venerdì 21 maggio 2010

Alle Tv un regalo da 2 miliardi


di Roberta Carlini
Tutti gli Stati Ue vendono le frequenze lasciate libere dal digitale terrestre. Unica eccezione: l'Italia che ha invece rinunciato al ricco business

Angela Merkel ha i suoi problemi con le casse europee, ma per quanto riguarda quelle tedesche può consolarsi guardando al tesoretto che si sta accumulando ai piedi della vecchia tv. All'asta pubblica partita da alcune settimane, gli operatori di telefonia mobile fanno la fila con il portafoglio in mano per aggiudicarsi le frequenze lasciate libere dal passaggio al digitale terrestre. Finora sono entrati 2,5 miliardi di euro, la previsione del governo è di chiudere con un incasso che tra i 4 e gli 8 miliardi. E i tedeschi non sono soli: dall'Europa agli Usa, il "dividendo digitale" fa gola a molti governi. Ma non al nostro, che ha deciso di dare quelle frequenze gratis alle televisioni. Rinunciando a un bel gruzzoletto che il bilancio pubblico poteva incassare "senza mettere le mani nelle tasche degli italiani", come ama dire Tremonti.

Secondo una stima della Commissione europea, il valore dello spettro liberato con lo switch-off è di 44 miliardi di euro. A tanto ammonta lo stimolo all'economia dell'Unione che si avrebbe se quelle frequenze fossero destinate allo sviluppo dell'Internet mobile. Una buona fetta della torta potrebbe andare ai governi, che hanno vari strumenti a disposizione per farsi pagare le frequenze (le aste, ma anche l'esazione di canoni). Senza contare le ricadute sociali positive: accessibilità a tutti della banda larga ad alta velocità e riduzione del digital divide. Per questo dalla Commissione viene un'indicazione per tutti gli Stati membri: aprite lo spettro alla telefonia mobile. E così hanno fatto, o stanno facendo, Germania, Olanda, Danimarca, Finlandia, Spagna, Svezia, Gran Bretagna, Francia. Seguendo l'esempio degli Stati Uniti, dove il governo federale ha incassato 19 miliardi solo per il 2009.

In Italia, niente di tutto questo. Il governo Berlusconi ha deciso di non trarre alcun vantaggio economico (pubblico) dal dividendo digitale. Eppure, alla vigilia dello switch-over, le potenzialità economiche dello spettro italiano erano già evidenti agli esperti del settore: una stima allargata ai possibili vari usi delle frequenze (fatta in uno studio del 2007 da Carlo Cambini, Antonio Sassano e Tommaso Valletti) valutava l'incasso potenziale per lo Stato in 2 miliardi di euro all'anno. Più di recente, un'analisi dello stesso Cambini, del Politecnico di Torino, nell'ambito del progetto Isbul dell'Autorità per le comunicazioni, ha calcolato il costo-opportunità delle frequenze: in pratica, si calcola il costo della rinuncia a quelle frequenze per un operatore tv e per uno di telefonia mobile. In questo contesto, viene fuori che 1 Megahertz di frequenze più o meno simili "vale" 4 milioni per l'uso di una tv digitale, 10 milioni per la telefonia. Ma è una stima super-prudente, avverte lo stesso Cambini, perché non tiene conto del valore del business che gli stessi operatori si attendono dallo sviluppo di quelle frequenze: molto più alto, come si vede ogni volta che viene fatta un'asta. Basta vedere quel che è successo in Germania, dove finora gli operatori hanno offerto per frequenze analoghe circa 40 milioni per Mhz.

Insomma le frequenze sono una miniera d'oro, che il governo, attraverso l'allora ministro Claudio Scajola e il viceministro Paolo Romani, ha deciso di non far fruttare. Infatti la gara a cui sta lavorando l'AgCom di Corrado Calabrò è riservata alle tv, e non è un'asta ma si chiama "beauty contest": non si chiede denaro a chi partecipa, ci si limita a dettare i requisiti che bisogna avere per poter ricevere il dono. Che sarà spartito tra Rai-Mediaset, Telecom Italia, e qualche new entry di contorno.


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