lunedì 9 agosto 2021

«Gli impianti fotovoltaici non sottraggano terreno alla produzione agricola».













REGGIO EMILIA. «La Regione Emilia Romagna è a favore dell’impiego massivo delle energie rinnovabili, ma non possiamo però permetterci il consumo di suolo agricolo per la realizzazione degli impianti fotovoltaici, che devono essere posizionati sui tetti, in sistemi agrivoltaici in cave dismesse e in tutti quei siti che non sottraggono terreno alla produzione agricola. A livello mondiale i terreni fertili sono in diminuzione e dobbiamo preservare quelli del nostro territorio per avere un’agricoltura strutturata, forte e competitiva». Lo ha detto l’assessore regionale all’Agricoltura, Alessio Mammi nel firmare, alla presenza del presidente regionale di Coldiretti Nicola Bertinelli, del direttore regionale Marco Allaria Olivieri e del delegato Coldiretti Giovani Impresa Emilia Romagna Andrea Degli Esposti, la petizione lanciata in tutta Italia da Coldiretti Giovani Impresa a tutela del suolo agricolo, chiedendo alle istituzioni di investire nelle fonti alternative di energia senza dimenticare il ruolo fondamentale dell’agricoltura e la bellezza unica dei nostri territori, che andrebbero compromessi senza una programmazione territoriale degli impianti fotovoltaici a terra.

I giovani agricoltori della Coldiretti propongono che le Regioni e gli enti locali identifichino nelle aree da bonificare, nei terreni abbandonati, nelle zone industriali obsolete e nei tetti delle strutture produttive anche agricole, il luogo idoneo all’installazione del fotovoltaico per la corretta produzione di energia da fonti rinnovabili. Il consumo di suolo agricolo destinato al fotovoltaico a terra – afferma Coldiretti Giovani Impresa – minaccia il futuro alle nuove generazioni di agricoltori.

Gazzetta di Reggio

sabato 7 agosto 2021

David Attenborough: una vita sul nostro pianeta | Trailer ufficiale | Ne...

Il teorema di Pitagora al tempo dei Babilonesi


I matematici greci hanno perso il primato dell’invenzione della trigonometria. Questo è il pensiero di Daniel Mansfield, ricercatore australiano che ha scoperto l’utilizzo di Plimpton 322, un’antica tavoletta babilonese in caratteri cuneiformi, famosa perché contiene una serie di numeri che da tempo facevano sospettare la conoscenza del teorema di Pitagora mille anni prima di Pitagora stesso. Il nuovo studio ha scoperto che si tratta della più antica tabella trigonometrica conosciuta. Le 15 righe sulla tavoletta descrivono una sequenza di 15 triangoli rettangoli di differente inclinazione e una serie di tavolette simili era probabilmente utilizzata dagli agrimensori e ingegneri dell’epoca per i loro calcoli. Oltre a essere la prima, è anche la tabella trigonometrica più accurata, grazie all’utilizzo di un particolare approccio matematico e ai calcoli in base sessagesimale, come quelli che utilizziamo per la misura del tempo e che evitano di avere resti. Un approccio geniale che secondo Mansfield può essere applicato anche oggi in vari campi, facendo tornare di moda la perduta scienza babilonese. Servizio di Stefano Parisini, Media Inaf Per approfondire: http://www.media.inaf.it/2017/08/24/p...

Una tavoletta babilonese riscrive la storia della matematica.

Il più antico esempio di geometria applicata del mondo impresso su una tavoletta babilonese (fonte: UNSW Sydney)

E' il più antico esempio di geometria applicata, a fini catastali.

E’ impresso su un’antica tavoletta d’argilla babilonese di 3.700 anni fa, il più antico esempio di geometria applicata del mondo: si tratta di un documento catastale stilato da un perito per risolvere una disputa relativa alla divisione di un terreno, in cui gli angoli retti sono stati disegnati usando il sistema delle terne pitagoriche oltre mille anni prima che venisse formulato dai Greci. La scoperta del significato del reperto, conservato al Museo archeologico di Instabul, si deve a Daniel Mansfield, un matematico dell’Università del Nuovo Galles del Sud in Australia, che pubblica i risultati dello studio sulla rivista Foundations of Science.

