venerdì 6 ottobre 2017

Atenei, ripartire da trasparenza e mobilità. - Dario Braga

(Agf)


Quando il «Sole» ha pubblicato a fine luglio l’articolo sulla perpetua discussione sulle carriere universitarie con il sommario “Quarant’anni persi” sono rimasto sorpreso. Un titolo un po’ forte, ho pensato, ma si sa, i titolisti devono catturare l’attenzione del lettore.
Ne è nato un thread e gli interventi che ne sono seguiti hanno disegnato un panorama in chiaroscuro della nostra accademia con diverse sottolineature sui temi delle risorse, del blocco degli scatti, del reclutamento, del dottorato, della valutazione e dell’Anvur, ecc. Andava tutto bene, si stava riflettendo in modo utile – e certamente non solo sul Sole 24Ore – sul presente e sul futuro dell’università, sulla necessità di aumentare in modo significativo l’investimento in ricerca e didattica, e sul ruolo dell’università in una società colta, scientificamente e tecnicamente in grado di confrontarsi con i Paesi evoluti.
Poi è arrivata l’ennesima “concorsopoli”, con tanto – e questa è stata certamente la novità più eclatante – di arresti domiciliari e sospensione dal servizio per un numero ampio di illustri colleghi. Abbiamo ricominciato a parlare di concorsi, di ricorsi e di terapie più o meno fantasiose per “curare” questo male cronico della accademia italiana. E tutti i ragionamenti hanno fatto un salto indietro, come nel gioco dell’oca. Altro tempo perso ?
Proviamo a rispondere, ma prima, però, mettiamo in chiaro una cosa: l’università italiana funziona. A dirlo non siamo noi, ce lo dicono le valutazioni internazionali e ce lo dice la vasta rete di relazioni scientifiche che coinvolgono i nostri studiosi e ricercatori. E questo nonostante la scarsità di finanziamenti, l’obsolescenza di molte strutture e la irrazionale distribuzione delle risorse, le sacche di inefficienza, il numero stravagante di settori disciplinari, la burocrazia soffocante e in continua espansione, ecc...
Se normalizziamo i nostri risultati rispetto allo sforzo finanziario del Paese, alcune delle nostre università salgono tra le prime nel mondo. In termini di numero di pubblicazioni e di qualità delle pubblicazioni siamo addirittura superiori, nel confronto pro-capite, ai ricercatori di Paesi più avanzati del nostro. I nostri laureati sono ambìti all’estero e sono in grado di ottenere risultati enormi. Siamo un Paese “generoso”: investiamo molto nella loro formazione e non chiediamo nulla in cambio.
Dato questo doveroso riconoscimento al lavoro di docenti e ricercatori il problema dei concorsi universitari ci rimane incollato addosso. Ed è un problema che non risolveremo – nell’opinione di chi scrive e anche di molti altri commentatori – fino a quando all’università saremo costretti a “cooptare mediante concorso”. Costretti a praticare un ossimoro da una percezione errata del lavoro accademico.
Il professore universitario insegna e fa ricerca. È la ricerca il grande discrimine, la caratteristica peculiare, la grande differenza con i docenti delle scuole primarie e secondarie (ai quali non vogliamo togliere nulla, perché sono proprio loro a gettare le basi sulle quali noi costruiamo). Ed è proprio la ricerca che rende indispensabile la cooptazione: un ateneo, un dipartimento deve poter scegliere il tipo di competenza che serve perché i ricercatori non sono intercambiabili. È un concetto difficile da assimilare per chi non conosce le università del mondo o è legato a una visione burocratica della docenza.
Per questo è stato introdotto un passaggio a monte: la Abilitazione scientifica nazionale (Asn). Non un concorso (come purtroppo la maggior parte della stampa ha riportato commentando l’inchiesta di Firenze) ma una “patente” per accedere ai concorsi successivi banditi sulle necessità di ricerca e didattica dei dipartimenti.
L’Asn non è a numero chiuso, richiede che venga superata una soglia di qualità/quantità di produzione scientifica per potersi poi presentare ai concorsi. La mancata abilitazione preclude la possibilità di partecipare a qualsiasi competizione. È come la selezione per una gara sportiva internazionale, o per un concorso canoro. Solo se ti qualifichi potrai partecipare ai concorsi che verranno.
L’inchiesta di Firenze sembra spingere a rimettere tutto in discussione. La stampa e i social network sono pieni di commenti indignati, di polemiche e di proposte contraddittorie.
Non credo sia una buona idea rimettere tutto in discussione. Se lo facessimo bloccheremmo di nuovo il turnover universitario e aumenteremmo gli anni da buttare via. È tuttavia possibile agire da subito nell’ambito della normativa attuale su due “fondamentali” del reclutamento: mobilità e trasparenza.
Per incentivare la mobilità (e contrastare i rapporti di fedeltà accademica) è sufficiente eliminare l’oggettivo vantaggio economico per le casse degli atenei derivante dalla promozione di interni. Meglio ancora se si renderà vantaggioso chiamare ricercatori e professori da altre sedi con risorse ad hoc di mobilità e di installazione.
Per elevare il livello di trasparenza dei momenti concorsuali basta esporre i CV dei candidati – come le partecipazioni di matrimonio - in modo che tutti possano rendersi conto di quali competenze sono a confronto (e non si tiri fuori la privacy: sono concorsi per ruoli pubblici), chiedere referenze, e chiamare tutti i candidati a svolgere seminari pubblici dipartimentali. Chi partecipa potrà porre domande e valutare le risposte che riceve. Le commissioni decideranno in piena autonomia ma con maggiore accountability.
Non sono idee originali: si fa così in molti dei Paesi con i quali ci confrontiamo. Due “accorgimenti” semplici ma... elettoralmente impopolari. Eppure, da soli potrebbero contribuire ad arrestare una deriva che sta allontanando l’università italiana da quelle dei Paesi più avanzati.
Ripartire da zero, semmai.
Il periodo buio che stiamo attraversando non è propedeutico ad una visione più sana della questione.
Chi non ha numeri suoi, cerca i numeri degli altri e li fa propri. E' più facile raggiungere la vetta con l'ascensore che scalarla.
E' questa la nuova ottica del mondo, e chi non aderisce al sistema, chi non è corrotto e disonesto, diventa lo zimbello di chi sa approfittare delle situazioni.
Non credo che sarà facile ripristinare la legalità e la coerenza dettate dalla logica e dalla coscienza se non si ripristinano etica, deontologia, rispetto di ciò che ci circonda.

