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martedì 17 settembre 2024

Il mistero degli Anasazi: Un'antica rovina di massima sicurezza. - Baisi Francesco

 

In alto sulle scogliere di arenaria rossa e sui canyon del sud-ovest americano, ci sono #antiche rovine, frammenti di ceramica e petroglifi. Questo è tutto ciò che rimane degli Anasazi, una tribù di nativi americani fiorita dall'anno 500 al 1300 circa d.C.
Il termine "Anasazi" è in realtà una parola navajo. Significa "antichi". Fu usato dai Navajo per descrivere la cultura che sapevano aver abitato le loro terre prima di loro. Queste terre tradizionali erano nella regione ora conosciuta come i Four Corners - il luogo dove si incontrano gli angoli di Arizona, Utah, Nuovo Messico e Colorado.
Anche se il nome Anasazi è stato a lungo applicato a questo misterioso gruppo di persone per secoli, i #NativiAmericani di oggi preferiscono il termine "Puebloans ancestrali. " Denota sia l'età della cultura che il tipo di case che hanno costruito.
Gli Anasazi crearono disegni rupestri e petroglifi sui canyon e sulle scogliere della regione dei Four Corners. Molti dei disegni mostrano animali e uccelli originari della regione. Ci sono anche figure simili all'uomo e forme geometriche.
I ricercatori ritengono che questi petroglifi servissero a molteplici scopi. Erano una forma d'arte, ma registravano anche importanti informazioni ed eventi, migliorando la narrazione e tracciando il tempo. Le immagini servivano da sistema di scrittura.
I pueblo Anasazi sono stati costruiti utilizzando mattoni di adobe. Un materiale da costruzione ideale, i mattoni adobe sono stati creati utilizzando i materiali a portata di mano. Mescolando paglia e fango, formando i mattoni in quadrati e cuocendoli al caldo sole del deserto, gli Anasazi hanno realizzato mattoni duri, robusti e resistenti che hanno resistito alla prova del tempo.
I mattoni di adobe erano usati in combinazione con pietre naturali e tronchi. Gli Anasazi hanno anche realizzato un mortaio utilizzando l'argilla di terra che teneva in posizione mattoni, legno e pietra. Progettando le loro abitazioni con tetti piatti e rinforzandole con pesanti tronchi, gli Anasazi furono in grado di costruire case multilivello, simili a edifici appartamenti, alte come sette piani.
La maggior parte degli storici e dei ricercatori crede che gli Anasazi abbiano costruito le loro case in luoghi alti e inaccessibili per proteggersi dagli invasori nemici.
Le abitazioni sopraelevate hanno anche l'idea Anasazi punti di vista da cui osservare che si avvicinano alle tribù nemiche. Avrebbero avvertito in anticipo che i guerrieri stavano arrivando. Questo darebbe agli Anasazi il tempo di tirare su le scale per evitare che il nemico li raggiunga. E gli Anasazi potrebbero lanciare il loro attacco difensivo lanciando sassi o lance sui loro attaccanti.

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Credito: ipotesi antiche
Foto: By Judson McCranie, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=106526835

giovedì 6 maggio 2021

Omicidio Cerciello Rega, ergastolo per i due americani. - Giacomo Galanti

 

Accolta la richiesta dell'accusa. Giudici in camera di consiglio per 13 ore.


Condanna all’ergastolo per gli americani Finnegan Lee Elder e Gabriel Natale Hjorth per l’omicidio del vicebrigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega e il ferimento del collega Andrea Varriale. Lo ha deciso la prima corte d’assise di Roma dopo una camera di consiglio di 13 ore. 

