Ogni volta che vedo in tv Oscar Farinetti, sempre così placido e conciliante, mi viene in mente quel vecchio Carosello con Ernesto Calindri che, seduto come al bar, in mezzo a un infernale ingorgo di auto, serenamente sorseggiava un famoso aperitivo “contro il logorio della vita moderna”.
Così, l’altra sera, a Otto e mezzo, dopo che il professor Massimo Cacciari, con l’abituale leggerezza sturm und drang aveva predetto: “ci sveglieremo a settembre e sarà una tragedia”, abbiamo assistito, non senza sbigottimento, alla trasformazione in diretta dell’emolliente Oscar in un profetico Cacciari al cubo: “La crisi a settembre è ma-te-ma-ti-ca” (ogni sillaba, una fucilata).
Nessuno intende prendere sottogamba le tensioni sociali innescate dal lungo lockdown, la disoccupazione incombente, la destra che soffia sul fuoco e le difficoltà nel trovare subito la montagna di soldi necessari (se va bene quelli promessi dall’Europa arriveranno nel 2021). Ma se davvero fossimo alla vigilia di un’esplosione incontenibile (e matematica) di rabbia, impossibile non chiedersi come mai nel dibattito degli Stati generali in corso a Roma, il tema dell’insurrezione non sia, urgentemente, all’ordine del giorno. Perché delle due l’una. O si tratta di un allarme condiviso dal governo e allora il premier Conte e la ministra dell’Interno Lamorgese ne dovrebbero dare conto alla pubblica opinione, illustrando le contromisure per evitare di ritrovarsi con le barricate per le strade, soprattutto al Sud. Se invece ci troviamo di fronte a un allarmismo ampiamente e artatamente esagerato dall’opposizione, a maggior ragione, i vertici delle istituzioni avrebbero il dovere di denunciarlo, in modo chiaro e forte. Esiste una terza ipotesi, contenuta nella celebre poesia Aspettando i barbari di Konstantinos Kavafis. Gli ultimi versi: “Si è fatta notte, e i barbari non sono più venuti. Taluni sono giunti dai confini, han detto che di barbari non ce ne sono più. E adesso senza i barbari, cosa sarà di noi? Era una soluzione quella gente”.
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