Fine vita, la vergogna dell'Italia. - Carlo Troilo



Mentre in Belgio 15 ospedali cattolici dicono sì all'eutanasia, respingendo il tentativo di veto del Vaticano, in Italia tutto è immobile sul biotestamento per la valanga di emendamenti dei fedelissimi di Alfano.

I 15 ospedali cattolici belgi che fanno riferimento alla congregazione dei “Fratelli della carità” e che applicano l’eutanasia anche su pazienti psichiatrici non terminali hanno risposto picche al Vaticano (e allo stesso Papa Bergoglio), che li hanno formalmente invitati a desistere da questa pratica. Ad agosto il Vaticano aveva fatto giungere un ultimatum, minacciando sanzioni canoniche per i religiosi che avessero partecipato o avallato le decisioni di eutanasia. I Fratelli della Carità hanno risposto che l’eutanasia è il linea con la pietas cristiana. Pur riconoscendo che scopo principale è la “difesa della vita”, essi sostengono la necessità di tenere in considerazione “la sofferenza insopportabile” e quindi la richiesta dei pazienti di ricorrere all’eutanasia, che viene concessa “solo se non esiste più possibilità di fornire una prospettiva di trattamento ragionevole” ma anche se i malati non sono in fase terminale.

La vicenda si inserisce nel processo incessante di distacco dei cittadini belgi dal Cattolicesimo: a Bruxelles solo 12 cittadini su 100 professano la religione cattolica, contro 19 mussulmani. Come ha documentato il quotidiano “La Libre”, metà delle Chiese storiche cattoliche rischiano la chiusura o la vendita e la ristrutturazione per scopi non religiosi. 

In Belgio la commissione governativa di controllo sulla attuazione della legge che nel 2014 ha legalizzato l’eutanasia per i minori rende noto che in tre anni vi sono stati solo 2 casi di messa in atto della legge (entrambi nel 2016): l’eutanasia  è possibile solo per i minori che siano malati terminali.  Dati simili dall’Olanda, dove si sono verificati solo 5 casi in 10 anni dalla approvazione della norma sulla eutanasia per minori.

