lunedì 1 luglio 2019

Ponte Morandi, le immagini inedite della tragedia: il crollo ripreso dalla videosorveglianza.



Per la prima volta da quella mattina del 14 agosto, tutto il mondo può vedere il crollo del ponte Morandi di Genova. Questa mattina la Procura ha autorizzato la diffusione del video ripreso dalle telecamere private dell"azienda "Ferrometal", che si trovava a pochi passi dal viadotto Polcevera. Il video era stato sequestrato dai militari della Guardia di Finanza, su ordine dei pubblici ministeri Massimo Terrile e Walter Cotugno, subito dopo la tragedia. Ed è rimasto segreto fino ad oggi, perché secondo l"€™accusa la sua visione avrebbe potuto influenzare le tantissime testimonianze raccolte durante le indagini dai magistrati. Ora che l'atto è stato depositato nell'ambito del secondo incidente probatorio, la Procura ha dato l'ok alla diffusione. Il video è considerato la "prova regina" della Procura sulle cause e sulla dinamica del cedimento della pila 9: nelle immagini si vede chiaramente lo "strallo", il tirante lato sud, cedere: una frazione di secondo dopo cede l'impalcato, inghiottendo auto e camion che stavano attraversando il ponte. La società Autostrade ha subito risposto con un comunicato: "Ad oggi, sulla base del video e dei parziali risultati del primo incidente probatorio non è possibile "€" ad opinione degli esperti di Autostrade per l"€™Italia - affermare che il crollo sia stato determinato dal cedimento dell"€™attacco degli stralli. I consulenti di Aspi continueranno a collaborare affinché le cause del crollo vengano accertate, comparando anche le risultanze dei diversi filmati messi a disposizione, che hanno diversi livelli di elaborazione delle immagini rispetto all"€™originale". Quel giorno a Genova morirono 43 persone. (testo di Marco Lignana).

https://www.youtube.com/watch?v=a-LfXohbn0U

Iraq, la siccità svela un palazzo di 3.400 anni fa di un misterioso impero: “Una delle scoperte archeologiche più importanti degli ultimi decenni” - Beatrice Raso

Credit: University of Tübingen eScience Center/Kurdistan Archaeology Organization
Grande scoperta archeologica in Iraq portata alla luce dalla siccità: un palazzo risalente a 3.400 anni fa con pareti in mattoni di argilla, dipinti murali e 10 tavolette in cuneiforme.