La tavoletta d’argilla, rinvenuta in Iraq nel 1894 e indicata con la sigla Si.427, “è l’unico esempio noto di documento catastale dell’antico periodo babilonese: in questo caso ci racconta i dettagli legali e geometrici di un campo che è stato diviso dopo la vendita di una sua parte”, spiega Mansfield. “Con questa tavoletta possiamo davvero vedere per la prima volta perché i Babilonesi erano interessati alla geometria: serviva a tracciare i confini in maniera precisa. Questo avveniva in un periodo in cui la terra iniziava a diventare privata: le persone volevano stabilire i giusti confini per avere buone relazioni di vicinato, e questo è proprio quello che ci dice questa tavoletta”.

Secondo Mansfield, la scoperta potrà avere importanti implicazioni anche per la storia della matematica, perché “nessuno si aspettava che i Babilonesi usassero le terne pitagoriche in questo modo”. Una lista di quelle utili per le applicazioni sui terreni sarebbe riportata sopra una seconda tavoletta dello stesso periodo, chiamata Plimpton 322, che i periti babilonesi avrebbero usato come una sorta di manuale per risolvere i loro problemi pratici: una strategia ben diversa dalla trigonometria dei Greci, concepita osservando le stelle nel secondo secolo avanti Cristo.

 ANSA

Mario Er Vescica. - Marco Travaglio

 

Qualche settimana fa, volendo in fondo un gran bene al nostro premier, fummo colti da un vago senso di inquietudine nell’apprendere da Il Tempo che “Draghi non molla mai, neanche per andare in bagno”: “Alla Camera la sua resistenza in aula è stata lodata da tutti e alcuni hanno proposto di conferirgli l’ambitissimo premio ‘vescica di ferro’, dedicato a chi rimane al proprio posto per ore e ore senza andare al gabinetto”. Egli non evacua: trattiene. Ora, nell’imminenza del Ferragosto, pensavamo che si sarebbe concesso un po’ di relax per recuperare le energie e soprattutto le minzioni perdute. Invece niente. Ieri Repubblica titolava: “Il potere che non va in vacanza da Andreotti a Draghi: storie di stakanovisti e insonni. Il premier fa sapere che non andrà in ferie”, lui che “si è preso sulle spalle il suo compito con uno spirito che Giuliano Amato, altro ragionevole stakanovista del potere, ha sintetizzato con la formula latina coactus tamen voluit, l’ha voluto per obbligo, ma l’ha voluto”. Un po’ come il Duce, che lasciava “la luce accesa nottetempo a Palazzo Venezia… per cui gli italiani si riposavano e lui, fervido, vegliava”. Come Parri, che “si fece posteggiare una brandina nel suo ufficio al Viminale”. Giù giù fino al babbo Silvio e all’erede Matteo, che vantavano pacchianamente ritmi vertiginosi e veglie leggendarie. Ma, “lontano da certi accomodamenti nazionali”, “Draghi non è tipo da produrre questi spettacolini”: “a Palazzo Chigi si lavora in piena estate e la scelta non dovrebbe troppo sorprendere”. Vuoi vedere – ci siam detti – che Er Vescica trattiene pure ad agosto? Poi, inoltrandoci nella lettura, abbiamo scoperto con sollievo che “ha trovato il modo di passare qualche ora di meritatissimo riposo”. Non, si capisce, in una volgare o banale località di villeggiatura. Forse alla toileette.

Chi non ha di questi problemi è Salvini: già non faceva una mazza neppure da vicepremier e ministro dell’Interno, figurarsi da senatore, cioè da disoccupato. Ieri dal Papeete Beach, tra una visita della Guardia di Finanza e l’altra, anziché festeggiare gli ori degli atleti italiani, twittava contro il sottoscritto che, a suo dire, tifava contro (fatto mai accaduto). Si può comprendere un poveretto che da due anni non ne azzecca una ed è costretto ad arrampicarsi sui campioni olimpionici per fingere di aver vinto lui. Ma in Italia c’è un solo leader che fino a qualche anno fa ripeteva “Il Tricolore mi opprime” e tifava contro gli Azzurri perché “Non esiste un articolo della Costituzione in cui c’è scritto che bisogna tifare Italia”. Il suo nome è Salvini. Il che smentisce almeno la sua fama di fannullone: secondo un noto aforisma, infatti, “i cattivi a volte si riposano, gli imbecilli mai”.