In Italia, benché i promotori della legge sul biotestamento abbiano rinunciato alla eutanasia, la legge in materia, già approvata alla Camera, rischia seriamente di non essere approvata in Senato perché sommersa da tremila emendamenti, metà dei quali presentata da due senatori facenti capo ad Alfano, che pure alla Camera aveva votato a favore della legge: ostruzionismo e ricatto politico i vista delle elezioni di primavera.

Eppure si tratta di una legge equilibrata, che porterebbe a tre risultati molto positivi.

1) Renderebbe vincolanti per i medici, cum grano salis, le dichiarazioni di volontà contenute nelle DAT (nella sigla la “D” non sta più per “dichiarazioni”, come è stato per anni, ma per “disposizioni”: una dicitura molto più pregnante dal punto di vista giuridico).

2) Cadrebbe l’eterna disputa su alimentazione e idratazione artificiali, che non possono più essere considerate come “sussidi vitali” ma sono definite “terapie”, in quanto tali rinunciabili dal malato in forza dell’articolo 32 della Costituzione, per il quale “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario”.

3) Il medico può ricorrere alla sedazione profonda continua “in presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari”, in associazione con la terapia del dolore e con il consenso del paziente. 

Se questa legge fosse già stata in vigore, grazie alla norma del punto 2) non si sarebbero verificati gran parte dei casi clamorosi degli ultimi dieci anni (Welby ed Englaro, per citare solo i due più noti) e grazie a quella di cui al punto 3) si sarebbero evitati molti dei mille suicidi di malati che si verificano ogni anno in Italia. Infatti, trattandosi per lo più di malati terminali, essi avrebbero potuto morire serenamente nel proprio letto grazie ad una sedazione, anziché essere spinti dalla disperazione al loro gesto estremo. 

Pur condividendo in pieno la legge sullo “ius soli”, mi chiedo perché il governo, volendo rischiare la crisi su una battaglia su diritti civili, non ponga la fiducia sul biotestamento, sapendo che l’80% degli italiani è a favore della legge. 


http://temi.repubblica.it/micromega-online/fine-vita-una-vergogna-italiana/

Dove ci sono i pochi a comandare, e contro la volontà dei cittadini, non c'è democrazia, ma oligarchia.
In Italia, purtroppo, abbiamo un governo prono ai poteri forti come chiesa e potere economico, pertanto, non abbiamo alcuna speranza di vedere migliorare il nostro quotidiano e, pertanto, anche chi non è cattolico deve sottostare ai crudeli dogmi clericali....

mercoledì 4 ottobre 2017

Le 44 aree ‘invivibili’ più inquinate d’Italia. La mappa del Ministero della Salute.

penisola22

Ben 44 aree del nostro Paese sono inquinate oltre ogni limite di legge. 

