mercoledì 14 agosto 2019

I traditori. - Tommaso Merlo


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Salvini ha tradito il cambiamento, prima di tutto. Il vecchio regime Salvini non lo vuole riformare, lo vuole comandare. L’’unico cambiamento che gli interessa è quello della sua poltrona, vuole quella da Presidente del Consiglio. Vuole scarrozzare il suo bulimico ego in giro per il mondo a spese del contribuente imbrattando la reputazione dell’Italia come da migliore tradizione e vuole servire il suo idolo Putin nello sfasciare l’Europa. Un vero traditore. Salvini ha firmato un contratto con l’unica forza davvero riformatrice e quando ha capito che il Movimento stava facendo sul serio arrivando a toccare i punti nevralgici del vecchio regime come la giustizia e i conflitti d’interesse, ha guardato i sondaggi e braccato dagli scandali ha fatto saltar tutto. Altro che cambiamento. Salvini ha firmato il contratto col Movimento solo per rifarsi una verginità, per strappare la poltrona da Ministro dell’Interno e con essa sfruttare l’isterismo di massa sull’immigrazione per incamerare consensi. Ottenuto lo scopo, è passato a puntare alla poltrona successiva, quella da capo del governo. Dei cittadini, delle riforme, del bene comune, ai politicanti del vecchio regime come Salvini non è mai fottuto nulla e mai gli fotterà. L’unica cosa che hanno in testa è se stessi, è la politica intesa come conquista del potere, come modo per sfogare le proprie manie di grandezza ed imporre le proprie malsane visioni. L’unica differenza tra Salvini e i politicanti del passato è la pericolosità. Salvini ed i suoi sono stati presi col sorcio in bocco a farsela coi russi e dietro ai falsi sorrisini da selfie, hanno idee autoritarie e liberticide. S’ispirano al regime sovietico e ai loro alleati europei di ultradestra sui diritti civili, la famiglia e la società. Una deriva pericolosissima. L’idea che Salvini conquistasse il potere da solo ha fatto tremare l’Italia come cent’anni fa. Ed è per rassicurare gli animi che oggi Salvini blatera di centrodestra ed ammicca a Berlusconi. Un governo ultraconservatore guidato dal solo traditore Salvini non reggerebbe al putiferio che si scatenerebbe nelle strade ed avrebbe imprevedibili conseguenze anche all’estero e sui mercati. Salvini spera così di portare a compimento la sua ascesa al potere camuffando l’operazione nel vecchio schema del centrodestra. E così, con la sfacciataggine che lo caratterizza, Salvini torna dal traditore principe del popolo italiano, quel Berlusconi che pur di non finire in galera e salvare le sue aziende ha tradito per decenni gli italiani raccontando fregnacce. Oltre a fungere da rassicurante gonfalone, il malconcio ex cavaliere ha poi qualcosa che serve a Salvini, soldi e televisioni e frotte di giornalai pronti a perorare la sua causa. A conferma di come la Lega non sia altro che una pennellata di verde sul vecchio e marcio regime italiano. C’è solo un terzo incomodo che potrebbe far saltar tutto. Il popolo italiano che si ritrova davanti all’ennesima prova di maturità. Vedremo quanti cittadini che hanno abboccato a Salvini come paladino del cambiamento lo manderanno a quel paese. Vedremo quanti cittadini che hanno creduto al cambiamento si arrenderanno a questo mesto ritorno al passato. Vedremo quanti cittadini capiranno la gravità della situazione e torneranno a seguire la politica e ad occuparsi del proprio paese che sta rischiando di finire nella mani dell’ennesimo traditore e per giunta pericoloso.

https://infosannio.wordpress.com/2019/08/13/i-traditori/?fbclid=IwAR1e6AUcZIWt2D8d04sucGulOxGEHEDKrCWHNFWIAWBUVWdn9tquSazA5kM

La crisi si allunga. Per Salvini si mette male. Il Capitano scopre che il Senato non è il Papeete Beach. - Clemente Pistilli