La vicenda. È successo tutto in poche ore nella notte tra il 25 e il 26 luglio 2019. E la storia è subito apparsa ingarbugliata. O comunque non chiara. Proprio sulla non chiarezza di alcuni elementi si è giocata la sfida tra l’accusa e la difesa dei due ragazzi americani. Ci sono versioni che cambiano a seconda di chi le racconta. Testimoni oculari dati per certi e che invece non ci sono. E se ci sono stavano dormendo. Le pistole d’ordinanza dimenticate in caserma insieme al tesserino di riconoscimento. Gazzelle dei carabinieri pronte a partire in aiuto dei due colleghi, ma di cui la centrale non sa nulla. Varriale, il collega di Cerciello, che chiede aiuto scambiando gli americani per due magrebini. Per non parlare del video girato in caserma sempre dallo stesso Varriale con uno dei ragazzi bendato e legato a una sedia che ha fatto il giro del mondo. O la della presunta manomissione delle traduzioni delle intercettazioni dei due imputati.

Il caso è arrivato davanti ai giudici in tempi record, solo dopo sette mesi dal delitto. La difesa dei due americani è stata chiara: hanno aggredito Cerciello e Varriale, in abiti civili, senza sapere che fossero carabinieri. Al contrario li hanno scambiati per uomini mandati da Sergio Brugiatelli. Un tizio con precedenti che poche ore prima dell’omicidio, nel quartiere di Trastevere, si è offerto come intermediario per trovare un po’ di droga ai due giovani. Così mette gli americani in contatto con un pusher, Italo Pompei, che invece di un grammo di coca gli rifila della tachipirina. I due, dopo essersi accorti della “sòla”, rubano lo zaino di Brugiatelli e gli telefonano per fissare un appuntamento: se rivuole indietro la refurtiva dovrà portare 100 euro e un po’ di droga. Ma a quell’incontro si presentano Cerciello e Varriale, chiamati in aiuto da Brugiatelli. I due militari vengono aggrediti. Il primo muore dissanguato colpito da undici coltellate, l’altro, in stato di choc, chiama i soccorsi.

Nella sua arringa, il difensore di Elder, l’avvocato Renato Borzone ha sottolineato come “le omissioni e le menzogne da parte di alcuni carabinieri hanno confuso l’accertamento della verità”. E soprattutto, secondo il legale, a mentire è stato Varriale, quella sera aggredito insieme a Cerciello. Varriale è stato infatti indagato dalla Procura militare per il reato di “violata consegna” in quanto si era presentato senza arma all’appuntamento, mentre i militari sono obbligati a portare al seguito l’arma d’ordinanza quando sono in servizio, anche se in borghese, come quella notte. Ed è emerso il tentativo dello stesso carabiniere di accordarsi con un collega per dimostrare che aveva lo stesso la pistola. Qui si inserisce la versione di Varriale data a processo, quando afferma di aver mostrato il tesserino e di essersi qualificato come carabiniere insieme a Cerciello. Per l’avvocato, che contesta il fatto che i due militari si siano qualificati, “Varriale aveva tutto l’interesse personale a dire in aula che ha mostrato il tesserino ai due americani altrimenti avrebbe potuto essere accusato di un altro reato dinanzi al Tribunale militare”.

D’altro canto, Elder, autore materiale del delitto, è stato definito imputabile dai periti nominati dal Tribunale, i professori Stefano Ferracuti e Vittorio Fineschi, perché “capace di intendere o di volere al momento del fatto”. Anche se, sempre secondo la la perizia, il giovane californiano “presenta un disturbo di personalità borderline-antisociale di gravità medio elevata, una storia di abuso di sostanze (in particolare Thc) e un possibile disturbo post-traumatico da stress”. Nelle sue dichiarazioni spontanee a processo ha raccontato così quella notte: “In un attimo si sono girati e si sono avventati su di noi senza dire una parola, senza qualificarsi. L’uomo più grande, era una montagna, mi ha buttato per terra e ha messo tutto il suo peso su di me. Ho provato panico e ho pensato volesse uccidermi”. E ha aggiunto: “In America i poliziotti si comportano in maniera diversa, si identificano e tirano fuori le armi. Non ho mai pensato che uno spacciatore potesse chiamare la polizia, questo non accade in America”.

