venerdì 20 settembre 2019

Luigi Di Maio e i due cazzari. - Tommaso Merlo



Luigi di Maio ammette che non è stato affatto facile per lui passare in pochi giorni dalla cooperazione con la Lega a quella col Pd. Eppure il capo politico del Movimento lo ha fatto. E questo perché Luigi non è il padrone del Movimento 5 Stelle ma è al suo servizio. Luigi è un cittadino come gli altri che si è assunto la responsabilità di guidare il Movimento, ma non decide solo lui. Scoppiata la crisi di governo, Luigi ha ascoltato i portavoce in parlamento, Beppe Grillo e tutti gli amici storici del Movimento e soprattutto ha preso atto del voto su Rousseau. In un bivio così cruciale, la direzione del Movimento è stata decisa dal voto di migliaia di attivisti. Non da uno solo. È successo prima di firmare il contratto con la Lega, è successo prima di provare a governare col Pd. Un’innovazione storica, un salto epocale per la nostra democrazia che i Benpensanti del vecchio regime si ostinano a ricoprire di fango. Hanno paura. Della propria fine. E mentre il vecchio regime resiste testardamente, il Movimento si muove. Come dice la parola e come dice Luigi Di Maio. E dopo Roma, migliaia di cittadini si esprimono sul nuovo assetto in Umbra. Il tutto mentre sostenitori ed iscritti degli altri partiti vengono cagati solo quando devono votare o riempire qualche piazza per far fare bella figura ai loro idoli. Vecchia politica. A Roma come in Umbria, Luigi Di Maio seguirà la volontà del Movimento e non viceversa. Perché lui è il capo politico ma non il padrone. Oggi c’è lui, domani chissà. Tra le innovazioni che il Movimento sta introducendo nella politica italiana, una è proprio questa. La fine del leaderismo e cioè della politica che si riduce a corti di fedelissimi leccapiedi raccolti attorno a qualche ducetto di cartapesta coi cittadini rilegati a tifosi da aizzare alla bisogna. Una politica in balia dell’ego dei soliti megalomani arrivisti. Come la Lega di Salvini a cui in queste ore si aggiunge la deprimente gang renziana. Salvini, Renzi, due facce dello stesso cazzume. Tutto il potere nelle mani di uno solo. La politica come palcoscenico dove sfogare le proprie meschine velleità. La politica come carriera, come rissa comunicativa a fini di potere. Il nuovo governo è appena partito e i due cazzari già si cercano. Hanno bisogno uno dell’altro. Di un match televisivo, di slogan con cui scatenare le loro curve. Renzi sbava per riciclarsi e ricominciare a esibirsi davanti al grande pubblico. Salvini ha invece bisogno di riprendersi dalla ciucca estiva e gli fa comodo un nemico così sputtanato. Deve rinnovare il repertorio, deve ricominciare ad azzeccarne una. Anche perché Conte è troppo popolare e gli elettori del Movimento gli potrebbero venire comodi in futuro. Vecchie logiche leaderistiche, vecchia politica, le solite cazzate. Nel frattempo il Movimento prova a rimboccarsi le maniche e riprendere il lavoro interrotto. Ha in mano una lista di cose da fare e vuole riuscire a realizzarle. Lo vogliono i cittadini, lo vogliono i portavoce e lo vuole Luigi Di Maio. Tutti al servizio di un progetto collettivo e del sogno di una democrazia all’altezza.

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