’antipolitica è fuori dalla realtà: il Paese si mobilita, oggi, contro corrotti e corruttori; sta con chi non ruba e pensa, per intenderci, alla redistribuzione del reddito. Al salario di cittadinanza. Sarà un tema decisivo nelle prossime elezioni. Il popolo rivendica diritti. Ed ha superato – in larghi settori della società – la soglia minima di povertà. I cittadini votano guardando le proprie tasche vuote. E quelle, troppo piene, dei politici. Di quale mobilitazione va parlando Giorgio Napolitano? Per difendere chi?
http://temi.repubblica.it/micromega-online/il-malaffare-l%E2%80%99antipolitica-e-le-colpe-di-napolitano/
Leggi anche:
http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/12/11/pierfranco-pellizzetti-napilitano-anti-antipolitica-surreale/
giovedì 11 dicembre 2014
Salvò 669 bimbi durante l’Olocausto… e non sa che sono seduti al suo fianco.
Nicholas Winton organizzò un’operazione di salvataggio che mise in salvo le vite di 669 bimbi ebrei Cecoslovacchi dai campi di concentramento, trasferendoli al sicuro in Inghilterra negli anni 1938-1939.
Dopo la fine della guerra, i suoi sforzi rimasero sconosciuti fino a che nel 1988 la moglie trovò un quaderno del 1939 con la lista completa di nomi e foto dei bambini.
Questo è un estratto del video che ha ripreso Nicholas Winton inconsapevolmente seduto tra quegli stessi ebrei che aveva salvato 50 anni prima.
Trattativa, pm chiede condanna a 9 anni per Mannino. - Giuseppe Pipitone
È la prima richiesta di condanna in un procedimento sul Patto tra pezzi delle Istituzioni e Cosa Nostra. L’ex ministro democristiano ha scelto di essere processato con il rito abbreviato: e dopo tre udienze i pm Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia hanno concluso l’esposizione della requisitoria, formulando la richiesta di pena davanti al gup Marina Petruzzella.
Nove anni di carcere: è questa la richiesta di pena formulata dall’accusa per Calogero Mannino. L’ex ministro democristiano, imputato per la Trattativa Stato mafia. Mannino ha scelto di essere processato con il rito abbreviato: e dopo tre udienze i pm Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia hanno concluso l’esposizione della requisitoria, formulando la richiesta di pena davanti al gup Marina Petruzzella. È la prima richiesta di condanna dei pm di Palermo in un procedimento per il Patto tra pezzi delle Istituzioni e Cosa Nostra. Per l’accusa Mannino è l’uomo del prequel della Trattativa: finito nella black list di Totò Riina, che voleva punire i politici che non avevano mantenuto le promesse fatte ai boss, l’ex ministro prova ad aprire un contatto con Cosa Nostra per salvarsi la vita. Nella requisitoria i pm hanno ripercorso le varie fasi del quadro probatorio a carico di Mannino: dai contatti del Ros con Vito Ciancimino, alle dichiarazioni di Luciano Violante arrivate con vent’anni di ritardo, fino ai documenti prodotti da Ciancimino Junior.
Per i pm, le varie fasi dei contatti tra il Ros di Mario Mori e Giuseppe De Donno con Vito Ciancimino, “rappresentano in pieno il contributo morale e fattuale di Calogero Mannino“. I Ros avrebbero “agganciato” l’ex sindaco mafioso di Palermo su input di Mannino, terrorizzato per la condanna a morte emessa da Riina. È per questo che inizia la Trattativa: non per fermare le stragi ma per salvare la vita ad alcuni politici” aveva esordito Tartaglia.
