È la prima richiesta di condanna in un procedimento sul Patto tra pezzi delle Istituzioni e Cosa Nostra. L’ex ministro democristiano ha scelto di essere processato con il rito abbreviato: e dopo tre udienze i pm Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia hanno concluso l’esposizione della requisitoria, formulando la richiesta di pena davanti al gup Marina Petruzzella.
Nove anni di carcere: è questa la richiesta di pena formulata dall’accusa per Calogero Mannino. L’ex ministro democristiano, imputato per la Trattativa Stato mafia. Mannino ha scelto di essere processato con il rito abbreviato: e dopo tre udienze i pm Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia hanno concluso l’esposizione della requisitoria, formulando la richiesta di pena davanti al gup Marina Petruzzella. È la prima richiesta di condanna dei pm di Palermo in un procedimento per il Patto tra pezzi delle Istituzioni e Cosa Nostra. Per l’accusa Mannino è l’uomo del prequel della Trattativa: finito nella black list di Totò Riina, che voleva punire i politici che non avevano mantenuto le promesse fatte ai boss, l’ex ministro prova ad aprire un contatto con Cosa Nostra per salvarsi la vita. Nella requisitoria i pm hanno ripercorso le varie fasi del quadro probatorio a carico di Mannino: dai contatti del Ros con Vito Ciancimino, alle dichiarazioni di Luciano Violante arrivate con vent’anni di ritardo, fino ai documenti prodotti da Ciancimino Junior.
Per i pm, le varie fasi dei contatti tra il Ros di Mario Mori e Giuseppe De Donno con Vito Ciancimino, “rappresentano in pieno il contributo morale e fattuale di Calogero Mannino“. I Ros avrebbero “agganciato” l’ex sindaco mafioso di Palermo su input di Mannino, terrorizzato per la condanna a morte emessa da Riina. È per questo che inizia la Trattativa: non per fermare le stragi ma per salvare la vita ad alcuni politici” aveva esordito Tartaglia.
“Oggi – continuava i pm nelle udienze precedenti il generale Mori e il colonnello De Donno parlano di raffinata operazione di polizia giudiziaria a proposito dei colloqui con l’ex sindaco Vito Ciancimino, nel 1992. Fino a ieri pomeriggio, l’ha ribadito in un’intervista il capitano Ultimo. Ma nel 1998 dicevano ben altro i carabinieri davanti ai giudici di Firenze, parlando esplicitamente di Trattativa”. Il riferimento è per l’udienza del 27 gennaio del 1998, davanti la corte d’assise di Firenze, quando Mori raccontò per la prima volta quei contatti con l’ex sindaco mafioso di Palermo. “Andammo da Ciancimino – disse Mori – e prendemmo il discorso: ormai c’è muro contro muro, ma non si può parlare con questa gente? Lui dice di si, si potrebbe, ci dice che è in condizioni di poterlo fare. Certo io non potevo dire signor Ciancimino mi faccia arrestare Riina e Provenzano. Gli dissi lei non si preoccupi, e lui capì volevamo sviluppare questa trattativa”.
Ad aggravare i rapporti tra il Ros è Ciancimino, è il fascicolo sull’ex sindaco trovato nell’archivio dell’Arma. “Lì non c’è un solo appunto, neanche criptato, sui colloqui fra i carabinieri e Ciancimino. Dall’aprile del 1992 a dicembre non c’è nulla. Poi, all’improvviso, il 18 dicembre, il giorno dell’arresto dell’ex sindaco compaiono degli articoli dei giornali” ha detto Tartaglia.
Importantissime, per il pm “le testimonianze che ad un certo punto importanti esponenti istituzionali hanno ritenuto di consegnare all’autorità giudiziaria, vent’anni dopo i fatti: una sorta di operazione di recupero della memoria“. Primo anello della catena, l’onorevole Luciano Violante, che “poco dopo le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, e dopo tanti anni dai fatti accaduti, parla con la procura, raccontando di essere stato avvicinato da Mario Mori nell’autunno del 1992″. In tutti questi incontri, Mori chiede a Violante, se per caso l’allora presidente della commissione antimafia fosse interessato a “incontrare Vito Ciancimino“. Un racconto, ha sottolineato il pm, che arriva solo 20 anni dopo. “Il dato importante – ha spiegato il pm – è che Mori non comunica quella volontà all’autorità giudiziaria, segno che la sua è un’attività politica non giudiziaria”. Mandante dei carabinieri sarebbe stato proprio Mannino, che nel maggio del 1992 veniva monitorato da Giovanni Brusca. “Feci dei sopralluoghi sia a Palermo che a Sciacca (città d’origine del politico)” ha raccontato il collaboratore di giustizia. Poi Mori e De Donno iniziano a incontrare Ciancimino, a discutere di papello: e la condanna a morte per Mannino viene annullata.
A chiedere la condanna di Mannino, anche l’avvocatura dello Stato, il Partito Rifondazione Comunista e il comune di Palermo, che si sono costituiti parte civile. L’avvocato Giovanni Airò Farulla, che rappresenta il comune palermitano, ha chiesto un milione di euro come risarcimento danni all’ex ministro.
Nessun commento:
Posta un commento