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venerdì 6 agosto 2021

Tanti elogi a Renato: così l’agente Betulla è ritornato a Palazzo. - Romana Allegra Monti e Giacomo Salvini

 

Neo-assunto. Il giornalista ha scritto diversi articoli celebrativi su ministro e governo.

Niente da dire: Renato Farina alias “agente Betulla”, si è conquistato sul campo l’assunzione come consulente giuridico del ministro Renato Brunetta. Da quando il governo Draghi si è insediato, sulle colonne di Libero il giornalista un tempo al servizio dei Servizi ha elogiato e celebrato le magnifiche gesta del premier, del commissario straordinario Figliuolo e di tutti i suoi ministri (tranne uno: Speranza, da lui considerato un pericoloso bolscevico). Ma ancora più di Draghi, Betulla ha dimostrato un particolare affetto nei confronti di Brunetta che, 6 mesi dopo, lo ha portato con sé al ministero della Funzione Pubblica.

Il 14 febbraio, dopo il giuramento, Libero apre il giornale con un titolo al limite del grottesco: “Brunetta ministro di alto profilo”. Svolgimento di Farina: “È la garanzia del ‘nessun dorma’”, “Il migliore che sia capitato all’Italia nel settore della Pubblica amministrazione”, “un professore di rilievo internazionale”. E ancora, il ritratto di Brunetta è un lungo florilegio di note biografiche in cui il ministro appare come il nuovo De Gaulle: “Nasce da famiglia poverissima”, “ha dovuto conquistarsi il diritto di svettare, trasformando le difficoltà in trampolino delle volontà”, “la carriera universitaria sfolgorante” e “una spasmodica lotta ai fannulloni”. Poi, la rivelazione di Farina: “Confesso, non parlo per sentito dire, non ho letto il suo profilo di Wikipedia: lo conosco”. Infatti hanno curato insieme una collana di libri su Libero e per cinque anni sono stati nello staff alla Camera di Forza Italia. E così il giudizio non può che essere imparziale e pungente: “Mi sono convinto per esperienza – scriveva Farina il 14 febbraio – che quest’uomo sia uno dei pochi giganti del pensiero in circolazione”. Un Nobel mancato. Betulla tesse le lodi anche dell’autrice della futura riforma della giustizia, a suo dire denigrata dal centrosinistra: “La Cartabia – scrive Farina il 16 febbraio – è riuscita a far funzionare come un orologio svizzero la Corte costituzionale che con lei, anche se positiva al Covid, marciava al galoppo”. E dal galoppo al galoppino, è un attimo.

L’inarrestabile Farina appunta al petto di Draghi e Cartabia una medaglia al valore per la cattura dei “brigatisti e assassini che se la spassavano in Francia”, definendola una “grande operazione” con un titolone sull’edizione di Libero del 29 aprile 2021. Come se li avessero catturati loro, a mani nude. Certo il soggetto preferito del suo lambire è il sommo Draghi, che affianca in ogni fondamentale e cruenta battaglia, come quella contro l’eccessivo utilizzo di parole inglesi: “Smart working, babysitting… chissà perché dobbiamo usare tutte queste parole inglesi”. Una frase che Farina definisce come “memorabile, penetrata negli animi ben oltre la crème intellettuale. […] Un sano moto di rivolta, in fondo patriottica”. Lo ha incensato persino quando, in occasione della Giornata nazionale in memoria delle vittime del Covid, Draghi ha chiuso la porta ai giornalisti (quindi la sua categoria, almeno sulla carta). Ma non basta. Quando il governo annuncia le riaperture di bar e ristoranti del 26 aprile, il merito di questo incredibile risultato è di Draghi e del suo “algoritmo di buon senso e e buon governo: salute + serenità sociale, fiducia nei cittadini + ragionevolezza = apertura progressiva”. Qualsiasi cosa voglia dire. Ma che ne pensa Betulla delle nomine volute dal premier? Su Libero del 21 aprile, Farina definisce Figliuolo come “l’uomo scelto perché stimato universalmente quale campione di logistica militare”. Mica come Arcuri. Lui ha le medaglie sul petto: “Figliuolo risolve i problemi quando fischiano i proiettili o sono lì per arrivare i missili”. Uno così non poteva che meritare una promozione.

