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domenica 10 novembre 2019

Ex Ilva, a Jersey il tesoro di Mittal, l’uomo che deciderà il futuro di Taranto. - Angelo Mincuzzi

Risultati immagini per Lakshmi Mittal


Le immense ricchezze di Lakshmi Mittal, l’uomo che vuole abbandonare l’Ilva di Taranto al suo destino, rimandano a un piccolo paradiso nel Canale della Manica, l’isola di Jersey.

Platino, argento, titano, cromo, osmio, americio. Metalli o elementi del metallo. Chi vuole capire dove sono custodite le immense ricchezze di Lakshmi Mittal, l’uomo che vuole restituire l’Ilva di Taranto, deve partire da questi sei nomi e da un piccolo paradiso nel Canale della Manica, l’isola di Jersey. Qui ci sono i sei trust della famiglia indiana che controlla il più grande gruppo siderurgico del mondo: ArcelorMittal.

Le casseforti dei Mittal e dei Riva.
E qui a Jersey si mescolano anche gli ingredienti di una storia che non ha ancora una fine ma che fa emergere coincidenze dal passato. Perché - per capriccio o ironia della sorte - le casseforti dei Mittal distano solo una manciata di metri dagli otto trust di Jersey attraverso i quali le famiglie di Emilio e Adriano Riva controllavano, guarda caso, la stessa Ilva. O almeno così è stato fino a quando, a causa di un’inchiesta giudiziaria, i Riva sono stati espropriati dallo Stato e lo Stato ha poi ceduto l’Ilva - ancora un caso - alla ArcelorMittal della famiglia indiana.

Mittal e Riva. Riva e Mittal. Su binari diversi ma paralleli, le storie delle due famiglie si intrecciano in precisi punti geografici della vecchia Europa e si sovrappongono negli schemi utilizzati per mettere al sicuro il patrimonio di famiglia. Sullo sfondo, ma neppure tanto, c'è il dramma dell'Ilva e dei suoi 15mila lavoratori, la tragedia di Taranto e di quell'aria colorata di ruggine che penetra nei polmoni. L'incertezza del futuro.

L'uomo da 12,5 miliardi.
Mittal è un uomo seduto su una montagna di soldi. Tanti soldi. Almeno 12,5 miliardi di dollari secondo Bloomberg, 11,9 miliardi secondo Forbes, che lo colloca al 129° posto tra i più ricchi della terra. È lui l'imprenditore che il 6 novembre ha incontrato per tre ore il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e che si appresta a sostenere una battaglia legale contro il governo italiano in caso di mancato accordo sul futuro dell'Ilva.

Sessantanove anni, una moglie, due figli, dal 2008 nel board di Goldman Sachs, Lakshmi Mittal abita in una villa di 5.109 metri quadrati a Kensington Palace, nel centro di Londra, acquistata per 57 milioni di sterline da Bernie Ecclestone. L'abitazione è chiamata “Taj Mittal” per la sfarzosità dei suoi marmi e del suo arredamento.

La lettera di ArcelorMittal ai commissari Ilva: ecco perché ce ne andiamo - Zingaretti apre a un nuovo scudo
Il Sole 24 Ore ha ricostruito i passaggi attraverso i quali la famiglia del miliardario indiano controlla il 37,39% di ArcelorMittal, di cui Lakshmi Mittal è presidente e chief executive officer e il figlio Aditya è responsabile finanziario. La chiave per accedere alle stanze segrete del patrimonio di Lakshmi Mittal si trova a 2.200 chilometri a Nord di Taranto. Ma per comprenderlo meglio, bisogna riavvolgere il nastro della storia e tornare a un'estate di nove anni fa. A Jersey.

