giovedì 27 giugno 2019

‘Ndrangheta in Emilia, il caporalato del clan: operai inviati a Bruxelles. “Paghe da fame e un terzo dei soldi finiva ai boss” - Paolo Bonacini

‘Ndrangheta in Emilia, il caporalato del clan: operai inviati a Bruxelles. “Paghe da fame e un terzo dei soldi finiva ai boss”

L'ultima inchiesta contro i Grande Aracri ricostruisce le vicende legate all’intermediazione di manodopera. Sono la fotocopia di quanto emerso in Aemilia sulle attività di ricostruzione post terremoto nel 2012. Per i cantieri del Belgio, dove operavano società di costruzione albanesi, partivano decine di lavoratori disoccupati e bisognosi, reclutati in Emilia Romagna nel 2017 e formalmente assunti da una impresa di Firenze che in realtà era solo un paravento.

L’inchiesta Grimilde è come una dependance di Aemilia, il maxi processo alla ndrangheta in Nord Italia. Una succursale che aveva sede a Brescello, chiusa dagli arresti ottenuti dalla pm di Bologna, Beatrice Ronchi. Settantasei gli indagati (13 nella sola Brescello), 16 custodie cautelari, 13 persone accusate di 416 bis, appartenenza ad associazione criminale di stampo mafioso. Una famiglia sotto accusa, quella di Francesco Grande Aracri, della moglie Santina Pucci, dei figli Paolo, Rosita e Salvatore, detto Calamaro e vero reggente delle attività esterne dopo che la nomea del padre era stata compromessa dalla condanna in Edilpiovra. L’uomo che già secondo Aemilia era il vero proprietario dei due locali più “in” di Reggio Emilia, qualche tempo fa, sul fronte discoteche giovanili: il Los Angeles a Quattro Castella e l’Italghisa in città. Anche Carmelina, moglie di Salvatore e con lui residente a Brescello, è indagata, e assieme a lei altri quattro membri della famiglia Passafaro che abita a Viadana.
Erano loro, con illustri compagni di avventura, a mandare avanti le attività di ‘ndrangheta dalla dependance di Brescello dopo il gennaio 2015, con il consueto corredo di intestazioni fittizie, minacce e intimidazioni, falsi e truffe, estorsioni e recupero crediti, furti e sfruttamento dei lavoratori. Carpentieri e muratori in particolare, reclutati dal capofamiglia Francesco Grande Aracri che insegnava al figlio Salvatore come si utilizza al meglio il caporalato e andava personalmente a Bruxelles per gestire le attività che varcavano i confini nazionali.
Le vicende legate all’intermediazione di manodopera sono la fotocopia di quanto emerso in Aemilia sulle attività di ricostruzione post terremoto nel 2012. Per i canteri del Belgio, dove operavano società di costruzione albanesi, partivano decine di lavoratori disoccupati e bisognosi, reclutati in Emilia Romagna nel 2017 e formalmente assunti da una impresa di Firenze che in realtà era solo un paravento. I collegamenti con il Belgio erano garantiti da Mario Timpano, indagato residente a Dilbeek nel paese del nord, mentre ad attendere la manovalanza a Bruxelles e a smistarla nei cantieri era Davide Gaspari, nato in Germania e residente a Viadana di Mantova, finito ora agli arresti domiciliari.
