martedì 11 settembre 2012

Martelli: «Scalfaro regista di trattative Stato-mafia»

oscar luigi scalfaro 2003


Claudio Martelli, già ministro della Giustizia dal 1991 al 1993, è tornato oggi ad accusare di 'regia' nella trattativa Stato-mafia l'ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Ascoltato dalla Commissione Bicamerale Antimafia, Martelli ha ribadito, come già aveva fatto lo scorso agosto nel corso di un'intervista, che Scalfaro in quel periodo avrebbe condotto una 'regia' per portare a termine una trattativa con la mafia e far cessare il periodo stragista. «Lui era il dominus, colui che regnava», anche se non isolato ma con «un consenso più ampio». Per Martelli l'ex capo dello Stato fu protagonista della «regia per la 'normalizzazione' del rapporto con la mafia» che, con l'obiettivo di fermare le stragi, mise da da parte dei «politici e avevano esagerato nel contrasto».

«Il fine - ha detto l'ex esponente socialista davanti alla Commissione antimafia - era quello di tagliare l'area più offensiva contro Cosa Nostra. Colpendo Martelli, Scotti e successivamente anche Nicolò Amato, responsabile dell'Amministrazione penitenziaria». L'ex guardasigilli è arrivato anche a dare del 'bugiardo' all'ex premier e compagno di partito Giuliano Amato che ieri, ascoltato in Commissione, ha dichiarato di aver scelto personalmente il successore al ministero della Giustizia Consu: «È una bugia perchè Consu è stato scelto da Scalfaro. Così come lo stesso Amato è stato scelto da Scalfaro, Mancino e la sostituzione di Nicolò Amato con Capriotti».

SCOTTI: "41 BIS FU PROPOSTO DA ME E MARTELLI" 
«Il 41 bis fu proposto da me e da Martelli e non dai Corpi di polizia con la ragione specifica di troncare il rapporto fra le carceri e i vertici mafiosi». Lo ha detto Vincenzo Scotti, ministro dell'Interno tra il 1990 e il 1992, alla Commissione bicamerale antimafia. Scotti, che fu poi sostituito al Viminale da Nicola Mancino, ha sottolineato che esisteva all'epoca una contrapposizione fra due linee strategiche per la lotta alla mafia. 

Così la P3 teneva in mano i magistrati La rete di Cesare in 66mila pagine. - ELENA LAUDANTE, FABIO TONACCI E MARIA ELENA VINCENZI


Così la P3 teneva in mano i magistrati  La rete di Cesare in 66mila pagine
Incontro tra Marcello Dell'Utri, Flavio Carboni, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino

Le carte dell'inchiesta sull'associazione segreta svelano un'enorme rete di complicità che coinvolge politici e magistrati. Il fascicolo in mano al  procuratore Capaldo e al sostituto Sabelli. Per gli indagati Berlusconi era "Cesare". E alla fine del 2010 entra in scena anche la P4 con l'inchiesta dei pm Woodcock e  Curcio. Tra i protagonisti il deputato del Pdl Alfonso Papa, che poi finirà in carcere. "Metteva le mani dappertutto".


ROMA - Dalle pressioni sui giudici, agli affari per l'eolico in Sardegna. Dai condizionamenti sulla politica, ai legami con la malavita e con il mondo dello spettacolo e le sue eminenze grigie, una su tutte Lele Mora, l'agente dei vip. La P3 non conosceva confini. Come testimoniano le sessantaseimila pagine, massacrate dagli omissis, depositate dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dal sostituto Rodolfo Sabelli per la chiusura delle indagini sulla P3.

Un metodo già descritto ma che trova ulteriori e schiaccianti conferme nelle nuove informative dei carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Roma e del nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza. 

LEGGI La P3, la P4 e quei milioni regalati di CONCITA DE GREGORIO

L'ONNIPRESENTE "CESARE"
Che dietro alle attività della loggia ci fosse Berlusconi è sempre stato più che un sospetto. Che fosse lui il "Cesare" di cui parlano gli indagati, quello a cui riferire tutto, è un'ipotesi che ha trovato conferma, l'estate scorsa, in una nota a piede di pagina di una richiesta di proroga di intercettazioni che per un errore non fu cancellata. Cesare, quello che veniva nominato decine e decine di volte. 

Una su tutte quella del 10 febbraio 2010. Carboni chiama Martino: "Ecco, informeremo Cesare solo domani perché non c'è". Poi, ancora, un'altra telefonata del 22 settembre 2009. Martino e Carboni discutono su come guadagnare il favore dei giornali e pensano addirittura al Wall Street Journal, "giornale di diffusione mondiale", oppure a Le Figaro. Martino dice: "Ottimo, io l'ho anticipato questo fatto qua. Gli ho anche detto, gli ho fatto capire che su questa cosa qua ti stai muovendo solo tu". Carboni risponde: "Sì, ecco io". Martino chiarisce: "Con Cesare... Con Cesare". 