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Aprire una crisi di governo non è come farsi un selfie o lanciare due slogan in una diretta Facebook. Un concetto che non sembra molto chiaro a Matteo Salvini, che ieri ha incassato così la prima sconfitta. Il suo progetto di sfiduciare subito il premier Giuseppe Conte e andare altrettanto in fretta a nuove elezioni ha infatti subito una battuta d’arresto appena iniziato il primo dibattito in Parlamento, con la conferenza dei capigruppo del Senato che non ha trovato l’accordo sul calendario per avviare la discussione in Aula. A decidere saranno così direttamente i senatori, convocati per oggi pomeriggio.
LO STOP. L’obiettivo ieri dei capigruppo della Lega, di Fratelli d’Italia e di Forza Italia a Palazzo Madama era quello di far intervenire Conte al Senato il 14 agosto e sfiduciarlo. Tutti gli altri, dal Movimento 5 Stelle al Pd, hanno puntato invece sul 20 agosto come data in cui far intervenire il presidente del consiglio. La presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, che sembra in questi giorni particolarmente attenta a non scontentare la Lega, ha a quel punto deciso di far fissare il calendario direttamente all’Aula, come previsto dal regolamento. Un’iniziativa che ha fatto infuriare soprattutto Pd e Leu. “Una forzatura gravissima. I diktat della Lega non possono cambiare i numeri in Parlamento e l’aula lo dimostrerà”, ha dichiarato il renziano Andrea Marcucci. Oggi, alle 18, decideranno quindi i senatori e sembra quasi scontato che tutto slitti al 20 agosto e che la posizione leghista sia destinata a risultare minoritaria, potendo contare M5S, Partito democratico e gruppo misto su una maggioranza di 173 senatori.
LO SCENARIO. Per Salvini inizia a tirare una brutta aria e la fiducia che ieri sera si è affrettato a dire di avere nelle scelte del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sembra più che altro un auspicio del Capitano. Anziché vedere Conte in aula costretto a incassare la sfiducia, il leader della Lega che sperava di scrollarsi in fretta di dosso il Movimento 5 Stelle rischia infatti di dover assistere alla lettura di una dura informativa da parte del premier, che a quel punto, senza essere sfiduciato, potrebbe uscire da Palazzo Madama, recarsi al Quirinale, rimettere il mandato e ricevere però dal Capo dello Stato un nuovo mandato esplorativo per sondare le possibilità di mettere in piedi una maggioranza alternativa a quella giallo-verde. Con una simile prospettiva Salvini potrebbe finire logorato e non ci sarebbe beach-tour in grado di risollevarlo.
LA RESISTENZA. A mostrare come il Capitano non sia poi più tanto sicuro della crisi da lui aperta è inoltre il particolare che non ha ancora ritirato i suoi ministri, come gli ha chiesto ieri di fare il vicepremier Luigi Di Maio. Tutti asserragliati nei dicasteri. A partire da lui che, viste anche le pesanti inchieste in corso, sembra deciso a tenersi stretto fino all’ultimo il Viminale. La strada è dunque lunga e tortuosa e nessuno sinora sembra avere la vittoria in tasca, neppure Salvini che dopo il Papeete voleva far ballare con i ritmi da lui imposti tutto il Paese incurante del Parlamento. Un particolare evidente nelle stesse parole del capogruppo leghista Massimiliano Romeo: “Sembriamo non avere i numeri”.

http://www.lanotiziagiornale.it/la-crisi-si-allunga-per-salvini-si-mette-male-il-capitano-scopre-che-il-senato-non-e-il-papeete-beach/