ILFQ

venerdì 6 agosto 2021

Colpa per colpa, tutti i carnefici di Mps. - Nicola Borzi e Carlo Di Foggia

 

Nomi e ruoli. L’agonia della banca. Quante distrazioni Da Mussari e i suoi fino ai “vigilanti” Draghi, Tarantola, Vegas, a Orcel e all’ex ministro Padoan: ecco attori e comparse del disastro senese.

L’ultima tappa del disastro Mps – lo spezzatino e la cessione a UniCredit – costerà allo Stato almeno 8 miliardi. A dispetto della cifra, però, nessuno, né il ministro dell’Economia né le autorità bancarie, si prende la briga di spiegare come si è arrivati a questo punto. Ecco una breve e inesaustiva lista dei volenterosi carnefici del Monte.

Giuseppe Mussari. Avvocato cresciuto nei Ds, banchiere dilettante per sua stessa ammissione, nasce dalemiano ma si fa apprezzare dai potentati senesi che lo fanno presidente della fondazione che controlla l’istituto. Nel 2006 si fa nominare presidente della banca e l’anno dopo decide lo sciagurato acquisto di AntonVeneta: la paga tre volte il valore pagato all’olandese Abn Amro dal Santander di Emilio Botin, che gliela vende a scatola chiusa tramite il capo italiano, Ettore Gotti Tedeschi, seguace dell’Opus Dei come Botin. L’acquisto, chiuso a crisi finanziaria mondiale già scoppiata, scasserà la banca. Le famose operazioni in derivati (Alexandria e Santorini) serviranno solo tamponare le falle. Chi ha appoggiato Mussari? La lista di chi applaudì all’operazione è lunghissima. In cima ci sono Franco Bassanini e Giuliano Amato, per un decennio eletti a Siena e forti influencer delle sorti di Mps.

Annamaria Tarantola. Nel 2007, responsabile dell’area vigilanza della Banca d’Italia, è la burocrate addetta a interfacciarsi coi vertici del Monte per l’acquisto di AntonVeneta. Li incontra più volte, una anche con il governatore Draghi. “Ci raccomandammo con Mussari di fare l’acquisto per bene”, spiegò ai pm senesi. Nessuno dei vertici di Bankitalia impone una due diligence della banca. “Non ci fu segnalato che Mps aveva acquisito AntonVeneta senza due diligence. Per prassi, Banca d’Italia caldeggia sempre, in caso di acquisizioni, la due diligence preventiva”, spiegò ai magistrati l’allora dg di Bankitalia, Fabrizio Saccomanni, deceduto nel 2019. Monti promuove Tarantola nel 2012 alla presidenza della Rai. Oggi è consigliera economica a Palazzo Chigi.

Vincenzo De Bustis. Banchiere dalemiano, a fine ’99 convince Mps a strapagare per 1,3 miliardi Banca 121, che guida. Operazione che inizia a picconare i conti: lui passa armi e bagagli a Siena, insieme ad alcuni manager fidati. Plurimultato dalle autorità di vigilanza, il suo nome comparirà anche nel disastro della Popolare di Bari.

Mario Draghi. È il governatore di Bankitalia quando Mussari decide di strapagare AntonVeneta. Nel 2008 autorizzò l’acquisto perché “non in contrasto con la sana e prudente gestione della banca”. Eppure la Vigilanza sapeva che AntonVeneta era decotta perché l’aveva ispezionata a fine 2006. Dopo che Mussari e il dg Antonio Vigni lo incontrano in Via Nazionale, il secondo si appunta “Bankitalia sarà al vs fianco”. A gestire la pratica ci sono Tarantola e Saccomanni. Draghi è riuscito a non essere mai sentito da nessuno sulla vicenda: né dai pm, né nei procedimenti giudiziari, né dalla commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche dove il presidente Pier Ferdinando Casini si guardò bene dal convocarlo per non attirare le ire del Quirinale. A novembre 2011 passa alla Bce. Gli ispettori inviati a Siena hanno scoperto il derivato Alexandria. Nello stesso mese, il suo successore Visco convoca Mussari e Vigni e gli dice di togliersi di mezzo. “La Banca d’Italia ha fatto con Montepaschi tutto quanto doveva, in modo appropriato e a tempo debito. Si tratta di un caso isolato e legato non tanto alla gestione quanto a condotte criminali”, spiegherà qualche mese dopo.