I sei trust di St. Helier.
Lakshmi Mittal e sua moglie Usha danno un ultimo sguardo ai fogli di carta prima di firmare. Quello che hanno davanti è un documento di 25 pagine zeppo di clausole e di cavilli, scritto con il linguaggio burocratico che hanno tutti i contratti. Si intitola “The platinum settlement” ed è l'atto di nascita di un trust: il più importante dei sei che quel giorno blindano a doppia mandata il controllo di ArcelorMittal, il gruppo siderurgico che sette anni dopo si aggiudicherà l'Ilva di Taranto.

È venerdì 18 giugno 2010 e come tutti i venerdì, a St. Helier, ordinata e noiosa cittadina dell'isola di Jersey, nel Canale della Manica, i pub sono pieni di avventori per un boccale di birra prima del week end. Il pomeriggio è fresco e il vento ha concesso una tregua nell'isola di proprietà della Corona britannica. I colori sono l'azzurro del mare e il verde acceso dei prati su cui pascolano vitelli dalla carne pregiata. Di impianti siderurgici neppure l'ombra.

Si brinda nei pub del centro. E si festeggia anche negli uffici della Hsbc Trustee. La società è stata nominata amministratrice fiduciaria dei trust dell'uomo più ricco della Gran Bretagna, quell'indiano arrivato dal Rajasthan che con l'acciaio ha ribaltato la storia dell'Impero britannico colonizzando Londra e l'Europa.

Lakshmi Mittal e sua moglie, insieme ai due figli Aditya e Vanisha, sono i beneficiari di quei trust i cui nomi testimoniano un attaccamento all'elemento che ha fatto la loro fortuna: si chiamano Platinum, Silver, Titanium, Americium, Osmium e Chromium Trust. Nessun dubbio che appartengano alla più importante dinastia dell'acciaio.

I poteri di Mr. Mittal.
Jersey è il regno dei trust, un istituto giuridico nato nel mondo anglosassone all'epoca delle Crociate, quando tra il 1300 e il 1400 i Cavalieri che partivano dalla Gran Bretagna per la Terra Santa affidavano i loro beni a persone di fiducia che li amministravano durante la loro assenza: i trustee. Gli averi venivano poi restituiti al legittimo proprietario al suo ritorno, oppure alla sua famiglia in caso di morte.

I sei trust erigono un muro di riservatezza intorno agli averi della famiglia Mittal. In teoria il trust crea una separazione tra i beni e i suoi proprietari, che non ne possono più disporre avendoli affidati a un trustee: in questo caso Hsbc. Ma la legge di Jersey è una legge particolare. E tra le clausole dell'atto di nascita dei sei trust ce n'è una che dice che ogni decisione importante deve essere assunta con il consenso scritto di Lakshmi Mittal, che è contemporaneamente settlor (cioé il disponente), il protector e il beneficiario dei trust.

IN SEI FIDUCIARIE LE CHIAVI DELL'IMPERO ARCELORMITTAL
Le società che permettono alla famiglia di Lakshmi Mittal di controllare la società siderurgica



Sulla rocca di Gibilterra.
Il possesso e i dividendi delle azioni ArcelorMittal finiscono ai beneficiari dei sei trust. Ma non direttamente. Prima i soldi devono percorrere migliaia di chilometri in mezza Europa, in gran parte all'interno di paradisi fiscali.

I trust controllano il 100% di una società che è a 1.939 chilometri di distanza da Jersey. È la Grandel Limited, domiciliata nel paradiso fiscale di Gibilterra. Il Platinum e il Silver Trust posseggono rispettivamente il 70% e il 30% delle azioni di tipo A della Grandel. Si tratta di titoli che posseggono il diritto di voto ma non il diritto a percepire un dividendo. Gli altri quattro trust si dividono il 100% delle azioni di tipo B, che percepiscono una remunerazione ma non hanno la possibilità di votare.

Con 35mila abitanti e 60mila società registrate, a Gibilterra le imprese pagano solo il 10% di imposte sugli utili e se non svolgono alcuna attività nel territorio britannico d'oltremare possono esserne addirittura esentate. Qui si concentrano i dividendi che la famiglia Mittal riceve dalla sua partecipazione azionaria nel gruppo ArcelorMittal e nelle altre società che controlla. Dividendi che vengono poi incassati dai trust di Jersey.