Un palazzo di 3.400 ani fa è emerso da una riserva nella regione del Kurdistan dell’Iraq dopo l’abbassamento dei livelli d’acqua a causa della siccità. La scoperta delle rovine della riserva della Diga di Mosul, costruita negli anni ’80 sulle sponde del fiume Tigri, ha ispirato uno scavo archeologico naturale che migliorerà la comprensione dell’Impero di Mitanni, uno degli imperi dell’Antico Medio Oriente meno studiato, ha detto in un comunicato stampo un team congiunto di ricercatori curdo-tedeschi. “La scoperta è una delle scoperte archeologiche più importanti dell’area degli ultimi decenni”, ha affermato l’archeologo curdo Hasan Ahmed Qasim.
In origine, il palazzo sarebbe dovuto sorgere su un altopiano che si affacciava sulla valle del Tigri, a circa 20 metri dal fiume. Una parete in mattoni di argilla è stata poi integrata per stabilizzare l’edificio sul terreno inclinato della valle, aggiungendosi all’imponente architettura, come potete vedere dalle foto contenute nella gallery scorrevole in alto a corredo dell’articolo. Ivana Puljiz, archeologa dell’Institute for Ancient Near Eastern Studies dell’Università di Tubinga, descrive il palazzo, conosciuto come il Kemune, come un edificio scrupolosamente progettato con pareti di mattoni di argilla con uno spessore fino a 2 metri. Alcune pareti sono alte più di 2 metri e varie stanze hanno pareti intonacate, ha aggiunto Puljiz. Il palazzo, conservato fino ad un’altezza di 7 metri, si estende per almeno 1850m².
Una vista aerea del nuovo sito archeologico, che trovate nel video in fondo all’articolo, lascia intravedere la facciata del palazzo, ma al suo interno i ricercatori hanno fatto scoperte ancora più interessanti. Gli scavi hanno svelato una serie di stanze di cui finora ne sono state esplorate 8. Il team ha scoperto anche dipinti sulle pareti nelle sfumature di rosso e blu, che probabilmente erano una caratteristica comune dei palazzi dell’epoca ma che raramente sono stati ritrovati preservati. Sono stati trovati anche grandi mattoni in cotto che erano utilizzati come solaio in alcune parti del palazzo. “Scoprire dipinti murali nel Kemure è un colpo archeologico. Il Kemure è solo il secondo sito nell’area dove sono stati scoperti dipinti murali del periodo dei Mitanni”, ha scritto Puljiz alla CNN. Il palazzo è stato utilizzato per molto tempo con due fasi di occupazione chiaramente identificabili, secondo Puljiz.
Sono state scoperte anche 10 tavolette di argilla coperte in cuneiforme, un antico sistema di scrittura, e sono state inviate in Germania per la traduzione. “Dai testi speriamo di trarre informazioni sulla struttura interna dell’Impero di Mitanni, sulla sua organizzazione economica e sulla relazione della capitale di Mitanni con i centri amministrativi delle regioni vicine. Le informazioni sui palazzi del periodo dei Mitanni finora sono disponibili solo da Tell Brak in Siria e dalle città di Nuzi e Alalakh, entrambe localizzate nella periferia dell’impero. Persino la capitale dell’Impero di Mitanni non è stata identificata senza alcun dubbio”, ha dichiarato l’esperta.
Gli archeologi sono venuti per la prima volta a conoscenza del sito nel 2010 quando i livelli d’acqua della riserva erano bassi, ma questa è la prima volta in cui sono stati in grado di scavare, approfittando della mancanza di pioggia e della necessità di rilasciare l’acqua dalla riserva per attenuare le condizioni di siccità. Tuttavia, il sito è stato sommerso poco dopo lo scavo, ha spiegato l’esperta, aggiungendo che “non è chiaro quando riemergerà”.

L’impero di Mitanni

Il comunicato stampa dei ricercatori spiega che l’Impero dei Mitanni copriva l’area dalla costa orientale del Mediterraneo all’est dell’attuale Iraq settentrionale dal XV secolo alla metà del XIV secolo a.C. Il cuore dell’impero si trovava in quella che oggi è la Siria nordorientale, dove si trovava probabilmente anche la sua capitale Washukanni. I testi cuneiformi dal sito di Tell el-Amarna nell’attuale Egitto mostrano che i re dei Mitanni interagivano alla pari dei faraoni egizi e dei re degli Hatti e della Babilonia. Per esempio, è noto che il re dei Mittani Tushratta abbia dato la figlia in sposa al faraone Amenofi III. I Mittani persero la loro importanza politica intorno al 1350 a.C. I suoi territori finirono sotto il controllo degli imperi vicini degli Ittiti e degli Assiri. La cultura dei Mittani è nota per le sue ceramiche dipinte. La loro cospicua presenza permette agli archeologi di datare i siti in cui vengono trovati tali recipienti al tempo dell’Impero dei Mittani.

http://www.meteoweb.eu/foto/iraq-siccita-svela-palazzo-3-400-anni-misterioso-impero-scoperte-archeologiche-importanti/id/1279902/#LmH8UpoWgVgtBge3.99

domenica 30 giugno 2019

Val d’Enza, la terra dei bambini in affido: oltre cento in due anni e mezzo. - Paolo Pergolizzi

Bibbiano

Un aumento vertiginoso di casi che è stato scoperto dal consigliere comunale pentastellato dell'Unione, Natascia Cersosimo. Per i servizi sociali un boom in linea con i dati dei Paesi in guerra.

