mercoledì 24 giugno 2015

C’è un’Atlantide in Egitto. Splendori della città sommersa. - Aristide Malnati



La Stele di Naucratis, sulla quale viene menzionata la città di Heracleion/Thonis.

Trovati vicino ad Alessandria i resti di Heracleion: forse ispirò Platone. L'archeologo Frank Goddio: "Le ricchezze e l'impianto urbanistico corrispondono al mito"

E SE ATLANTIDE fosse in Egitto? Precisamente alla foce del Nilo sul Mar Mediterraneo, presso il cosiddetto braccio canopico? A suggerire questa nuova, avvincente ipotesi della misteriosa città scomparsa, sede delle civiltà ideale raccontata da Platone nei dialoghi “Crizia” e “Timeo”, sono i risultati dell’esplorazione sistematica ad opera di un’équipe di archeologi francesi dei fondali davanti ad Abuqir, a 20 km a est di Alessandria d’Egitto. A guidarli è Frank Goddio, forte di studi storici, ma soprattutto avventuroso scopritore di tesori in mezzo mondo, ad iniziare da un galeone spagnolo carico di dobloni d’oro nel Mar cinese meridionale.
Questa volta l’esplorazione è fatta secondo i crismi della scienza, con strumenti avveniristici; e i risultati non si sono fatti attendere: gli esperti hanno identificato i resti di un antico e magnifico abitato, parzialmente coperto dalla sabbia e dalle alghe. La lettura delle tracce degli edifici ha permesso una mappatura dell’intero assetto urbano, dell’intrico di vie, piazze, santuari, templi e monumenti sontuosi: il palazzo dei governatori e naturalmente il porto con l’arsenale e i vari mercati per le merci. Non vi sono più dubbi: si tratta di quel che rimane di Heracleion, la Thonis dell’Antico Egitto, fiorente centro commerciale, strategico per la posizione, che collegava il Nilo col Mar Mediterraneo.
Da qui transitavano raffinati prodotti di ogni tipo: «Ad esempio navi con importanti carichi di vino pregiato, come il famoso rosso di Cipro, che faceva bella mostra sulle tavole imbandite dei faraoni e le cui tracce sono state trovate in anfore sepolte nella tomba di Tut Ankh Amon – racconta Goddio – Heracleion rimase snodo commerciale fino al VI secolo d. C. Sappiamo che Cleopatra faceva arrivare qui le navi con i profumi di Cipro».
L’ÉQUIPE francese ha identificato anfore e giare per vino e olio, preziose ampolle per profumi, boccette e scatolette in ceramica e alabastro per il trucco. Le regine e le bellissime fanciulle di Heracleion tornano così a sedurre in tutta la loro bellezza, mentre l’assetto urbano si precisa campagna dopo campagna: ecco il tempio principale, dedicato a Khonsu, divinità lunare, signore dell’aria e delle tempeste, che i greci associarono a Eracle per la sua potenza, ma che rispetto a Eracle pronunciava (tramite il suo sacerdote) oracoli, fonte di preziosi consigli per naviganti in procinto di affrontare il mare ignoto.
Goddio ha poi identificato (e ricostruito fedelmente grazie alla computer grafica) anche il santuario del dio Amon, sede dei misteri di Osiride: i reperti ritrovati sul fondale, tra cui un’ampia lamina in oro con scrittura in geroglifico, rivelano che qui in particolare durante il regno di Nectanebo I (dal 380 al 362 a. C.) la barca di Osiride, dio degli inferi, veniva portata in processione tra ali di fedeli devoti.
ERANO carichi di offerte di fiori e frutta per ingraziarsi la divinità più importante del vasto pantheon egizio. E non ha più misteri nemmeno il palazzo del potere, sede di governatori e nobili senza scrupoli, favoriti dal faraone stesso. Sofisticate apparecchiature hanno permesso di ridisegnare con sorprendente precisione i viali di sfingi, che portavano a questa specie di reggia, e di ridefinire le stanze delle riunioni e le camere da letto, alcove per amori proibiti tra i governatori e le loro amanti, che, raccontati da fonti dell’epoca, ora trovano conferma.
Ebbene, dalla ricostruzione di Heracleion si ricava la presenza di cinte murarie concentriche, di templi, che potrebbero essere stati a un certo punto dedicati dai commercianti greci a Poseidone e a Zeus, di un palazzo con mura turrite (le cui basi si leggono ancora), un porto protetto su tre lati.
TUTTE caratteristiche molto simili all’Atlantide immaginata da Platone, sicuramente influenzato da modelli reali. E il principale potrebbe essere stato proprio Heracleion, la cui ricchezza è testimoniata dalle centinaia di statue in granito o in calcare di sovrani, regine, divinità, sfingi ritrovate; per non parlare di capitelli e colonne di fine fattura artistica, di rivestimenti in marmo dei palazzi, di centinaia di monete, gioielli, manufatti pregiati, monili preziosi in arrivo su carichi opulenti da tutto il Mediterraneo. «Potrebbe essere davvero Heraclion la fonte di Platone per Atlantide. Tanto più che un modello urbano egizio sarebbe più credibile, vista l’ammirazione del filosofo greco per l’antica civiltà dei faraoni», conclude Goddio.