Dati più che allarmanti direttamente dal Ministero della Salute; in Italia esistono ben 44 aree inquinate oltre ogni limite di legge, in cui l’incidenza di tumori sta aumentando statisticamente a dismisura. Nelle zone maggiormente contaminate, le malattie tumorali sono aumentate anche del 90% in soli 10 anni.
I RISCHI PER LA SALUTE – Non meno di sei milioni di persone sono esposte a malattie potenzialmente mortali: tumori, malattie respiratorie, malattie circolatorie, malattie renali e neurologiche. La causa è quasi sempre il galoppante inquinamento industriale, che spinge l’incidenza oncologica ed in particolar modo il cancro alla tiroide, il tumore alla mammella ed il mesotelioma, ossia il tumore che nasce dalle cellule del mesotelio ed è associato soprattutto all’esposizione all’amianto.
Agli impressionanti dati del Ministero della Salute si aggiungono quelli di “Mal’Aria di Città 2016”, pubblicato da Legambiente.
L’inquinamento in Italia uccide quasi 60mila italiani e costa alle casse dello Stato almeno 47 miliardi di euro.
Basti pensare che nel 2015 in 48 capoluoghi di provincia più della metà del totale hanno superato i limiti di legge delle concentrazioni di Pm10 misurate dalle centraline, fissati in 50 microgrammi per metro cubo per più di 35 giorni. Si tratta del numero massimo di superamenti consentiti dalla legge in un anno.
LE AREE PIU’ A RISCHIO – Frosinone si aggiudica il triste primato di città dall’aria più inquinata: ha infatti superato i limiti di legge per ben 115 giornate; di seguito troviamo Pavia con 114, Vicenza con 110, e due capoluoghi di regione come Milano e Torino con 101 e 99 giornate di aria irrespirabile; Roma, con i suoi 65 giorni oltre la soglia d’attenzione, si posiziona al venticinquesimo posto.
Oltre al Pm10, gli apparecchi hanno registrato anche la concentrazione di Pm2.5, che a differenza del Pm10 – che ferma la sua corsa nei bronchioli – è purtroppo in grado di penetrare fino ai polmoni: le dimensioni delle sue particelle, infatti, non superano un quarto di centesimo di millimetro. Per legge questo tipo di inquinanti non dovrebbero superare i 25 microgrammi al metro cubo e, da questo punto di vista, la situazione appare leggermente migliore, in quanto troviamo solo Cremona (27), Milano e Monza (26) oltre il limite annuale.
Per quanto riguarda l’ozono, invece, i dati sono molto più gravi. Ben una città su tre ha superato il valore soglia e nel 2014, i limiti sono stati superati in 28 capoluoghi di provincia, con Rimini e Genova in testa.
Lo scorso dicembre il Ministero della Salute ha diramato una mappa che riporta le 44 aree d’Italia inquinate oltre ogni limite di legge. Si tratta di aree in cui il rischio di ammalarsi di tumori è più elevato rispetto alle altre e dove, appunto, si calcola che i tumori siano aumentati del 90% in soli 10 anni.
LE PROPOSTE – Il rapporto “Mal’aria di città 2016” di Legambiente si conclude con alcune proposte per combattere e per lo meno tentare di limitare l’inquinamento.
Prima di tutto, incrementare il trasporto su ferro e limitare la circolazione dei veicoli alimentati a gasolio, costruire nuove piste ciclabili nelle aree urbane, estendere su tutto il territorio nazionale il modello dell’Area C di Milano e stabilire per legge che tutti i proventi della sosta vengano investiti per rendere più efficiente il trasporto pubblico locale.

martedì 3 ottobre 2017

Il Nobel per la Fisica alla scoperta delle onde gravitazionali.

Premiata con il Nobel la scoperta delle onde gravitazionali (fonte: NASA/Ames Research Center/C. Henze) © Ansa

A Thorne, Barish e Weissle, mezione a Ligo e Virgo., applausi e brindisi dei fisici italiani.

l Nobel per la Fisica 2017 è stato assegnato alla scoperta delle onde gravitazionali. Il Nobel è stato assegnato a Kip Thorne, Barry Barish e Rainer Weiss. Sono state menzionate le collaborazioni internazionali Ligo e Virgo.
Una metà del premio va a Rainer Weiss, mentre l'altra metà è stata assegnata congiuntamente a Barry C. Barish e Kip S. Thorne "per il contributo decisivo al rivelatore Ligo e all'osservazione delle onde gravitazionali". Per tutti e tre i premiati la Fondazione Nobel ha indicato come affiliazione le collaborazioni Ligo-Virgo.
I PREMIATI
Weiss (85 anni), è nato nel 1932 a Berlino. Ha preso il dottorato nel 1962 negli Stati Uniti, nel Massachusetts Institute of Technology (Mit), dove ha continuato a insegnare. 
Barish (81 anni) è nato nel 1936 negli Stati Uniti, a Omaha. Dopo il dottorato nell'Università della California a Berkeley, ha insegnato nel California Institute of Technology (Caltech). 
Thorne (77 anni) è nato negli Stati Uniti, a Logan. Ha studiato nell'università di Princeton e ha avuto la cattedra di fisica teorica nel California Institute of Technology (Caltech). E' diventato celebre per il grande pubblico dopo la sua consulenza scientifica per il film Interstellar.