Huffpost

sabato 27 maggio 2017

Il totalitarismo dell’odio è anche nostro. - Massimo Fini

AttentatoMolti giornali hanno pubblicato in prima pagina la fotografia di Saffie Rose Roussos la più piccola delle vittime (8 anni) della strage di Manchester. Uccidere dei bambini è una cosa orribile, ma strumentalizzarli è qualcosa che sta solo un paio di gradini sotto. Nella prima guerra del Golfo furono uccisi dai bombardieri americani e della Nato 32.195 bambini, dati inoppugnabili perché forniti, sia pur involontariamente, dal Pentagono. Se dovessimo stare nella stessa logica i giornali occidentali dovrebbero pubblicare ogni giorno, per riparazione, la fotografia di uno di questi piccoli, cioè almeno per una decina di anni. Non è che i bambini degli altri sono diversi dai nostri, se non per qualche caratteristica fisica (i bambini dei paesi musulmani, i piccoli Alì, sono in genere tutti riccioluti).
Sul Corriere della Sera Cazzullo si chiede “quale responsabilità possono portare i ragazzi che vanno a un concerto”. Nessuna, ovviamente. Ma quale responsabilità potevano portare i bambini uccisi a Baghdad e a Bassora e le altre decine di migliaia uccisi dai bombardieri americani e Nato in Afghanistan, in Iraq, in Libia?
Certo, in questi macabri conteggi, c’è un’indubbia differenza fra i bambini uccisi a Manchester e i bambini uccisi dai bombardieri americani e Nato. L’attentatore jihadista di Manchester e i suoi complici (perché tutto fa pensare che questa volta non si tratti di un ‘lupo solitario’ ma di una cellula incistata sul suolo britannico) non solo sapevano che avrebbero ucciso dei bambini ma volevano uccidere dei bambini. I piloti, e anche i non piloti nel caso dei droni, americani e Nato non volevano premeditatamente uccidere dei bambini, anche se sapevano che li avrebbero inevitabilmente uccisi e in una misura molto maggiore di quella che può fare un kamikaze. Gli jihadisti non fanno differenze. Noi occidentali qualche differenza la facciamo ancora. In questa orribile ‘guerra asimmetrica’ c’è in questa differenza il solo punto di vantaggio a nostro favore, sul piano morale, rispetto alla jihad.
Sul Foglio Giuliano Ferrara, questo acrobata professionale nel manipolare i fatti, scrive: “Attaccare, per non essere attaccati. Annientare, per non essere annientati…E noi, invece di esportare con una violenza incomparabilmente superiore alla loro l’unico modo di vita che preveda la possibilità della pace, invece di rispettare il loro progetto distruggendone le radici sociali e politiche dove risiedono, noi a baloccarci, a piangerci addosso, a ricusare la violenza e l’odio”. Ferrara riprende in toto, quasi aggravandola, la teoria di George W. Bush: esportare la democrazia con la violenza. Questo irresponsabile individuo sembra non rendersi conto, non so se volutamente o meno, che proprio da questa esportazione violenta della democrazia, in Serbia, in Afghanistan, in Iraq, in Somalia e in Libia, è nata la guerra che oggi ci contrappone non solo all’Isis ma, sia pure in forme diverse, all’intero mondo musulmano e anche a quei pochi altri mondi che ci sono restati estranei. Gli effetti devastanti, sia nelle terre arabe che nelle nostre, della ‘teoria Bush’ sono sotto gli occhi di tutti. Ma non di quelli di Ferrara. Che, pare capire (“con una violenza incomparabilmente superiore”), non sarebbe alieno da gettare qualche atomica sul “mondo della violenza e dell’odio”.
Mi piacerebbe anche capire come “l’unico modo di vita che preveda la possibilità della pace” si concili, per fare un esempio recente, con le armi che Trump si appresta a fornire nella misura di 120 miliardi di dollari all’Arabia Saudita, secondo l’accordo firmato l’altro giorno a Riad.
Questo totalitarismo della violenza, dell’odio, dell’orrore non appartiene solo agli jihadisti, appartiene anche a noi. Anzi siamo stati proprio noi, ubbriacati e resi irresponsabili dalla nostra apparente superiorità militare, a provocarlo.