REGGIO EMILIA – Oltre cento minori dati improvvisamente in affidamento, dal 2016 fino a metà 2018, dai servizi sociali della Val d’Enza, mentre nel 2015 gli affidi erano zero. E’ quanto si evince da un documento contabile dell’Unione val d’Enza. I minori in struttura erano 18 nel 2015, 33 nel 2016, 40 nel 2017 e 34 nei primi sei mesi del 2018, mentre quelli dati in affidamento sono stati 0 nel 2015, 104 nel 2016, 110 nel 2017 e 92 nei primi sei mesi del 2018.
Un aumento vertiginoso di casi e di affidi che è stato scoperto dal consigliere comunale dell’Unione val d’Enza, Natascia Cersosimo (recente candidato sindaco, non eletto, del M5S a Cavriago) che un anno fa, quando venne chiesto di varare una maggiore spesa di 200mila euro per i centri accoglienza, chiese i documenti e si trovò di fronte a questi numeri.
Sempre dallo stesso documento si vede che la spesa per affidi di minori si impenna conseguentemente passando dai 245mila euro del 2015, ai 305mila euro del 2016, fino ai 327mila euro del 2017 e infine a una proiezione di spesa di 342mila euro nel 2018. I soldi necessari per le psicoterapie dei minori in affido passano, invece, dai 6mila euro del 2015 ai 31mila del 2017, fino ai quasi 27mila del primo semestre 2018.
Le prese in carico per violenza sono state invece 136 nel 2015, poi 183 nel 2016, fino alle 235 del 2017 e le 178 del primo semestre 2018. In sostanza, se si fosse arrivati fino a fine anno, si potrebbe dire che nel 2018 sarebbero state praticamente triplicate rispetto a tre anni prima.
Per minimizzare la cosa, nella relazione di fine mandato l’Unione scrive: “Preme sottolineare come i dati di grave maltrattamento e abuso della Val d’Enza, superiori alla media regionale, non sono ascrivibili a un fenomeno locale, ma sono in linea con i dati dell’Oms e di organizzazioni internazionali come Save the Children e Terre des Hommes”. Un paragone che non sta in piedi, tuttavia, perché quelle organizzazioni lavorano in zone che spesso sono teatri di guerra o piuttosto disagiate, cosa che non si può certo dire del Consorzio della val d’Enza che conta 60mila abitanti e otto Comuni.
Natascia Cersosimo
cersosimo
Natascia Cersosismo, il consigliere pentastellato dell’Unione, dice a Reggio Sera: “Sono dati che riguardano una variazione di bilancio del 2018 in cui i servizi sociali della val d’Enza chiedevano un aumento di 200mila euro. Avevano bisogno di questi soldi, perché sostenevano che si era creata una sorta di emergenza minori dovuta al crescere degli abusi. Quando a fine aprile siamo andati in consiglio per la variazione di bilancio ci hanno detto che erano in aumento il numero di casi di abusi e di violenze sessuali. Io avevo due segnalazioni di genitori, ma non se la sono sentita di darmi il permesso per l’accesso agli atti, perché avevano paura che, se mi avessero dato la delega, gli avrebbero impedito poi di vedere i bambini”.

Sea Watch, l’Olanda scarica la capitana Carola: «Ha sbagliato lei.» - Luigi Offeddu e Marta Serafini

Sea Watch, l'Olanda scarica la capitana Carola: «Ha sbagliato lei»

Il colloquio con il segretario di Stato all’immigrazione, Ankie Broekers-Knol: «Poteva andare in Tunisia o in Libia. Non prendiamo più migranti dalle operazioni Sar»

«Caro Collega…». La lettera è stata mandata via mail al Viminale verso le 22 di ieri sera e verrà poi seguita dalla versione ufficiale cartacea il più presto possibile, domani. Destinatario, il ministro dell’interno Matteo Salvini, che anche nelle ultime ore aveva attaccato l’Olanda su Facebook, accusandola di «menefreghismo» sulla questione dei migranti extracomunitari. Mittente, la segretaria di Stato olandese all’immigrazione, Ankie Broekers-Knol. Tema della missiva (qui la versione integrale), la vicenda della nave Sea Watch 3. Toni cortesissimi, come vuole da secoli la diplomazia in tutto il mondo, ma sostanza tosta e netta. Ecco un elenco dei temi affrontati, anche se non in quest’ordine esatto. Primo: il fatto che una nave batta la bandiera di un certo Stato, «non implica un obbligo per quello Stato di imbarcare persone soccorse». Secondo: l’Olanda ha deciso, «in assenza di una prospettiva di cooperazione verso una soluzione concreta e strutturale come quella indicata nelle conclusioni del Consiglio Europeo del giugno 2018, che non parteciperà più oltre agli schemi di sbarco “ad hoc”». Terzo: il governo olandese «ha esplicitamente dichiarato che in principio non prenderà più migranti dalle operazioni Sar (Soccorso in Mare) in un’area ampiamente colpita dalle attività dei trafficanti di esseri umani».