Salvini capitano? No, cocker al guinzaglio. - Andrea Scanzi

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Quando è in difficoltà, cioè spesso, Salvini tira sempre in ballo Renzi. Lo fa perché, nell’elettore, scatti un parallelismo tutto a suo vantaggio: non tanto perché lui sia un fenomeno, quanto perché uno peggiore di Renzi non riusciremmo neanche a inventarlo. Il fatto stesso che, al minimo storico della sua popolarità, la Diversamente Lince di Rignano stia pensando di varare un partito personalistico rubando il nome a Ingroia (eh?), la dice lunga sulla sua inenarrabile mestizia.
Si dà però il caso che Salvini, oltre a essere il politico più vecchio di questa farlocca Terza Repubblica, sia anche un gran “sopravvalutatore” di se stesso. Nonché un impenitente mentitore. Tutte cose che lo accomunano proprio al Matteo debole del Pd. Salvini somiglia a Renzi anche nella capacità prodigiosa di aumentar d’adipe. Il Cazzaro Verde è fiero collezionista di tripli menti e maniglie dell’amore come quell’altro Matteo: per inquadrarlo ormai tocca usare il grandangolo della Nasa.
Si diceva però delle bugie. Mi è capitato di incrociarlo in tivù. Non scappa dal confronto e gliene rendo merito (ma vedrete che diventerà come Renzi pure in questo). Nel 2014, a Otto e mezzo, gli rinfacciai le assenze nel Parlamento Europeo (mi minacciò di querela) e gli dissi che senza Berlusconi non sapeva neanche andare in bagno: rispose, piccato, che il suo centrodestra del futuro lo avrebbe visto autonomo e dunque senza liquami estetico-morali derivanti da Forza Italia. È stato di parola. Nel dicembre scorso, quando quella fetecchia del Salvimaio sembrava poter reggere, venne ad Accordi & disaccordi. Gli chiesi come resistesse alla tentazione di far saltare tutto per monetizzare il consenso dei sondaggi. Lui: “Io sono un uomo di parola, non stacco la spina al governo. Ho tanti difetti, ma se comincio una cosa, io quella cosa la faccio, costi quello che costi. Io i sondaggi non li guardo a prescindere”. È stato di parola. Pare incredibile, ma alla fine c’è riuscito: Salvini è diventato bugiardo e comicamente vanaglorioso come Renzi. Una condizione esistenziale che non augureremmo neanche a Mario Lavia.
Ora che il tradimento più prevedibile del mondo – lo avevano capito tutti tranne Di Maio – si è compiuto, e prima che questo Paese passi con antico masochismo da Renzusconi a Salvimaio a Salvelusconi, è forse il caso di soppesare l’inebriante talento di questo virgulto padano che da ragazzo si definiva “nullafacente” parlando in tivù con Davide Mengacci, dimostrando, se non altro, di conoscersi bene.
Salvini ha voluto sganciare la bomba nel momento peggiore: poteva farlo subito dopo il trionfo alle Europee, votando quindi a settembre, ma ha perso tempo obbedendo poi (come sempre) a Giorgetti e Berlusconi. Sfasciando tutto ad agosto, ha poi messo ancor più in mutande il Paese: rischio di esercizio provvisorio, aumento Iva per 23 miliardi, spread alle stelle, Borsa a picco. Roba da galera (e invece lo voteranno: daje!). In più tanti procedimenti sacrosanti che salteranno, dalla temutissima (da lui) Spazzacorrotti alla Commissione d’inchiesta su Bibbiano (su cui ha oscenamente lucrato). Oltre a essere sciagurata, la mossa di Salvini è stata anche politicamente idiota: da un lato rischia di riavvicinare Pd e M5S, dall’altro toglie finalmente il macigno dall’anima di tanti elettori 5 Stelle che non ne potevano più di quell’obbrobrio governativo (comunque migliore di quello che verrà: pensate come siam messi).
Dopo un anno da Tafazzi, i 5 Stelle – ancora convalescenti e pertanto ancora in crisi – hanno avuto da Salvini quel “tradimento sommo” che potrebbe essere la scintilla morale tramite cui far risalire un gradimento oggi ai minimi livelli.
Salvini avrebbe poi meritato rispetto – nonostante le conferenze spiaggia, i rosari, il lessico da bullo moscio e i suoi modi da aperi-premier – se avesse scelto la strada della “destra nuova”: cioè lui e Meloni. E basta. Un accrocchio distantissimo da chi scrive, ma segno se non altro di una qual certa baldanza salviniana. Invece Capitan Lardini è tornato pateticamente da Berlusconi come un tenero Dudù eunuco. Che pena. L’uomo, oltre alla grazia dei facoceri, ha il coraggio di un Don Abbondio morto. Mesi e mesi a giocare al rinnovatore, per poi rivelarsi – magari con l’aiuto del Movimento del fare (?) di Briatore – un innocuo predellino extralarge dei Gasparri & La Russa. Complimenti.
Lo fraintendono per il nuovo Mussolini, ma Salvini resta quello di sempre: non fa paura, fa ridere. E fa pure un po’ tenerezza. Voleva essere un Capitano, ma al massimo è un cocker. Senza pedigree e col guinzaglio corto. Anzi cortissimo.

La mossa Il trucco di Salvini: taglio agli eletti, ma dal 2024… - Tommaso Rodano

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“Ok alla legge, poi subito alle urne”. Il vicepremier ci prova: tanto la riforma entra in vigore tra due legislature E la Lega si tiene 60 milioni abbondanti per i suoi bilanci.