martedì 23 giugno 2015

Sanità Lombardia: appalti milionari, poca sicurezza. Il lato oscuro della privacy digitale. - Thomas Mackinson

Sanità Lombardia: appalti milionari, poca sicurezza. Il lato oscuro della privacy digitale

Esami, patologie, ricette e medicine. Tutte le informazioni sulla nostra salute finiscono nei centri di calcolo delle Regioni che poi affidano la protezione dei dati sensibili (a peso d'oro) a ditte private. Un documento riservato di Lombardia Informatica rivela i rischi e le incognite di questo business. Dalla perizia emergono 56 "non conformità" agli obblighi di legge in materia di tutela dei dati. Il fornitore, che da dieci anni gestisce il servizio in solitaria, incassa però 600mila euro al mese.

Spendono 600mila euro al mese per proteggere la loro privacy. Alla prima verifica però, i lombardi scoprono che “non si ha evidenza dell’adozione di misure di sicurezza minime presso i fornitori”. E’ quanto si legge in un documento esclusivo, una minuziosa perizia delle misure di prevenzione che Lombardia Informatica, società in house di Regione Lombardia, utilizza per custodire i dati sanitari di 10 milioni di cittadini. La relazione è uscita dal perimetro della società a capitale regionale e alza il velo su quel che può riservare agli italiani la frontiera della digitalizzazione della sanità pubblica, quella che trasforma in dato elettronico l’operazione alla cistifellea, l’assunzione del farmaco retrovirale o la prenotazione di una tac.
Mentre facciamo esami, veniamo ricoverati o doniamo il sangue – senza quasi accorgercene – lasciamo dietro di noi una piccola miniera di informazioni digitali, beni “intangibili” per legge che possono trasformarsi in valuta sonante nelle mani di chi può farne commercio, mettendole magari a disposizione di società di assicurazioni, grandi cliniche e case farmaceutiche. Nel cosiddetto “deep web” quelle informazioni vengono già vendute a pacchetto, con tanto di tariffario: cinque euro per un’identità digitale generica, il doppio se completa di informazioni sanitarie come il codice di patologia (diagnosis code) o dati relativi al trattamento farmacologico. Da tempo la magistratura e il Garante della Privacy hanno concentrato la loro attenzione sul rischio di traffici illeciti di dati sanitari.
Anche senza scomodare i pirati informatici però ci sono dei rischi: quando ad esempio il sistema informativo socio-sanitario digitalizzato manifesta al suo interno falle tali da esporre – anche involontariamente – le informazioni sullo stato di salute dei cittadini. Ed è il rischio che si è corso in Lombardia, la regione che voleva essere alla testa della rivoluzione bit-sanitaria e finisce invece per porre con più urgenza che mai il tema della corretta conservazione dei dati sensibili degli italiani. Proprio la Lombardia infatti, insieme a Emilia e Veneto, si è offerta di validare le specifiche di dettaglio per l’interoperabilità dei sistemi regionali del “Fascicolo sanitario elettronico”, la cartella sanitaria virtuale che a regime dovrà custodire le informazioni cliniche e sanitarie di tutti gli assistiti dal SSN, compresi 100 miliardi di documenti clinici che produce ogni anno e 600 milioni di ricette dell’assistenza farmaceutica convenzionata. Il punto è: siamo sicuri?
Torniamo al documento riservato. Riporta, come detto, i risultati dell’audit interna che Lombardia Informatica (LISpa) ha commissionato a una società esterna per verificare se il fornitore cui affida i servizi informatici lo fa nel rispetto degli adempimenti previsti dalla legge (D. Lgs 196/2003) e dal Testo unico sulla Privacy. Si tratta di Santer, società del gruppo Reply Spa, colosso nazionale del settore con 10 sedi in Italia e 16 all’estero e un fatturato consolidato di 632 milioni di euro. Una parte rilevante degli utili arriva proprio da Regione Lombardia che dal 2005, tramite gara, gli affida il servizio di rilevazione e gestione della spesa farmaceutica. Al costo, per il contribuente, di circa 600mila euro al mese.
