Certo che questi tecnici sono proprio dei
fenomeni. Esordiscono col decreto
“Salva - Italia” che, in soldoni, al netto dei soliti
regali alle banche, si riduce a due cose:
spostare l’età pensionabile fino a 66-67 anni (la più
alta d’Europa) e inventare o aumentare una serie
innumerevole di tasse, imposte e balzelli. Compresa
l’Imu: ora si scopre che non si sa come e quanto
pagare, ma intanto avanti con gli anticipi, poi
qualcosa s’inventerà. C’è anche uno zuccherino per
chi chiede equità: la mitica tassazione dell’1,5% sui
capitali esodati, già costati agli evasori e ai malavitosi
la bellezza del 5% di imposte (invece del 50). Poi si
scopre che la norma è scritta coi piedi, per cui
nessuno pagherà nulla. E c’è pure un contentino per
chi invoca il taglio dei costi della politica: la
soppressione (almeno a parole) delle province, che
dovrebbe far risparmiare – direbbe la contessa
Fornero in dolce stil novo – una paccata di miliardi.
Poi si scopre che è tutto finto. Le province restano,
ma non sono più i cittadini a eleggere direttamente i
consiglieri provinciali: li nominano i consiglieri
comunali, cioè la casta. Ma il baraccone resta in
piedi, e se una parte delle competenze passa alle
regioni, spendiamo anche di più perché i dipendenti
regionali guadagnano il 30% più di quelli provinciali.
Un affarone. Poi arrivano le mitiche liberalizzazioni
per spezzare le reni alle lobby (i famigerati tassisti e
farmacisti): pompe magne, rulli di tamburo,
trombette a palla, perepereperepé. Guai se il
Parlamento le affossa. Risultato: persino le licenze
dei tassinari passano sotto l’egida dei sindaci, che
non cambieranno un’acca. Intanto la Ragioneria
dello Stato segnala un problemino da niente: per una
serie di norme del decreto manca la copertura
finanziaria. Ma che sarà mai, approvate lo stesso. Poi
Report e il Fatto scoprono gli effetti devastanti del
combinato disposto del Salva-Italia e del
Milleproroghe: il primo manda la gente in pensione a
66-67 anni, il secondo salva dal limbo i lavoratori in
mobilità, ma si dimentica di quelli incentivati
all’esodo, che nessuno sa quanti siano. Chi dice 20
mila, chi 65 mila, chi 100 mila, finché arriva il dato
dell’Inps: 350 mila. Senza lavoro né stipendio né
pensione. Esodati e mazziati. Panico nel governo:
ops, che sbadati, non ci avevamo pensato. Se non
fossero tecnici, parrebbero dilettanti allo sbaraglio.
Report domanda alla Fornero come pensa di
risolvere il problema. E lei, con l’aria di chi passa di lì
per caso: “Daremo un sussidio”. Non hanno pane,
mangino brioches. Minuscolo dettaglio: per 350 mila
sussidi ci vogliono miliardi, che nessuno sa dove
trovare. Il che, fra l’altro, dimostra che pure il
Salva-Italia è stato fatto e approvato senza copertura
finanziaria. Roba che neanche ai tempi di Pomicino,
di cui pure Monti fu un valido collaboratore. Bei
tempi quando i presidenti della Repubblica
respingevano le leggi e i decreti non coperti, in base
all’articolo 81 della Costituzione: “Ogni altra legge
che importi nuove o maggiori spese deve indicare i
mezzi per farvi fronte”. Napolitano, come sempre,
firma tutto. E sull’art. 18 dice che “la riforma aiuta la
crescita”, ma “devo ancora approfondire il tema”.
Intanto che approfondisce, l’idea che chi scrive una
legge e chi la vota debba preoccuparsi delle
conseguenze di quel che fa non è proprio
contemplata, nell’era dei tecnici. Il sottosegretario
Polillo, che non è un tecnico ma un vecchio politico
e un po’ della gente si preoccupa, propone di
disdettare gli accordi tra imprese ed esodati,
rimandandoli a lavorare, e promette che il governo
non li lascerà in mezzo a una strada. Ma la Fornero,
sempre con l’aria da pic-nic, lo fulmina: “Se il
sottosegretario ha una ricetta, se ne faccia carico
per sonalmente”. L’idea che una ricetta dovrebbe
avercela lei che ha creato il guaio con la cosiddetta
“riforma delle pensioni”, non la sfiora neppure. Ora
magari lancerà un concorso a premi per creativi, da
abbinare alla Lotteria Italia o al Gratta e Vinci: “Trova
tu la ricetta per salvare gli esodati”.
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