A Matteo Salvini non manca il senso del teatro e il Senato è un palcoscenico che si presta. Il capo della Lega, fiutato il pericolo di essere messo all’angolo da un governissimo Pd-5Stelle, prova a uscirne lanciando un amo agli ex alleati: “Ho sentito l’amico e collega Luigi Di Maio più di una volta ribadire in questi giorni ‘votiamo il taglio di 345 parlamentari e poi andiamo subito al voto’. Prendo e rilancio: tagliamo i parlamentari la prossima settimana e poi andiamo a votare il giorno successivo”.
La trovata di Salvini non è priva di una sua eleganza tattica. Se andasse in porto, la Lega toglierebbe un grosso alibi a dem e grillini: la riforma costituzionale che riduce del 36,5% il numero degli eletti è l’argomento più usato per giustificare la prosecuzione della legislatura. La capigruppo ieri ha deciso che la quarta e definitiva lettura sarà alla Camera giovedì 22 agosto. Anche se approvata, la legge non si applicherebbe all’imminente tornata elettorale: come recita l’articolo 4, le disposizioni sarebbero valide “non prima che siano decorsi sessanta giorni dalla predetta data di entrata in vigore”. Per Salvini sarebbe la tempesta perfetta: la riforma andrebbe in porto (e lui potrebbe prendersi buona parte del merito) ma produrrebbe i suoi effetti solo nella legislatura successiva alla prossima; non ci sarebbe quindi bisogno di attendere il nuovo disegno dei collegi elettorali (per cui servono mesi) o l’eventuale referendum prima di convocare le nuove urne.
L’introduzione “a scoppio ritardato” del taglio sarebbe un tocca sana anche per ragioni economiche. La Lega è un partito con una certa difficoltà di bilancio per via delle note storie di Tribunale. Ecco, in questo senso, il taglio dei seggi in Parlamento sarebbe anche un grosso danno finanziario per le casse di Salvini e soci.
Il calcolo che segue, spannometrico, si basa sulle donazioni fatte dai suoi eletti (una media di 30mila euro l’anno, anche se molti versano di più) e i fondi garantiti per il funzionamento dei gruppi parlamentari dalle due Camere (attualmente circa 9,5 milioni l’anno totali per la Lega).
Come realizzare una stima della perdita? Abbiamo deciso di usare i numeri di Youtrend – basati sulla supermedia dei sondaggi – sul prossimo Parlamento in caso si votasse oggi. Molto dipende dall’eventuale alleanza (da sola, solo con Fdi o anche con Forza Italia): anche in questo caso abbiamo scelto un valore medio.
Ecco il calcolo: se non entra subito in vigore il taglio dei parlamentari, la Lega, accreditata di un 36% abbondante, potrebbe eleggere 270 deputati e 140 senatori, oltre il 40% delle prossime Camere grazie all’effetto maggioritario dovuto alla soglia di sbarramento e ai collegi uninominali.
Ora passiamo ai soldi: le donazioni degli eletti al partito passerebbero da 5,5 milioni a 12,3 milioni l’anno (da 27,5 a 61,5 milioni in una legislatura); i contributi ai gruppi parlamentari da 9,4 a 21,2 milioni (da 47 a 106 milioni nella legislatura). Insomma un tesoro totale aggiuntivo, rispetto a oggi, di 18,6 milioni all’anno (93 milioni in cinque anni).
Il successo della Lega – con questi sondaggi – sarebbe tale da migliorare le sue entrate persino col taglio dei parlamentari subito in vigore: calcolando 172 deputati e 88 senatori, le donazioni degli eletti passerebbero a 7,8 milioni, i contributi ai gruppi a 13,4 milioni: oltre sei milioni l’anno in più rispetto a oggi (da 15 a 21,2 milioni) ma 12 milioni e dispari in meno di quanto la Lega incasserebbe lasciando tutto com’è. La legislatura “di ritardo” con cui entrerebbe in vigore il taglio, per il Carroccio, vale quindi 60 milioni abbondanti di euro. Visto l’assai noto debito con l’erario, non è un dettaglio trascurabile.