“Oggi – continuava i pm nelle udienze precedenti il generale Mori e il colonnello De Donno parlano di raffinata operazione di polizia giudiziaria a proposito dei colloqui con l’ex sindaco Vito Ciancimino, nel 1992. Fino a ieri pomeriggio, l’ha ribadito in un’intervista il capitano Ultimo. Ma nel 1998 dicevano ben altro i carabinieri davanti ai giudici di Firenze, parlando esplicitamente di Trattativa”. Il riferimento è per l’udienza del 27 gennaio del 1998, davanti la corte d’assise di Firenze, quando Mori raccontò per la prima volta quei contatti con l’ex sindaco mafioso di Palermo. “Andammo da Ciancimino – disse Mori – e prendemmo il discorso: ormai c’è muro contro muro, ma non si può parlare con questa gente? Lui dice di si, si potrebbe, ci dice che è in condizioni di poterlo fare. Certo io non potevo dire signor Ciancimino mi faccia arrestare Riina e Provenzano. Gli dissi lei non si preoccupi, e lui capì volevamo sviluppare questa trattativa”.
Ad aggravare i rapporti tra il Ros è Ciancimino, è il fascicolo sull’ex sindaco trovato nell’archivio dell’Arma. “Lì non c’è un solo appunto, neanche criptato, sui colloqui fra i carabinieri e Ciancimino. Dall’aprile del 1992 a dicembre non c’è nulla. Poi, all’improvviso, il 18 dicembre, il giorno dell’arresto dell’ex sindaco compaiono degli articoli dei giornali” ha detto Tartaglia.
Importantissime, per il pm “le testimonianze che ad un certo punto importanti esponenti istituzionali hanno ritenuto di consegnare all’autorità giudiziaria, vent’anni dopo i fatti: una sorta di operazione di recupero della memoria“. Primo anello della catena, l’onorevole Luciano Violante, che “poco dopo le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, e dopo tanti anni dai fatti accaduti, parla con la procura, raccontando di essere stato avvicinato da Mario Mori nell’autunno del 1992″. In tutti questi incontri, Mori chiede a Violante, se per caso l’allora presidente della commissione antimafia fosse interessato a “incontrare Vito Ciancimino“. Un racconto, ha sottolineato il pm, che arriva solo 20 anni dopo. “Il dato importante – ha spiegato il pm – è che Mori non comunica quella volontà all’autorità giudiziaria, segno che la sua è un’attività politica non giudiziaria”. Mandante dei carabinieri sarebbe stato proprio Mannino, che nel maggio del 1992 veniva monitorato da Giovanni Brusca. “Feci dei sopralluoghi sia a Palermo che a Sciacca (città d’origine del politico)” ha raccontato il collaboratore di giustizia. Poi Mori e De Donno iniziano a incontrare Ciancimino, a discutere di papello: e la condanna a morte per Mannino viene annullata.
A chiedere la condanna di Mannino, anche l’avvocatura dello Stato, il Partito Rifondazione Comunista e il comune di Palermo, che si sono costituiti parte civile. L’avvocato Giovanni Airò Farulla, che rappresenta il comune palermitano, ha chiesto un milione di euro come risarcimento danni all’ex ministro.
Piccoli geni | William James Sidis, il più intelligente di sempre.
Nato nel 1898 a New York, Sidis è tuttora considerato la persona più intelligente mai esistita. Laureatosi con lode a 16 anni, insegnò tre materie scientifiche per poi ritirarsi nell'anonimato dopo l'arresto e l'internamento psichiatrico voluto dal padre.
William James Sidis, nato a New York il 1º aprile 1898, è considerato ancora oggi il più intelligente di sempre. Il sui QI, infatti, è risultato essere il più alto, avendo totalizzato 254 /300 punti. Fin dai primi mesi della sua vita, Sidis mostrò uno sviluppo intellettivo incredibilmente precoce. A sei mesi il piccolo William già cominciò a parlare, a un anno parlava perfettamente, a 18 mesi leggeva il quotidiano, a quattro anni parlava latino, a otto anni aveva già scritto quattro libri, tra cui uno di anatomia e uno di geometria. Il percorso di Sidis diventava sempre più accidentato. Il giovane bruciava le tappe, tanto che ad 8 anni aveva capacità matematiche superiori a quelle del padre, a sua volta considerato un genio. Sempre a questa età superò i test di ammissione per l’Università di Harvard, a cui fu costretto a rinunciare perché troppo piccolo. Due anni dopo, invece, viene ammesso e il 18 giugno 1914 ottiene la laurea con lode in lettere. Nonostante la laurea in lettere, Sidis cominciò ad insegnare tre materie scientifiche: geometria euclidea (per la quale scrisse una dispensa in greco), geometria non-euclidea e trigonometria.