Giuseppe Vegas. È un monumento al vigilante distratto. Alla guida della Consob dal 2010, riesce, come la vigilanza di Bankitalia, a non vedere o a intervenire sempre in ritardo. Il trionfo è sulle operazioni in derivati usate dalla banca per mascherare le perdite. Basta leggere la sentenza che ha condannato a 6 anni per falso in bilancio i successori di Mussari e Vigni, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, chiamati a risolvere la grana senese. Nel settembre 2011, l’Authority di Borsa attiva gli ispettori di Bankitalia dopo un esposto anonimo (l’autore è un manager di Mps) sull’operazione Alexandria. Gli ispettori capiscono che si tratta di un derivato creditizio e affidano il sospetto a un rapporto che consegnano (giugno 2012) alla Consob, titolare del potere di vigilanza sui bilanci. Consob avvia un iter lungo e farraginoso per decidere se sono derivati o no e quindi come contabilizzarli (nel primo caso a “saldi chiusi” nel secondo a “saldi aperti”, con riflessi immediati sui bilanci). Insieme a Bankitalia, l’8 marzo 2013 redigono un documento per stabilire che vanno contabilizzati a “saldi aperti” e – incredibilmente – solo dopo chiede un parere agli organismi internazionali di settore. Pochi giorni dopo, il 21 marzo, redige una nota in cui i tecnici dell’Authority scrivono di ritenere Alexandria e Santorini due derivati a tutti gli effetti. Ma non accade nulla.

Risultato: solo nel 2015 Consob decide che Mps deve correggere i bilanci perché, trattandosi di derivati, andavano contabilizzati a “saldi chiusi” mentre l’omologa tedesca Bafin aveva imposto a Deutsche Bank di considerare Santorini come tale già nel 2013. Le multe per la vicenda a Mussari e compagnia arrivano solo nel 2018, sei anni dopo, e per questo gigantesco ritardo sono state quasi tutte annullate. La Corte d’appello di Catanzaro, per dire, ha annullato quella di Mussari “per decadenza della Consob dall’esercizio della potestà sanzionatoria, in ragione della riscontrata inerzia nel- l’accertamento degli illeciti” visto che l’Authority “già dal 2014 era al corrente almeno del nucleo essenziale delle condotte contestate”.

Pier Carlo Padoan. È il conflitto d’interessi incarnato. Nel 2016, da ministro dell’Economia lascia il Monte in crisi a bagnomaria per non disturbare la campagna referendaria di Renzi, di cui accetta tutti i diktat, compreso quello di cacciare l’ad di Mps Viola per far posto a un manager gradito a Jp Morgan, con cui Renzi si era speso in promesse. Nel 2017 nazionalizza Mps con 5,4 miliardi. Dopo averli bruciati, si candida a Siena col Pd, poi abbandona il seggio dopo la nomina a presidente di UniCredit, la banca che ora si prenderà la polpa di Mps dopo la pulizia a carico dello Stato.

Andrea Orcel. Oggi guida UniCredit e il cerchio si chiude. Dalla banca d’affari Merrill Lynch partecipa a tutte le tappe del disastro (non il solo della sua lunga carriera). È il consulente dello spezzatino di Abn Amro: prima rifila l’Antonveneta a Botin, poi convince Mussari a prendersela al triplo. Oggi, in UniCredit, può godersi il frutto di quelle scelte.