Ma non mancano le citazioni dirette del suo nome. Come quando Pasquale Lombardi, giudice tributarista, parla con Gaetano Santamaria, all'epoca sostituto procuratore generale della Corte d'Appello di Milano, uno dei tantissimi alti magistrati intercettati nell'inchiesta. E' il 19 dicembre 2009 quando Santamaria chiama Lombardi, e lo saluta in tono confidenziale: "Pasqualino, sono Gaetano, come stai?". Dopo convenevoli sulle rispettive consorti, Santamaria chiede all'interlocutore se ha sentito le "dichiarazioni di Fini". E Lombardi risponde: "Sì, per quello stronzo di Fini. E' un uomo di merda, non ci sta niente da fare". Santamaria concorda: "Eh sì, si sta montando la capa". E l'altro gli risponde: "Siiiii... mi ha detto Berlusconi o dentro o fuori, non posso più perdere tempo appresso a te". 

Poi rivela dei suoi incontri con "Giacomo", presumibilmente Giacomo Caliendo, il sottosegretario alla Giustizia finito nell'inchiesta per violazione della legge Anselmi, la cui posizione è al vaglio dei pm. Santamaria chiede: "Questo te l'ha detto Giacomo che ci sta la crisi di governo?". "Sì sì, Giacomo ha fatto le varie combinazioni. Mò oggi è andato subito al Senato, ha mangiato qualcosa con me e poi è andato subito al Senato perché ci stava la discussione sulla cosa breve". E l'alto magistrato risponde: "Ah sul processo breve, ho capito. E quindi è critica la situazione?". L'altro ammette di sì. 

COSÌ CONDIZIONAVANO I GIUDICI
La familiarità di Pasquale Lombardi con le toghe è ulteriormente confermata da altre intercettazioni con alti magistrati, che pur non coinvolti direttamente nell'inchiesta, dimostrano la capacità della presunta nuova loggia di arrivare al potere giudiziario. Lombardi ha la capacità di alzare la cornetta e dare del tu a giudici del calibro del procuratore capo di Napoli, Giandomenico Lepore. 

Come nella comunicazione del 4 febbraio 2010, di primo mattino, alle 7,40. "Uè procuratò come andiamo? Sono Pasqualino". Identico il tono del magistrato: "Uè Pasqualì. Dove stai? Io sto in ufficio", è il saluto di Lepore. "State solo? e mo' vi vengo a fare un po' di compagnia, allora dai", propone Lombardi, che spiega: "Sono a Carinaro, dove sta il cardinale". 

E non può trattenersi dal raccontare l'aneddoto sull'alto prelato, il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli ed ex presidente di Propaganda Fide, originario della provincia di Caserta: "Mi dette un bacio il cardinale Sepe, chi ce lo disse, ce lo disse. Bonaiuti? Guardate Eccellè... Eminè questo è un uomo che fa bene a tutta l'umanità. Acchiappò e mi baciò, lo sai".

LA P3 E LA P4 SI INCONTRANO
Il 29 novembre 2010, i pm Henry John Woodcock e Francesco Curcio, titolari del fascicolo napoletano sulla P4, sentono come testimone Umberto Marconi, allora presidente della Corte d'Appello di Salerno. Il magistrato si sfoga con i pm: "Per quanto riguarda la mia vicenda personale riferita alla P3, ritengo di essere stato vittima di quello che a mio parere non stento a definire come un complotto ordito dai carabinieri che hanno occultato il contenuto di ulteriori mie telefonate intercettate... Non sono a conoscenza di eventuali rapporti tra il generale Tomasone (Vittorio, allora comandante provinciale dei carabinieri di Roma delegati alle indagini sulla P3, ndr), ma sono personalmente convinto che sia Alfonso Papa (deputato del Pdl finito in carcere proprio per l'inchiesta P4) il "regista" della vicenda che mi ha riguardato". 

Insomma, secondo Marconi, Papa aveva le mani in pasta un po' ovunque. "Ritengo che abbia partecipato e sia stato tra i protagonisti anche dell'attività di dossieraggio svolta a danno di taluni magistrati tra cui Paolo Mancuso e Gianni Melillo ad opera del Sismi nell'ambito della quale fu anche sequestrato uno scritto riguardante un'indagine su Pio Pompa e Niccolò Pollari". 