Un terzo del compenso per il lavoro prestato finiva nelle tasche della ‘ndrangheta, mentre i carpentieri e i muratori ottenevano pagamenti da fame. Un caso per tutti: l’operaio Francesco Sciano che ha lavorato per 100 ore ricevendo 675 euro in contanti (6,75 euro l’ora) senza busta paga, senza indennità, senza contributi, pagandosi da solo il vitto nelle settimane dal 25 marzo al 13 aprile 2017. Peggio degli emigranti italiani nelle miniere del Belgio settant’anni fa. 
L’insieme dei reati di Grimilde è stato commesso tra il 2004 e il 2018, con particolare intensità d’azione negli ultimi quattro anni, quando gli uomini liberi della cosca coprivano anche i vuoti lasciato da quelli in galera. Quando in molti a Reggio Emilia si illudevano che tutto fosse finito. Il caso più eclatante è quello riguardante Giuseppe Caruso, dipendente dell’Ufficio delle Dogane di Piacenza, accusato del 416 bis assieme al fratello Albino e capace (a proprio dire) di muovere mari e monti per gli interessi della cosca. Giuseppe Caruso è anche presidente del Consiglio comunale di Piacenza, in quota a Fratelli d’Italia: Giorgia Meloni ne ha annunciato ieri l’espulsione dal partito del presidente arrestato.
Anche l’ex presidente del Consiglio Comunale di Parma Giovanni Paolo Bernini (Forza Italia) fu accusato in Aemilia di concorso esterno all’associazione mafiosa, ma il reato venne riqualificato ed estinto per avvenuta prescrizione. Anche il capogruppo di Forza Italia in Consiglio Comunale a Reggio Emilia, Giuseppe Pagliani, è ancora sotto processo in Aemilia, dopo l’assoluzione di primo grado, la condanna in appello e la decisione della Cassazione di rinviarlo ad un nuovo appello. E infine l’11 luglio prossimo, tra pochi giorni, il Gup di Bologna si pronuncerà sulla richiesta di rinvio a giudizio presentata dalla procura nei confronti di 11 persone, tra cui funzionari pubblici dello Stato, accusati di violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario, con l’aggravante del metodo mafioso, in concorso con l’allora senatore Pdl Carlo Giovanardi, ex componente della commissione parlamentare antimafia. Il tutto all’indomani del terremoto, per ottenere la riammissione nella white list della Bianchini Costruzioni srl. La stimata impresa che – per l’accusa – utilizzava manodopera fornita dalla ‘ndrangheta.
Un’altra società che casca nelle mani dei Grande Aracri di Brescello, con un ruolo in questo caso giocato anche dal capo dei capi Nicolino, è la azienda Vigna Dogarina srl di Treviso, alla quale i Grande Aracri portano via tonnellate di vino per centinaia di migliaia di euro che non verranno mai pagati, mostrando credenziali false di false o vere società. In un caso presentano alla Dogarina una fideiussione per tre milioni di euro apparentemente emesso dalla Banca Barclays nel 2013 e si portano via un milione di bottiglie di prosecco. Peccato che la fideiussione fosse falsa.