L’accertamento è scattato solo nel 2014 sull’ultimo contratto di servizio che copre il quadriennio 2012-2015. L’incarico va a Deloitte che, a sua volta, si avvale dell’isra​e​liana Maglan EuropeSrl, società specializzata nella simulazione di attacchi informatici. Con quali esiti? In una nota Lombardia Informatica assicura che “i dati sensibili dei cittadini lombardi sono in sicurezza” e invita ad agire “con la massima responsabilità nel dare informazioni in merito a presunte carenze rispetto agli standard di privacy e sicurezza, onde evitare ingiustificati allarmi”. Le “presunte carenze” però, documenti alla mano, consistono in 56 “non conformità” in ordine alle soluzioni organizzative, amministrative e tecniche adottate a tutela dei dati trattati. Alcune così gravi da dovervi porre rimedio “immediatamente”. Leggiamole. “Non si ha evidenza dell’adozione di misure di sicurezza minime presso i fornitori”, viene indicato a proposito delle garanzie di riservatezza dei dati processati e custoditi all’interno del Centro Elaborazione Dati di Lombardia Informatica.
Leggiamo oltre: “Non si ha evidenza dell’esecuzione di un’analisi di rischi (…) Non è stato rilevato un processo strutturato di sviluppo del software che preveda tutte le fasi volte a garantire la sicurezza (…) Non vengono definite procedure e controlli per verificare la presenza di codice potenzialmente dannoso o vulnerabile nelle applicazioni”. Falle tecnologiche, ma non solo. L’audit ne rileva altre​, ascrivibili al fattore umano e organizzativo: “Le responsabilità gestionali vengono gestite in maniera informale con il coinvolgimento del personale sistemistico che opera nell’ambito tecnologico (…) Viene rilevata assenza di separazione di responsabilità tra chi opera in produzione e in ambienti di sviluppo test”. Tanto più che “I dati utilizzati dal software nell’ambiente di sviluppo e test sono una copia dei dati di produzione e contengono dati personali reali (…)”. Non è un dettaglio, visto che “Le utenze con relative password per l’accesso ai DB sono risultate vulnerabili a semplici attacchi” e dunque decifrate e “rese leggibili in chiaro”.
Insomma, ce n’è da far drizzare i capelli al Garante al quale però Regione Lombardia – titolare del trattamento dei dati – non risulta abbia mai inviato l’esito della verifica. Il documento potrebbe interessare anche le Procure, visto che la legislazione vigente assimila le inadempienze nella tutela dei dati sensibili a veri e propri reati (D.Lgs 196/2003). E invece è rimasto nel cassetto e il contratto da 7 milioni di euro l’anno, nel frattempo, non è stato rescisso dall’ente pubblico. “Per non interrompere il servizio”, spiega una nota della società. Sulla decisione, probabilmente, ha inciso anche la vicinanza ​de​lla naturale scadenza, fissata al 31 dicembre 2015. LISpa concede così al suo fornitore il beneficio di un ravvedimento operoso: un piano di rimedio per “procedere senza indugio alla rimozione delle vulnerabilità di livello alto e critico riscontrate”.
Lo fa consapevole della gravità della situazione, tanto da cautelarsi ​al tempo stesso ​su eventuali e futuri rischi, ricordando al fornitore che nel contratto si è impegnato a “manlevare e tenere indenne LISpa da tutte le conseguenze derivanti a eventuale inosservanza delle norme vigenti, ivi incluse le prescrizioni tecniche, di sicurezza, di igiene e sanitarie…”. Nella nota LISpa precisa anche che i costi dell’audit, circa 30mila euro, “sono stati integralmente riaddebitati al fornitore”. Ma è una magra consolazione. La penalità non cancella il fatto che per lungo tempo i dati sanitari dei cittadini siano stati esposti al rischio di vulnerabilità esterne e interne, come si legge nella documentazione. E’ successo con certezza documentale dal 2012 al 2015,  forse anche nei sei anni precedenti di affidamento del servizio. E non basta certo la penale a sollevare i dubbi sulla via italiana alla digitalizzazione sanitaria. Quella che promette di semplificarci la vita e ridurre i costi del servizio, ma che imbarca anche rischi e ombre per i quali non ci sono ricette né cure, ma solo bende.

