venerdì 18 maggio 2012

Considerazioni in una giornata come tante.




Il mese scorso dalla mia pensione lo Stato ha prelevato più della metà in tasse, con l'addizionale e robette varie, questo mese, fortunatamente, solo un terzo.
Con una smorfia di disgusto misto a sgomento, mi vesto e mi accingo ad uscire.
Prendo la macchina, perchè la zona in cui vivo non è servita dai mezzi pubblici e poi, dovendo tornare carica, non credo di poter affrontare la salita che porta a casa mia.
Pazienza!
Camminando il disgusto e lo sgomento aumentano: strade dissestate e sporche, cumuli di spazzatura e roba varia ammassata da tempo sui cigli e sui marciapiedi.
Arrivo in città. Già in periferia ci sono problemi a posteggiare la macchina; facendo giri a vuoto, debbo anche destreggiarmi tra vari lavavetro e questuanti. 
Debbo sbrigarmi. Debbo fare prima una puntatina al mercatino rionale per acquistare alcune cose che mi servono.Vado al mercatino perchè lì costa tutto molto meno e lo faccio con sgomento ed un senso di colpa perchè penso che uno dei negozi dal quale mi fornivo, con quella graziosissima e gentilissima signora, probabilmente, con la crisi galoppante che c'è, chiuderà i battenti, ma non posso più permettermi il lusso di comprare da lei e come me tanti altri.
Debbo fare in fretta, perchè debbo passare anche da mia figlia per lasciarle un po' di soldi; è rimasta senza e deve arrivare alla fine del mese, con lo stipendio del marito non ce la fa. 
Ha perso il lavoro da due mesi. Lavorava presso una azienda di certificazione aziendale, una di quelle società che assumono a tempo indeterminato, con stipendi da fame erogati a metà del mese successivo, magari con assegni circolari barrati e, quindi disponibili dopo sette-otto giorni, condotte da sfaccendati che camminano in SUV, e prendono fondi dalla regione realizzando lavori a progetto. Naturalmente, queste società che vivono di finanziamenti pubblici, terminata la pecunia chiudono un'attività per aprirne un'altra sotto altro denominazione sociale per attingere a nuovi fondi con la compiacenza del politico di turno. E, chiudendo l'attività, hanno anche diritto a rescindere i contratti a tempo indeterminato. 
Ma tant'è.
E poi penso: ma come siamo arrivati a questo punto? 
Non mi preoccupa il fatto di dovermi fornire al mercatino, ci può stare, quello che mi preoccupa è: che avvenire hanno i nostri figli? I nostri nipoti? Che cosa gli stiamo lasciando? 
Quando non ci saremo più noi a dargli una mano, che faranno?
E lo sgomento diventa disperazione.

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