mercoledì 26 giugno 2019

Siri, l’intercettazione di Arata: “Ci lavora un secondo per guadagnare 30mila euro. Armando è un carissimo amico”.

Siri, l’intercettazione di Arata: “Ci lavora un secondo per guadagnare 30mila euro. Armando è un carissimo amico”

L'ex sottosegretario è indagato da parte della procura di Roma perché si sarebbe fatto corrompere dallo stesso ex deputato di Forza Italia. "Guarda che l' emendamento passa", diceva Arata il 10 settembre dell' anno scorso, mentre il suo telefonino - trasformato in trojan dalla Dia di Trapani - registrava ogni parola. Il riferimento era per una norma al decreto "rinnovabili" che avrebbe portato milioni di finanziamenti al mini eolico.

Siri ci lavora un secondo per guadagnare trentamila euro“. Parola di Francesco Arata, l’ex deputato di Forza Italia, ora detenuto nel carcere di Regina Coeli. Accusato di essere in affari con Vito Nicastri, il re dell’eolico considerato un finanziatore della latitanza di Matteo Messina Denaro, Arata è l’uomo che fa finire nei guai l’ex sottosegretario della Lega. Siri è indagato da parte della procura di Roma perché si sarebbe fatto corrompere da Arata con una mazzetta da trentamila euro. “Guarda che l’ emendamento passa“, dice Arata il 10 settembre dell’ anno scorso, mentre il suo telefonino – trasformato in trojan dalla Dia di Trapani – registrava ogni parola. Il riferimento era per una norma al decreto “rinnovabili” che avrebbe portato milioni di finanziamenti al mini eolico. “L’emendamento è importante. Sono milioni per noi l’emendamento, che cazzo”, dice Arata. Quell’emendamento non passerà mai”.
L’intercettazione, riportata da Repubblica, è agli atti dell’ ordinanza che il 12 giugno ha portato in carcere Arata e i Nicastri. Ma non si tratta dell’intercettazione integrale: i dialoghi, infatti, sono ancora coperti da parecchi omissis e oggetto di valutazione da parte della procura di Roma. È l’allegato I–44 del rapporto Dia di Trapani con numero di protocollo 2567 del 26 aprile del 2019. Secondo il giornalista Salvo Palazzolo, dietro quell’omissis, è celata anche la frase di Arata, riferita a Siri, “Io gli do 30 mila euro“. È a causa di quel dialogo che il procuratore aggiunto Paolo Guido ha inviato ai colleghi della Capitale la parte dell’inchiesta che riguarda Siri. I riferimenti di quell’intercettazione sono importanti, visto che in fase d’indagini, il quotidiano La Verità aveva ipotizzato l’inesistenza di quel dialogo. 
L’inchiesta per corruzione, però, aveva portato alla revoca delle deleghe di sottosegretario per Siri. “Siri è un carissimo amico, ma proprio caro“, diceva sempre Arata. “Armando – continuava – è uno che ama la Sicilia”. Sempre l’ex deputato di Forza Italia raccontava quando Siri gli aveva fatto un altro favore: “Il biometano l’ho fatto inserire anche nel programma tra Lega e Cinque Stelle, proprio da Armando Siri”. In quel periodo Arata stava lavorando proprio per creare un impianto di biometano in provincia di Trapani: “A Gallitello, la cosa si è fermata perché i Cinque Stelle ci contestano. Non ci possono contestare, perché io l’ ho fatto inserire, li ho fottuti, l’ho fatto inserire nell’ accordo di governo”. Anche ai vertici della Regione siciliana Arata vantava entrature di primissimo livello, come ha raccontato il dirigente Salvatore D’Urso: “Arata si presentava come ex deputato nazionale e referente nazionale per il centrodestra delle problematiche energetiche. Mi parlava dei suoi rapporti con esponenti di vertice della Lega, come Siri e Giorgetti, con i quali sosteneva di essere in familiarità al punto che qualche giorno dopo sarebbero stati ospiti a casa sua”. 
Leggi anche:

Città dello Sport Tor Vergata.

Come doveva essere.



La Città dello sport è una struttura architettonica progettata come complesso sportivo polifunzionale dall'architetto spagnolo, Santiago Calatrava, nell'area dell'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata". Del progetto è stata realizzata la struttura di uno stadio del nuoto con l'intelaiatura della copertura che costituisce una caratteristica "vela a pinna di squalo" visibile da grande distanza e la struttura di base dell'altro palazzetto per il basket e la pallavolo.
Climater è incaricata dell'installazione dei canali e delle tubazioni all’interno degli archi strutturali e della realizzazione del sistema di condizionamento.

Com'è.

Immagine correlata



CIO' CHE RIMANE DA EXPO MILANO.

