Di rivelazioni e scandali ne avremo per mesi, vista la mole dei dati trafugati. Intanto, uno degli effetti dei Panama Papers – e probabilmente degli scopi per cui sono stati diffusi – lo ha definito benissimo l’ottimo blogger Nuke the Wales: è parte della “guerra che gli americani attraverso i loro servizi segreti e l’influenza su alcuni organismi sovranazionali chiave (Ocse) hanno fatto contro i così detti “paradisi fiscali” altrui; una battaglia altamente morale – come sempre – che libera dai concorrenti i paradisi fiscali che stanno impetuosamente crescendo in Usa. “Gli stati americani del Delaware, Wyoming e Nevada sono da decenni all’opera come paradisi nel segreto on-shore, si sono specializzati nella creazione di società di comodo per chiunque desidera nascondere i beni d’oltremare.”
“Lo scorso settembre 2015, Andrew Penney (amministratore delegato di Rothschild Wealth Management & Trust, con sede a Londra, e con filiali a Milano, Zurigo e Hong Kong, gestisce circa 23 miliardi $ per 7.000 clienti) ha tenuto una conferenza in cui spiegava come si può evitare di pagare le tasse e come può aiutare i clienti a spostare le loro fortune negli USA, tenendo tutto nascosto ai rispettivi governi di provenienza”.
Il Cremlino ha risposto (sui media niente)
Come ha spiegato l’addetto stampa di Putin, Dmitri Peskov, era già da qualche giorno che riceveva da giornalisti esteri “richieste untuosamente gentili, in forma di domande sul presidente personalmente, oltre a tentativi di contattare la sua famiglia, di parlare dei suoi amici d’infanzia, di affari – Kovalchuk, Rotenberg [due uomini d’affari già colpiti da sanzioni americane, il primo detto ‘il banchiere personale di Putin, ndr.] di certe ditte offshore con gente d’affari che Putin non ha mai visto. Tutto questo è molto ripetitivo, con variazioni a cui seguiva un’altra ripetizione”.Lo ICIJ, il gigantesco Consorzio Internazionale di Giornalisti Investigativi che ha messo a punto il colossale trafugamento di dati panamensi, già nel 2013 aveva cercato di coinvolgere la moglie del vice-primo ministro, Igor Shuvalov, insieme con il milionario Gennady Timchenko in una storia di conti segreti alle Isole Vergini Britanniche. Nel 2015, lo ICIJ ha ‘rivelato’ che il suddetto Timchenko era caduto sotto sanzioni Usa in quanto cliente della banca HSBC, multata dalle autorità americane. Adesso, ha aggiunto Peskov, simultaneamente all’azione dello ICIJ, “una nota agenzia di stama internazionale sta preparando una pubblicazione basata su certe asserzioni dello Organized Crime and Corruption Reporting Project, che sono rimasticature di rapporti di Putin con uomini d’affari, di uomini d’affari che ottengono da lui contratti pubblici, di uomini d’affari che si arricchiscono a spese di Putin…”. La nota agenzia ha presentato una lista di domande a cui chiede a Putin di rispondere.
Domande, Peskov ha esemplificato, del tipo: “E’ vero che il suo patrimonio ammonta a 40 miliardi di dollari? Che possiede queste villone o quei mega-yachts? Dicono inoltre che Putin mantiene un intimo rapporto con Sergei Roldugin (il violoncellista, che è anche azionista della banca Russia), rapporto che consisterebbe in una frode presidenziale. Domande che insinuano che Putin è associato in qualche modo agli affari o a certe aziende – Continuiamo a ripetere no, no, no. Adesso il Kremlino non risponde più. Ci son modi legali per difendere la dignità e l’onore del presidente”.
Spunta la Open Society Foundation
Abbiamo visto che Peskov cita lo Organized Crime and Corruption Reporting Project; altro nome con cui si presenta il superconsorzio di “indipendenti” giornalisti anti-corruzione, ICIJ. Il quale a sua volta è una emanazione di una ONG denominata Non-Governmental Organization Center for Public Integrity; una grossa entità “non-profit”, quella che paga i giornalisti dediti alle opere di moralizzazione, ed è finanziata dalle solite fondazioni di celebri miliardari americani, alcune delle quali note per essere succursali della Cia e/o del Partito Democratico: Ford Foundation, Rockefeller Foundation, Carnegie Endowment, e un’altra mezza dozzina di meno note. Ma soprattutto dalla Open Society Foundation le celebre fondazione di Georges Soros, e dalla Sunlight Foundation, che è sempre di Soros.Infatti, come hanno rilevato i russi spulciando i loro archivi, questo ICIJ si è illustrato nel 1996 per una campagna demolitrice contro il giornalista (paleo)conservatore Patrick Buchanan, fortemente anti-neocon, che s’era candidato alle elezioni presidenziali, e che Soros odiava e riuscì infine a costringere al ritiro. Il Consorzio è stato anche l’arma di punta nella quasi decennale offensiva di Soros contro
i fratelli Koch, miliardari ebrei come lui ma non “liberal”; in questa battaglia senza esclusione di colpi (passata alla storia come Luxembourg Papers) i giornalisti morali di Soros sono stati anche condannati per distorsione dei fatti ed altre violazioni del diritto. Similmente, a gennaio del 2015, quando Soros cominciò la sua speculazione contro il franco svizzero, i suoi “giornalisti indipendenti” si lanciarono in una inchiesta sul tema: “Come le banche svizzere riciclano il denaro sporco”. Un bell’ausilio all’attacco speculativo, che forzò la Banca Centrale elvetica a sganciare il franco dall’euro, rivalutandolo rovinosamente (scommettiamo che Soros era long sul Franco? )
Una volta intravisto lo zampino di Soros, i bersagli dei Panama Papers – o Banana Pampers, come già li descrive qualcuno – si spiegano. Per esempio, all’inizio nessun nome americano, e poi – date le domande nate nei media- ah sì, sono 441 , ma nessun politico. Per la Francia, grande campagna mediatica il maggiordomo di Jean Marie Le Pen, il tesoro del Front National. Niente invece sulle “600 ditte israeliane e i circa 850 azionisti israeliani elencati come detentori di conti offshore, fra cui la Banca Leumi e la Banca Hapoalim” (le più grosse di Sion), su cui il fisco israeliano ha aperto un’indagine.