L’Aja, prosegue la lettera della Segretaria di Stato, «è pienamente impegnata a rispettare l’obbligo di salvataggio delle gente in mare imposto dalla legge internazionale. Tuttavia, come lei (Salvini, ndr) giustamente dice, le operazioni della Sea Watch 3 non dovrebbero contribuire alle attività criminali dei trafficanti». Quanto alla capitana tedesca della Sea Watch, l’Olanda dichiara di non condividere, «come lei» (Salvini, ndr), le scelte che ha fatto. Sarebbe potuta andare in Libia, in Tunisia, o anche nel porto olandese di competenza. Ma «contrariamente a quanto Lei dichiara nella sua lettera, non ha mai chiesto di sbarcare in Olanda».

I Paesi Bassi chiedono all’Italia di «lavorare insieme per riformare il sistema europeo di asilo e immigrazione, basato sui principi della solidarietà e responsabilità». E come parte di questa riforma, bisognerà studiare «una procedura obbligatoria europea di espulsione ai confini esterni». «Vorrei anche aggiungere — scrive la segretaria di Stato — che in caso di migranti che non hanno diritto alla protezione internazionale, il ricollocamento è uno spreco di sforzi e risorse finanziarie dei contribuenti, che dovrebbe essere evitato». La segretaria di Stato all’immigrazione annuncia anche che si recherà a Roma per «colloqui bilaterali» con Salvini.

Fin qui, la lettera di risposta al ministro italiano degli Interni. In un’intervista esclusiva al Corriere della Sera, Ankie Broekers Knol ha poi precisato alcuni altri punti della posizione del suo Paese: «I Paesi Bassi sono acutamente consapevoli della pressione migratoria sull’Italia negli ultimi anni, e particolarmente della pressione sproporzionata sperimentata fino alla metà del 2017. Inoltre, l’Olanda ha sempre riconosciuto l’impegno e la leadership italiana. È anche per questo che ha dimostrato la sua solidarietà in molti modi, per esempio contribuendo allo schema di ricollocamento temporaneo. Grazie allo sforzo dell’Italia e al sostegno degli altri Stati membri fra cui l’Olanda, gli arrivi illegali e le richieste di asilo in Italia sono calati in modo drammatico dalla metà del 2017». Situazione generale in via di risoluzione, dunque? No, risponde la segreteria di Stato olandese, «al contrario noi abbiamo registrato in questo periodo successivo alla crisi migratoria un continuo, alto numero di richiedenti asilo, molti dei quali provenienti dall’Italia. Questi movimenti sono un altro problema che dobbiamo affrontare».