martedì 13 agosto 2019

L’uomo nero. - Carlo Bertani



Si fa presto a credere/incolpare Salvini di ciò che sta accadendo: in realtà, Salvini – come sempre – recita il suo copione come dai tempi nei quali scaldava la sedia al Parlamento Europeo – fu uno dei maggiori assenteisti – e poi piombava a Milano, dove imbastiva roboanti interviste dove se la prendeva con i “negher”, gli albanesi, i marocchini, e via discorrendo.
Non varrebbe nemmeno la pena di scaldarsi così tanto per una persona del genere: non ha mai fatto una mazza, non capisce una cippa di questioni economico/politiche e se la cava piuttosto male anche nel confronto politico.
Difatti, sa fare solo comizi: è il comiziante perpetuo, l’infaticabile arringatore, proprio come lo è Renzi, come lo fu Mussolini, e come lo fu Berlusconi, per altro avvantaggiato dall’entrare – come e quando voleva – nelle case degli italiani per rincitrullirli.
Quest’uomo, che chiede i “pieni poteri” (!) – manco fossimo in guerra, e non sa nemmeno cos’era la figura del dictator latino! – fa più pena che risentimento. Crede d’andare al governo, di fare e disfare a suo piacimento, d’obbligare l’UE ad un deficit del 3,5% non per fare innovazione, ma semplicemente per non far pagare le tasse ai suoi compagni di merende.
Perché se vuoi capire Salvini, devi un momento allontanarti dalla sua figura e mettere sotto la lente d’ingrandimento i suoi compagni di merende, sui quali – al posto della Flat Tax o della TAV – stava per abbattersi la “madre” di tutte le riforme, ossia la riforma Bonafede sulla Giustizia, che fermava la prescrizione dopo il primo grado di giudizio. Insomma, o c’è un’archiviazione od un’assoluzione, oppure vai avanti senza più l’ombrello protettivo e, se c’è da andare in galera, ci vai.
Difatti, con i 5S al governo, abbiamo tutti visto Formigoni entrare in carcere – grazie alla Spazzacorrotti – ma uscire dopo pochi mesi perché la norma era di difficile applicazione retroattiva. In altre parole, il passato è passato, ed il diritto ha un cardine che deve essere rispettato: nullum crimen, nulla poena sine praevia lege poenali, che grosso modo vuol dire che i reati si possono giudicare solo sulla base di una legge pre-esistente.
La riforma Bonafede, invece, fermava la prescrizione subito dopo un giudizio di condanna di primo grado: questo è l’aggravio, pesante, per tutti i corruttori ed i corrotti di professione, che in Italia sono la maggior parte degli im-prenditori. Benetton docet.
Non mi soffermo neppure un attimo sulle nuove “promesse” di Salvini, perché la sua macchina propagandistica è ritmata proprio da questo processo: sfornare ogni giorno che passa nuove illusioni – per occupare la mente degli adepti costantemente e, contemporaneamente, cancellare le promesse mancate. Non doveva rispedire in Africa 500.000 persone? E chi se ne ricorda più…
Torniamo, allora, alla genesi di questo governo e studiamo bene le mosse di un partito di minoranza che deve coalizzarsi con quello di maggioranza relativa: l’obiettivo è, semplicemente, scardinare l’azione di governo per far apparire gli altri incapaci e, grazie alla formidabile macchina di propaganda studiata, invertire i flussi.
La Lega – e questo lo ha detto subito chiaramente – non abiurava la sua partecipazione all’alleanza di centro destra, e qui – ai 5Stelle – qualche sospetto doveva già scattare, ma non scattò: si fidarono ingenuamente di Salvini, pensarono che volesse far sinceramente parte del “governo del cambiamento”, ed oggi è tardi per recriminare, però non è affatto tardi per combattere chi ha tradito. Conte lo ha dimostrato alla grande: Salvini continui pure la sua campagna elettorale sulle spiagge, quando rientrerà nei palazzi del potere troverà pane per i suoi denti.

E veniamo all’uomo nero.
Alla formazione del governo, Giorgetti andò ad occupare una posizione chiave: sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Era giusto: al partito di maggioranza relativa il presidente, all’altro partito il ruolo di “assistenza”. Bisogna sapere, però, che fra Conte e Giorgetti non c’è mai stata collaborazione: tuttavia, Giorgetti era a conoscenza di tutte le mosse di Conte che, ovviamente, “passava” in anticipo alla macchina propagandistica.
Giorgetti, dall’inizio del governo di coalizione, da un lato informava gli spin doctor dell’informazione, dall’altra si teneva in contatto con Berlusconi che, oggi, rialza la testa e torna a porre condizioni a Salvini.
La sera precedente lo scontro in Parlamento sulla TAV, Salvini, con Giorgetti, era ad Arcore, dove si è incontrato con Berlusconi e Tajani: avranno parlato di TAV? Senz’altro, perché interessava a tutti i cementieri amici del Cavaliere, ma il punto essenziale era un altro: la riforma Bonafede, la fine dei tanti trastulli tangentizi, sempre protetti dalla “coperta lunga” della prescrizione: in queste faccende, il ministro Bongiorno è maestro, da sempre, senza scomodare gli avvocati del Cavaliere.
La riforma, se ben ricordate, fu subito richiesta dai 5Stelle, ma Salvini si oppose richiedendo una “rivisitazione complessiva del processo penale”, che Bonafede accettò di buon grado, giungendo ad una riforma che tiene conto di vari fattori – come la durata dei processi, che si accorcia, alla responsabilità dei magistrati, ecc – insomma, è una buona riforma, che non si vede il motivo di non dover approvare.
Già: ma che fine faranno i Benetton, ad esempio, oppure i Siri e gli Arata, se si dovesse dimostrare che erano in combutta con Nicastro, grande “elemosiniere” del boss Messina Denaro?
La riforma Bonafede tranciava un principio che è vecchio quanto lo Stato Italiano: la Giustizia deve essere severissima con i cafoni, ma non deve toccare i padroni del vapore. Non perdo tempo a segnalare la lunga lista: l’ultimo a godere della prescrizione è stato Umberto Bossi, per la questione dei 49 milioni spariti.
Allora, bisogna far presto: non si può più aspettare: Matteo, ma non vedi che i sondaggi ti acclamano nuovo dux della Nazione?
Su questo, ho dei dubbi.
Anzitutto, che il governo cada non significa che il Parlamento verrà sciolto: di questo meccanismo il padrone assoluto, piaccia o non piaccia, è Mattarella il quale, per adesso, se n’è andato in vacanza in Sardegna. Quando tornerà? Non ha fornito date.
La freddezza di Mattarella – che prima di partire ha incontrato Conte – non stupisce ed è stato senz’altro molto infastidito dalle boutade di Salvini: voler aprire una crisi Ferragosto, non sta in piedi. Le ultime elezioni ad Ottobre furono quelle del 1919: non mi sembra che i bolscevichi occupino le fabbriche in armi…che fretta c’era?
La TAV poteva passare, le Autostrade pure…ma la riforma Bonafede no, perché da quel giorno in poi sarebbero finiti i giochetti lucrosi, le commesse gustose, gli appalti all’acqua di rose.
Il M5S ha commesso molti errori, su questo non c’è dubbio:
1) Ha creduto a Salvini, senza precauzioni, mostrando quanto sono allocchi;
2) Non si è premurato di costruire una propria rete giornalistico-televisiva, quando ne aveva tutti i mezzi;
3) Ha emarginato il suo uomo di punta nel dibattito: Alessandro Di Battista;
4) Non ha mai fatto valere il vecchio manuale Cencelli, ossia che aveva (ed ha) il doppio dei parlamentari della Lega;
5) Non ha saputo creare un’organizzazione interna, diversificata, polivalente;insomma: un partito vero;
6) Non ha mai chiarito i suoi rapporti con la Casaleggio & Associati.