Da sinistra Barish, Weiss, Thorne (fonte: Fondazione Nobel)
I COMMENTI
Emozione e commozione, un grande abbraccio all'Infn. Un grandissimo applauso e un brindisi ha accolto, nella sede dell'Infn a Roma, la notizia del Nobel per la Fisica 2017 alla scoperta delle onde gravitazionali, "Questa volta è stata premiata la globalità della scienza", ha detto il direttore dell'Osservatorio Gravitazionale Europeo (Ego), Federico Ferrini, dedicando il brindisi al papà del rivelatore Virgo, Adalberto Giazotto.
D'Amico (Inaf), apre nuovi orizzonti nello studio del cosmo. Un riconoscimento che apre nuovi orizzonti di indagine dell'Universo e i telescopi italiani sono già all'opera per catturare le prime fotografie delle sorgenti di onde gravitazionali. Così il presidente dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), Nichi D'Amico, commenta l'assegnazione del Premio Nobel 2017 per la Fisica alla scoperta delle onde gravitazionali. ''Un grande e meritato riconoscimento per la fisica moderna, che apre nuovi orizzonti di indagine dell'Universo'' ha detto D'Amico. I telescopi dell'Inaf ha aggiunto ''sono già all'opera per produrre le prime 'fotografie' delle sorgenti di onde gravitazionali, a tutte le lunghezze d'onda, da terra e dallo spazio''.
Ferrini, un grande successo per l'Europa e l'Italia. "E' una giornata storica, è meraviglioso": il direttore dell'Osservatorio Gravitazionale Europeo (Ego), Federico Ferrini, è entusiasta del Nobel alla scoperta delle onde gravitazionali. "E' stata un'attesa trepidante e piena di speranze, che alla fine non sono andate deluse", ha detto subito dopo il brindisi e gli abbracci con gli altri protagonisti italiani della collaborazione Virgo, riuniti a Roma. Il Nobel assegnato oggi "è un grandissimo successo per l'Europa: Virgo - ha aggiunto - è il risultato della collaborazione fra sei Paesi europei, che ha sviluppato una tecnologia in modo indipendente dal punto di vista tecnologico rispetto a quella del rivelatore americano Ligo, anche se in modo parallelo. Tanto - ha rilevato - da arrivare a suggerire a Ligo delle scelte tecnologiche e a prendere dati insieme".

CHE COSA SONO LIGO E VIRGO

Le due collaborazioni Ligo e Virgo menzionate nel premio Nobel per la Fisica 2017 sono il risultato corale di una ricerca che nasce dalla partecipazione di 1.500 fisici di tutto il mondo, almeno 200 dei quali sono italiani.
Da un'idea italiana, del fisico Adalberto Giazotto, è nato il rivelatore Virgo, costruito nella campagna alle porte di Pisa, a Cascina. Nato dall'idea lanciata a meta' degli anni '80 da Giazotto e Alain Brillet, Virgo fa parte dell'Osservatorio Gravitazionale Europeo (Ego), fondato nel 2000 dall'Italia, con l'Infn e dalla Francia, con il Consiglio nazionale della ricerca scientifica Cnrs.
La sensibilità del rivelatore è stata aumentata grazie alla nuova versione di Virgo (Advanced Virgo), che ha appena concluso la prima fase congiunta di osservazione con Ligo: i due rivelatori hanno lavorato insieme come un unico, potentissimo strumento. Le due antenne di Virgo si trovano negli Stati Uniti sono entrati in funzione nel 2004 negli Stati Uniti (ad Handford, nello Stato di Washington, e a Livingston, nella Louisiana).
Recentemente sono stati potenziati ed e' stata questa nuova versione, chiamata Advanced Ligo, ad ascoltare per la prima volta le vibrazioni dello spazio-tempo. Diretta da Gabriela Gonzales, la collaborazione Ligo (Laser InterferometerGravitational-WaveObservatory) e' condotta congiuntamente dal Massachusetts Institute of Technology (Mit) e dal California Institute of Technology (Caltech), insieme ad altri centri di ricerca e universita' degli Stati Uniti, e comprende oltre 900 ricercatori di tutto il mondo.


Rappresentazione grafica delle onde gravitazionali (fonte: MoocSummers)

CHE COSA SONO LE ONDE GRAVITAZIONALI 
Previste un secolo fa dalla teoria della relatività di Albert Einstein, le onde gravitazionali sono state scoperte da due grandi collaborazioni internazionali, l'americana Ligo e l'europea Virgo, alla quale l'Italia collabora con l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). Le onde gravitazionali sono le 'vibrazioni' dello spazio-tempo provocate dai fenomeni più violenti dell'universo, come collisioni di buchi neri, esplosioni di supernovae o il Big Bang che ha dato origine all'universo.