DALLA CRIMINALITÀ ALLO SPETTACOLO
L'indagine sulla P3 nasce da un'inchiesta della procura distrettuale antimafia di Roma, guidata da Capaldo, sulla criminalità organizzata. E, tra le attività di indagine, sbuca il nome di Flavio Carboni. Tutto inizia così. Risale alle origini dell'inchiesta il contatto tra l'imprenditore Carlo Maietto, il pregiudicato Pasquale De Martino (ritenuto il referente del clan camorristico "Sarno" del quartiere napoletano di Ponticelli) e l'uomo d'affari sardo.

Scrivono i carabinieri di via In Selci in un'informativa del 30 luglio 2009: "Tramite Carlo Maietto, De Martino ha instaurato rapporti con i noti Lele Mora e Flavio Carboni e dal tenore di molte conversazioni intercettate tali contatti sembrano essere finalizzati a realizzare iniziative importanti verosimilmente nel settore dei casinò, i cui contorni devono essere ancora delineati". 

Le indagini, però, sono complicate. "I soggetti hanno l'abitudine di non parlare esplicitamente al telefono, rinviano tutte le discussioni sugli affari in incontri effettuati sistematicamente in luoghi pubblici al fine di eludere eventuali intercettazioni". In una conversazione intercettata il 18 marzo del 2009, Maietto e De Martino parlano di un incontro con Lele Mora e altri personaggi tra cui Flavio Carboni. "La conversazione è molto interessante - scrivono i carabinieri - in quanto rivela come Maietto, Carboni e De Martino stiano avviando insieme dei non meglio definiti affari. Maietto è soddisfatto: "Stiamo facendo delle cose straordinarie". 


MCR - Museo Civico di Rovereto.



Di robotica medicale e di servizio abbiamo parlato molte volte, al festival Discovery... e al LEIS del Museo o con la First LEGO League (http://www.museocivico.rovereto.tn.it/fll_italia.jsp) molti ragazzini si avvicinano a questa disciplina. Oggi molti dei progetti che sembravano fantascienza sono diventati realtà. In questi giorni è stata presentata la nuovissima versione dell'esoscheletro robotizzato della Ekso bionics che rappresenta una vera rivoluzione, e che nei prossimi anni cambierà la vita di molti...

Non lo trovate straordinario?


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Imu, la seconda rata si paga il 17 settembre Ecco le città più care.

La Cgia di Mestre: riguarda 877mila proprietari di prima casa.

Imu, per chi ha deciso il pagamento in tre rate il 17 settembre scade la seconda tranche, mentre il saldo è il 16 dicembre. L'importo medio è di 131 euro, a Bologna la rata più cara.



La pagina del modello F24 alla voce Imu (Ansa)La pagina del modello F24 alla voce Imu (Ansa)
Roma, 8 settembre 2012 - Entro il prossimo 17 settembre, ricorda la CGIA di Mestre, circa 877.000 proprietari di prima casa saranno chiamati a pagare la seconda rata dell’Imu. Su circa 16 milioni di contribuenti che, quasi due mesi fa, hanno versato l’imposta municipale sull’abitazione principale, solo una piccola parte (pari al 5,5% del totale) ha deciso di dilazionare in tre tranches il versamento dell’imposta: prima rata a giugno, ulteriore acconto a settembre, saldo a dicembre.
IL RECORD DELLA TASSA - Per i proprietari delle abitazioni ubicate nei Comuni capoluogo di provincia che hanno deciso questa opzione, l’importo medio da versare all’Erario entro il prossimo 17 settembre sarà pari a 131 euroBologna (293 euro), Milano (269 euro), Genova (227 euro), Torino (224 euro), Roma (199 euro) e Bari (196 euro) saranno i Comuni dove i proprietari di prima casa verseranno gli importi più elevati.
Per il 2012 il contribuente che ha deciso il pagamento dell’Imu dell’abitazione principale in tre rate, anche l’acconto di settembre è pari ad 1/3 dell’importo totale che si ottiene applicando l’aliquota ordinaria del 4‰ con la detrazione di 200 euro (elevabile di 50 euro per ogni figlio di eta’ inferiore a 26 anni convivente con il contribuente).
A dicembre, entro il giorno 16, il contribuente dovrà versare il saldo sulla base delle aliquote definitive come deliberate (entro il 30 settembre) dal comune. In altre parole, sarà necessario ricalcolare il debito IMU annuo sulla base delle aliquota decise dall’ente locale, sottrarre gli acconti pagati a giugno e a settembre (per i contribuenti che hanno scelto di suddividere i versamenti in tre rate) e versare a saldo la differenza.
Tra i Comuni capoluogo di Regione, i differenziali di imposta più elevati si segnalano a Venezia e a Cagliari (entrambi con il +82%), Torino (+75%), subito dopo a Napoli (+ 69%), a Roma (+66%) e aMilano (+62%). Sul totale dei Comuni capoluogo di provincia solo a Macerata (-7%), Lucca (-19%),Latina (-44%) e a Belluno (-52%) la situazione si capovolge: in “periferia” si paga mediamente di piu’ che al centro.
L'APPELLO DELLA CGIA - “Queste differenze tra le grandi città e i Comuni di cintura - segnala il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi- sono dovute al fatto che nelle grandi aree urbane le rendite catastali degli immobili sono mediamente piu’ elevate che nei piccoli centri. Tuttavia- conclude Bortolussi- l’applicazione di questa nuova imposta e la raffica di aumenti avvenuta nei mesi scorsi avranno gravi ripercussioni sui bilanci delle famiglie. Visto che il Governo si è riservato la possibilità di modificare le aliquote dell’Imu entro il prossimo 10 di dicembre, auspico che lo faccia quanto prima, alleggerendo il carico fiscale sui contribuenti italiani che mai come in questo momento necessitano di un aiuto”.