Non per questo, però, il M5S è finito, tutt’altro. E’ l’unico partito italiano a non aver avuto nessun condannato per reati di corruzione e, inoltre, non prende un soldo di finanziamento pubblico, ossia li devolve (essendo obbligato ad incassarli) verso la società civile. Mai stato un problema, un ammanco.
Poi, vorremmo ricordare che Renzi prese, alle elezioni, più del 40% – e dunque ben oltre Salvini – eppure in pochi anni è crollato ed oggi, a parte le furberie che mette in atto, non conta più niente.
E credetemi: Renzi, come persona – per abilità dialettica, comportamento, furbizia ed altre doti – ne fa due di Salvini.
Salvini parla alla “pancia” dei suoi elettori ed ha trascinato, appunto, quella parte del M5S che non ragionava con la testa, bensì con la pancia: attenzione, però, perché basta un po’ di dissenteria od una colica, e la pancia ti dimentica, con una scorreggia vai in fumo, attento Matteo.
Sta commettendo già i primi errori: ieri, a Peschici, è andato a dire che è meglio investire in imprese che creino reddito – si vede che Salvini, per quanto riguarda la questione meridionale, ne sa più di Salvemini – e, inoltre, ha concluso: “piuttosto che i soldi del reddito di cittadinanza”. Un fenomeno, veramente, che ha compreso l’elettorato meridionale.
E poi, questa richiesta di “pieni poteri” e di “elezioni subito”…non ha pensato quanto può aver irritato il Presidente della Repubblica? A tutti gli osservatori internazionali risponde con un “me ne frego”: c’era già uno che rispondeva così, ma non è finito tanto bene.
Oggi, la Lega è in grado di vincere le elezioni: oggi, 10 Agosto, San Lorenzo. Fra due o tre mesi?
Anzitutto, non è assolutamente detto che il governo cada: non voglio entrare nel merito delle mille dietrologie di questi giorni ma, se il M5S volesse (ma non lo vorrà) accettare l’aiuto di chicchessia, non farebbe niente di eticamente scorretto, essendo stato tradito sul campo da un alleato che è sempre rimasto legato al suo padrone, Berlusconi. E, Dudù, continua a scodinzolare senza rendersi conto che lui, proprio Matteo Salvini, non governerà mai l’Italia.
Se il governo dovesse cadere, Mattarella non acconsentirà mai che il Ministro dell’Interno – soprattutto questo ministro dell’interno – sia colui che gestisce la macchina elettorale essendo, lui stesso, il candidato premier! Ma qualcuno, sa ancora ragionare sugli equilibri costituzionali?!?
Sarà un altro a governare, probabilmente Mario Draghi, e allora Salvini si renderà conto d’aver congegnato tutta la faccenda per metter nelle mani dell’UE, ancora una volta, il potere. E tutto questo, badate bene, è perfettamente logico nella sequenza programmata dei banchieri europei, perché Salvini – anche se un po’ sbruffone, è uno del “giro”, mica sconosciuto come quel, quel…Vanvitelli, no, Toncinelli…mah… – è sempre stato accettato: sono 26 anni che è in politica, non ha mai fatto altro!
Ovviamente, dopo un’appassionata campagna elettorale fra lui, Grillo, Conte, Di Battista e un “ripescato” Renzi (che non sa ancora cosa farà, ma è furbo come una volpe e belloccio: una parte gliela troveranno) il risultato non sarà quello che si aspettava: ancora una volta, sarà Mattarella l’ago della bilancia e, con una Finanziaria da spedire in Europa ed un aumento dell’IVA da evitare, si metterà nelle mani di sir Mario Draghi, an Italian politician. E, questa volta, una maggioranza si dovrà trovare, e si troverà.
Subito, il ragazzotto, si metterà ad urlacciare contro l’Europa Ladrona, ma sarà Inverno, le spiagge saranno deserte, le Tv stufe del solito pistolotto sui migranti e sulle tasse: lo sostituiranno con qualcun altro, oppure manderanno in onda una super grandiosa tele-novela dal titolo “Italiani, prima di tutto!” con Mark Harrison, Isabel Incontreras, Gérard Malvenu, Tamas Malinkovic e la partecipazione straordinaria di Albano Carrisi, nella parte del Barone Nero.
Peccato, tanti sogni e speranze di poter vivere in un Paese normale – senza più ponti che crollano e ferrovie inutili da costruire, gente che deve andare in galera e schizza fuori dal “gabbio” dieci minuti prima della sentenza…finite con una telenovela inguardabile…anche Albano, oramai stonato…non potevano metterci che so…Baglioni? Mah, che Paese…