Gli anelli di Saturno. - Damian Peach



Gli anelli di Saturno da diverse angolazioni, su Saturno, gli anelli indicano la stagione. 

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lunedì 22 giugno 2015

Pensioni, il decreto del governo modifica in negativo la rivalutazione dei contributi. - Franco Mostacci

Pensioni, il decreto del governo modifica in negativo la rivalutazione dei contributi

Secondo l'esecutivo nessuno perderà nulla nel 2015, ma dal 2016 i lavoratori che hanno versato 200.000 euro ne perderanno circa 1.000. Alla Camera è stato depositato un documento firmato da Pd, Fi, M5s, Misto ed ex 5Stelle per tornare indietro.


La riforma Dini delle pensioni, la legge 335 del 1995, segnò uno spartiacque generazionale tra i lavoratori più anziani, che potevano continuare a beneficiare del sistema di calcolo retributivo (più favorevole), e quelli più giovani che, invece, passarono al contributivo (più penalizzante). Per questi ultimi, l’ammontare della pensione è proporzionale ai contributi versati mese dopo mese nell’arco dell’intera vita lavorativa.
La crescente precarizzazione del lavoro e le difficoltà a trovare un’occupazione stabile e duratura, hanno reso ancora più incerte le prospettive future di poter incassare un assegno pensionistico che garantisca l’autosufficienza. Ciascun lavoratore accantona ogni anno a fini pensionistici una parte del suo reddito lordo imponibile, che si va a cumulare con quanto versato negli anni precedenti, costituendo il cosiddetto montante contributivo, una somma che cresce nel tempo. Il legislatore ha pensato anche alla capitalizzazione di tale montante, ovvero all’adeguamento del suo valore nel corso del tempo. Il meccanismo prevede che il “tasso annuo di capitalizzazione è dato dalla variazione media quinquennale del prodotto interno lordo (Pil) nominale, appositamente calcolata dall’Istat, con riferimento al quinquennio precedente l’anno da rivalutare”. Il tasso di capitalizzazione, che nel 1997 era del 5,6% si è progressivamente ridotto a causa della bassa crescita dell’economia italiana e della ridotta inflazione.
La diminuzione del 3,5% del Pil nominale avvenuta nel 2009 (governo Berlusconi) ha creato un serio problema, considerato che il tasso di capitalizzazione per il 2014, che ha effetto per le pensioni da liquidare nel 2015, è pari a 0,998073. Per la prima volta, quindi, il montante contributivo accumulato dai lavoratori diminuirebbe. L’interpretazione della norma è, però, tutt’altro che chiara. Poiché la legge parla di “anno da rivalutare” è impensabile che si possa applicare un coefficiente inferiore a uno. A novembre scorso l’Inps (allora guidata dal commissario straordinario Treu) ha chiesto lumi al governo che, pochi giorni fa, con il Decreto legge 65 del 2015, recante “disposizioni urgenti in materia di pensioni, ammortizzatori sociali e garanzie sul Tfr”, emanato