giovedì 19 settembre 2019

L’ex tesoriere indagato, la sindacalista che difese il Jobs Act, la transfuga berlusconiana, la ‘Cuffariana’: chi sono i 14 senatori che vanno con Renzi.



E' stata diffusa la lista di nomi di chi ha aderito alla scissione dell'ex segretario dal Partito democratico. Il capogruppo: "Resto, ma metto il mio ruolo a disposizione dei colleghi".
La senatrice catanese Valeria Sudano “tirata su” da Totò Cuffaro e l’ex tesoriere Pd Francesco Bonifazi indagato per finanziamento illecito e false fatture. Il luogotenente dei renziani in Sicilia Davide Faraone, la cui elezione a segretario regionale è stata annullata per “stravolgimento delle regole”. Ma anche il senatore iper presente Giuseppe Cucca che, nella scorsa legislatura, si è distinto per aver difeso Antonio Azzollini e Roberto Calderoli. Poi gente come Ernesto Magorno che, quando scoppiò il caso Consip, disse di Luca Lotti che era “un gigante”. E pure la prima forzista che ha scelto di passare da Silvio Berlusconi a Matteo RenziDonatella Conzatti. Sono questi alcuni dei componenti della squadra di Matteo Renzi a Palazzo Madama: i quattordici parlamentari che, aderendo alla “sfida di Italia Viva”, gli permetteranno di provare a giocare la partita per dare un senso e un peso al progetto. Al momento infatti, sono determinanti perché la maggioranza che sostiene il Conte 2 (che attualmente ha un margine di dieci senatori) possa stare in piedi.
Questo l’elenco, comunicato questa mattina al gruppo Pd al Senato, di chi aderisce alla scissione. Si tratta di Francesco Bonifazi, Matteo Renzi, Teresa Bellanova, Ernesto Magorno, Laura Garavini, Eugenio Comincini, Davide Faraone, Valeria Sudano, Nadia Ginetti, Leonardo Grimani, Giuseppe Cucca, Mauro Maria Marino, Daniela Sbrollini, Debora Conzatti. Si attendono anche le dichiarazioni di Riccardo Nencini e Pier Ferdinando Casini, entrambi considerati potenziali aderenti al gruppo.
Chi non se ne va è invece il capogruppo Andrea Marcucci, fino a pochi giorni fa considerato renzianissimo: “La mia scelta di restare”, ha detto incontrando il gruppo degli eletti a Palazzo Madama, “è indipendente dal ruolo che ricopro, quindi i senatori del Pd devono ritenersi liberi di prendere qualsiasi decisione. Metto a disposizione il mio ruolo. Io non faccio qualcosa a servizio di qualcuno, nella mia vita ho sempre preso decisioni con la mia testa”. Sul passaggio dall’altra parte, ha cambiato idea anche il senatore Tommaso Cerno: “Auguro a Italia viva ogni fortuna politica e personale e mi rivolgo al Pd”, ha scritto in una nota, “dopo l’addio di Renzi, il rischio per i democratici non è tanto la fuoriuscita di dirigenti o voti in favore di Italia viva, quanto piuttosto la tentazione di qualcuno all’interno di prendere il posto che fu di Renzi per dirsi ancora una volta determinante e ricominciare la fatica di Sisifo della rincorsa all’unità. Il mio appello a Nicola Zingaretti è: fermali subito! Perché il Pd non solo superi questo scisma, ma ne esca rafforzato, deve finire immediatamente l’era delle correnti e del Cencelli”.
Francesco Bonifazi, colonnello del Giglio magico, sotto inchiesta per i finanziamenti a Parnasi – Tra i bracci destri che Matteo Renzi si porta in Italia Viva c’è Francesco Bonifazi. Membro per eccellenza del Giglio magico, è stato tesoriere del Partito democratico negli anni di Renzi segretario. E proprio quel periodo è finito al centro di un’inchiesta della magistratura. Nel settembre 2018, è stato indagato per finanziamento illecito da parte dell’imprenditore Luca Parnasi, finito ai domiciliari nell’ambito dell’inchiesta sullo stadio della As Roma. L’accusa è che i 150mila euro elargiti dal costruttore alla fondazione Eyu per uno studio immobiliare, fossero invece destinati al Pd e non scritti in modo corretto nei bilanci. A marzo scorso l’inchiesta si è allargata e ora gli vengono contestate anche false fatture. Laurea in Giurisprudenza e un passato da avvocato a Firenze, ha iniziato a fare politica con i Democratici di sinistra. Nel 2009 fa il consigliere comunale e nel 2012 sostiene l’ex premier alle primarie. Nel 2013 entra alla Camera, eletto però in Piemonte, e nel 2018 strappa di nuovo un posto in Parlamento, questa volta in Senato.
Valeria Sudano, la senatrice siciliana “tirata su” da Totò Cuffaro e protetta dal mister preferenze indagato – La parlamentare catanese è una che nella schiera dei renziani è approdata ufficialmente nel 2016. La sua storia parla chiaro. Eletta all’Assemblea regionale siciliana con il Cantiere Popolare di Saverio Romano, è poi passata nel partito nato da una scissione dell’Udc (Articolo 4) e quindi catapultata tra i democratici. Per capirsi, è una che l’ex governatore Totò Cuffaro appena scarcerato definì “la mia amica Valeria Sudano”, rivendicando di “averla tirata su lui”. Una benedizione non casuale, visto che la Sudano è nipote di Mimmo, ex senatore della Dc e potentissimo referente dell’area cuffariana. Ma da segnalare non ci sono solo le sue frequentazioni del passato. La senatrice è molto vicina a Luca Sanmartino, presidente Pd della commissione Lavoro all’Ars, e indagato per irregolarità nel voto degli anziani di un centro d’assistenza ad aprile 2018. Alle scorse elezioni Regionali aveva preso 32mila preferenze. Oggi Sudano ha dichiarato la sua fedeltà all’ex premier in un’intervista a la Sicilia: “Renzi mi accolse, ora lo seguo”, ha detto.