Macroglossum Stellatarum Falena Colibrì



Premetto che mi ha spinto soltanto la curiosità a filmare e a conoscere questo esemplare di insetto, non sapevo che esistesse fino a qualche mese fa e per questo devo ringraziare mia sorella Sara.

Ho avuto grosse difficoltà, al contrario di altri video che ho visto, nel filmare questa falena per 2 principali motivi: La posizione scomoda; Come si può notare nel video, la Sfinge del Galio viene a cibarsi di nettare soltanto dal cespuglio di gelsomino azzurro dei miei vicini e quindi non sempre riesco ad inquadrarla bene. 
La velocità: per quanto sia rapido nel seguirla, sfugge spesso al mio obiettivo e con difficoltà (lo si nota chiaramente nel video!) ho dovuto trovarla e rimetterla a fuoco.

PS: 
Ho notato che passano intere giornate prima che si faccia rivedere ed è anche molto discontinua nel procacciarsi il cibo, non è metodica e non segue uno schema, anche se in effetti l'ho vista spesso tra le 16 e le 18-18:30.

Grazie a tutti coloro che apprezzeranno questo mio sforzo ;)

Per ogni ulteriore informazione vi rimando al link di "Santa Wikipedia"!
http://it.wikipedia.org/wiki/Macroglossum_stellatarum


Pubblicato in data 08/set/2012 da 

lunedì 10 settembre 2012

L’Anm a Ingroia: “Basta politica”. La replica: “Rivendico la mia analisi”.


pm palermo raccolta firme interna

Il presidente dell'Associazione nazionale magistrati durissimo con il procuratore aggiunto di Palermo: "Chi fa indagini delicate non deve offuscare l'immagine di imparzialità". E sul dissenso nei confronti del Capo dello Stato "lui e Di Matteo avrebbero dovuto dissociarsi e allontanarsi". Il pm: "Era una valutazione storica e sociologica".


