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mercoledì 9 settembre 2020

Il sorriso di Willy. - Tommaso Merlo



Un sottomondo vuoto e malato ha spento il sorriso di Willy. Superficialità aberranti. Egoismo estremo. Il culto della violenza. Anni della propria vita spesi in una palestra ad imparare come colpire altri esseri umani. Anni della propria vita spesi a sfogare le proprie frustrazioni a calci e pugni. Nell’illusione di sconfiggere quel vuoto che ti punge dentro. Nell’illusione di sconfiggere quei nemici immaginari che vedi ovunque là fuori senza renderti conto che sei te stesso il tuo peggior nemico. Poi finalmente il sabato sera. Poi finalmente essere umani invece che pungiball e una piazzetta piena di pubblico come ring. Un degno palco su cui mostrare la propria forza fisica. Pescando un avversario a caso nel mucchio e scaricandogli addosso i propri fallimenti esistenziali. Colpi precisi, potenti. Al volto e al corpo. Per far male, per sentire il piacere del potere. Il potere di dominare il tuo avversario del momento. Il potere di sentire la sua vita nelle tue mani. Il potere di terrorizzarlo e con lui tutto il pubblico che osserva le tue abilità da picchiatore, da guerriero. E guai a chi osa contenere quella ferocia, guai a chi osa intromettersi ribellandosi a quegli attimi di delirio egoistico. Può essere fatale. Attimi adrenalina. Attimi di follia. Sfogo del proprio malessere profondo alla ricerca di senso dove di senso non ce n’è neanche un grammo e non ce ne sarà mai. Il culto dell’apparenza. Mode, tendenze. Vestiti e accessori che qualificano chi sei. Il tuo rango, la tua tribù, la tua missione. Scempiaggini adolescenziali che si trascinato per tutta la vita. Abiti senza dentro nessun monaco. Il culto del proprio corpo. Anni della propria vita spesi in palestra fino a sformarsi grottescamente. Anni della propria vita spesi in qualche centro estetico. Muscoli, tatuaggi, abbronzature, creme, peli. Anni passati allo specchio a gonfiare bicipiti e pettorali e provare nuove espressioni e pose da duro e da belloccio e da uomo vero o presunto. Miliardi di foto scattate sulla propria faccia. Da soli e in branco. Di continuo. Testando nuovi look e nuove location per aggiungere dettagli e sfumature al nulla più totale che ti divora. Apparenza che la modernità ha trasformato in un tutto di cartone. Miliardi di foto da scattare e poi selezionare e poi postare con cura sui social. La propria protesi esistenziale. La propria maschera digitale. Là dove si esibisce il tuo personaggio alla disperata ricerca di ammirazione, di consenso, di appartenenza, di identità. Miraggi. Drammaticamente futili. Fans, followers. L’opinione degli altri che determina perfino quella che hai di te stesso. L’opinione degli altri che determina chi credi di essere e chi alla fine ti riduci ad essere. Pollicini alzati, sorrisini, like. Alla spasmodica ricerca di una scappatoia alla mediocre vita quotidiana in cui sei incastrato. Alla ricerca di popolarità e successo e perfino di un biglietto d’ingresso per il paradiso. Per quel mondo vippato che però è anch’esso solo un miraggio, solo apparenza. E che è anch’esso vuoto. Luccicante, dorato, lussuoso, costoso. Ma sempre dannatamente vuoto. Un vuoto che fa male e che bisogna sedare in qualche modo. Riempiendolo con qualche sostanza e con qualche persona. Riempendolo con delle cose o dei soldi. Riempiendolo col feticismo del proprio corpo e della propria immagine. Oppure scappando da qualche parte. A perdere tempo o a lavorare. Oppure indossando la maschera del proprio personaggio digitale il sabato sera e scendendo in piazzetta. A sfogare violentemente i propri fallimenti esistenziali contro un povero ragazzo. Fino a spegnere per sempre il suo sorriso.

https://repubblicaeuropea.com/2020/09/09/il-sorriso-di-willy/

mercoledì 11 febbraio 2015

Il sorriso di Einstein immortalato da Hubble. - Francesca Mancuso

hubble sorriso einstein

Il sorriso di Einstein appare in cielo. Non è una visione apocalittica né miracolosa ma l'ultima immagine regalata dal telescopio spaziale Hubble che ha fotografato l'ammasso di galassie SDSS J1038 + 4849.
A guardarlo sembra un volto sorridente, con i due occhi arancioni e il naso pulsante di colore bianco. E in questo “faccia felice”, i due occhi sono galassie molto luminose e le linee che creano il sorriso sono archi causati da un effetto noto come lente gravitazionale.
Quest'ultima è un fenomeno caratterizzato dalla deflessione della radiazione emessa da una sorgente luminosa per via della presenza di una massa che si trova proprio tra la sorgente e il punto di vista di chi osserva.
Ma torniamo alla bella immagine scattata da Hubble. Quest'oggetto è stato studiato dalla Wide Field and Planetary Camera 2 (WFPC2) e dalla Wide Field Camera 3.
Si tratta di un ammasso di galassie, una delle strutture più massicce nell'Universo. Esse esercitano una potente attrazione gravitazionale che deforma lo spazio-tempo intorno e agiscono come lenti cosmiche in grado di ingrandire, distorcere e piegare la luce dietro di loro. Questo fenomeno, cruciale per molte delle scoperte di Hubble, può essere spiegato con la teoria della relatività generale di Einstein.
In questo caso particolare di lente gravitazionale, un anello - noto come anello di Einstein - è prodotto da questa deflessione della luce, in conseguenza dell'esatto e simmetrico allineamento della sorgente, della lente e dell'osservatore.
Il risultato è la struttura anulare che si vede nell'immagine.
Hubble ha fornito agli astronomi gli strumenti per sondare queste galassie massicce e modellare gli effetti della lente. Ciò ha permesso agli scienziati di guardare indietro nella vita dell'universo, come mai era accaduto.
Credits: Nasa-Esa