Ernesto Magorno, il sindaco calabrese che di Lotti disse: “È un gigante” – Senatore e sindaco di Diamante (Cosenza), Magorno è nato socialista, poi passato con i Ds e quindi approdato nel Partito democratico. E’ stato deputato nella scorsa legislatura e ora siede a Palazzo Madama. E’ stato segretario regionale del Pd in Calabria: si è autosospeso a luglio scorso dopo la retata contro il clan Libri,nell’ambito della quale è finito agli arresti anche il capogruppo dem in Regione. Noto per la sua vicinanza a Renzi, nei mesi scorsi si era speso in grandi parole e dimostrazioni di solidarietà per l’ex ministro Luca Lotti, dopo la sua decisione di autosospendersi dai dem per il coinvolgimento nella vicenda Consip. “Più volte ho sottolineato l’onesta e la trasparenza”, disse. E ancora: “Ha mostrato alla prova dei fatti di essere un gigante rispetto a tanti altri”. Quest’estate si era conquistato le pagine dei giornali per la vicenda “acqua di mare”. Per “difendere dalle accuse di inquinamento la sua cittadina”, ha registrato un video in cui ne beve un bicchiere. L’ha dovuto fare due volte perché la prima lo accusarono di avere fatto per finta.
Giuseppe Cucca, il senatore che “difese” Azzollini e Calderoli – Senatore sardo al secondo mandato, avvocato cassazionista, inizia a fare politica con il partito Popolare e quindi con la Margherita e infine, naturalmente, finisce nel Pd. Dal 2017 è anche segretario regionale per i dem in Sardegna. Nella scorsa legislatura è risultato uno dei senatori più presenti in assoluto. Ed è stato anche capogruppo per i democratici in Giunta per le immunità. Nel 2014 salì alle cronache perché, insieme ad altri sette senatori, negò l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche indirette di Antonio Azzollini (Nuovo centrodestra), accusato allora per diversi reati nell’ambito dell’inchiesta sul Porto di Molfetta. “Avevamo delle perplessità”, si giustificò. Ma la difesa che fece più scalpore fu quella per Roberto Calderoli, quando nel 2015 venne salvato dal Pd dal processo per istigazione razziale nei confronti della ministra Kyenge. Il leghista in un comizio aveva paragonato l’allora ministra a un orango. “Spesso nella satira si paragonano le persone agli animali”, disse proprio Cucca.
Davide Faraone, il segretario siciliano autosospeso dopo che l’hanno accusato di aver “stravolto le regole” – Tra chi ha detto subito sì a Renzi c’è naturalmente il suo luogotenente in Sicilia. Colui che per primo ha fatto campagna sull’Isola per aprire il Partito democratico oltre i suoi confini naturali e che di conseguenza ha attirato ex sostenitori di Totò Cuffaro, Raffaele Lombardo e Silvio Berlusconi. Attualmente è autosospeso dal Partito democratico, dopo che a luglio scorso è scoppiato un vero e proprio caso sul suo conto dentro il partito: la commissione di garanzia ha infatti deciso di annullare la sua elezione a segretario regionale sette mesi dopo l’esposto della corrente che fa riferimento a Zingaretti. A lui si contesta di aver “stravolto le regole del partito”. Una decisione mal digerita dal renzianissimo, che ora si vendica passando dall’altra parte. Faraone inizia a fare politica nella Sinistra giovanile, quindi nei Democratici di sinistra. Sostiene prima Piero Fassino e poi Walter Veltroni. Nel 2008 entra all’Ars con il Pd e nel 2013 viene eletto deputato. Nella scorse legislatura è sottosegretario all’Istruzione e alla Salute. Nel 2018 diventa senatore, oggi segue Renzi in Italia viva.
Teresa Bellanova, la ministra dell’Agricoltura e sindacalista che sostenne il Jobs act – Una delle carte più importanti che si gioca l’ex segretario Pd è quella della neoministra all’Agricoltura. Teresa Bellanova infatti è stata nominata nel governo Conte 2 e sarà tra le sentinelle più importanti di Renzi nell’esecutivo. Classe 1958 di Ceglie Messapica in provincia di Brindisi, è stata viceministra dello Sviluppo economico nei governi Gentiloni e Renzi. Ha iniziato come sindacalista della Cgil in Puglia ed è stata in prima linea nella lotta al caporalato. E’ nota per essere stata tra le più forti sostenitrici del Jobs act. E’ stata coordinatrice regionale delle donne di Federbraccianti in Puglia, segretaria generale provinciale della Flai (la Federazione dei lavoratori dell’agroindustria), componente della segreteria nazionale della Filtea, con delega alle politiche per il Mezzogiorno. Nel 2006 si è candidata alle elezioni politiche per i Democratici di Sinistra e, una volta eletta alla Camera, ha assunto l’incarico di componente della commissione Lavoro.