L’accusa di fare politica, a questo giro, arriva non da un peana del Pdl, ma dal sindacato dei magistrati, l’Associazione Nazionale Magistrati. E’ il massimo esponente dell’Anm, il presidente Rodolfo Sabelli, a lanciarsi contro il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia e al suo collega Nino Di Matteo, entrambi componenti del pool che ha indagato sulla presunta trattativa Stato-mafia, presenti ieri alla giornata finale della festa del Fatto Quotidiano. Colpevole, il primo, di aver invitato i cittadini a cambiare la classe dirigente. Colpevole, il secondo, di aver lamentato l’assenza dell’Anm quando i magistrati palermitani venivano attaccati da più fronti. Colpevoli, entrambi, infine, di non essersi dissociati dalle critiche al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. A Sabelli ha già risposto Ingroia, rivendicando la propria analisi sull’atteggiamento della politica nei confronti della lotta alla criminalità organizzata e precisando che lui e Di Matteo, sui giudizi negativi nei confronti dell’inquilino del Quirinale non hanno mostrato la minima approvazione e che ognuno si prende la responsabilità di quello che dice. Peraltro resta che l’appunto mosso da Sabelli a Ingroia e a Di Matteo non coinvolge il procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli, che pure era presente e pure aveva partecipato allo stesso dibattito.
Sabelli: “Non offuscare l’immagine di imparzialità”. Il presidente dell’Anm ne fa un problema di immagine, insomma: “Tutti i magistrati, e soprattutto quelli che svolgono indagini delicatissime devono astenersi da comportamenti che possono offuscare la loro immagine di imparzialità, cioè da comportamenti politici”. E con il suo invito a cambiare la classe dirigente del Paese, invece, “Ingroia si è spinto a fare un’affermazione che ha oggettivamente un contenuto politico”; con il rischio così di “appannare” la sua immagine di “imparzialità”. 
Poi la mancata reazione alle critiche al Colle, cioè alla “manifestazione plateale di dissenso nei confronti del capo dello Stato”: “In una situazione così – dichiara Sabelli – un magistrato deve dissociarsi e allontanarsi”, aggiunge Sabelli, che invita tutti i magistrati “a evitare sovraesposizioni” e a “non mostrarsi sensibili al consenso della piazza”. 
Sabelli rifiuta poi la ricostruzione fatta da Di Matteo secondo il quale era stato “assordante” il silenzio dell’Anm e del Csm sugli attacchi ricevuti dai magistrati che conducono l’indagine. ”Non ho difficoltà – prosegue Sabelli – a ribadire la difesa e a manifestare il sostegno ai pm di Palermo. Ma questa non è una novità: l’Anm tutta , la giunta e io ripetutamente abbiamo manifestato solidarietà; non capisco come si possa parlare di mancato sostegno”. 
Ingroia: “Rivendico la mia analisi”. Ma Antonio Ingroia insiste ancora oggi nella sua tesi e corregge Sabelli. “Rivendico la mia analisi storica e sociologica del fenomeno mafioso: il collega Sabelli non conosce il contenuto della mia intervista e si è fidato di una frase estrapolata”. ”Io ho fatto – continua Ingroia – un intervento, sul rapporto tra potere mafioso e politica e ho parlato di un certo modo di essere della classe dirigente che, invece di attuare una politica di annullamento, ha attuato una politica di contenimento della mafia e ho detto che per recidere i legami tra Cosa nostra e certa classe politica occorre rinnovare la classe politica. La mia era una valutazione storica e sociologica che rivendico”. 
Così il procuratore aggiunto siciliano precisa che “il discorso riguardante il cambiamento della classe dirigente va inquadrato in un contesto piu’ ampio, in cui parlavo della necessita’ di recidere i legami dello Stato italiano con la mafia dall’Unità ad oggi. In questo senso ho detto che va cambiata la classe dirigente”. 
Quanto alla mancata presa di distanza dalle critiche del Presidente della Repubblica Ingroia ha detto: “In un dibattito ognuno si assume la responsabilità personale delle proprie opinioni. Se si partecipa a un dibattito a più voci ciascuno dice quello che pensa e ne risponde. Nella cronaca cui si riferisce Sabelli è scritto che io e il collega Di Matteo siamo rimasti impassibili, non approvandole in alcun modo”. “Nè io nè i colleghi abbiamo espresso ieri critiche nei confronti del Capo dello Stato – ribadisce – Secondo me sono polemiche fuori luogo. Come in ogni dibattimento ciascuno è responsabile delle proprie opinioni, ma noi siamo rimasti impassibili”.
Il pm aveva detto: “Dovete cambiare la classe dirigente”. Sulla stagione delle stragi mafiose “non è ancora emersa tutta la verità”, aveva detto il magistrato palermitano, ma “a queste condizioni questo è il massimo risultato possibile”. E secondo il pm “queste condizioni” difficilmente potranno cambiare “con questo parlamento che ha approvato leggi ad personam e che è responsabile del disastro legislativo in cui ci siamo trovati”. Da qui un invito – applauditissimo – ai lettori del Fatto Quotidiano, che affollavano (solo posti in piedi) la platea a Marina di Pietrasanta: “Dovete cambiare la classe dirigente e questo ceto politico. Si deve voltare pagina”.
Ingroia incassa anche la difesa da parte della presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, Giovanna Maggiani Chelli. ”Non crediamo affatto – spiega in una nota – che il pm Antonio Ingroia abbia ‘bestemmiato’ chiedendo ai cittadini di cambiare questa classe politica che non ha versato una sola lacrima sincera per bambini e ragazzi ammazzati al posto di uomini politici”. 
Secondo la presidente “l’Anm avrà le sue buone ragioni” a rimproverare il pm Ingroia, “ma noi abbiamo le nostre” a volere “la verità ad ogni costo, anche cambiando questa classe politica che vuole gettare la verità sulle stragi del 1993 alle ortiche, perché troppo compromettente per tutti”. “Possibile che ogni giorno ci sia un buon motivo per farci pensare che la verità sulle stragi del 1993 non la voglia nessuno?”, si chiede Maggiani Chelli che si dice convinta che “la strage del 27 maggio 1993 è molto più di un ragionevole dubbio sia stata il prezzo pagato dai nostri figli affinchè uomini politici minacciati dalla mafia non morissero”.
Gasparri: “Perché Sabelli si sveglia solo ora?”. Nella polemica si infila anche il capogruppo al Senato Maurizio Gasparri: “E’ davvero stupefacente e commovente la rapidità con cui il presidente dell’Anm Sabelli ha censurato le esternazioni politiche di Ingroia. Sabelli ne ha contestato l’impropria esortazione a cambiar classe dirigente. Probabilmente nei mesi e negli anni precedenti il dottor Sabelli è stato lontano dal nostro Paese o ha ignorato i comportamenti e le affermazioni di Ingroia, che da tempo si è rivelato militante politico di parte provvisoriamente impegnato in una doppia attività di magistrato e di ideologo”. 
Così, con Gasparri apripista, il dibattito interno alla magistratura diventa tutto politico. “Gasparri ha perso un’occasione per tacere – ribatte Donatella Ferranti (Pd) – La presa di posizione dell’Anm sulla partecipazione di Ingroia e di Matteo alla festa del Fatto Quotidiano non può essere oggetto dell’ennesima rozza strumentalizzazione sulla giustizia che il capogruppo del Pdl continua incessantemente a portare avanti minando la credibilità delle istituzioni e ostacolando ogni qualsiasi forma di confronto politico su temi fondamentali, a partire dal ddl anticorruzione”. 

