Il compenso 2015 all’ex presidente per il lavoro fatto nell’anno più disastroso nella storia dell’istituto. I soci perdevano in media 42 mila euro a testa. Passata ai figli la quota di maggioranza della casa vinicola.
Un milione. L’ex presidente Gianni Zonin, dimessosi il 23 novembre scorso, indagato dalla procura vicentina per presunti reati nella gestione della Banca Popolare di Vicenza, incassa un milione di euro di compenso (in linea con il 2014) per il lavoro fatto nell’anno più disastroso nella storia dell’istituto. Quello in cui i soci hanno visto letteralmente sparire 5 miliardi di risparmi (42mila euro a testa), famiglie rovinate, aziende distrutte, la banca tramortita, la reputazione ai minimi termini e un drastico piano di salvataggio, appena approvato.
I dettagli degli stipendi saranno resi noti nell’assemblea di bilancio convocata ieri dal consiglio per il 26 marzo.
Ma il milione a Zonin, come tutti gli emolumenti del vertice, è già contabilizzato. Sempre ieri si è saputo che l’Antitrust ha aperto un procedimento contro la Popolare, ora spa, per presunta pratica commerciale scorretta, cioè l’aver condizionato, in passato, l’erogazione di prestiti all’acquisto di azioni. Subito dopo le dimissioni, Zonin, con una manovra sulle sue holding, ha assicurato il controllo del gruppo vinicolo ai tre figli. Tre bonifici per un totale di 2,5 milioni sono arrivati nel conto dell’accomandita «Gianni Zonin Vineyards» alla sede storica della Popolare in Contrà Porti. Denaro per ricapitalizzare la sas, retta da un intreccio di titoli in proprietà e usufrutto tra il capostipite e i figli. L’aumento, però, viene sottoscritto solo dai figli che salgono così al 50,02% garantendosi, a cascata, il controllo del gruppo.
Forse era previsto o forse è un’operazione dettata dalla prudenza: con l’aria che tira non si sa mai che un ipotetico sequestro vada a toccare la Casa Vinicola Zonin.
Il vertice della banca, tuttavia, si muove con grande prudenza. Del resto è noto che gran parte del consiglio (13 su 18) è tuttora espressione della vecchia gestione. Si può chiedere, per esempio, a Marino Breganze (68 anni) di agire eventualmente contro sé stesso o contro chi gli ha garantito la poltrona di vicepresidente per 16 anni, di consigliere per 29, 590mila euro di stipendio, compreso quello da attuale presidente di Banca Nuova?
E il segretario del consiglio Giorgio Tibaldo (66) che è lì esattamente da 30 anni, e prende 220mila euro? Di uomini cresciuti fianco a fianco con Zonin è pieno il cda. «Io non parlo e lei non mi citi — dice al telefono uno dei nomi nuovi al vertice — ma ho visto cose che voi umani ...».
E il collegio sindacale, che avrebbe titolo per avviare autonomamente azioni di responsabilità? Due su tre sono professionisti di fiducia di Zonin. Il numero uno, Giovanni Zamberlan (in servizio da 28 anni, 200mila euro di emolumenti, quasi il doppio dei sindaci Eni), è ben conosciuto anche dal nuovo presidente della banca, Stefano Dolcetta che lo ritrova alla guida del collegio della «sua» Fiamm e di altre 6 aziende del gruppo. All’assemblea del 26 solo il bilancio è all’ordine del giorno. Nessun ricambio nel consiglio. E la Fondazione Cassa di Prato, che ha fatto un bagno di sangue con azioni di Vicenza, preannuncia battaglia.
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