La situazione familiare precipitò: i rapporti con il padre si fecero sempre più tesi, ma il punto di rottura, probabilmente, venne raggiunto nel momento in cui, partecipando ad una manifestazione operaia del primo maggio 1919, venne arrestato dopo degli scontri. La notizia ebbe ampia risonanza, William si dichiarò socialista e non credente, mentre l’accusa lo indicò come responsabile dei disordini, chiese 18 mesi di reclusione e riuscì ad imporre una cauzione di 5000 dollari (pagati dall’amico Leverett Saltonstall. Grazie all’intervento del padre che trovò un accordo con il giudice, il caso venne archiviato. Dopo l’evento i genitori – il padre era uno stimato psichiatra – lo fecero internare di forza in una clinica psichiatrica di loro proprietà. I rapporti tra William e il padre si ruppero definitivamente e portarono il giovane genio ad allontanarsi, a condurre una vita “normale” come impiegato.
Morì per emorragia cerebrale all’età di 46 anni nel 1944. Si racconta che parlasse correttamente 40 lingue e che fosse capace di impararne una in tre giorni. Mentre svolgeva la sua vita ordinaria, Sidis continuava a scrivere: furono ritrovati libri di fantascienza, scientifici e romanzi in casa sua e in quella di amici, mentre scrisse sotto pseudonimo sul Boston ben 89 articoli. Nel libro “Mondo animato e mondo inanimato” (1920) anticipa il concetto di “buco nero”. Il gran numero di frontespizi ritrovati fa pensare ragionevolmente che i libri venuti alla luce non siano che una piccola parte di tutta la produzione di Sidis.
http://scienze.fanpage.it/piccoli-geni-william-james-sidis-il-piu-intelligente-di-sempre/
Galatolo, vertice tra procure sul ruolo di “Faccia da mostro”. - Giuseppe Pipitone e Sandra Rizza
Alla riunione, convocata martedì pomeriggio dalla Dna, i magistrati di Palermo, Caltanissetta, Catania e Reggio Calabria per uno scambio di informazioni sulle rivelazioni del neo-pentito dell’Acquasanta. Sul tavolo, anche le indagini sul killer dal volto sfigurato che avrebbe partecipato ad alcuni tra i più efferati delitti di Cosa nostra.
Un vertice investigativo tra i magistrati della procura di Palermo, Catania, Caltanissetta e Reggio Calabria per discutere delle ultime rivelazioni del pentito Vito Galatolo, il picciotto dell’Acquasanta che ha svelato il piano di morte per Nino Di Matteo. All’incontro, convocato martedì pomeriggio dalla Procura nazionale antimafia, erano presenti per la prima volta i magistrati della Dda reggina competente sul tratto di mare in fondo al quale giace il mercantile ‘’Laura Cosulich’’, affondato durante la seconda guerra mondiale al largo delle Saline Joniche: una parte del tritolo che doveva essere utilizzato a Palermo per eliminare Di Matteo potrebbe, infatti, provenire dalle stive del relitto, dal quale già nel maggio scorso i sommozzatori della polizia recuperarono 24 chili di esplosivo.
Sul tavolo del vertice organizzato per il periodico scambio di informazioni tra gli organi inquirenti, c’erano anche le rivelazioni che Galatolo avrebbe reso ai pm di Palermo e Caltanissetta su ‘’Faccia da Mostro’’, il killer dal volto sfigurato, con in tasca la tessera da 007, che avrebbe partecipato ad alcuni dei delitti più eclatanti di Cosa nostra, tra gli anni Ottanta e Novanta. L’uomo è stato identificato in Giovanni Aiello, dirigente della polizia in servizio a Palermo negli anni Settanta, attualmente in pensione e residente nel comune di Montauro, in provincia di Catanzaro, per mesi indagato da tutte e quattro e procure.