'Caro direttore...', quando la politica bypassa e scrive ai giornali.



Roma - (Adnkronos) - Ultimi casi le lettere al 'Corsera' di Severino e Gelmini.Morcellini all'Adnkronos: ''Fenomeno in crescita, segna fallimento intermediazione giornalistica''. Appello di Padellaro: ''Non pubblicatele più''. Siddi: ''Patologia se supinamente accettate''. De Bortoli: ''Politici hanno paura delle domande scomode''. Sallusti: ''Non hanno più nulla da dire''. Pionati: ''Lettere comode perché non ci sono domande''.

Roma, 10 set. (Adnkronos) - "Caro direttore", ovvero quando governo e politica si rivolgono direttamente ai media senza passare dalle redazioni. Un ''fenomeno in crescita'', ultimi casi le lettere di questi giorni al 'Corsera' del ministro della Giustizia Paola Severino e dell'ex ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini, prima ancora ad esempio la missiva di Silvio Berlusconi al Foglio il 16 settembre dello scorso anno o le lettere del premier Mario Monti al Corriere (30 marzo scorso) e a Repubblica (11 giugno). Un fenomeno, dice all'Adnkronos il massmediologo MARIO MORCELLINI, preside della facoltà di Scienze della comunicazione alla Sapienza di Roma, ''che probabilmente dilagherà nei prossimi anni, e che segna il fallimento dell'intermediazione giornalistica, ormai sorpassata dai nuovi media e dalla generale sfiducia in ogni tipo di istituzione".
"E' una tendenza notevole in atto, quella dei politici che si rivolgono direttamente ai giornali con lettere al direttore -dice Morcellini in una conversazione con l'Adnkronos-. E, brutalmente, devo dire che hanno ragione: gli elementi di insoddisfazione per la rappresentazione giornalistica sono crescenti. Credo sia giunto il momento per i giornalisti di prendere, a turno, un anno sabbatico e immergersi nella realtà".
In sintesi, l'insoddisfazione segnalata da Morcellini è imputabile a due differenti "macrosettori" le cui sinergie stanno assestando un colpo forse letale agli informatori di professione: "anzitutto -elenca Morcellini- l'aumento dei saperi distribuiti socialmente rende più semplice comunicare; in breve, l'uso del web. Mentre prima di questo i giornalisti erano praticamente gli unici a portare informazioni a una vasta generalità di persone". Questo cambiamento, sospetta Morcellini, "non è ancora stato registrato profondamente dalla categoria".
Secondo macrosettore, forse quello più umiliante per la categoria: "in troppi casi, si pensi soprattutto alla comunicazione di notizie sulla salute e ancora di più a quella politica, il giornalismo italiano ha perso troppe occasioni: ha sbagliato spesso e non ha mai fatto autocritica". I due elementi stanno quindi "facendo crescere in fretta un fenomeno, che gli stessi politici hanno ben compreso: il fai da te dell'informazione", sia in ingresso sia - e questa è la novità - in uscita.
Si profila un "futuro fosco per la categoria - prevede Morcellini - se non c'è un ripensamento radicale non se ne esce. Il giornalismo italiano non ha fatto i conti con l'incattivimento palese del pubblico e con la perdita di credibilità di tutte le istituzioni, stampa compresa".
Morcellini mette però in guardia dalla controindicazione: "il rischio vero è che prevalga l'individualismo comunicativo, e la conseguente riduzione della capacità di relazionarsi socialmente e quindi anche politicamente: per qualche tempo può essere salutare, alla lunga è un danno serio".
Soluzioni? "Credo anzitutto che sia il caso per la categoria di considerare l'utilizzo dell'anno sabbatico e vedere la realtà senza la rete di sicurezza del mestiere; poi, di ridurre drasticamente la cronaca nera. Infine - conclude - quando si commette un errore occorre rettificarlo con la stessa identica visibilità dello 'strillo' con cui è stato pubblicato: il giornalista deve rinunciare all'arroganza dell'ultima parola".
Il direttore del 'Corriere della Sera', FERRUCCIO DE BORTOLI, dichiara all'Adnkronos: "Quello delle lettere al direttore da parte dei politici è un fenomeno sicuramente in crescita, e secondo me è una scorciatoia che certe volte i politici amano per sorpassare le professionalità dei giornalisti. In realtà segnala la paura di alcuni di loro nel confrontarsi con domande serie e scomode''.