Debora Conzatti, la berlusconiana (ex Scelta civica) che abbraccia Renzi – Che la senatrice azzurra stesse pensando di fare il salto verso la maggioranza giallorossa, era sembrato chiaro già il giorno del voto di fiducia a Giuseppe Conte. In quell’occasione infatti Debora Conzatti, eletta in trentino con i voti di Lega-Fdi-Fi, aveva deciso di non votare. Un gesto che aveva destato non solo i sospetti degli azzurri, ma addirittura aveva fatto paventare l’ipotesi espulsione. Ci ha pensato lei ad accelerare i tempi. Ieri non si è presentata alla cena organizzata da Mara Carfagna con gli eletti di Forza Italia e oggi ha annunciato il grande addio. La vera notizia è che, raccontano nei corridoi, potrebbe essere solo la prima di una serie.
Nadia Ginetti, dalla Leopolda 2012 alla difesa della Boschi sulle pressioni a Unicredit – Nel 2012, quando era sindaco di Corciano, 21mila abitanti in provincia di Perugia, salì sul palco della terza Leopolda come oratrice. Il ‘titolo’ della convention? “Viva l’Italia viva”: quasi una premonizione. Di fatto la senatrice umbra è una renziana della prima ora. Sette anni fa, da amministratrice locale, sostenne la candidatura dell’allora Rottamatore alle primarie del Pd. Poi, nel 2013, l’elezione al Senato, bissata alle politiche del 2018. Di lei si ricorda il voto contrario (insieme ad altri 18 senatori) alla decadenza di Augusto Minzolini e una difesa a spada tratta di Maria Elena Boschi dopo le presunte pressioni, denunciate da Ferruccio De Bortoli, su Unicredit per l’acquisto della traballante Banca Etruria.
Mauro Maria Marino, in Parlamento dopo le dimissioni di Enrico Letta: è stato vicepresidente della commissione Banche – Entra alla Camera nel 2004 in quota Margherita, ma non perché viene eletto: subentra a Enrico Letta, dimessosi. Da allora non lascia più Roma e nel 2008 diventa senatore del Pd venendo eletto nel collegio della sua regione, il Piemonte. Qui, a dicembre 2018, si candida alla segreteria regionale dei dem, raccoglie la maggioranza relativa dei voti ma viene sconfitto dall’attuale segretario Paolo Furia. Responsabile regionale del settore Economia e Attività produttive, è stato vicepresidente della commissione Banche guidata da Pierferdinando Casini. Quando impazzava la polemica sulle presunte pressioni della Boschi su Unicredit, definì “inutile e ininfluente” la possibile audizione dell’ad Ghizzoni (che non fu più ascoltato). Sul metodo di lavoro scelto dalla commissione non aveva dubbi: “Se andiamo alla ricerca di vendette politiche o regolamenti dei conti, faremo danni“.
Leonardo Grimani, da sindaco di San Gemini a Palazzo Madama – Alla sua prima esperienza in Parlamento dopo i due mandati da primo cittadino di San Gemini, in provincia di Terni, ha aderito a Italia Viva ma ha promesso che sosterrà il programma e il candidato del Partito democratico alle prossime elezioni regionali del 27 ottobre. Intanto, ha detto, “mi dimetto da tutti gli organi di direzione politica del partito a partire dalla segreteria dell’Unione comunale”.
Laura Garavini, da Vignola a Berlino, l’impegno antimafia e la pioggia di voti degli italiani all’estero – Nata in provincia di Modena, nel 1989 si trasferisce a Berlino. Nel 2007, dopo la strage di Duisburg, è tra le promotrici della più grande iniziativa antiracket al di fuori dell’Italia, con Eurojust ad applaudirne la riuscita. Nel 2008 diventa deputata con oltre 25mila voti nella circoscrizione Europa/estero, performance migliorata nel 2013 con oltre 37mila voti. Nel 2018 viene candidata al Senato e l’esito non cambia: oltre 36mila voti. Una marea. Nel 2010 il ministro Maroni ha minacciato di querelarla dopo che lei ne aveva denunciato l’insufficiente collaborazione con la Commissione Antimafia per quanto riguarda il contrasto delle mafie al Nord. Nel 2015 chiede a Facebook di chiudere le pagine inneggianti al fascismo: per questo è stata minacciata di morte sui social da esponenti di estrema destra.
Eugenio Comincini, una carriera da primo cittadino a Cernusco sul Naviglio – Dal 2007 al 2017 sindaco di Cernusco sul Naviglio, la sua città, nel 2014 è eletto anche nel consiglio metropolitano di Milano e Giuliano Pisapia lo nomina vicesindaco metropolitano. Dal 2013 al 2017 componente della Direziona nazionale del Partito Democratico, a novembre 2018 – da senatore – si è candidato alla guida della segreteria regionale del PD lombardo, perdendo le elezioni.
Daniela Sbrollini, la juventina vicina a Lotti che Renzi voleva sottosegretaria allo sport – Vicentina, ex segretaria provinciale dei Ds, deputata dal 2008 e senatrice dallo scorso anno. E juventina, tanto da far parte del consiglio direttivo dell’Associazione Parlamentare Giovanni Agnelli Juventus Club. Nel 2017 Renzi – da segretario Pd – la nomina a capo del dipartimento sport. Il suo nome è collegato a un emendamento alla manovra 2017, con cui inserisce lo share certificato nella ripartizione dei diritti tv del calcio: si tratta di un regalo alla sua squadra del cuore, che rischiava – insieme alle altre big della Serie A – di perdere qualche decina di milioni di euro in favore dei club medio piccoli. Nella formazione del governo Conte 2 i renziani hanno cercato di farla diventare sottosegretaria allo sport. Invano.