per venire (seppur di poco) incontro alla sentenza della Consulta, ha risolto – a modo suo – il problema. Alla legge Dini del 1995 è stato aggiunto un comma in cui si precisa che “il coefficiente di rivalutazione del montante contributivo… non può essere inferiore a uno, salvo recupero da effettuare sulle rivalutazioni successive”. La relazione tecnica di accompagnamento afferma che “la disposizione è finalizzata a scongiurare la perdita di valore dei trattamenti pensionistici che deriverebbe dalla svalutazione dei montanti contributivi accumulati dai lavoratori”. Nulla di più falso. I coefficienti ricavabili dalle stime del Pil (0,998073 per il 2014 e 1,005331 per il 2015), sono stati modificati per decreto aumentando a 1 il primo e riducendo a 1,003394 il secondo. Considerando un ipotetico lavoratore che ha accumulato un montante contributivo di 200 mila euro e versa 10 mila euro all’anno di accantonamenti per la pensione, ci troviamo di fronte a tre possibili scenari.
Se il governo, nel rispetto del principio di rivalutazione originariamente contenuto nella Legge Dini, avesse optato per una soluzione di buon senso riportando a 1 il coefficiente 2014 senza ridurre quello dell’anno successivo, il lavoratore avrebbe potuto contare alla fine del periodo su una somma pari a 221.120 euro. Se si applicassero i coefficienti effettivi il montante scenderebbe a 220.732 euro. Con quelli del decreto il valore si riduce addirittura a 220.712 euro. In buona sostanza, a parte coloro che stanno per andare in pensione e ai quali lo Stato non farà in tempo a effettuare il recupero, tutti gli altri lavoratori subiranno un danno economico, in quanto il montante contributivo non si rivaluta adeguatamente. Un camouflage legislativo che fa passare per onerosa (circa 12 milioni di euro) un’operazione che, invece, porterà futuri risparmi nelle casse dello Stato, superiori a quelli che si sarebbero comunque conseguiti senza alcun intervento. Un gioco delle tre carte, quello del duo Renzi-Padoan, che a conti fatti determina una ingiusta penalizzazione per i lavoratori. Talmente ingiusta che ieri è stato depositato in commissione Lavoro alla Camera – dove il dl è in discussione – un emendamento per tornare indietro, firmato dal Pd, ma anche da Fi, M5s, Misto ed ex 5Stelle.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06/20/pensioni-il-decreto-del-governo-modifica-in-negativo-la-rivalutazione-dei-contributi/1795185/

Non ho ancora capito dove voglio andare a parare o a farci sbattere. Qui si sta portando avanti un gioco al massacro dal quale non credo che ne usciremo in buona salute.

L’Italia che sa vivere solo in emergenza. - Bruno Manfellotto

L’Italia che sa vivere solo in emergenza

Nelle situazioni estreme diamo il meglio di noi. Finita la corsa per aprire decentemente l’Expo, 
si riapre un fronte antico: quello dei conti pubblici.