A proposito del dilagare del fenomeno, il direttore de 'Il Fatto Quotidiano', ANTONIO PADELLARO, osserva: ''Queste lettere sono lunghe, noiose e non si capiscono. Secondo me chi le scrive provoca un danno a se stesso. Trovo che sia spazio rubato alle notizie vere e sarebbe bello fare un accordo tra tutti i giornali e decidere di non pubblicarle più".
"Continuare a pubblicare lettere del genere - aggiunge Padellaro - non interessa a nessuno perché non le legge nessuno, non ho il minimo dubbio, le leggono soltanto gli addetti degli addetti ai lavori...". Il direttore del 'Fatto Quotidiano' fa l'esempio della lettera inviata dal premier portoghese ai cittadini "con la quale li informa che bisogna tagliare del 7% gli stipendi pubblici. Ovviamente è stato subissato di insulti, ma almeno ha scritto una lettera con la quale comunica una notizia. Noi invece leggiamo certe lettere che parlano di bipolarismo, tripolarismo, roba che non interessa a nessuno", conclude.
Secondo il direttore de 'Il Giornale', ALESSANDRO SALLUSTI, il dilagare delle lettere al direttore da parte dei politici "è un fallimento dell'intermediazione giornalistica, e la colpa va divisa equamente tra i politici italiani che non hanno più nulla da dire, e i giornalisti che spesso non sono in grado di far dire loro qualcosa di interessante".
"Ormai - spiega Sallusti - l'intervista, come strumento giornalistico, è depotenziata perché i politici sfuggono alle domande vere e i giornalisti non riescono a tirare fuori una notizia vera e si vergognano di fare interviste insignificanti. Non le vogliono fare. Del resto - aggiunge - mentre in televisione l'intervista senza risposta è efficace, perché mostra fisicamente l'imbarazzo del politico che si rifiuta di rispondere, sulla carta non ha senso".
Sallusti rivela che capitano spesso "dei politici che ci chiedono di essere intervistati, ma per le solite banalità ininfluenti sia per il prestigio del giornale che per il lettore. Le lettere diventano così una scorciatoria, e spesso vengono pubblicate dai direttori solo per rispetto nei confronti della figura istituzionale che le scrive. Ma tecnicamente, giornalisticamente - conclude il direttore de 'Il Giornale' - non fanno notizia".
FRANCO SIDDI, segretario della Federazione Nazionale Stampa Italiana, osserva: "La politica che scrive al direttore di un giornale non è una anomalia in sé se lo fa in circostanze di rilevanza. E' invece un fenomeno che rischia di diventare patologia se le lettere vengono accettate e pubblicate supinamente sotto un malinteso fenomeno di diritto di replica, e se si tratta, come spesso succede, di situazioni di promozione individuale o di scorciatoie".
"Il giornalismo moderno - prosegue Siddi - dovrà sicuramente fare degli aggiustamenti, essere più severo, non dare rilievo al chiacchiericco, ma non va in crisi con le lettere al direttore se i giornali sapranno mantenere la riserva critica e la capacità di informazione dei cittadini. Il surrogato della lettera al direttore - conclude il segretario della Fnsi - rimane sempre un surrogato, anche per il lettore".
"L'analisi di Morcellini è praticamente perfetta, i giornalisti devono rinnovarsi per forza di cose", sottolinea ANDREA SARUBBI, deputato del Pd e fondatore dell'hastag su Twitter #opencamera, una sorta di 'velina' parlamentare del terzo millennio da lui lanciata nel luglio del 2011 e oggi utilizzata da praticamente tutti i suoi colleghi in Parlamento per comunicare e far sapere che succede nel cosiddetto palazzo. Sarubbi, classe 1971, sottolinea come "il giornalismo di oggi abbia perso molto della voglia di far capire le cose alle persone, oggi preferisce seguire le mode, i personaggi che danno 'audience'".
Insomma nel mondo dell'informazione classica "c'è un deficit sia di informazioni sia di analisi. Si seguono filoni preconfezionati, e questo accade già da qualche anno". Nel frattempo l'Italia è cambiata rapidamente, anche grazie ai nuovi media, e "nel momento in cui si aprono molti canali di comunicazione, alla portata di tutti, il giornalista ha un solo dovere: dimostrare di essere il migliore nell'informazione. Quindi basta con le interviste 'sdraiate', a noi lettori servono le interviste con il coltello tra i denti".
Quanto alle lettere al direttore, "quelle sono riservate ai big, noi 'piccoli' abbiamo il web, che però ha regole molto diverse, il giro dei social network è un'altra cosa rispetto al tradizionale. Ma funziona benissimo...".
