martedì 13 settembre 2011

Quel nano triste da italiano in gita. - di Marco Travaglio




Domani il presidente del Consiglio del noto Paese di merdavolerà insalutato e indesiderato ospite a Strasburgo per illustrare all’Europa, che non gli aveva chiesto nulla ed era ignara di tutto, la settima versione della manovra economica, per giunta provvisoria visto che il Parlamento non l’ha ancora approvata e gli alleati leghisti han presentato 300 emendamenti.
Il presidente del Parlamento europeo ha fatto sapere che potrà dedicare all’illustre turista in gita low cost “due minuti al massimo per una visita meramente privata”. Ha da fare col presidente polacco che, non dovendo scappare dai magistrati, aveva programmato la visita da mesi.
Mai, del resto, le istituzioni europee erano stata usate da un capo di governo come alternativa alla latitanza.
Il presidente della Commissione, il pacioso Barroso, si rende felicemente complice della fuga solitaria dell’amico impunito, suo generoso coinquilino nel gruppo Ppe. Ma non ha potuto fare a meno di comunicare che, di quell’incontro, non aveva mai avvertito l’esigenza: “È stato chiesto la settimana scorsa dal governo italiano”, cioè dagli avvocati del premier, terrorizzati all’idea che vada a parlare da solo, senza di loro, con i pm.
È talmente fuori che, lasciato a se stesso, può dirne di tutti i colori: entrare testimone e uscire indagato. Tant’è che Ghedini chiede ai pm di bruciare inutili tempi morti e sentirlo come indagato. Così potrà avvalersi della facoltà di non rispondere (riservata agli inquisiti e negata ai testi) o, nel malaugurato caso che apra bocca, provvederanno loro a fargli da badanti e, se le cose si mettono male, a trascinarlo via con qualche scusa. Sanno bene che, qualunque cosa dica, rischia grosso.
Se continua a contar balle, e cioè che non ha subito ricatti perché per Tarantini e Lavitola è come una dama della San Vincenzo, scatta l’incriminazione per falsa testimonianza.
Se invece, tanto per cambiare un po’, dice la verità, e cioè che ha dovuto sganciare tutti quei soldi perché Tarantini non lo coinvolgesse nei suoi traffici di prostituzione e, patteggiando, non facesse uscire le sue telefonate intercettate con le mignotte, i pm gli chiedono dove ha preso il denaro, da quali riserve occulte, chi ci ha pagato le tasse e perché ha violato una legge fatta da lui stesso che vieta i movimenti in contanti sopra i 5 mila euro.
Il guaio è che lui, poveretto, non ha la più pallida idea di cosa sia il Codice penale: come dice Luttazzi, l’ha sempre scambiato per un catalogo di opzioni.
Ieri, per esempio, ha espresso tutto il suo stupore per il fatto che i pm “vogliono a tutti i costi ascoltarmi come vittima di un’estorsione che io ho chiarito di non considerare tale”. Purtroppo, a decidere l’esistenza o meno di un’estorsione, non è la vittima del ricatto, ma il giudice: capita quasi sempre che il ricattato, proprio perché ricattato, neghi di esserlo. Se l’estorsione necessitasse dell’avallo dell’estorto, non si farebbe un processo contro la mafia del pizzo, visto che i commercianti che lo pagano negano sempre di pagarlo e, quando si dimostra il contrario, sostengono di aver aiutato una famiglia bisognosa. Proprio quel che racconta B. a proposito degli 800 mila euro a Tarantini, più affitto e 20 mila euro al mese.
Chissà se domani, per riabilitare l’Italia screditata dalle sinistre, racconterà all’Europa di aver adottato la famiglia bisognosa di Tarantini, “passato dal benessere alla miseria a causa dell’intervento dei magistrati”.
Tutto vero: il sant’uomo, accusato di traffico di droga, favoreggiamento della prostituzione e corruzione, è stato sette volte indagato, tre volte arrestato e una volta condannato in primo grado.
Tutto chiaro: i magistrati han voluto perfidamente stroncare un’avviata carriera di spacciatore e magnaccia.
Oggi a Strasburgo, dopo tante incomprensioni, qualcuno finalmente concorderà con B: “Silvio, ma lo sai che hai ragione? Il tuo è proprio un Paese di merda. Infatti lo governi tu e nessuno dice nulla”.


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