Le due curve Sud. - Marco Travaglio

Risultati immagini per banchina Lampedusa capitana saluta

La banchina di Lampedusa invasa da due fazioni di esagitati che salutano la capitana Carola Rackete appena sbarcata e arrestata, alcuni insultandola e altri esaltandola, è la perfetta rappresentazione di questo povero Paese che non riesce più a ragionare, ma solo a tifare. E a twittare.
Chi volesse ragionare saprebbe distinguere tra ciò che ha fatto di buono la Sea Watch-3, cioè caricare da un gommone pericolante in acque libiche 53 migranti (un giorno magari le Ong ci sveleranno quale divina ispirazione le fa trovare sempre nel posto giusto al momento giusto nello sterminato Mediterraneo); e ciò che han fatto di inaccettabile, cioè infischiarsene della legge del porto sicuro più vicino (in Tunisia o a Malta) per creare l’ennesimo incidente politico col governo italiano, ricorrere al Tar contro il no di Roma e poi fregarsene della sentenza negativa, appellarsi alla Corte di Strasburgo e poi ignorare il verdetto contrario, violare i divieti di ingresso in acque italiane e di sbarco a Lampedusa, fino alla manovra spericolata e criminale di ieri, quando per poco non c’è scappato il morto tra i finanzieri della motovedetta schiacciata sulla banchina. Non lo diciamo noi fottuti giustizialisti. Lo dice il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio, non certo sospettabile di filo-leghismo visto che aveva chiesto di processare Salvini per sequestro di persona e abuso d’ufficio per il caso Diciotti e ora ha disposto l’arresto in flagranza della Rackete: “Le ragioni umanitarie non possono giustificare atti di inammissibile violenza nei confronti di chi, in divisa, lavora in mare per la sicurezza di tutti”. Lo ribadiscono gli uomini della Guardia di Finanza sulla motovedetta: “La Sea Watch non ha fatto nulla per evitarci, siamo stati fortunati: poteva schiacciarci”. E il Reparto Operativo Aeronavale delle Fiamme Gialle di Palermo parla di “un atto di forza inaspettato, un gesto irresponsabile che ti puoi aspettare da un narcotrafficante o un contrabbandiere su un motoscafo”. Cos’hanno fatto e cos’hanno da dire ora i parlamentari-crocieristi de sinistra saliti a bordo della Sea Watch per garantirvi la loro personalissima “legalità”? E i fan dell’eroina non potrebbero almeno smetterla di chiedere la liberazione di un’indagata che, magari animata dalle migliori intenzioni, commette illegalità che non verrebbero tollerate in nessuna democrazia del mondo?
Chi volesse ragionare saprebbe distinguere fra la simpatia umana che ispira la giovane cooperante e le ragioni del diritto, che non autorizzano chi compie un gesto umanitario a commettere reati.
E non c’entrano nulla con Salvini che chiede arresti e condanne come se fosse il padrone dei magistrati e passa dalla parte del torto annunciando che i 42 migranti “possono restare in mare fino a Natale”. Parole e condotte che vanno censurate duramente, senza per questo tacere le illegalità della Sea Watch.
Chi volesse ragionare saprebbe distinguere fra l’apprezzamento per il coraggio di una donna che sfida le legittime leggi di un Paese che legittimamente non condivide con un atto di disobbedienza civile di cui si assume le conseguenze senza scappare né piagnucolare, opposta alla viltà di Salvini che dal suo processo è scappato grazie all’impunità parlamentare, e i doveri di uno Stato di diritto che non può farsi dettare la politica migratoria da un’Ong tedesca di bandiera olandese.
Chi volesse ragionare saprebbe distinguere fra le leggi di uno Stato democratico come il nostro e quelle di regimi totalitari o autoritari come l’Italia fascista, la Germania nazista, il Sudafrica dell’apartheid e l’India colonia britannica. Ed evitare paragoni impropri fra la capitana e i partigiani della Resistenza, Mandela e Gandhi. Il governo italiano non è frutto di un golpe militare né di un’invasione: è espresso dalla maggioranza del Parlamento regolarmente eletto un anno e mezzo fa, appena plebiscitata da consensi persino superiori alle Europee del mese scorso. Dunque le leggi italiane, giuste o sbagliate che siano, sono perfettamente legittime e conformi alla Costituzione, a meno di non accusare di alto tradimento i presidenti della Repubblica che le hanno promulgate (incluso Mattarella) e di incostituzionalità la Corte costituzionale che, quando interpellata, le ha validate. Oltretutto i reati contestati alla capitana (resistenza a nave da guerra, tentato naufragio e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina) non li ha inventati questo governo, ma esistono nei codici dell’Italia e di tutti gli Stati degni di questo nome da tempo immemorabile. Certo, per battersi contro una legge c’è sempre la disobbedienza civile. Purché non venga spacciata per la nuova Resistenza, specie da chi, anziché salire sulle montagne, la combatte comodamente assiso sul suo bel sofà.
Chi volesse ragionare vedrebbe che le due propagande, opposte ma speculari, della Sea Watch e di Salvini hanno motivazioni diverse, ma si alimentano a vicenda. La Sea Watch schiva i porti più vicini per puntare sempre solo sull’Italia perché sa di trovarvi il nemico perfetto: Salvini. E Salvini ha bisogno di una Sea Watch al giorno perché è il nemico perfetto per dirottare l’attenzione generale dalle vere emergenze a quella fasulla, ma elettoralmente più lucrosa: l’immigrazione che, purtroppo per lui, ormai scarseggia. Altrimenti gli toccherebbe spiegare se vuole votare o no, perché non espelle un solo clandestino, dove prende i soldi per la Flat Tax, dove sono finiti i 49 milioni rubati dalla Lega, cosa deve ad Arata&Siri, perché difende a spada tratta i Benetton, Arcelor Mittal e gli affaristi delle grandi opere inutili. Cioè, quel che per lui è peggio, gli toccherebbe governare.