Per FRANCESCO PIONATI, segretario di Alleanza di Centro e in passato volto noto del giornalismo televisivo come notista politico del Tg1, il fenomeno ''non deve stupire. Non è il segno di una perdita di importanza dell'intermediazione giornalistica, è soltanto una questione di opportunità''.
''Con le lettere al direttore -rileva Pionati- il politico diffonde il proprio messaggio su un determinato argomento senza intermediazioni. E poi -osserva- per il politico sono comode, dal momento che non ci sono domande''.
MARIO ADINOLFI, deputato-blogger del Pd, commenta così con l'Adnkronos la nuova consuetudine: ''Accade che i giornalisti non abituati al mondo della rete, cioè al salto dell'intermediazione, stanno deprimendo il loro ruolo. Molti colleghi stanno subendo questa ondata del web senza capire che si tratta di una grande opportunità, con potenzialità enormi per un commento critico. Del resto siamo nel ventunesimo secolo, le cose cambiano...''.
''Sta a noi giornalisti salvare il mestiere e non farlo morire, sfruttando le potenzialità della rete - avverte Adinolfi -. Non pubblicherei nuda la lettera inviata al giornale, ma, come si faceva una volta per le smentite, la darei alle stampe con un articolo di accompagno che dà al cittadino, fruitore del giornale, e al giornalista un motivo per leggere ogni argomento in maniera più critica e conscia. Accompagnerei le lettere ai giornali e i tweet con un articolo che offre una lettura più approfondita''.
Adinolfi dice di essere ''rimasto molto colpito dal fatto che l'uso di twitter e facebook abbia saltato del tutto il meccanismo delle agenzie di stampa. Ormai twitter è diventato una sorta di agenzia monodirezionale, così il deputato non ha più bisogno dell'ufficio stampa, né delle agenzie che riprendono le sue parole. Ci troviamo di fronte ad una autorappresentazione della comunicazione, che rende la lettera uno strumento fondamentale. Oggi -avverte- si fa davvero un abuso di queste lettere: lo ripeto, basterebbe accompagnarle ad un articolo di spiega e approfondimento''.
Per MICHELE SORICE, docente di comunicazione politica alla Luiss, la crescita esponenziale di 'lettere al direttore' "è sicuramente un modo di evitare il confronto e le domande scomode, per paura dei rischi che può creare un dibattito aperto e franco, ma non è la morte dei giornali, anzi è proprio il riconoscimento del ruolo e dell'importanza che le grandi testate hanno ancora oggi".
"Con le loro lettere - sostiene Sorice - i politici testimoniano proprio il fatto che i giornali restano ancora, in epoca di blog, tweet e social forum, il luogo privilegiato deputato alla costruzione della sfera pubblica. E nonostante i quotidiani siano letti da una minoranza della popolazione, restano la legittima cornice per parlare ai lettori, potenziali elettori", aggiunge.
"Certo - ammette - la lettera al direttore non ha nulla a che vedere con ciò che insegniamo nei nostri corsi ai futuri cronisti ovvero il giornalista come 'cane da guardia dell'informazione' o 'strumento di garanzia e controllo della politica", ironizza. "Si tratta sicuramente di un uso strumentale dei giornali, sfruttati come cassa di risonanza - conclude Sorice - ma è altrettanto vero che il media-giornale non perde la sua centralità agli occhi del politico che continua a sceglierlo come vetrina privilegiata".
GIANCARLO MAZZUCA, deputato Pdl già direttore de 'Il Resto del Carlino', afferma: "Ho riscontrato anch'io che molti politici tendono ultimamente a preferire la lettera all'intervista. La spiegazione potrebbe consistere nel fatto che un contributo del genere riduce il rischio delle domande, consente di andare al punto che preme a chi la scrive, presta meno il fianco a titoli non in linea con ciò che si vuol far passare come messaggio".
"Personalmente, ritengo preferibile l'intervista - prosegue - perché lo stile e il criterio giornalistico rendono la comunicazione più leggibile, al contrario dell'approccio freddo e un po' burocratico di una missiva che non espone al contraddittorio. Certo, c'è sempre il rischio della domanda scomoda, ma per un politico - conclude - credo che l'intervista sia lo strumento più giusto. Specie se rilasciata ad un giornalista capace e stimolante".

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