mercoledì 8 giugno 2011

L’ombra di Tremonti. - di Alessandro De Angelis


Mani legate. Dall’Europa un sostegno alla linea del superministro. Maroni punta sul voto anticipato. Berlusconi: «Così non duriamo». E per blindare palazzo Chigi si converte alle primarie: «Vediamo chi mi sfida». Oggi vertice a palazzo Grazioli. E sul successore di Alfano il Cav colleziona rifiuti.

«Ormai con Tremonti è una sfida aperta, e noi abbiamo le mani legate. Vuole costringerci a cedere, colpo dopo colpo. Punta tutto su uno scenario di emergenza». Lo spettro «Giulio» si materializza quando il premier legge il documento approvato dalla Commissione europea.
Il piano di consolidamento dei conti italiani è credibile fino al 2012, ma richiede ulteriori misure per far fronte a un deficit strutturale, ovvero la manovra da quaranta miliardi che sarà varata entro l’estate. È un sostegno aperto alla linea del rigore che il superministro ha difeso senza esitazioni, pure di fronte alle pressioni della Lega, durante il tormentato vertice di lunedì.
Berlusconi pensa che l’intervento europeo sia in parte autentico, ma in parte anche concordato nella durezza. Non è un mistero che il superministro è considerato un referente affidabile, se non l’unico, di cancellerie e euroburocrati. Ci parla, è ascoltato, ha familiarità con Barroso. E non sarebbe la prima volta che il vincolo esterno viene usato per imporre una politica di lacrime e sangue. Il che rende difficile, quasi impossibile, qualunque discorso sulla riforma fiscale, unico volano di un rilancio possibile: «Ormai - dice un ministro berlusconiano a microfoni spenti - per capire come andrà a finire sul fisco e su tutto il resto serve un veggente o un medium».
Un’ossessione, la manina tremontiana. Che il premier vede ovunque. Del resto i segnali di sostegno alla linea del rigore senza se e senza ma ieri sono arrivati da vari terminali della «rete di Giulio», neanche ci fosse stata una chiamata alle armi. Il presidente della Confcooperative, Luigi Marino, nella sua redazione annuale, ha usato toni da portavoce del Tesoro: «Sulla riforma fiscale si concentrano aspettative irrealistiche come quella di una drastica riduzione delle tasse». Pure Domenico Siniscalco, presidente di Assogestioni, intervistato da Sky, interpreta il documento della commissione europea come un invito a proseguire sulla strada intrapresa, che non consente diversivi. Ecco la sensazione di impotenza, di mani legate. Quel «può succedere di tutto» sussurrato da Berlusconi a più di un ministro mostra che il Cavaliere stavolta ha davvero paura. E non è un caso che nella war room nessuno si sbilancia sulle previsioni in materia di referendum. Per come viene percepito l’esito è comunque negativo per il governo: se non si raggiunge il quorum non cambia nulla, se dovesse essere superato sarebbe una sconfitta del Cavaliere. Che renderebbe possibili gli scenari più foschi.
Perché le rassicurazioni di Bossi sulla tenuta dell’alleanza bastano, ma fino a un certo punto. I sensori berlusconiani hanno intercettato che un pezzo consistente del Carroccio (vai alla voce: Roberto Maroni) ormai punta apertamente al voto nel 2012. E il semplice galleggiare - senza fisco, senza riforme - favorisce la manovra. E favorisce anche una sensazione di smarrimento delle truppe pidielline. Per dirne una, Berlusconi non è ancora riuscito a trovare il nome per il successore di Alfano alla giustizia, per mancanza di disponibilità: «Non ho ancora chiaro chi fare - ha confidato a un fedelissimo - visto che non c’è nessuno che si vuole accollare quel ministero». È una postazione troppo esposta, la prima trincea a sgretolarsi quando cade il Capo.
Tremonti, Maroni, le inceretezze pidielline. Difficile galleggiare a lungo senza un rilancio sull’economia. Per questo il premier ha convocato per oggi capigruppo, triumviri e neosegretario a palazzo Grazioli. Occorre un “piano B”, tutto politico, per blindare la legislatura. Ieri il premier ha cominciato a parlare con Gasparri e Quagliariello di legge elettorale. La proposta, di un premio di maggioranza nazionale al Senato, è stata già depositata: «Con la legge attuale - spiega una fonte vicino al dossier - la golden share ce l’avrebbe il terzo polo, se cambiamo come diciamo noi è vero che la diamo a Bossi ma almeno rafforziamo l’alleanza».
Ma la vera novità è che Berlusconi è diventato un acceso sostenitore delle primarie. Già oggi, al convegno dei «servi liberi e forti» di Giuliano Ferrara, potrebbe lanciarle in grande stile nel suo intervento. E non perché condivide l’afflato democratico, anzi. Riflettendo sul meccanismo ha pensato che potrebbe tornare utile per far uscire allo scoperto i cospiratori, e abbatterli a colpi di voti: «Voglio vedere - è il suo ragionamento - chi ha il coraggio di candidarsi contro di me, quando sarà». E per questo ha ragionato con Quagliariello di rendere le primarie obbligatorie per legge, aggiungendo qualche comma al testo della riforma elettorale. Fissato il metodo, fissato il timing per tenerle, ovvero quattro mesi prima delle elezioni, il Cavaliere avrebbe trovato un modo per rilegittimarsi in vista della corsa a palazzo Chigi. Chissà. Segno dei tempi, proprio quando il Capo si è appassionato al nuovo giocattolo più di un pidiellino che conta è piombato nello sconforto più cupo. Perché il meccanismo era stato pensato per il “dopo” Berlusconi. Se se ne appropria lui, il dopo non inizia mai.




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