giovedì 6 maggio 2021

Omicidio Cerciello Rega, ergastolo per i due americani. - Giacomo Galanti

 

Accolta la richiesta dell'accusa. Giudici in camera di consiglio per 13 ore.


Condanna all’ergastolo per gli americani Finnegan Lee Elder e Gabriel Natale Hjorth per l’omicidio del vicebrigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega e il ferimento del collega Andrea Varriale. Lo ha deciso la prima corte d’assise di Roma dopo una camera di consiglio di 13 ore. 

La vicenda. È successo tutto in poche ore nella notte tra il 25 e il 26 luglio 2019. E la storia è subito apparsa ingarbugliata. O comunque non chiara. Proprio sulla non chiarezza di alcuni elementi si è giocata la sfida tra l’accusa e la difesa dei due ragazzi americani. Ci sono versioni che cambiano a seconda di chi le racconta. Testimoni oculari dati per certi e che invece non ci sono. E se ci sono stavano dormendo. Le pistole d’ordinanza dimenticate in caserma insieme al tesserino di riconoscimento. Gazzelle dei carabinieri pronte a partire in aiuto dei due colleghi, ma di cui la centrale non sa nulla. Varriale, il collega di Cerciello, che chiede aiuto scambiando gli americani per due magrebini. Per non parlare del video girato in caserma sempre dallo stesso Varriale con uno dei ragazzi bendato e legato a una sedia che ha fatto il giro del mondo. O la della presunta manomissione delle traduzioni delle intercettazioni dei due imputati.

Il caso è arrivato davanti ai giudici in tempi record, solo dopo sette mesi dal delitto. La difesa dei due americani è stata chiara: hanno aggredito Cerciello e Varriale, in abiti civili, senza sapere che fossero carabinieri. Al contrario li hanno scambiati per uomini mandati da Sergio Brugiatelli. Un tizio con precedenti che poche ore prima dell’omicidio, nel quartiere di Trastevere, si è offerto come intermediario per trovare un po’ di droga ai due giovani. Così mette gli americani in contatto con un pusher, Italo Pompei, che invece di un grammo di coca gli rifila della tachipirina. I due, dopo essersi accorti della “sòla”, rubano lo zaino di Brugiatelli e gli telefonano per fissare un appuntamento: se rivuole indietro la refurtiva dovrà portare 100 euro e un po’ di droga. Ma a quell’incontro si presentano Cerciello e Varriale, chiamati in aiuto da Brugiatelli. I due militari vengono aggrediti. Il primo muore dissanguato colpito da undici coltellate, l’altro, in stato di choc, chiama i soccorsi.

Nella sua arringa, il difensore di Elder, l’avvocato Renato Borzone ha sottolineato come “le omissioni e le menzogne da parte di alcuni carabinieri hanno confuso l’accertamento della verità”. E soprattutto, secondo il legale, a mentire è stato Varriale, quella sera aggredito insieme a Cerciello. Varriale è stato infatti indagato dalla Procura militare per il reato di “violata consegna” in quanto si era presentato senza arma all’appuntamento, mentre i militari sono obbligati a portare al seguito l’arma d’ordinanza quando sono in servizio, anche se in borghese, come quella notte. Ed è emerso il tentativo dello stesso carabiniere di accordarsi con un collega per dimostrare che aveva lo stesso la pistola. Qui si inserisce la versione di Varriale data a processo, quando afferma di aver mostrato il tesserino e di essersi qualificato come carabiniere insieme a Cerciello. Per l’avvocato, che contesta il fatto che i due militari si siano qualificati, “Varriale aveva tutto l’interesse personale a dire in aula che ha mostrato il tesserino ai due americani altrimenti avrebbe potuto essere accusato di un altro reato dinanzi al Tribunale militare”.

D’altro canto, Elder, autore materiale del delitto, è stato definito imputabile dai periti nominati dal Tribunale, i professori Stefano Ferracuti e Vittorio Fineschi, perché “capace di intendere o di volere al momento del fatto”. Anche se, sempre secondo la la perizia, il giovane californiano “presenta un disturbo di personalità borderline-antisociale di gravità medio elevata, una storia di abuso di sostanze (in particolare Thc) e un possibile disturbo post-traumatico da stress”. Nelle sue dichiarazioni spontanee a processo ha raccontato così quella notte: “In un attimo si sono girati e si sono avventati su di noi senza dire una parola, senza qualificarsi. L’uomo più grande, era una montagna, mi ha buttato per terra e ha messo tutto il suo peso su di me. Ho provato panico e ho pensato volesse uccidermi”. E ha aggiunto: “In America i poliziotti si comportano in maniera diversa, si identificano e tirano fuori le armi. Non ho mai pensato che uno spacciatore potesse chiamare la polizia, questo non accade in America”.

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