Rappresentazione grafica delle onde gravitazionali (fonte: MoocSummers)

Viste per la prima volta nel settembre 2015, la loro scoperta è stata annunciata l'11 febbraio 2016 e adesso è stata finalmente premiata da un Nobel molto atteso. Come le onde generate da un sasso che cade in uno stagno, le onde gravitazionali percorrono l'universo alla velocità della luce creando increspature dello spazio-tempo finora invisibili. Poiché interagiscono molto poco con la materia, le onde gravitazionali conservano la 'memoria' degli eventi che le hanno generate. 


Rappresentazione grafica delle onde gravitazionali (fonte: PD-USGOV-NASA)

La scoperta delle onde gravitazionali è stata anche la conferma definitiva della teoria della relatività generale. Erano infatti l'unico fenomeno previsto da questa teoria a non essere stato ancora osservato.


Rappresentazione grafica delle onde gravitazionali previste dalla teoria della relatività generale di Einstein (fonte: Henze, NASA)

mercoledì 27 settembre 2017

Archeologia.

Pila "eterna", il brevetto è italiano. - Alessandro Crea

Pila "eterna", il brevetto è italiano

Gianni Lisini, ricercatore dello Iuss-Eucentre, ha brevettato una speciale pila "eterna", green e attualmente in grado di durare tra i 15 e i 20 anni, ma che può essere ulteriormente migliorata.

Nel 1799 l'italiano Alessandro Volta riusciva per la prima volta a realizzare una pila elettrica, evolvendo gli studi di un altro compatriota, Luigi Galvani. Oggi, a 218 anni di distanza, è un altro italiano a "reinventarla", risolvendo uno dei principali problemi di questo dispositivo: la sua durata.

Gianni Lisini, ingegnere elettronico di Voghera e ricercatore presso lo Iuss-Eucentre di Pavia, ha infatti depositato qualche anno fa un brevetto su una speciale batteria che ha diversi vantaggi: anzitutto è green, non facendo uso di metalli pesanti, e poi è in grado di durare tra i 15 e i 20 anni, anche se secondo lo stesso Lisini, con determinati accorgimenti si può facilmente incrementarne ulteriormente la vita operativa.

Ma com'è riuscito Lisini a ottenere questi risultati? La batteria "è composta da un accumulatore chimico affiancato a un supercapacitore, un condensatore di recente costruzione che ha la caratteristica di poter accumulare fino a 5mila Farad" spiega lo stesso Lisini, "con il vantaggio di avere un numero elevatissimo di possibilità di cariche e scariche, milioni contro le poche centinaia delle comuni batterie chimiche". L'accumulatore chimico utilizza nanotubi in carbonio, ma in realtà il lavoro svolto dall'ingegnere riguarda più che altro il modo di mettere assieme questi due sistemi, che presi da soli non costituiscono una novità, al fine di "gestirli insieme e trarre vantaggi da entrambi".

Presentata durante il Jotto Fair di Pisa, la pila "eterna" è stata già realizzata in diversi prototipi e, a detta di Lisini, sarebbe già al vaglio di diverse aziende, di cui però ovviamente non svela il nome. Una batteria di questo tipo del resto, com'è facile capire, è assai appetibile, ad esempio, nel settore automotive, sia per alimentare i mezzi privati che quelli di trasporto pubblico. Inoltre, anche se il costo iniziale è maggiore rispetto a quello delle batterie attuali, può essere più facilmente ammortizzato nel tempo grazie alla maggior durata che limita gli interventi di manutenzione e al fatto che non richiede particolari procedure di smaltimento.

Ora non resta che attendere ulteriori sviluppi nella speranza di vederla in futuro, magari su un'auto elettrica.

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Gianni Lisini

Favorì il figlio dell’ex ministro Zecchino al concorso universitario, indagato il rettore del Suor Orsola.