Dunque le lacrime della prof Elsa Fornero ci costeranno quattro anni dopo una decina di miliardi (16 secondo Vincenzo Visco). Il groppo in gola, mentre la ministra pro tempore spiegava la riforma pensionistica, arrivò in diretta tv, la sera di domenica 4 dicembre 2011, alla parola «sacrificio», cioè l’azzeramento dell’indicizzazione al costo della vita delle pensioni superiori ai 1443 euro. Già allora molti temevano che la norma fosse incostituzionale, alcuni ne erano convinti, ma davvero la ministra pro tempore non poteva fare altrimenti, e meno male che lo fece: l’Italia rischiava il default, la fine della Grecia, già si immaginavano i cavalli della Troika abbeverarsi alle fontane di piazza Navona, a un passo dal Senato. E il governo Monti tagliò, tecnicamente, per evitare il commissariamento. Si era in emergenza. Come sempre.

Sì, il bel paese vive in perenne emergenza e solo quando questa incombe, esso si agita si industria si muove risolve. E talvolta riesce pure a dare il meglio di sé. Solo che emergenza chiama altra emergenza. La bocciatura della Corte costituzionale, per esempio, ha cancellato d’un colpo il sogno di attingere al tesoretto di 1,6 miliardi, nascosto nelle pieghe del bilancio pubblico, che Matteo Renzi avrebbe voluto destinare ai redditi più bassi e agli ammortizzatori sociali, riedizione corretta degli 80 euro in busta paga di un anno fa. Ma dieci (o 16?) miliardi sono tanti, due volte il gettito Imu sulla prima casa e più, assai difficili da trovare, e il buco costringerà il governo a una dura legge finanziaria - d’emergenza - e a riaprire le trattative con l’Ue sul contenimento del debito. Altro che avviare un piano Obama.

Anche l’EXPO, si sa, è stato realizzato in emergenza. E a caro prezzo. La corsa finale e un bel po’ di lavori aggiuntivi hanno fatto lievitare i costi: per il Padiglione Italia erano stati messi in conto 63 milioni, ne sono stati spesi 92; per la Piastra, la spina dorsale dell’Expo, il preventivo diceva 165 milioni, non ne basteranno 200; per rispettare l’investimento pubblico di 1,3 miliardi, infine, è stato necessario un robusto taglio ai progetti iniziali. Emergenza, ma legale, sarà anche il dopo Expo in un intreccio di controversie, tagli, ribassi di prezzi, contratti siglati con imprese sotto osservazione e ora all’esame di Raffaele Cantone.

Continuiamo? Sono emergenza continua gli sbarchi dei migranti; la corruzione; la spesa pubblica; la sanità; l’ambiente dissestato. E naturalmente anche il maltempo, i rifiuti, i dopo terremoto che durano per generazioni senza che nessuno vi ponga definitivamente rimedio. Non si programma né si previene. Di conseguenza l’esecutivo si adegua sparando decreti legge, d’urgenza e di emergenza: Berlusconi e Monti ne produssero insieme un centinaio; Enrico Letta più di venti, cifra appena superata dal gabinetto Renzi. In tutto, più o meno 165 decreti presentati in sei anni. In emergenza è stata approvata anche la nuova legge elettorale: a colpi di fiducia. E c’è la drammatica emergenza lavoro per la quale evidentemente non basta il Jobs Act: l’acqua c’è, avrebbe detto lord Keynes, ma il cavallo non beve. Insomma, la madre di tutte le emergenze è ancora la crisi economica. Che ci ricorda, dopo l’ubriacatura muscolare dell’Italicum, che ora bisogna cominciare a governare sul serio.

P.s. Se permettete, vorrei spezzare una lancia a favore dei “gufi”, come li chiama Renzi, quelli seri e intellettualmente onesti, per i quali il mio apprezzamento è pari alla gioia che ho provato per il brillante esordio dell’expo di Beppe Sala & c. Ecco perché: forse, se non ci fossero state le copertine dell’“Espresso” sulle infiltrazioni della criminalità organizzata nelle imprese appaltatrici, non si sarebbe arrivati alla nomina di Raffaele Cantone a commissario anticorruzione e al suo prezioso lavoro di ripulitura; forse, senza le inchieste dell’“Espresso” sul ritardo nei lavori, non ci sarebbe stato quello scatto d’orgoglio che ha poi consentito di ultimare quasi tutti i padiglioni; forse, se non ci fossero state le domande che “l’Espresso” si è posto sull’uso di quelle immense aree a esposizione ultimata, sarebbe stato rimosso il tema centrale del dopo Expo. Insomma, per farla breve, evviva l’Expo, ma anche i gufi.