Tangenti, le accuse a Sozzani fondate non solo sulle intercettazioni via trojan: c’è un bonifico alla base del presunto finanziamento illecito. - Marco Pasciuti

Tangenti, le accuse a Sozzani fondate non solo sulle intercettazioni via trojan: c’è un bonifico alla base del presunto finanziamento illecito

Nella richiesta di custodia cautelare tra le carte dell'inchiesta "Mensa dei poveri" che a inizio maggio ha portato agli arresti di 28 persone tra politici, amministratori e imprenditori, il pm ha allegato "la scannerizzazione" del bonifico da 12mila euro su cui la procura di Milano fonda l'accusa mossa al deputato di Forza Italia.

La Camera ne ha negato l’uso, ma le accuse mosse dalla procura di Milano a Diego Sozzani non si fondano solo sulle intercettazioni carpite tramite trojan: nella richiesta di custodia cautelare tra le carte dell’inchiesta “Mensa dei poveri” che a inizio maggio ha portato agli arresti di 28 persone tra politici, amministratori e imprenditori, il pm ha allegato il bonifico da 12mila euro alla base dell’accusa di finanziamento illecito mosso al deputato di Forza Italia. Elementi che però una maggioranza relativa trasversale alla Camera ha ritenuto non sufficienti per superare il sospetto di un fumus persecutionis, l’unico requisito in base al quale i deputati dovevano decidere per il sì o per il no alla richiesta di misura cautelare firmata dal gip di Milano.