‘’E’ lui. E’ l’uomo che veniva utilizzato come sicario in affari che dovevano restare ‘’riservati’’ – ha detto nel giugno scorso Giovanna Galatolo, la sorella di Vito, pentita da circa un anno, riconoscendo l’ex poliziotto in un confronto all’americana- tutti i miei parenti lo chiamavano lo sfregiato, sapevo che viaggiava sempre tra Palermo e Milano, si incontrava sempre in vicolo Pipitone, con mio padre, con mio cugino Angelo e con Francesco e Nino Madonia’’.
Una testimonianza, quella della donna, che in un primo momento era stata accolta con prudenza dagli inquirenti ma che ora, dopo le nuove rivelazioni del fratello, potrebbe trovare un ulteriore riscontro. Secondo alcune indiscrezioni, infatti, Vito (figlio del boss dell’Acquasanta Vincenzo Galatolo) avrebbe raccontato nei giorni scorsi ai pm siciliani alcuni particolari sulle attività di ‘’Faccia da Mostro’’, appresi dal padre. Tra queste, il ruolo che il killer avrebbe avuto nel fallito attentato all’Addaura, sulla scogliera davanti alla villetta di Giovanni Falcone, nel giugno dell’89, e nell’omicidio del poliziotto Nino Agostino, ucciso a Palermo il 5 agosto dello stesso anno. Tra l’altro, il padre dell’agente assassinato, Vincenzo Agostino, durante una puntata della trasmissione ‘’Servizio Pubblico’’, riconobbe in Aiello il sicario a cavallo tra Stato e mafia che si era recato in casa sua due giorni prima dell’agguato, a chiedere informazioni sulla vittima.
A tirare in ballo ‘’Faccia da Mostro’’, non sono soltanto i Galatolo, ma anche un boss come Nino Lo Giudice, detto il ‘’Nano’’, capo di una cosca calabrese ritenuta da sempre in contatto con i servizi, che prima di ritrattare quanto aveva raccontato agli inquirenti da collaboratore di giustizia, aveva indicato Aiello come un killer spesso in azione al fianco di una donna, una certa Antonella, chiamata ‘’la segretaria’’. ‘’Tutti e due – aveva detto Lo Giudice – facevano parte dei servizi deviati dello Stato e la donna era stata ad Alghero in una base militare dove la fecero addestrare per commettere attentati e omicidi’’. Versione confermata da Giuseppe Maria Di Giacomo, esperto killer del clan catanese dei Laudani, collaboratore di giustizia il cui nome figura nell’elenco degli otto mafiosi detenuti contenuto nell’appunto denominato ‘’Farfalla’’. Di Giacomo, insieme a boss di prima grandezza come lo stragista Fifetto Cannella, sarebbe stato il destinatario di un’offerta di denaro in cambio di informazioni riservate, nell’ambito del patto stilato nel 2003 tra il Sisde di Mario Mori e il Dap di Gianni Tinebra, oggetto del processo sulla Trattativa Stato-mafia.
Anche Luigi Ilardo, il boss mafioso che il colonnello Michele Riccio aveva infiltrato tra i fedelissimi di Bernardo Provenzano, prima di finire ucciso il 10 maggio 1996, aveva fatto cenno ad uno 007 col volto sfigurato: ‘’Noi – aveva detto- sapevamo che c’era un agente a Palermo che faceva cose strane e si trovava sempre in posti strani. Aveva la faccia da mostro, siamo venuti a sapere che era anche nei pressi di Villagrazia quando uccisero il poliziotto Agostino’’.
La scorta di Napolitano.
Il corteo presidenziale sfila per le vie di Roma in occasione del 2 Giugno 2014, Festa della Repubblica.
La dice lunga sugli scrupoli di coscienza che lo attanagliano, se avesse la coscienza pulita camminerebbe a piedi tra i cittadini che lui dovrebbe rappresentare.
mercoledì 10 dicembre 2014
Di Battista (M5S): Ballarò "Renzi è la faccia nuova di un sistema marcio"
Semplice, comprensibile, lineare, eccezionale!
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