Le Linguiadi - Marco Travaglio

L'immagine può contenere: 3 persone, persone che sorridono, cappello

Ma le avete viste le facce dei cosiddetti vincitori delle Olimpiadi nella foto di gruppo? E le fauci già spalancate dei Malagò, Montezemolo, Carraro, Pescante e Sala? Fauci già sperimentate sugli stadi di Italia 90 (spese lievitate dell’85%, ultima rata dicembre 2015), le Olimpiadi invernali di Torino 2006 (3,1 miliardi di debito, il 225% delle entrate, cattedrali nel deserto e trampolini nella neve), i Mondiali di nuoto 2009 (700 milioni di euro per il palazzo di Calatrava con le vele a pinna a Tor Vergata, mai finito; piscine sequestrate e/o di dimensioni sballate; scheletri in cemento armato abbandonati ai tossici e alle sterpaglie), l’Expo di Milano 2015 (retate di tangentisti e ’ndranghetisti, 1,5 miliardi di buco, mega-aree abbandonate). Magari ci sbagliamo e gli stessi personaggi, che hanno sempre fallito, al seguito di Giorgetti e Zaia si trasformeranno in tanti Quintino Sella e faranno tutto per bene, per tempo e al risparmio. Ma, nell’attesa, solo un pazzo smemorato può unirsi all’esultanza di lorsignori per avere “vinto” un evento che negli ultimi 50 anni – dati dell’Università di Oxford – ha regolarmente sforato i preventivi per una media del 257% (796% Montréal, 417 per Barcellona, 321 Lake Placid, 287 Londra, 277 Lillehammer, 201 Grenoble, 173 Sarajevo, 147 Atlanta, 135 Albertville, 90 Sydney, 82 Torino, 51 Rio). Lasciando ai Paesi e alle città ospitanti un conto salatissimo da pagare, che ha portato al default Atene e Rio, al debito-record Torino e le altre all’aumento vertiginoso delle imposte locali. Anche al netto delle eventuali tangenti. Infatti le città più avvedute – Sion, Calgary, Innsbruck e Graz – si sono ritirate, terrorizzate da quella che Oxford chiama la “maledizione del vincitore” (le Olimpiadi le vince chi le perde e le perde chi le vince: l’unico che ci guadagna è il Cio).
Il Giornale Unico degli Affari suona le grancasse e le trombette a reti ed edicole unificate, come se l’Italia avesse vinto la guerra mondiale e non un “evento” che dura 15 giorni. Ma è tutta propaganda per pompare Lega&Pd che si sono spartiti queste strane Olimpiadi invernali in una città senza montagne, Milano, e in un’altra che rischia di tracollare sotto il peso dei visitatori, Cortina, distante 409 km. L’alternativa era Torino che, oltre al dettaglio delle Alpi, aveva il pregio di costare poco grazie alle strutture del 2006. Ma tutti raccontano la fake news della sindaca M5S Chiara Appendino che avrebbe detto “no”. Balle: si era candidata, ma era stata respinta dal duo Giorgetti-Malagò che voleva relegare Torino al rango di ruota di scorta di Milano-Cortina, con un paio di gare secondarie tutte da ridere.
Non contenti, i trombettieri tirano in ballo pure Virginia Raggi per il no alle Olimpiadi 2024, che non c’entrano nulla con quelle invernali (costano il quintuplo). Senza contare che Milano, Cortina, Lombardia e Veneto sono ricchi, mentre Roma ha un buco di 13 miliardi dal 2008. Infatti nessuno lo ricorda, ma Roma ha rinunciato pure ai Giochi del 2020. E per mano di Mario Monti, non proprio un grillino nemico del Pil. Il 13 febbraio 2012 Monti revocò la candidatura lanciata dal duo B.-Alemanno perché “non sarebbe responsabile prendere un impegno finanziario che potrebbe gravare in misura imprevedibile sull’Italia per i prossimi anni”. Anziché vomitargli addosso anatemi e improperi, come accadde quattro anni dopo alla Raggi, e inneggiare alle Olimpiadi che portano sviluppo, lavoro e letizia, come fanno oggi, tutti beatificarono Monti come il nuovo Cavour. Applausi scroscianti dal Pd (Rosato, Bonaccini, Melandri, Bersani, Gentiloni, Sassoli e Letta) e dai giornaloni al seguito.
Oggi Repubblica titola “Miracolo a Milano (e a Cortina)”. Ma il 14.2.2012 plaudiva al ritiro della candidatura olimpica addirittura in tre articoli. Francesco Bei flautava: “Le ‘cricche’ d’affari romane, lo spettro del default greco, la vaghezza del piano, il rischio di una guerra diplomatica al termine dalla quale, alla fine, l’Italia sarebbe finita distrutta come un vaso di coccio. Sono molte le ragioni che hanno spinto Monti a pronunciare il suo no”. 