L'approdo nel Granducato.
Per arrivare ad ArcelorMittal la strada è però ancora lunga. Bisogna percorrere altri 2.314 chilometri per varcare i confini del Lussemburgo, dove i Mittal posseggono il 100% della Value Holdings, società che nel 2018 ha registrato un utile netto di 346 milioni di dollari, dopo aver ripianato perdite precedenti per 915 milioni di dollari.

Value Holdings è l'entità che controlla le due società che hanno direttamente in pancia le azioni di ArcelorMittal: la Nuavam Investments (che possiede il 6,24% di ArcelorMittal) e la Lumen Investments (che controlla invece il 31,15% del gruppo siderurgico). I dividendi che queste due società hanno pagato a Value Holdings sono ammontati nel 2018 a 37 milioni di dollari. È questo il guadagno che la famiglia Mittal ha ricavato dal possesso delle azioni di ArcelorMittal. E qui il passato torna a sovrapporsi al presente. Nel Granducato c’erano (e ci sono ancora) anche i Riva, che controllavano Ilva attraverso le holding Utia e Stahlbeteiligungen. Lo schema, insomma, si ripete.

Dai trust di Jersey alla ArcelorMittal, ci sono dunque tre livelli intermedi che si interpongono tra la proprietà e la holding quotata del gruppo siderurgico. E scendendo ancora più in basso c'è un altro livello prima di arrivare all'ex Ilva: la Am Investco Italy.

Gli interessi in Italia.
Ma la più grande acciaieria europea non è l'unico interesse della famiglia Mittal in Italia, dove opera tra l'altro anche la ArcelorMittal Italy Holding. A Massalengo, in provincia di Lodi, e a Podenzano (Piacenza) ci sono gli stabilimenti della Aperam Stainless Services & Solution, 180 dipendenti, 262 milioni di fatturato nel 2018 e un utile di 1,7 milioni. La società fa capo alla lussemburghese Aperam SA, controllata dalla Value Holdings II, a sua volta posseduta dalla Grandel II Limited,di Gibilterra. Dove abbiamo sentito questi nomi? Lo schema è esattamente lo specchio di quello di ArcelorMittal, ma in questo caso raggruppa le società siderurgiche della famiglia indiana che non fanno parte di ArcelorMittal. Lakshmi Mittal, dunque, lascerà pure la ex Ilva ma non abbandonerà l'Italia. E i dividendi, mercato permettendo, continueranno ad affluire verso i verdi prati dell'isola di Jersey.


lunedì 13 novembre 2017

Paradise papers: i trust di Jersey dei Bonomi, il tesoro dei Rovelli, Vitrociset e i Legionari di Cristo. - Angelo Mincuzzi

Gli uffici della Appleby a St Helier, Isola di Jersey (Afp)
Gli uffici della Appleby a St Helier, Isola di Jersey (Afp)