Sea Watch, Di Maio: “Capitana va processata ma escalation di insulti è assurda. La rabbia non va alimentata.”

Sea Watch, Di Maio: “Capitana va processata ma escalation di insulti è assurda. La rabbia non va alimentata”

Il capo politico del M5s è intervenuto sulla vicenda della Sea Watch con un post su facebook a dodici ore dall'entrata in porto della nave della ong: "Carola Rackete verrà giudicata da giudici sulla base delle leggi dello Stato italiano. Ma sono assurdi i toni offensivi delle ultime ore. Gli insulti violenti vanno sempre condannati."

Processare la comandante della Sea Watch perché ha violato le leggi. Ma fermare “l’escalation” di insulti a Carola Rackete. È questo in sintesi, il pensiero di Luigi Di Maio sui fatti di Lampedusa. Il capo politico del M5s è intervenuto sulla vicenda della Sea Watch con un post su facebook a dodici ore dall’entrata in porto della nave. “Carola Rackete – ricostruisce Di Maio –  comandante della Sea Watch, è stata arrestata dopo aver disobbedito all’alt della Guardia di Finanza, speronando una motovedetta nel tentativo di attraccare nel porto di Lampedusa. E per questo verrà processata, come è giusto che sia, perché ha violato la legge dello Stato italiano, rischiando di creare un danno anche ai nostri uomini e donne in uniforme, che ringrazio per il lavoro che svolgono ogni giorno a tutela della nostra sicurezza”.

Dopo oltre due settimane in mare, dopo il salvataggio di 17 giorni fa, i migranti recuperati dalla Sea Watch sono stati fatti sbarcare a Lampedusa. Ma l’attracco in banchina dopo tre giorni al largo dell’isola è avvenuto di nuovo con la forzatura del divieto, uno sfondamento del blocco che ha poi portato al sequestro della nave e all’arresto del comandante,  accusata di resistenza o violenza contro nave da guerra. La capitana è diventata oggetto d’insulti quando è scesa dalla nave: “Spero ti violentino questi negri”, le hanno urlato. “Trovo assurda l’escalation di insulti e di toni offensivi registrata nelle ultime ore. Non capisco l’esigenza di mettere in piedi questo circo mediatico, con alcuni giornali schierati da una parte e altri dall’altra. Uno Stato sovrano ha le leggi e le fa rispettare. Punto. La capitana verrà giudicata da giudici sulla base delle leggi dello Stato italiano”, scrive Di Maio su facebook. “C’è della rabbia intorno a tutto questo e lo comprendo – aggiunge il vicepremier – Chi rappresenta i cittadini questa rabbia deve sforzarsi di capirla, perché non può essere ignorata. Capirla non significa alimentarla, perché poi altrimenti la rabbia si trasforma in insulti violenti che colpiscono tutte le parti e che vanno sempre condannati”. Il riferimento evidente è all’alleato di governo, autore di prese di posizione nette contro al capitana della ong. 
Un altro riferimento indiretto alla Lega e a Matteo Salvini, il leader del Movimento 5 lo ha fatto citando “il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio” perché “ha motivato l’arresto della comandante affermando che “le ragioni umanitarie non possono giustificare atti di inammissibile violenza nei confronti di chi in divisa lavora in mare per la sicurezza di tutti”. Ancora una volta prendiamo atto dell’azione della magistratura, che quotidianamente svolge un egregio lavoro. È importante elogiare sempre, e non a giorni alterni, il prezioso contributo di giudici e magistrati, perché sono loro che hanno il dovere di far rispettare la legge nel nostro Paese. Troppo spesso, invece, per simpatie o antipatie, la magistratura è stata vittima di attacchi gratuiti, anche da parte della politica. Non c’è cosa più sbagliata di interferire con il lavoro che i nostri servitori dello Stato svolgono con grande professionalità e serietà. Io dico che la politica a volte dovrebbe tacere e applaudire l’operato di chi dalla mattina alla sera si batte per far rispettare la legalità nel nostro Paese”. Patronaggio, infatti, è il procuratore che ha iscritto nel registro degli indagati Salvini per la vicenda della nave Diciotti. A causa di quella vicenda è spesso diventato bersaglio d’insulti e minacce: per tre volte ha ricevuto lettere minatorie.
Nel suo lungo post Di Maio ha poi dedicato un paragravo ai rapporti con l’Unione Europea: “Il caso della Sea Watch ha fatto emergere un fatto da non sottovalutare: in svariate circostanze l’Italia è stata trattata come lo ‘zimbello d’Europa‘. Questo perché? Semplice: perché i vecchi governi hanno sempre abbassato la testa, a discapito degli interessi del nostro Paese. Adesso però le cose devono cambiare: o l’Europa si sveglia oppure la svegliamo noi. Ripartiamo insieme, come una vera comunità, cambiando Dublino e il principio di chi prima accoglie poi gestisce!
L’Italia non può più farsi carico da sola del problema migranti e fin quando non saremo ascoltati, noi continueremo a farci sentire”.
Qui il suo post:
Carola Rackete, comandante della Sea Watch, è stata arrestata dopo aver disobbedito all'alt della Guardia di Finanza, speronando una motovedetta nel tentativo di attraccare nel porto di Lampedusa. E per questo verrà processata, come è giusto che sia, perché ha violato la legge dello Stato italiano, rischiando di creare un danno anche ai nostri uomini e donne in uniforme, che ringrazio per il lavoro che svolgono ogni giorno a tutela della nostra sicurezza. 