Gli faceva eco Tito Boeri: “La tragedia greca era iniziata proprio lì, con la candidatura ad ospitare le Olimpiadi. I sovracosti incorsi nella preparazione di Atene 2004 hanno contribuito a quella spirale di deficit pubblici crescenti, mascherati in vario modo per non pregiudicare l’ingresso nell’unione monetaria, che hanno portato alla crisi del debito”. Seguiva un’impietosa analisi finanziaria di Walter Galbiati: “Non esiste una formula matematica certa che possa valutare il ritorno economico che giustifichi lo spendere 5, 10 o 15 miliardi per realizzare i Giochi. Il ritorno di immagine e gli introiti aggiuntivi, che si trasformano in Pil, sono frutto di stime difficilmente ponderabili. I costi invece sono certi”.
Oggi il Corriere esalta “La vittoria di Milano e Cortina”, “immagine di un Paese giovane che sa sorridere” (le fauci della Banda dei Quattro). Sette anni fa tripudiava per lo scampato pericolo: “Tra il 2014 e il 2018 lo Stato avrebbe dovuto trovare una copertura di 800 milioni l’anno. Con buona pace di chi aveva parlato di Olimpiadi a costo zero”. E Sergio Rizzo irrideva ai “musi lunghi delle nostre alte gerarchie sportive” (i soliti Malagò, Montezemolo, Carraro e Pescante): “Si è arrivati a sostenere che sarebbe stata un’operazione ‘a costo zero’ con le spese coperte da introiti fiscali e incassi dei biglietti. Spese astronomiche già in partenza. Otto miliardi? Dieci? Quanti davvero? Il partito dei Giochi avrebbe dovuto ricordare che da troppi anni sbagliamo, e per difetto, ogni preventivo. Di soldi e di tempi”. E giù botte alle solite cricche: “Un impasto mostruoso di burocrazia, interessi politici e lobbistici che spesso alimenta la corruzione e ci fa pagare un chilometro di strada il triplo che nel resto d’Europa. E in due decenni non è cambiato proprio nulla. Anzi. Per rifare gli stadi di Italia 90 abbiamo speso l’equivalente di un miliardo e 160 milioni di euro, l’84% più di quanto era previsto? Nel 2009 ci siamo superati, arrivando ai Mondiali di nuoto senza le piscine, ma con una bella dose di inchieste”. Quattro anni dopo, Rizzo passò a Repubblica e massacrò la Raggi per aver ribadito il no montiano per il 2024. E ora magnifica “l’occasione per Milano per fare un altro salto nella graduatoria delle metropoli europee. E scavare ancora più in profondità l’abisso che già la separa dalla capitale”. Tutto fa brodo.
La Stampa è tutto un peana all’ “Italia che vince”, a “Mr Wolf Giorgetti missione compiuta”, mentre lacrima per “Torino beffata” e l’Appendino che “non si pente”. Quando invece era Monti a ritirarsi dai Giochi, elogiava “la coerenza di un no responsabile”, in sintonia con “le attese dei cittadini”. E persino il Sole 24 Ore, organo di Confindustria, oggi entusiasta perché “vince lo sprint dell’Italia”, nel 2012 definiva “l’avventura delle Olimpiadi un rischio il cui costo avrebbe creato un effetto sui conti pubblici difficilmente calcolabile”. Un po’ come Salvini, che quando Renzi candidò Roma per il 2026 twittava furibondo: “Gente che in tutta Italia aspetta una casa e un lavoro da anni. E Renzi pensa di fare le Olimpiadi. Ricoverateloooo”. E nel 2016 ribadiva: “Renzi propone le Olimpiadi a Roma nel 2024. Per me è una follia, sarebbe l’Olimpiade dello Spreco. Il fenomeno di Firenze pensi alle migliaia di società sportive dilettantistiche italiane, che fanno fare sport a tantissimi bambini e che rischiano di chiudere per colpa dello Stato, invece di fantasticare su improbabili Olimpiadi. Senza contare tutti i debiti e gli sprechi del passato e del presente. Tirino fuori i soldi per sistemare strade, scuole e ospedali”. Oggi lapida la Raggi per aver salvato Roma dal default, seguendo saggiamente i suoi consigli. E racconta la balla dell’Appendino contraria alle Olimpiadi, all’unisono con politici e giornaloni. I quali dimenticano un dettaglio: esclusa dai Giochi, la Appendino s’è rimboccata le maniche e ha battuto 40 città concorrenti (pure Londra e Tokyo) aggiudicando a Torino un evento sportivo molto meno costoso per lo Stato (78 milioni contro il mezzo miliardo, se basta, dei Giochi invernali) e più vantaggioso: le finali Atp di tennis, che portano alla città ospitante centinaia di migliaia di turisti e centinaia di milioni di introiti. E non durano 15 giorni, ma 5 anni. Però nessuno lo dice. C’è poco da rubare.