Tre trust domiciliati nell'isola di Jersey controllano la holding lussemburghese Investindustrial Sa, il fondo che ha gestito alcune delle più importanti operazioni di acquisizioni, riassetto e ricollocamento societari degli ultimi anni in Italia. 
Dalla Ducati a Permasteelisa, da B&B Italia al colosso del gioco d'azzardo legale Snaitech. Il fondo è guidato da Andrea Bonomi, classe 1965, il finanziere che nel 2016 ha perso la sfida (vinta da Urbano Cairo) per il controllo del Corriere della Sera. 
Ciò che si sapeva finora è che Investindustrial era una società lussemburghese controllata, appunto, da Andrea Bonomi. Ma le carte dei Paradise Papers sottratte alla società di consulenza Appleby aggiungono un ulteriore tassello a questa storia.
Si scopre, infatti, che al livello superiore di Investindustrial Sa ci sono tre società operative, la Grosvenor Street Holdings Sa, la De Combinatae NV, e la Zafrikidis Oil & Ship Ltd. E che andando ancora più su lungo la catena di controllo, le tre società sono state conferite all'interno di tre trust registrati nell'isola del Canale della Manica. A Jersey appunto. I trust si chiamano The George Trust, The Budda Trust e The 1987 Settlement Trust. Operazioni e schemi societari perfettamente legali e senza ombra di irregolarità.
Secondo quanto risulta al settimanale L'Espresso (che pubblica in esclusiva per l'Italia insieme al programma d'inchiesta di Rai 3 Reporti Paradise Papers), i trust sono stati costituiti nel 1987 da Carlo Bonomi, padre di Andrea, che aveva indicato come beneficiari i suoi nipoti, oggi saliti a otto, alcuni dei quali ancora minorenni. 
Interpellato dall'Espresso e da Report, lo stesso Andrea Bonomi ha confermato l'esistenza dei trust e delle società che controllano la holding lussemburghese Investindustrial Sa. Bonomi ha precisato che il padre scelse Jersey (isola nel Canale della Manica) come sede dei trust «quando si ritirò a Londra dopo la scalata ostile del 1985 alla sua Bi-Invest» e ha aggiunto che non c'è «alcuna ragione fiscale nell'istituzione dei trust», che sono vigilati dalle autorità di Jersey». Bonomi ha anche sottolineato di essere «solo cittadino americano e svizzero», e di non avere obblighi fiscali in Italia.
Jersey, in effetti, potrebbe essere definita la “patria dei trust”: ve ne sono registrati migliaia da cittadini facoltosi provenienti da tutto il mondo.
I trust e le società dei Bonomi emergono nei Paradise Papers quasi per caso. Nel gennaio 2016, infatti, il gruppo della famiglia milanese chiede un finanziamento bancario per l'acquisto di un jet Dassault Falcon 900DX del valore di 13,5 milioni di dollari. La Appleby consiglia allora di costituire una società all'Isola di Man per evitare di pagare l'Iva: se l'aereo viene utilizzato per lavoro e non per svago, l'imposta del 20% può essere (legalmente) rimborsata. La banca che finanzia l'acquisto del jet vuole però informazioni sulla solidità patrimoniale del gruppo e così dalla società inviano una email in cui spiegano dell'esistenza dei tre trust, specificando che «valgono 218 milioni di dollari» perché controllano il fondo lussemburghese. Nessuno può immaginare che quella email finirà qualche mese dopo nelle mani dei giornalisti di mezzo mondo.
Vitrociset e la società di Curacao 
Dai Paradise Papers spuntano anche i documenti che raccontano la storia del trust milionario della famiglia Crociani. Una vicenda anticipata dal Sole 24 Ore lo scorso 5 novembre. La storia parte nel 1976 quando Camillo Crociani, allora presidente e amministratore delegato di Finmeccanica, viene travolto dallo scandalo Lockheed: tangenti pagate dalla multinazionale americana per piazzare i suoi aerei in Italia. Crociani fugge in Svizzera e poi in Messico prima della condanna a due anni e quattro mesi per corruzione aggravata. Ma prima di lasciare il paese cede la sua azienda, la Ciset, all'amico e braccio destro Girolamo Cartia. I beni di Crociani (che è insolvente) vengono sequestrati. Ma non la Ciset, che formalmente non gli appartiene più, essendo stata ceduta.
Crociani muore in Messico nel 1980. Sette anni dopo, nel 1987, la vedova Edoarda Vessel, una ex attrice che ha lavorato con Federico Fellini in “8 e mezzo”, costituisce un trust alle Bahamas, il Grand Trust, i cui beneficiari sono le due figlie Camilla e Cristiana. Tra i beni del trust c'è una promissory note che assicura alle eredi Crociani i dividenti sostanziosi provenienti dalla Ciset, una società che controlla la Vitrociset (formalmente cosituita soltanto il 29 dicembre 1992).