ILFQ

Tanti elogi a Renato: così l’agente Betulla è ritornato a Palazzo. - Romana Allegra Monti e Giacomo Salvini

 

Neo-assunto. Il giornalista ha scritto diversi articoli celebrativi su ministro e governo.

Niente da dire: Renato Farina alias “agente Betulla”, si è conquistato sul campo l’assunzione come consulente giuridico del ministro Renato Brunetta. Da quando il governo Draghi si è insediato, sulle colonne di Libero il giornalista un tempo al servizio dei Servizi ha elogiato e celebrato le magnifiche gesta del premier, del commissario straordinario Figliuolo e di tutti i suoi ministri (tranne uno: Speranza, da lui considerato un pericoloso bolscevico). Ma ancora più di Draghi, Betulla ha dimostrato un particolare affetto nei confronti di Brunetta che, 6 mesi dopo, lo ha portato con sé al ministero della Funzione Pubblica.

Il 14 febbraio, dopo il giuramento, Libero apre il giornale con un titolo al limite del grottesco: “Brunetta ministro di alto profilo”. Svolgimento di Farina: “È la garanzia del ‘nessun dorma’”, “Il migliore che sia capitato all’Italia nel settore della Pubblica amministrazione”, “un professore di rilievo internazionale”. E ancora, il ritratto di Brunetta è un lungo florilegio di note biografiche in cui il ministro appare come il nuovo De Gaulle: “Nasce da famiglia poverissima”, “ha dovuto conquistarsi il diritto di svettare, trasformando le difficoltà in trampolino delle volontà”, “la carriera universitaria sfolgorante” e “una spasmodica lotta ai fannulloni”. Poi, la rivelazione di Farina: “Confesso, non parlo per sentito dire, non ho letto il suo profilo di Wikipedia: lo conosco”. Infatti hanno curato insieme una collana di libri su Libero e per cinque anni sono stati nello staff alla Camera di Forza Italia. E così il giudizio non può che essere imparziale e pungente: “Mi sono convinto per esperienza – scriveva Farina il 14 febbraio – che quest’uomo sia uno dei pochi giganti del pensiero in circolazione”. Un Nobel mancato. Betulla tesse le lodi anche dell’autrice della futura riforma della giustizia, a suo dire denigrata dal centrosinistra: “La Cartabia – scrive Farina il 16 febbraio – è riuscita a far funzionare come un orologio svizzero la Corte costituzionale che con lei, anche se positiva al Covid, marciava al galoppo”. E dal galoppo al galoppino, è un attimo.

L’inarrestabile Farina appunta al petto di Draghi e Cartabia una medaglia al valore per la cattura dei “brigatisti e assassini che se la spassavano in Francia”, definendola una “grande operazione” con un titolone sull’edizione di Libero del 29 aprile 2021. Come se li avessero catturati loro, a mani nude. Certo il soggetto preferito del suo lambire è il sommo Draghi, che affianca in ogni fondamentale e cruenta battaglia, come quella contro l’eccessivo utilizzo di parole inglesi: “Smart working, babysitting… chissà perché dobbiamo usare tutte queste parole inglesi”. Una frase che Farina definisce come “memorabile, penetrata negli animi ben oltre la crème intellettuale. […] Un sano moto di rivolta, in fondo patriottica”. Lo ha incensato persino quando, in occasione della Giornata nazionale in memoria delle vittime del Covid, Draghi ha chiuso la porta ai giornalisti (quindi la sua categoria, almeno sulla carta). Ma non basta. Quando il governo annuncia le riaperture di bar e ristoranti del 26 aprile, il merito di questo incredibile risultato è di Draghi e del suo “algoritmo di buon senso e e buon governo: salute + serenità sociale, fiducia nei cittadini + ragionevolezza = apertura progressiva”. Qualsiasi cosa voglia dire. Ma che ne pensa Betulla delle nomine volute dal premier? Su Libero del 21 aprile, Farina definisce Figliuolo come “l’uomo scelto perché stimato universalmente quale campione di logistica militare”. Mica come Arcuri. Lui ha le medaglie sul petto: “Figliuolo risolve i problemi quando fischiano i proiettili o sono lì per arrivare i missili”. Uno così non poteva che meritare una promozione.

ILFQ