Una delibera dell'Anac detta le linee guida per gestire le denunce di dipendenti pubblici su casi di malaffare e nepotismo. Al primo punto la tutela del segnalante e le procedure informatiche per garantire riservatezza. In Usa si recuperano così sei miliardi l'anno, mentre in Italia è sempre in agguato il marchio del "delatore".
In Italia c’è chi li chiama “delatori” e guarda con sospetto alle loro denunce. Ma negli Usa è grazie ai “whistleblower“, persone che segnalano in modo riservato all’autorità gli illeciti di cui sono testimoni, che il Governo recupera ogni anno l’85% delle somme oggetto di frodi, oltre 55 miliardi di dollari dal 1986 con una media, oggi, di sei miliardi all'anno. Un sistema lontano “anni luce” da quello italiano, secondo il presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone che ieri, intervenendo con l’ambasciatore statunitense John R. Philip ad un convegno organizzato dall’Universita’ Luiss Guido Carli, ha presentato il nuovo vademecum sul whistleblowing approvato dall’Anac e sollecitato nuovi “passi in avanti dal punto di vista normativo” per tutelare il dipendente pubblico che decide di esporsi.
Le Linee guida approvate dall’Anticorruzione nascono per “offrire agli enti pubblici italiani una disciplina applicativa delle stringate disposizioni di principio introdotte dalla legge n. 190/2012 (cd. “Legge Severino“)”. Si tratta dunque di regole elaborate, secondo quanto scritto dalla stessa Autorità, a partire da norme troppo “sintetiche” cui si è voluta dare “un’espansione massima possibile”, “nel contempo suggerendo al Legislatore possibili miglioramenti”.
Il vademecum si concentra sul tema della tutela del segnalante, in primis, su cui si chiede un “intervento chiarificatore” da parte della politica, ma anche sull’orizzonte di illeciti che possono essere segnalati, sui soggetti cui rivolgersi per fare la segnalazione e il trattamento da riservare alle segnalazioni anonime (comunque acquisite anche se trattate in modo diverso). Secondo l’Anticorruzione potranno essere segnalati non solo gli illeciti contro la pubblica amministrazione ma anche “l’abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati”. L’elenco è lungo “sprechi, nepotismo, demansionamenti, ripetuto mancato rispetto dei tempi procedimentali, assunzioni non trasparenti, irregolarità contabili, false dichiarazioni, violazione delle norme ambientali e di sicurezza sul lavoro” eccetera.
Le amministrazioni pubbliche non possono rivelare l’identità del whistleblower senza il suo consenso, tranne nei casi in cui chi “è sottoposto al procedimento disciplinare” per effetto della segnalazione abbia bisogno di conoscerla perché “assolutamente indispensabile” per la propria difesa. L’autore della segnalazione non può in ogni caso essere oggetto di provvedimenti disciplinari per effetto della sua denuncia, ma la tutela decade se viene riconosciuto colpevole di un reato di calunnia o diffamazione già in primo grado.
Il primo punto del vademecum resta comunque la tutela del whistleblower, sui cui la normativa attuale, secondo il documento, presenta ancora troppe lacune. Su questo l’Anticorruzione, in attesa di nuove norme, introduce alcune regole per il ricorso a procedure informatiche tali da evitare “la presenza fisica del segnalante”, che vanno indirizzate al responsabile per la prevenzione della corruzione dell’ente a meno che non riguardino proprio quel funzionario. In tali casi la segnalazione andrà invece inviata all’Anac. In ogni caso le amministrazioni dovranno fare di tutto per adottare procedure di tutela. “Al fine di evitare che il dipendente ometta di segnalare condotte illecite per il timore di subire misure discriminatorie, è opportuno che… le amministrazioni si dotino di un sistema che si componga di una parte organizzativa e di una parte tecnologica, tra loro interconnesse”, si legge nel documento.
A fronte di queste disposizioni resta però un problema di fiducia. E di tempi. “A noi tanti scrivono perché non ricevono risposte da parte delle istituzioni o perché hanno bisogno di indicazioni e di incoraggiamento prima di presentare una segnalazione” spiega a ilfattoquotidiano.it Giorgio Fraschini, responsabile dello sportello per le segnalazioni di Transparency Italia. “Chi decide di fare una segnalazione ha bisogno di fidarsi del suo interlocutore e le fredde procedure burocratiche spesso in questo non sono d’aiuto”. Il modulo offerto dal servizio dell’Anticorruzione, come prima cosa, chiede a chi vuole fare una segnalazione di indicare il suo nome, cognome e posizione lavorativa. E questo, come notato dallo stesso Cantone, può non aiutare quando non si è in grado di garantire il segnalante da ritorsioni. “Chi scrive all’Anticorruzione non riceve una risposta e non riesce a capire a che punto sia la sua segnalazione” continua poi Fraschini. “Ma chi per colpa di quegli illeciti ha perso il lavoro o vive una situazione di disagio non può aspettare dei mesi”. L’America è ancora lontana.