Perché, dunque, Sozzani è finito sotto inchiesta? La vicenda ha inizio il 29 gennaio 2018. Le elezioni politiche sono alle porte e Sozzani comunica al telefono a Daniele D’Alfonso, titolare della Ecol Service accusato di aver corrotto politici e amministratori locali a Milano e in Lombardia per accaparrarsi appalti nel settore dei rifiuti e delle bonifiche ambientali, di essersi candidato “in un seggio sicuro”. Pochi giorni dopo, il 6 febbraio, il forzista chiama l’imprenditore e gli domanda fuori dai denti: “L’eventuale tuo aiuto quanto potrebbe essere? Perché devo fare il … la cifra finale”. A occuparsi della questione, secondo i magistrati, sarà Mauro Tolbar, collaboratore dello studio tecnico di cui Sozzani è titolare con suo fratello Stefano.

Il 5 marzo, il giorno dopo il voto, Tolbar chiama D’Afonso per dargli l’annuncio: “Siamo dentro… Diego è passato…”. Sozzani, cioè, è stato eletto alla Camera. Il 9 marzo Tolbar alza di nuovo il telefono e illustra il modo in cui, secondo i pm, i soldi di D’Alfonso sono arrivati al neodeputato. Lo hanno fatto attraverso l’amministratore della E.s.t.r.o. Ingegneria di Milano, “il quale invierà via mail una fattura per operazioni inesistenti a D’Alfonso – che quest’ultimo pagherà come concordato con bonifico bancario – proprio al preciso fine di celare l’illecito finanziamento promesso al neo parlamentare”.

La fattura è datata 8 marzo. Il bonifico, eseguito da D’Alfonso, ammonta a 12.688 euro parte il 22 marzo. La dazione di denaro è di 10mila euro, annotano i magistrati, mentre i 2.500 costituiscono la quota concordata dal titolare della E.s.t.r.o. Ingegneria per la sua mediazione, “pari al 25% della somma complessiva”. I rimanenti 188 euro? “Aggiunti per non indicare una cifra tonda e rendere credibile il pagamento”. A quel punto il titolare di E.s.t.r.o, Alessandro Beniamino Crescenti, “monetizza l’incasso e lo consegna, in contanti ed in diverse tranche, a Tolbar che provvederà alla consegna al destinatario finale”. Ovvero Sozzani.

Molte intercettazioni, quindi, alla base di quello che i magistrati definiscono un “quadro gravemente indiziario”. Ma anche documenti: il 23 marzo Tolbar invia una mail al titolare della E.s.t.r.o. in cui scrive: “Ciao, in allegato il pagamento della fattura” ovvero, annotano i pm, “la contabile del bonifico bancario dell’importo di 12.688,00 euro”. Un documento finito nella richiesta di custodia cautelare: “Il P.M. nella propria richiesta ha riportato la scannerizzazione del documento relativo ai movimenti del conto corrente n. xxxxxxxxxxxx della Banca Popolare di Sondrio, intestato alla E.S.TR.O. Ingegeria Srl. (…) – scrive il Gip nell’ordinanza – da cui si evince l’accredito di 12.688,00 euro a fronte di pagamento della sopra citata fattura da parte della Ecol Service Srl”.

E’ il passaggio di denaro che per i pubblici ministeri è alla base del reato contestato in concorso a D’Alfonso, Sozzani e Crescenti: il titolare della Ecol Service lo effettua “in assenza della prescritta delibera da parte dell’organo sociale competente e senza annotare l’elargizione stessa nel bilancio di esercizio“. In pratica, spiegano ancora i magistrati, “l’occulta erogazione di utilità a favore del pubblico ufficiale è stata dissimulata attraverso accordi con società di comodo formalmente giustificativi del pagamento”. Di qui la contestazione del finanziamento illecito.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/09/18/tangenti-le-accuse-a-sozzani-fondate-non-solo-sulle-intercettazioni-via-trojan-ce-un-bonifico-alla-base-del-presunto-finanziamento-illecito/5461999/
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Biomasse

