martedì 13 settembre 2011

Tem, così Penati tradì i sindaci. La vicenda della Serravalle.






Dapprima contrario alla Tangenziale, cambiò linea con l'acquisto di Serravalle. Nella campagna elettorale del 2008 promise dura battaglia alla Tem.



Melzo, 11 settembre 2011 - A Filippo la Serravalle aveva portato in dote una bella grana politica. Niente però al confronto di quel che potrebbe accadere adesso, dopo il nuovo avviso di garanzia per concorso in corruzione che Penati ha ricevuto proprio sull’acquisizione dell’autostrada dalla Procura di Monza, che indaga sulle presunte tangenti del «sistema Sesto». E che rischia di fare scivolare l’ex presidente della Provincia all’inferno. I pm brianzoli vogliono vedere chiaro in quella plusvalenza di 179 milioni che il Gruppo Gavio realizzò (Penati comprò le azioni a 8,9 euro l’una contro i 2,9 a cui erano state acquistate dall’imprenditore piemontese) vendendo all’allora numero uno di Palazzo Isimbardi il 15% della società che mancava all’appello per detenere il controllo totale.

E Filippo era convinto che quella fosse la strada giusta. A dispetto dei sindaci, cui si presentò qualche mese prima dell’operazione - una di quelle da esordio come presidente - quando era in corsa per la poltrona più importante di via Vivaio, dicendo che no «quella tangenziale, la Melegnano-Agrate non era da fare». Passa un lampo e cambia idea, ritenendo che la Provincia, ormai strappata a Ombretta Colli, dovesse giocare un ruolo strategico nella partita infrastrutture e che avrebbe potuto farcela solo comandando in Serravalle. Con buona pace dei Comuni che gli avevano fatto fare incetta di voti. Serravalle controlla il 32% di Tem e l’acquisizione dell’intero pacchetto dell’autostrada significò benedire in automatico la nuova tangenziale. Ma politicamente parlando significò tradimento. Penati come spiego l’operazione ai consiglieri del suo gruppo allora? Vittorio Pozzati fra il 2005 e il 2009 sedeva prima con i Ds e poi con il Pd proprio fra quelle fila (ora è consigliere provinciale a Monza).

Cosa vi disse il presidente?«Ci illustrò un obiettivo politico ben preciso: disse che si doveva comprare il pacchetto Gavio per avere voce in capitolo nel nuovo sistema infrastrutturale lombardo. Aggiunse che da quella posizione sarebbe stato meglio».
Avete mai dubitato che ci potessero essere dietro problemi?«Assolutamente no. Mai».  
Penati vi parlò del prezzo delle azioni cedute dal Gruppo Gavio?«Certo che ne parlò e non si limitò a questo: ci disse di aver commissionato una perizia per stabilire se la cifra fosse equa».
E ve ne comunicò l’esito?«Sì, i periti dissero che l’operazione era congrua. E noi, zitti e mosca approvammo».
Alla luce di quel che sta emergendo adesso, cosa pensa di quel che accadde?«Francamente? Sono molto, molto preoccupato. Al punto che in questi giorni ho telefonato a qualche altro vecchio consigliere. Mi auguro per il partito su questa vicenda faccia chiarezza».
Come si sente in relazione a questa vicenda?«Usato. Lo dico con amarezza. L’indagine è in corso per carità, saltare alle conclusioni sarebbe un errore madornale. Ma quando ho letto dell’inchiesta ho provato disagio. Un profondo disagio».
Non aveva mai notato niente di strano?«Mi rifiuto di pensare che questo giro di mazzette possa essere esistito veramente. Mi sembra di essere una comparsa in un brutto film di fantascienza».
Insomma non sapevate nulla, nemmeno dell’esitenza di Fare Metropoli, la associazione culturale vicina a Penati oggi definita dai magistrati una cassaforte di tangenti? "Ne sono venuto a conoscenza dopo l’inizio dell’inchiesta. Vediamo di che si tratta. Sono amareggiato"
di Barbara Calderola


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