https://comedonchisciotte.org/luomo-nero/

Vuoti poteri. - Marco Travaglio Il Fatto Quotidiano del 13 Agosto:

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Ieri colui che si credeva (e veniva descritto come) il padrone del vapore ha definitivamente perso il controllo della situazione. I pieni poteri, almeno per ora, se li può scordare, e anche quelli vuoti. In Parlamento -dice la Costituzione- vince la maggioranza e Salvini è minoranza, anche col concorso esterno di FdI e di B. (che lui giurava di non voler più vedere: a proposito di coerenza). Dunque il colpo di mano del redivivo centrodestra col soccorso della cosiddetta presidente del Senato per anticipare il voto su Conte alla vigilia di Ferragosto è miseramente fallito. Oggi, anzi, a Palazzo Madama nascerà una nuova maggioranza 5Stelle- Pd- sinistra che approverà la soluzione più ragionevole: discorso di Conte e fiducia-sfiducia intorno al 20 agosto e poi, a seconda dell’esito, le consultazioni e le decisioni del capo dello Stato. Il dibattito su ipotetici nuovi governi è prematuro e non promette nulla di buono: tutti badano agli interessi di bottega e ai regolamenti di conti del proprio partito, anzichè a quella visione di ampio respiro che dovrebbe ispirare chi volesse guidare l’Italia in una fase tanto drammatica.

Meglio tenere il carro dietro i buoi e pensare, intanto, al dibattito del 20, quando Conte potrebbe mettere Salvini ancor più nell’angolo. M5S, Pd e sinistra dovranno evitare che passi la sfiducia di Lega, FI e FdI, giocando su assenze, astensioni e uscite dall’aula. Semprechè il premier non si dimetta senz’aspettare il voto dell’aula. Così Conte potrà salire al Quirinale legittimato a tentare un bis senza più i ministri leghisti (spudoratamente ancora al loro posto dopo essersi sfiduciati da soli), sostituiti con personalità indipendenti. Non per durare in eterno con pasticci anti-elezioni, ma per fare poche cose molto popolari: preparare una legge di Bilancio che scongiuri l’aumento dell’Iva e nuovi fulmini da Ue e speculatori; adattare la legge elettorale al taglio di 345 parlamentari; e avviare il Paese imparzialmente alle elezioni di marzo. Nel frattempo chi terrebbe in piedi l’eventuale Conte-bis? La risposta, ancora una volta, è nella Costituzione: ciascun parlamentare è eletto “senza vincolo di mandato” e “rappresenta la Nazione”. Quindi i partiti facciano un bel passo indietro e li lascino liberi di scegliere secondo coscienza fra due opzioni: una corsa dissennata al voto in ottobre, con una campagna strozzata ed esagitata, che comporterebbe l’esercizio provvisorio e i banchetti della speculazione a spese dell’Italia; o un governo con scopi e tempi limitati che nessun Salvini potrebbe bollare di “ribaltone”. Specie se il ribaltone, tradendo il M5S per tornare da B., l’ha fatto lui.