Case abusive a Mondello, indagato anche l'ex capo dell'Edilizia privata. - Sara Scarafia

Case abusive a Mondello, indagato anche l'ex capo dell'Edilizia privata
Una foto simbolica del reparto anti abusivismo della polizia municipale

Sono tre i dipendenti del Comune nel mirino della procura. Daniela Rimedio sino a 2010 era la dirigente dell'ufficio.

Non solo due funzionari: nell'indagine sull'abusivismo (leggi l'articolo) che ha scosso Palazzo delle Aquile è coinvolta anche una dirigente. Si tratta di Daniela Rimedio, attualmente allo Sport, che tra il 2007 e il 2010 sedeva invece a capo del settore Edilizia Privata. L'indagine riguarda una lottizzazione in via Miseno, a Mondello: nei giorni scorsi il giudice per l'udienza preliminare Daniela Cardamone ha respinto la richiesta di archiviazione per prescrizione e ha imposto al pubblico ministero Daniele Paci ulteriori indagini su 18 persone che, in concorso, potrebbero aver commesso i reati di lottizzazione abusiva e violazione della normativa in materia paesaggistica.

Sotto inchiesta sono finiti due uomini di punta degli uffici tecnici del Comune: si tratta degli architetti Mario Li Castri  -  numero due del vice sindaco Emilio Arcuri  -  e di Giuseppe Monteleone, funzionario all'Edilizia privata. Abitano entrambi in via Miseno: le indagini dovranno accertare se le case che hanno acquistato in fase di realizzazione dal proprietario del terreno, anche lui indagato, sono state costruite in violazione delle norme a tutela delle zone vincolate come quella di Mondello. Secondo il gip per realizzarlo si sarebbe dovuta seguire la procedura del piano particolareggiato: un iter complesso a tutela delle zone con vincoli paesaggistici che prevede pure un passaggio obbligato in Consiglio comunale. E invece sarebbe stata scelta la via più breve, il cosiddetto piano planovolumetrico. 

La Rimedio, ex dirigente dell'Edilizia privata finisce sotto indagine perché l'ufficio da lei guidato avrebbe portato avanti una attività di "natura quantomeno negligente" rilasciando la concessione. La Rimedio si difende: "Non ricordo nemmeno quale sia la pratica  -  dice  -  il dirigente non fa l'istruttoria ma rilascia la concessione alla fine se ci sono tutti i pareri". 

Li Castri, nei giorni scorsi, aveva invece sottolineato la figura di "acquirente in buona fede". I proprietari delle villette insomma avrebbero comprato case in costruzione ignorando l'iter seguito precedentemente per la lottizzazione. Ma nel verbale la polizia giudiziaria segnala la realizzazioni in diverse abitazioni pure di opere che non sarebbero state oggetto di concessione  -  piscine e verande  -  e solleva dubbi sulla natura della compravendita: risulterebbe che i singoli acquirenti abbiano acquistato soltanto "i terreni liberi" e non gli immobili.

L'indagine è arrivata in un momento delicatissimo per l'amministrazione comunale che entro fine mese dovrà scegliere i nuovi dirigenti a termine: Monteleone e Li Castri  -  architetti ritenuti di grande esperienza  -  sono in pole position per la guida dei settori tecnici più importanti, dal Centro storico all'Urbanistica. Il bando pubblicato dal Comune per la ricognizione scade il 28 gennaio.


http://palermo.repubblica.it/cronaca/2015/01/23/news/case_abusive_a_mondello_indagato_anche_l_ex_capo_dell_edilizia_privata-105553583/