sabato 28 settembre 2019

Renzi “assolve” l’ex Cav. sulle stragi di mafia. - Marco Lillo

Renzi fa il Caimano e “assolve” l’ex Cav. sulle stragi di mafia

Sfida aperta a magistrati e sentenze - Il capo di Italia Viva attacca i pm di Firenze (che processano i suoi genitori) e spaccia per assolto il prescritto Papa.

La linea di Italia Viva sulla giustizia arriva con un post su Facebook a metà mattinata: “Vedere che qualche magistrato della Procura della mia città da anni indaghi sull’ipotesi che Berlusconi sia responsabile persino delle stragi mafiose o dell’attentato a Maurizio Costanzo mi lascia attonito (…) Berlusconi va criticato e contrastato sul piano della politica. Ma sostenere 25 anni dopo, senza uno straccio di prova, che egli sia il mandante dell’attentato mafioso contro Maurizio Costanzo significa fare un pessimo servizio alla credibilità delle Istituzioni italiane. Di tutte le Istituzioni”. Firmato: non Maurizio Gasparri o Daniela Santanché ma Matteo Renzi, già premier e segretario del Pd, ora grande elettore del governo giallo-rosso.
Matteo Salvini e Giorgia Meloni, risvegliati dalla tromba renziana, si ricordano di essere stati fedeli alleati del Cavaliere ai tempi d’oro. Per Salvini è ora di dire: “Basta a giudici che usano risorse pubbliche per indagini senza logica. Siamo seri: indaghiamo su stupratori, ‘ndranghetisti e camorristi”, possibilmente escludendo i condannati per mafia come Dell’Utri che sono stati nostri alleati, si potrebbe aggiungere. Ma il leader della Lega tralascia. Giorgia Meloni invece rispolvera il grande classico: “Accanimento giudiziario”.
In serata a Zapping Renzi rilancia mettendo sotto la sua ala anche l’ex deputato Pdl Alfonso Papa: “È possibile – si è chiesto l’ex premier - che ci siano imputati che restano per 16 anni imputati e poi vengono assolti? Faccio un nome: Angelucci. O Alfonso Papa con i titoloni sulla P4 e poi è stato assolto”. Peccato che per alcuni reati Papa sia stato assolto grazie alla prescrizione.
La manovra di Renzi è chiara. Lo sgonfiamento di Forza Italia ha lasciato orfani i fan del mantra delle toghe politicizzate. Lo “sdoganamento” sul fronte antimafia di Berlusconi (solo indagato) e anche di dell’Utri (indagato per strage nella stessa inchiesta a Firenze ma già condannato per mafia) è utile anche per convincere i transfughi berlusconiani a salire sulla scialuppa di Italia Viva rendendo meno imbarazzante l’imbarcata.
La mossa però non ha solo una spiegazione politica. Renzi parla ‘pro domo sua’.
I magistrati contro i quali ha scatenato un attacco in stile Sgarbi, si chiamano Giuseppe Creazzo e Luca Turco, quelli che hanno osato chiedere e ottenere gli arresti domiciliari per i genitori di Renzi con l’accusa di bancarotta. Non bastasse, Turco, insieme a Christine von Borries, ha portato a processo babbo e mamma Renzi anche per la storia delle fatture per operazioni inesistenti. Il 7 ottobre chiederanno la condanna e magari Matteo sarà convinto della loro innocenza e certo dell’assoluzione. Però i maliziosi notano che ha spostato alla Cassazione il suo giudizio, come a dire che la condanna in primo grado lo lascia indifferente, soprattutto con quei magistrati. “Non è la prima inchiesta che viene dal procuratore Luca Turco e dal suo capo Creazzo: sono certo che non sarà l’ultima. Che lavorino tranquilli sui numerosi dossier che hanno aperto: noi rispettiamo i magistrati e aspettiamo le sentenze della Cassazione, come prevede la Costituzione. Tutto il resto è polemica sterile”, ha detto Renzi al Messaggero dopo la notizia delle indagini fiorentine dei soliti Turco e Creazzo sull’avvocato Alberto Bianchi, già presidente della Fondazione renziana Open, e sull’amico nonché organizzatore della Leopolda: Patrizio Donnini.
Non bastasse Luca Turco è l’aggiunto che ha seguito in prima persona anche l’inchiesta sul fratello del cognato di Renzi, Alessandro Conticini, per la distrazione dei fondi Unicef verso attività private, che marginalmente coinvolge anche il cognato di Renzi, Andrea Conticini.
A dire il vero un tempo i rapporti di Matteo Renzi con Creazzo e Turco non erano così negativi. Erano gli anni in cui Renzi era premier e Turco e Creazzo archiviavano (senza nemmeno iscrivere un reato o il suo nome sul registro degli indagati) gli esposti che lo mettevano nel mirino. Andò così nell’ottobre 2015 con l’esposto che chiedeva lumi sui contributi pagati da Comune e Provincia di Firenze a Matteo, grazie alla sua assunzioni nell’azienda di famiglia pochi giorni prima della sua investitura formale come candidato del Pds e della Margherita alla presidenza della provincia nel 2003. Il Fatto aveva descritto la vicenda spiegando come Renzi era riuscito ad accumulare un Tfr (poi incassato) e un’invidiabile anzianità pensionistica. Paolo Bocedi, presidente dell’Associazione Sos Italia Libera aveva presentato un esposto, iscritto a modello 45 e quindi archiviato senza nemmeno iscrivere un nome.
Stesso destino, archiviazione senza l’iscrizione di un indagato, aveva avuto sempre nel 2015 l’esposto presentato dal dipendente comunale Alessandro Maiorano, seguito dall’avvocato Carlo Taormina, sull’affitto della casa usata da Matteo e pagata dal suo amico imprenditore Marco Carrai. Allora Turco e Creazzo andavano bene ai renziani.
Poi sono arrivate le indagini su cognati, amici e gli arresti domiciliari dei genitori. Il clima è cambiato.
Dalle intercettazioni sul caso Csm trascritte dalla Guardia di finanza si scopre che l’allora compagno di partito e amico di Renzi, Luca Lotti, parlava con alcuni membri del Csm e con l’ex consigliere e leader della corrente di magistrati Unicost, Luca Palamara, proprio del pm Giuseppe Creazzo, candidato alla Procura di Roma. La strategia enunciata da un consigliere del Csm amico di Palamara, Luigi Spina, era fare in modo che Creazzo lasciasse Firenze senza però ‘promuoverlo’ alla Procura di Roma. “Noi te lo dobbiamo togliere dai coglioni il prima possibile“, diceva Spina a Lotti. “Se lo mandi a Reggio (Calabria, ndr) liberi Firenze”, diceva Palamara. E Lotti concordava: “Se quello di Reggio va a Torino, è evidente che questo posto è libero. E quando lui capisce che non c’è più posto per Roma, fa domanda”. A quel punto il deputato allora del Pd Cosimo Ferri chiede a Palamara: “Ma secondo te poi Creazzo, una volta che perde Roma, ci vuole anda’ a Reggio Calabria o no?”. Palamara risponde: “Gli va messa paura con l’ altra storia, no? Liberi Firenze, no?”.
L’altra storia forse è un esposto presentato da un pm di Firenze, estraneo a queste vicende, contro Creazzo. A distanza di quattro mesi quell’esposto non sembra aver fatto molta strada. Creazzo è ancora in pista per Roma. Bisogna alzare un fuoco di sbarramento con altre munizioni. E l’inchiesta per strage contro dell’Utri e Berlusconi, anche se risale al 2017, può tornare utile.

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