Favorì il figlio dell’ex ministro Zecchino al concorso universitario, indagato il rettore del Suor Orsola

Lucio d’Alessandro dovrà rispondere di abuso di ufficio. Dovranno invece rispondere dell’accusa di falso Giovanni Coppola, Anna Giannetti e Alessandro Viscogliosi, membri della commissione chiamata a valutare i candidati.


E’ accusato di abuso di ufficio Lucio d’Alessandro, rettore dell’università Suor Orsola Benincasa. Secondo la Procura di Napoli, che ha gli ha inviato un avviso di chiusura delle indagini preliminari, avrebbe favorito un figlio dell’ex ministro Ortensio Zecchino nell’assegnazione di un posto di ricercatore alla facoltà di Lettere. Oltre al magnifico rettore, risultano indagati Giovanni Coppola, Anna Giannetti e Alessandro Viscogliosi, membri della commissione chiamata a valutare i candidati in lista per quel posto: per i tre docenti è ipotizzata anche l’accusa di falso. La notizia, ironia della sorte, si è diffusa mentre il professore d’Alessandro era ospite di Bruno Vespa a “Porta a Porta”, per commentare l’inchiesta della Procura di Firenze sullo scandalo relativo alla spartizione delle cattedre universitarie. D’Alessandro sarebbe il regista morale di una operazione finalizzata ad assicurare un posto di ricercatore al figlio dell’ex ministro della pubblica istruzione Ortensio Zecchino ma, va precisato, ne l’ex ministro né suo figlio Francesco sono indagati.

La vicenda risale al 2004.

Secondo la ricostruzione fatta dal pm Graziella Arlomede, che indaga con il coordinamento del procuratore aggiunto Alfonso D’Avino, 13 anni fa, quando d’Alessandro era prorettore, avrebbe formato una commissione specificatamente costituita per agevolare Francesco Zecchino, figlio di Ortensio, docente del Suor Orsola e pochi anni prima ministro dell’Università e della Ricerca scientifica. La commissione era composta da Coppola, Giannetti e Viscogliosi, ritenuti dalla Procura “molto vicini all’allora prorettore” e allo stesso  Zecchino. “Coppola – scrivono i pm - è fondatore e componente del consiglio direttivo del Cesn, Centro europeo di studi normanni di Ariano Irpino, istituto a cui partecipano il contro interessato Francesco Zecchino ed il padre di questi Ortensio, fondatore anch’egli e presidente del Consiglio di amministrazione dell’ente”. Comunque sia il posto di ricercatore andò al figlio del politico.

La notizia creò immediate polemiche.

Ci furono innumerevoli ricorsi e alla fine la questione finì sotto la lente della magistratura amministrativa con sentenze non favorevoli a Zecchino. La vicenda si è dunque conclusa? Niente affatto. Il rettore del Suor Orsola non cambiò orientamento e Francesco Zecchino è tuttora ricercatore al corso di laurea in Conservazione e restauro dei Beni culturali, facoltà di Lettere. Gli anni passano, e si arriva così al 2008. Uno dei candidati presenta un nuovo ricorso, che stabilisce la necessità di procedere a una nuova valutazione dei titoli dei candidati ma “da parte di una diversa commissione”. Ed è proprio su questa fase che si concentrano le attenzioni della magistratura.

D’Alessandro è il regista morale.

D’Alessandro, evidenziano dalla Procura, avrebbe a questo punto assunto il ruolo di “regista”, individuando lui stesso “il commissario di nomina interna nel professor Coppola”. La nuova commissione avrebbe “reiterato la svalutazione dei titoli” degli aspiranti docenti confermando ancora una volta Zecchino come vincitore. Fin qui la ricostruzione della Procura che ha formalmente chiuso l’inchiesta passando la parola alla difesa che avrà 20 giorni di tempo per chiedere interrogatori, depositare memorie o proporre supplementi investigativi.

Il rettore: "Sono sereno, confido nella magistratura".

Il professore d’Alessandro, difeso dall’avvocato Vittorio Manes, non intende entrare nello specifico ma si limita a dire che si tratta di “una vicenda molto vecchia e risalente nel tempo, sulla quale mi sento davvero sereno. Quando sono stato eletto rettore, il professor Zecchino era ricercatore già da anni. Ho trovato situazione pienamente in essere che non avevo motivo di ritenere illegittima. E comunque, i miei atti sono stati sempre improntati alla massima correttezza e trasparenza”.