ILFQ

domenica 9 giugno 2013

Consiglio d’Europa, da Dell’Utri a Ciarrapico i trombati restano a Strasburgo. - Sara Nicoli

Dell'Utri, Ciarrapico, Farina e gli altri I trombati restano in Consiglio d'Europa


I componenti della delegazione sarebbero dovuti cambiare dopo le elezioni, ma i partiti non hanno mandato agli uffici competenti i nomi dei propri candidati. E così l'Italia è rappresentata (anche) da condannati e inquisiti bocciati alle urne o neanche candidati.

Democrazia pluralista, rispetto dei diritti umani e preminenza del diritto. Sono le tre architravi su cui poggia il lavoro del Consiglio d’Europa, un organismo da non confondere con il Consiglio europeo, fondato nel 1949 col Trattato di Londra. Ne fanno parte i 47 principali Paesi sviluppati del mondo che ogni quattro anni inviano le loro delegazioni nella sede dell’organismo a Strasburgo proprio per parlare dei massimi sistemi della politica, della cultura e del progresso del mondo.
A tenere alto il vessillo dell’Italia in questo delicato compito ci sono ben 40 ‘personalità’ di indubbio prestigio: Giuseppe Ciarrapico (in quota Pdl), Vladimiro Crisafulli (Pd), Marcello Dell’Utri (Pdl), Renato Farina(Pdl), Gennaro Malgieri (ex Fli), Giuseppe Valentino (uomo di fiducia di Berlusconi), Italo Bocchino (ex Fli) e persino Giacomo Stucchi (Lega), neopresidente del Copasir. Nomi che spiccano all’interno di una lista di una quarantina di componenti (visibile sul sito di Camera e Senato) declinati anche in virtù del ruolo; c’è un presidente (Luigi Vitali del Pdl), due vicepresidenti e due segretari.
L’intera delegazione (18 componenti effettivi e 18 supplenti) è seguita costantemente da appositi uffici istituzionali con sede sia alla Camera che al Senato, dove sono presenti un segretario di delegazione, due documentaristi e due assistenti. Che hanno un costo che ricade sui bilanci delle Camere, al capitolo “spese per attività interparlamentari e internazionali”. Solo a Montecitorio questa voce pesa per 1 milione e 965mila euro, ma non tutta la cifra è ascrivibile alla nostra partecipazione al Consiglio d’Europa e alle sue necessità. Il costo, però, c’è.
Inoltre, tra i poteri dell’assemblea del Consiglio, c’è quello di eleggere i giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo e il Commissario per i diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa. Nomine delicate e pesanti sul fronte internazionale. Delegate, per conto dell’Italia, proprio a Dell’Utri, Farina, Crisafulli. Ecco, questi signori e gli altri componenti della delegazione italiana, alcuni com’è noto non più parlamentari e pluri inquisiti, dovevano essere sostituiti all’inizio della legislatura dai presidenti delle Camere, su ‘suggerimento’ dei nuovi partiti eletti a febbraio.
Il problema è che, a oltre tre mesi dalle elezioni, non si ha alcuna notizia circa il cambio della guardia. A Strasburgo continuano a rappresentarci loro su questioni legate anche a ogni forma di intolleranza e la valorizzazione dell’identità culturale europea. Si sorride, poi, pensando che le lingue ufficiali del parlamentino di Strasburgo sono solo l’inglese e il francese e la mente vola subito all’immagine di Giuseppe Ciarrapico e al suo leggendario eloquio. Come mai tanto ritardo sulla sostituzione della delegazione europea? La colpa, invero, non è dei presidenti delle Camere, ma dei partiti. Che non hanno provveduto ancora a mandare agli uffici competenti i nomi dei propri (nuovi) candidati. Il perché, in alcuni casi, è facilmente intuibile; a chi è uscito dal Parlamento, restare almeno componente del Consiglio d’Europa è uno strapuntino che si tenta di preservargli fino all’ultimo. Ecco perché in special modo il Pdl è stato più volte sollecitato a proporre i nuovi, ma l’appello è caduto nel vuoto.