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"Le carte di Conte: il discorso e poi il commissario Ue" di Salvatore Cannavò


Le carte di Conte: il discorso e poi il commissario Ue

Un centimetro alla volta, come nel già citato film Ogni maledetta domenica, la crisi di governo dispiega i suoi effetti e disegna scenari futuri.
In questa matassa, il presidente del Consiglio si è dato la consegna del silenzio. Ieri è andato a visitare, in forma riservata, una casa per anziani, oggi sarà a Foggia per firmare il Contratto di sviluppo per la Capitanata, da 280 milioni, mentre domani sarà a Genova, un anno dopo il crollo del Ponte Morandi. Evento delicato anche per capire come, un anno dopo gli applausi in chiesa, saranno accolti i leader di governo.
Per il resto il premier lavora al suo discorso che presumibilmente si terrà il 20 agosto in Senato. Nei conciliaboli, complicati e concitati, che si stanno tenendo in queste ore, il suo nome entra e esce in continuazione. Tra i dirigenti del Pd più propensi a un possibile governo con il M5S - non alla Renzi, ma più solido e duraturo - si esclude categoricamente che possa essere presieduto dallo stesso Conte, “troppo collegato al ‘governo del cambiamento’ gialloverde”. Ma allo stesso tempo del premier si è colto il nuovo profilo europeista, il sostegno a Ursula Von der Leyen ha modificato la percezione del professore negli ambienti di Palazzo.
Conte per il momento non si espone, ma nel suo arco ha due frecce che cercherà di giocare al meglio. La prima è il discorso parlamentare che si annuncia come di rottura, probabilmente “traumatica”, come ha osservato nei giorni scorsi il numero 2 della Lega, Giancarlo Giorgetti. Un discorso che regolerà un po’ di conti con Salvini e che servirà a Conte per esprimere, oggi, il suo profilo politico. La seconda freccia è la nomina del commissario europeo italiano che dovrebbe essere fatta entro il 26 agosto. Visto che non è chiaro come si snoderà la prossima settimana, non va escluso che si faccia già in questa settimana. Che nome avanzerà Conte? Dal Pd si avanza la richiesta di un nome potabile anche dal centrosinistra: ad esempio quel Raffaele Cantone avanzato da Renzi come premier di un governo Pd-M5S, a qualcuno non dispiacerebbe a Bruxelles. Ma Conte non fa nomi e non parla, e del dossier discuterà sicuramente con Mattarella. La sua scelta, però, aiuterà a capire come il premier si posizionerà nell’immediato e che direzione intende dare agli ultimi giorni della sua presidenza.
Il suo destino si intreccia, allo stesso tempo, con la prassi istituzionale e i regolamenti parlamentari. Il Senato, infatti, oggi deciderà di mettere in calendario “le comunicazioni del Presidente del Consiglio” e non la votazione delle mozioni di sfiducia o fiducia. Quanto si discuterà a palazzo Madama nel pomeriggio è decidere di dare vita a una sessione d’aula in cui, a norma dell’articolo 105 del Regolamento, “sulle comunicazioni del Governo si apre un dibattito a sé stante” in occasione del quale “ciascun Senatore può presentare una proposta di risoluzione, che è votata al termine della discussione”.
Solo che il premier può al termine della discussione, comunicare la sua intenzione di riferire al Presidente della Repubblica quanto emerso dal dibattito. “A quel punto” osserva la capogruppo di Forza Italia, Annamaria Bernini, “il presidente sale al Colle senza aver ricevuto la sfiducia e questo può aprire la strada a un Conte-bis”.
I precedenti nella storia repubblicana non mancano - solo Prodi si è fatto sfiduciare fino in fondo con la votazione sulla mozione di sfiducia - anche perché non c’è nulla come il rapporto tra il Quirinale e il Parlamento, in tempi di crisi di governo, a essere regolato dalla prassi e non da norme scritte.
A quel punto Conte potrebbe essere anche reincaricato dal Capo dello Stato, anche solo per un giro che ne constati l’impossibilità di formare un governo e quindi permettendogli di guidare il Paese alle urne. Oppure per altro. Va considerato anche che il 24 agosto ci sarà in Francia il vertice del G7 e mandare un premier dimezzato dalla sfiducia può essere un’opzione poco apprezzata dal Quirinale.