martedì 25 giugno 2019

Evasione fiscale, Ubs paga al Fisco 111 milioni. Scoperto manuale anti-Gdf. - Angelo Mincuzzi

Ubs, la banca svizzera verserà all’Italia 111,5 milioni di euro: “Evasione fiscale”

Ubs, la principale banca svizzera, verserà all’agenzia delle Entrate 111,5 milioni di euro per chiudere un contenzioso fiscale con risvolti penali.

C'era anche un manuale segreto che illustrava ai gestori patrimoniali di Ubs le precauzioni da adottare quando, senza esserne autorizzati, venivano in Italia per incontrare i clienti che investivano il proprio denaro nel colosso bancario svizzero. Slide e istruzioni simili a quelle ritrovate nel 2014 dagli uomini della Guardia di Finanza nella sede milanese del Credit Suisse durante un'inchiesta che aveva portato alla scoperta di un'evasione fiscale da 14 miliardi di euro e che si era chiusa con il pagamento di oltre 100 milioni al Fisco italiano. Ora quel copione si ripete per Ubs, la principale banca svizzera, che verserà all'Agenzia delle Entrate 111,5 milioni di euro per chiudere un contenzioso fiscale con risvolti penali. L’accordo è stato firmato la scorsa settimana nella sede della direzione provinciale di Milano dell’Agenzia. Il fronte penale, con un probabile patteggiamento, non si è invece ancora concluso.
Grazie all'attività svolta proprio dall'Agenzia delle Entrate sono, infatti, 220 le banche estere sulle quali la procura di Milano ha acceso un riflettore e sta, da tempo, indagando con un pool di magistrati apposito guidato dal procuratore Francesco Greco. Si tratta di istituti finanziari non solo svizzeri ma anche domiciliati in altri paradisi fiscali come Lussemburgo, Liechtenstein, Principato di Monaco, Isole Vergini Britanniche, Bahamas, San Marino, Panama, Dubai e molti altri.
Per mesi sono stati passati al setaccio i movimenti e le telefonate che I gestori patrimoniali di Ubs e delle altre banche si sono scambiati tra loro e con I clienti. I colloqui telefonici con i relativi metadati (posizione, celle agganciate, durata, giorno e ora) sono stati monitorati e classificati da un pool di agenti della Guardia di Finanza e di Vigili urbani di Milano in servizio presso la polizia giudiziaria della procura di Milano. Una quantità di dati e di informazioni impressionante.
Poiché tutti i redditi di capitale percepiti da soggetti non residenti sono assoggettati alla ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, le banche estere sono tenute a trattenere l'imposta sulle commissioni percepite sui mutui o sulla gestione patrimoniale e a girarla al Fisco italiano. Ma questo, per anni, non è stato fatto. Ed è su questo che gli uomini dell'Agenzia delle Entrate hanno lavorato in collaborazione con la Procura di Milano sfruttando l'enorme mole di dati finanziari ricavati dalla voluntary disclosure.

Iva, abbassare le aliquote non frena l’evasione. Almeno in Romania. - Riccardo Saporiti


Torna Fiume di denaro, l’inchiesta di Angelo Mincuzzi e Roberto Galullo sui paradisi fiscali. In quest’occasione l’attenzione si concentra sulla Romania, da vent’anni terra di delocalizzazione per molte imprese italiane. Infodata accompagna l’uscita di questa nuova puntata con un focus sull’evasione dell’Iva in questo Paese.
Sul grafico sono rappresentate, come percentuali, l’Iva incassata (in verde) e quella evasa (in rosso). Il dato arriva da un rapporto della direzione generale per la Fiscalità e l’unione doganale della Commissione Europea. Come si può osservare dal grafico, in buona sostanza il fisco rumeno riesce ad incassare solo due euro su tre di quelli che gli sarebbero dovuti.
Il risultato migliore, con un’evasione “ferma” al 34,47%, è il 2015, che è anche l’anno migliore per l’economia rumena. Nel senso che la previsione di incasso dell’Iva era pari ad oltre 87 miliardi di Leu, la cifra più alta nel periodo preso in considerazione.
Da notare che nel 2016 il governo di Bucarest ha introdotto una riforma fiscale che ha abbassato l’aliquota ordinaria dal 24 al 20%, con l’aliquota reale che è scesa dal 17,2 al 13,5%. Una decisione che però non è servita a ridurre l’evasione fiscale, che anzi è aumentata di un punto e mezzo rispetto all’anno precedente. Il risultato più significativo è rappresentato da una riduzione delle entrate fiscali legate all’Iva, scesi da 57 a 49 milioni di Leu. Cifra identica a quella incassata dal fisco rumeno nel 2012, quando però l’evasione dell’imposta sul valore aggiunto aveva sfiorato il 39%. In Romania, dunque, l’abbassamento delle aliquote non è servito a porre un freno agli evasori fiscali.