martedì 26 maggio 2020

Diaz, cartelle “sbagliate” ai superpoliziotti: i condannati non pagano le spese ai pestati. - Marco Pasciuti

Diaz, cartelle “sbagliate” ai superpoliziotti: i condannati non pagano le spese ai pestati

Quarantuno cartelle esattoriali per un totale di un milione di euro. Sono una parte dei soldi che alti funzionari della Polizia condannati nel processo sui pestaggi e le prove false al G8 di Genova devono alle parti civili, i ragazzi massacrati la sera del 21 luglio 2001 nella scuola Diaz. Ma i condannati le hanno impugnate perché le somme sono state calcolate male e stanno vincendo le cause. La vicenda va oltre il processo concluso il 5 luglio 2012, quando la Cassazione conferma le condanne per 25 persone tra cui l’ex capo del Dipartimento centrale anticrimine Francesco Gratteri, l’ex numero uno della squadra mobile di Firenze Filippo Ferri e l’ex dirigente del reparto mobile di Roma Vincenzo Canterini. I giudici, infatti, stabiliscono che i condannati devono ripagare anche le spese legali alle parti civili ammesse al gratuito patrocinio. Gli importi sono stati anticipati, come da legge, dal ministero della Giustizia che poi ha affidato a Equitalia Giustizia il compito di recuperarli.
Nel 2018, però, le cartelle emesse nel 2017 cominciano a tornare indietro via tribunale. I condannati avevano cominciato a contestarle lamentando tra l’altro un “errore di quantificazione”. Gli importi, dicono, sono stati calcolati in via solidale. “Ma la legge 69/2009 ha riformulato l’articolo 535 del codice di procedura penale, che da allora stabilisce che la somma deve essere richiesta ‘pro quota’”, spiega Francesco Cento, ai tempi capo dell’ufficio legale di Equitalia Giustizia. Un esempio: se la pretesa era di 300mila euro e c’erano 10 condannati Equitalia chiedeva l’intera cifra a ciascuno di loro quando avrebbe dovuto chiederne 30mila a testa. Il principio era chiaro fin dal giudizio vinto il 9 ottobre 2018 dall’ex vicedirettore dell’Ucigos Giovanni Luperi. Lo aveva ribadito quel giorno in tre sentenze il giudice Stefania Salmoria: “Tale assunto – si legge – trova conferma nella nota ministeriale del 14.7.2009, emessa in attuazione della richiamata legge 69/2009”. Come ribadito poi in una circolare del luglio 2015 e in una nota di Maria Stella Moroni, capo dell’ufficio recupero crediti della Corte d’appello di Genova inviata a Equitalia Giustizia il 16 gennaio 2017 .
“A marzo 2019 – spiega il legale – c’erano state 41 impugnazioni per un totale di 1.034.902,67 euro. Finora sono arrivati 25 provvedimenti: un solo ricorso accolto, in 6 casi le cartelle sono state annullate, in 11 sono state sospese e in 7 casi è stata dichiarata cessata materia del contendere perché a pagare era stato il ministero”. Non della Giustizia, ma dell’Interno. “Sì, perché Equitalia gli ha trasmesso le cartelle in quanto responsabile civile per i danni causati dai suoi funzionari – prosegue – . Il Viminale le ha pagate e il loro annullamento gli impedirà di rivalersi sui condannati”.
Ora possiamo solo sperare che menti eccelse, super partes, decidano di chiudere la questione definitivamente ed equamente; se la giustizia che viene applicata e decisa non viene rispettata, è inutile varare leggi e imbastire cause che non producono l'effetto riparatore del danno causato.
E', oltretutto, diseducativo e destabilizzante opporre resistenza ad una decisione emessa da organi istituzionali.
 Gli avvocati azzeccagarbugli che si prestano a turpi scappatoie mancano di etica professionale e andrebbero radiati dall'albo.
Sarebbe utile, data la situazione ingarbugliata, che le parti si riunissero in camera caritatis per dirimere definitivamente ed amichevolmente la questione senza suscitare ulteriori scalpore e lungaggini, visti i 20 anni già trascorsi. cetta

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