Detto questo trovo assurda l’escalation di insulti e di toni offensivi registrata nelle ultime ore. Non capisco l’esigenza di mettere in piedi questo circo mediatico, con alcuni giornali schierati da una parte e altri dall’altra. Uno Stato sovrano ha le leggi e le fa rispettare. Punto. La capitana verrà giudicata da giudici sulla base delle leggi dello Stato italiano. 

C’è della rabbia intorno a tutto questo e lo comprendo. Chi rappresenta i cittadini questa rabbia deve sforzarsi di capirla, perché non può essere ignorata. Capirla non significa alimentarla, perché poi altrimenti la rabbia si trasforma in insulti violenti che colpiscono tutte le parti e che vanno sempre condannati.

Il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio ha motivato l’arresto della comandante affermando che “le ragioni umanitarie non possono giustificare atti di inammissibile violenza nei confronti di chi in divisa lavora in mare per la sicurezza di tutti". Ancora una volta prendiamo atto dell’azione della magistratura, che quotidianamente svolge un egregio lavoro. È importante elogiare sempre, e non a giorni alterni, il prezioso contributo di giudici e magistrati, perché sono loro che hanno il dovere di far rispettare la legge nel nostro Paese. 

Troppo spesso, invece, per simpatie o antipatie, la magistratura è stata vittima di attacchi gratuiti, anche da parte della politica. Non c’è cosa più sbagliata di interferire con il lavoro che i nostri servitori dello Stato svolgono con grande professionalità e serietà.

Io dico che la politica a volte dovrebbe tacere e applaudire l’operato di chi dalla mattina alla sera si batte per far rispettare la legalità nel nostro Paese!

Detto questo, il caso della Sea Watch ha fatto emergere un fatto da non sottovalutare: in svariate circostanze l’Italia è stata trattata come lo “zimbello d’Europa”. Questo perché? Semplice: perché i vecchi governi hanno sempre abbassato la testa, a discapito degli interessi del nostro Paese. Adesso però le cose devono cambiare: o l’Europa si sveglia oppure la svegliamo noi. Ripartiamo insieme, come una vera comunità, cambiando Dublino e il principio di chi prima accoglie poi gestisce!
L’Italia non può più farsi carico da sola del problema migranti e fin quando non saremo ascoltati, noi continueremo a farci sentire.

Ponte Morandi, il momento della demolizione ripreso da tutte le angolazioni