Il modus operandi
I dati vengono selezionati. Lo ha ammesso Le Monde, che fa’ parte del Consorzio (stranamente né il New York Times né il Wall Street Journal sono della partita: strano davvero, una frattura in quel mondo). In un articolo dal titolo: “Perché le Monde non pubblica integralmente i dati dei Panama Papers” spiega: “2600 gigaottetti di dati personali inclusi nel database non saranno mai pubblicati, perché contengono “dati privatissimi”; come indirizzi, fotocopie di passaporti corrispondenze private, bollette della luce”. E oltretutto, “il fatto di possedere una società offshore non è in sé illegale”: bontà sua, l’organo ufficioso del Grand Orient riconosce che la globalizzazione consiste appunto nella “libera circolazione” dei capitali.Verranno pubblicati invece i dati delle “215 mila strutture offshore”, ossia le 215000 società, “con per ciascuna la data di creazione, di scioglimento, l’identità degli azionisti dichiarati”.
Verranno pubblicate “a maggio dallo ICIJ”.
Attenzione a questa frasetta: Le Monde ammette di non avere in mano i dati con cui, per esempio, ha accusato il maggiordomo (sic) di Le Pen di avere un conto alla Mossack-Fonseca, per conto del padrone. Il giornale francese dipende dallo ICIJ, che li compulsa, seleziona, e li pubblicherà “a maggio”. Quanto all’identità degli azionisti dichiarati, è un dettaglio divertente: gli azionisti dichiarati sono dei prestanome, come è ovvio in questo tipo di società. Dunque la soffiata sul maggiordomo del F N gli è stata soffiata, e il giornale l’’ha strombazzata senza aver visto la documentazione. Sicuro che poi “i dati” che saranno diffusi “a maggio” confermeranno l’accusa?
Cosa valgono le accuse di Le Monde, senza i documenti? La risposta dell’organo del Grand Orient è molto significativa: “Per noi è importante condurre l’inchiesta (…) e interrogare le personalità messe in causa in modo da dar loro l’occasione di spiegarsi”
Capito? E’ esattamente la stessa tattica descritta da Peskov: i giornalisti stranieri arrivano e melliflui “interrogano” Putin “per dargli l’occasione di spiegarsi: è vero che lei possiede 40 miliardi? Che è suo quel certo mega-yacht?”.
Le Monde farà lo stesso. E’ un genere di domande esemplificato da questa: “Da quanto tempo lei ha smesso di picchiare sua moglie?”. Quando il poveretto nega: “Mai ho picchiato mia moglie!”, i giornali hanno il titolo già fatto: “Il politico X: non ho mai picchiato mia moglie”. L’articolo spiega: sì, effettivamente ha smesso, o così dice.
E la reputazione della vittima è rovinata. Sono tecniche che noi giornalisti conosciamo bene.
Oltretutto, visto che lo ICIJ e i suoi associati le usano con tanta dovizia, viene un sospetto: che non abbiano in mano quasi nulla di concreto. Il che è logico: hanno i nomi di persone, che non sono che dei prestanome. E la Mossack-Fonseca s’è rifiutata di validare i documenti, perché le sono stati sottratti con la frode.
Per esempio, stringi stringi, i soli nomi russi che hanno in mano sono due (dicesi 2): il celebre violoncellista Sergei Roldughin, e il miliardario ebreo Arkadi Rotenberg. Che – dicono – sono “intimi di Putin”, quindi….Diamo a Putin l’occasione di spiegarsi. Diamo alla Famiglia Le Pen l’occasione di spiegarsi. Mica li accusiamo (non avendo le prove in mano), mica siamo scemi.
Il resto viene a poco a poco, accuratamente selezionato dai giornalisti di Soros, mossi dal più puro moralismo. Il polverone può giovare alla candidata Hillary Clinton, braccata dall’FBI per certe sue mail dove racconta che ha invaso la Libia per rendere più sicuro Israele, e sta per perdere le elezioni presidenziali.
La minaccia di Obama, ossia ISIS
In queste settimane, la disinformazione Made in Usa ha raggiunto vertici di virtuosismo eccezionale. Per esempio sulla Siria: i media – anche la nostra 7 del noto Mentana – hanno esaltato la notizia seguente: i maggiorenti della setta alawita (quella della famiglia Assad) hanno chiesto ad Assad di dimettersi, per agevolare la transizione. Basta una breve verifica per apprendere che è un falso Made in Usa. Un altro sciame di “notizie” dà impressione che Obama si sia messo d’accordo con Putin sulla Siria, che i due se la intendano perfettamente sulla tregua in corso e sulla transizione. La verità è l’esatto contrario: il Pentagono ha ricominciato un nuovo addestramento di gruppi jihadisti, e li hanno riarmati con missili Usa, pagati dai sauditi e inoltrati dalla Turchia. Così rinfrancati, i jihadisti hanno violato la tregua e ripreso i combattimenti, abbattendo anche un caccia siriano e usando anche gas iprite contro una base aerea.Ma i media sono pieni di informazioni verissime sui Banana Pampers.
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