Chi ha fatto il politico tutta la vita non ci rimette. Chi pochi anni ha comunque un’altra pensione. Dove mai sarebbe il problema del taglio dei vitalizi operato finalmente in questa legislatura dopo anni di battaglie contro una ingiustizia palese? Su questo personalmente sto con il Movimento 5 stelle e la sua piazza di Roma e non potrebbe essere diversamente, visto che in prima persona avevo fatto all’inizio della scorsa legislatura questa battaglia pubblicando su Libero una lunga inchiesta che metteva a confronto gli assegni vitalizi percepiti dai “papponi delle pensioni” con i contributi da loro versati per ottenerle. Credo che fra tutti i percettori dei vitalizi in quel momento solo una ventina percepivano assegni mensili dovuti ai versamenti effettuati. Tutti gli altri avevano percepito per lunghissimi anni importi del tutto sproporzionati ai contributi versati. Più di cento avevano già incassato oltre un milione di euro di vitalizio avendo versato meno di 20 mila euro per ottenerlo. Manco al lotto si ottengono vincite di questo tipo. Per anni ho sentito ripetere dai parlamentari che sarebbe servita una legge costituzionale per toccarli, ed era una falsità perché il diritto al vitalizio non è stabilito nè dalla Costituzione nè da alcuna legge ordinaria. Ma solo da una delibera segretata dell’ufficio di presidenza della Camera a metà degli anni Cinquanta, e giustamente una analoga delibera ha cambiato quelle regole. Non vedo come una qualsiasi commissione interna alle Camere non possa riconoscere questo diritto a cambiare le regole del gioco senza forzare il diritto in modo strumentale.
C’è una sola cosa che cambierei nelle decisioni prese dalle Camere: il tetto al vitalizio. Perché se deve essere rapportato ai contributi versati e il parlamentare ha svolto questa funzione per 45 anni andando in pensione assai tardi, non c’è motivo per non dargli il vitalizio calcolato sui contributi versati anche se l’importo dovesse essere molto alto. Fuori da palazzo questo potrebbe accadere? No. E allora non c’è motivo di mettere quel tetto. Riguarda pochi, ma indebolisce la ragione del taglio a tutti gli altri. Uno deve avere in base a quello che ha versato e basta. E non si crea alcun dramma. Chi ha fatto per molte legislature il parlamentare non avrà tagliato il proprio assegno perché se lo è guadagnato. Chi lo ha fatto per poche settimane, mesi o anni avrà in ogni caso un’altra pensione dal lavoro che ovviamente avrà dovuto fare per mantenersi una volta fuori dal Palazzo.
Oltretutto anche oggi non è vero che i parlamentari hanno lo stesso trattamento di tutti gli altri italiani. Con 4 anni e 6 mesi di lavoro loro hanno diritto ad una pensione contributiva di circa mille euro netti a partire dal 65° anno di età. Con 9 anni di lavoro hanno oltre 2 mila euro netti al mese a partire dal 60° anno di età. C’è qualche altro italiano che ha le stesse condizioni pensionistiche? No. Quindi i privilegi, sia pure ridotti rispetto al passato, esistono ancora oggi. E non è proprio il caso di riportare in vigore quelli di prima buoni al massimo per qualche corte medioevale.