Il crac in piena campagna elettorale. Secondo la ricostruzione della Guardia di finanza il buco supererebbe i 1000 milioni di euro. Finiscono in mezzo a una strada i 1500 dipendenti del gruppo.
Il crac è arrivato in piena campagna elettorale, cinque giorni prima delle elezioni comunali. Da stamane Torre del Greco (Napoli) è una città in ambasce, stretta tra le incertezze del proprio futuro politico-amministrativo e l’angoscia per il fallimento della compagnia di navigazione Deiulemar, che negli ultimi 40 anni aveva raccolto i risparmi di circa 10mila famiglie del luogo, la stragrande maggioranza dei suoi 13.000 obbligazionisti.
La notizia, temuta ma ormai attesa, si è ufficializzata poco dopo le 11 del 2 maggio. E’ l’orario in cui la sezione fallimentare del tribunale di Torre Annunziata ha accolto l’istanza presentata da sette creditori per un importo complessivo di circa 250.000 euro, bocciando di fatto la proposta di concordato preventivo avanzata lo scorso 18 aprile dai vertici societari. Il giudice Massimo Palascandalo e gli altri componenti del collegio hanno nominato una curatela fallimentare composta da tre professionisti provenienti da Napoli, Bari e Milano, Antonella De Luca, Giorgio Costantino e Vincenzo Masciello.
Termina così, per l’insolvenza di un debito modesto, se rapportato al miliardo di euro di fatturato della società fino al 2010, la gloriosa storia della compagnia chiamata con l’acronimo dei tre armatori della città del corallo (Della Gatta, Iuliano e Lembo) che la fondarono nel 1969. Finiscono in mezzo a una strada i 1500 dipendenti del gruppo. E rischiano di restare con un pugno di mosche in mano i risparmiatori che avevano pompato nelle casse della società risorse fino a 846 milioni di euro, secondo l’ultimo dato reso noto pochi giorni fa al termine di un aggiornamento del censimento degli obbligazionisti.
Ma il ‘buco’, al lordo delle esposizioni con le banche e coi fornitori, supererebbe i 1000 milioni di euro. E’ stata la cronaca di una morte annunciata. Le metastasi del tumore finanziario si erano materializzate a gennaio, quando la Deiulemar ha cominciato a non coprire il 7% di interessi promesso con le emissioni delle obbligazioni, e a rispondere ‘picche’ ai risparmiatori che chiedevano di ritornare in possesso del capitale investito. In un crescendo rossiniano, la situazione è precipitata in pochissime settimane con la scoperta di decine di migliaia di bond-fantasma (non iscritti a bilancio). Sui quali ha provato a mettere ordine il nuovo amministratore unico, Roberto Maviglia, chiamato col compito di ricostruire i passaggi di denaro all’interno di Deiulemar e delle sue controllate. Mentre emergeva un complicato sistema di ‘scatole cinesi’, fiduciari e e trust nei paradisi fiscali che nel tempo, secondo la Procura di Torre Annunziata e la Guardia di Finanza di Napoli, potrebbero essere state utilizzate per distrarre finanze dal gruppo e metterle al riparo del fisco e dei creditori. A nulla sono serviti gli appelli alla calma, le proposte di accordo e il lavoro di mediazione di Michele Iuliano, l’88enne ‘capitano’, l’ unico sopravvissuto tra i fondatori.
Gli ultimi mesi sono stati caratterizzati da numerose manifestazioni di protesta e fiaccolate, accompagnate da grande tensioni, organizzate da chi ha investito e perso ingenti somme nella società. Ma per il fallimento di Deiulemar era ormai sono una questione di tempo.
Un altro caso Parmalat? Solite scatole cinesi per far sparire capitali nei paradisi fiscali...e nessuno fa o dice niente.
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