Il 12 settembre ha chiuso i battenti il ventiquattresimo Congresso mondiale dell'energia (WEC) nella capitale degli Emirati Arabi Uniti. L’appuntamento è stato di quelli importanti, sia in considerazione dell’impegno profuso dalle autorità emiratine sia per i temi trattati, che non riguardano solo lo sviluppo degli Emirati ma producono ricadute in tutto il mondo.
Per la prima volta in un paese del  Medio Oriente, l’evento energetico più importante e influente al mondo che copre tutti gli aspetti dell'agenda del settore, ha visto la partecipazione di 66 delegazioni internazionali, oltre 15.000 visitatori e più di 300 relatori. Il Congresso mondiale sull'energia - un evento triennale considerato il "Davos dei problemi energetici” - offre da anni ai leader mondiali dell'energia una piattaforma unica per esplorare nuovi futuri scenari energetici, aree di innovazione critica e nuove strategie, come dichiarato dal Matar Al Neyadi, sottosegretario al Ministero dell'energia e dell'industria degli Emirati Arabi Uniti e presidente del Comitato del congresso.
L’ente organizzatore, il Dipartimento dell'Energia di Abu Dhabi (DoE), istituito nel febbraio 2018 per guidare la direzione e il rifornimento futuri del settore energetico dell'emirato in tutte le sue forme e per creare un sistema efficiente che consenta la crescita economica, la sicurezza energetica e lo sviluppo sostenibile, studia e realizza la messa in atto di politiche, regolamenti e sviluppo di strategie per garantire un'efficace transizione energetica alla base della crescita sostenibile di Abu Dhabi, tutelando al contempo i consumatori e l'ambiente.
In occasione del WEC l’obiettivo principale degli organizzatori era chiaro: mostrare le iniziative portate avanti dagli Emirati per ciò che concerne l’efficienza energetica e nel contempo evidenziare le opportunità di investimento che il settore offre agli investitori locali e internazionali. Il Dipartimento dell'Energia (DoE) aspira infatti a proseguire la sua missione volta a fare dell’Emirato di Abu Dhabi la capitale mondiale dell'energia e uno dei più importanti hub globali per il settore energetico.
Tra le numerose personalità che hanno portato il proprio contributo il presidente della DoE Awaidha Murshed Al Marar che, in una sessione intitolata "Nuove visioni dell'energia: riuscire in un contesto di disgregazione", ha riunito i leader mondiali nel settore energetico per esplorare le prospettive di partenariato internazionale e gli sforzi congiunti per guidare la transizione del settore.
Anche la location ha seguito le linee guida del Congresso e il Padiglione del Dipartimento, progettato tenendo conto degli standard più elevati e della tecnologia più all’avanguardia, ha offerto ai visitatori un'esperienza entusiasmante in cui poter esplorare il presente e il futuro del settore energetico di Abu Dhabi.
La spinta ecologista ha investito gli Emirati Arabi Uniti che si stanno dimostrando sensibili verso le problematiche ambientali e che negli ultimi anni hanno moltiplicato gli sforzi per cercare di sviluppare fonti di energia alternative ai combustibili tradizionali.
Secondo il rapporto commissionato dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, gli investimenti globali per lo sviluppo delle energie rinnovabili stanno per raggiungere i 2,6 trilioni di dollari entro la fine di questo decennio, più del triplo rispetto al decennio precedente. Gli obiettivi posti dagli Emirati Arabi Uniti sono ambiziosi: il Dubai Clean Energy Strategy (DCES) 2050 fissa  il 7% di energia pulita entro il 2020, il 25% entro il 2030 e il 75% entro il 2050, mentre si mira a ridurre la domanda di energia e acqua del 30% entro il 2030.
Questi obiettivi sono pianificati dall'Autorità per l'energia elettrica e l'acqua di Dubai (Dewa) che svolge un ruolo essenziale nel consolidamento del settore delle energie rinnovabili e per la diversificazione dei carburanti.
Saeed Mohammed Al Tayer, amministratore delegato e CEO di Dewa, ha dichiarato, in occasione dell’annuncio della ventunesima Mostra sull'acqua, l'energia, la tecnologia e l'ambiente (Wetex), in programma presso il Dubai International Convention and Exhibition Centre dal 21 al 23 ottobre, che Dewa è impegnata nella promozione di tutte le forme di energia verde come alternativa pulita all'energia convenzionale, in linea con i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
È chiaro come con queste iniziative dal respiro globale gli Emirati Arabi Uniti stiano delineando piani ambiziosi nella trasformazione del settore energetico, ponendosi tra i leader mondiali maggiormente sensibili alle tematiche ecologiste.

RUSSIA E CINA HANNO DETERMINATO LO SGRETOLAMENTO DEL NUOVO ORDINE MONDIALE. - Jon Krister Hellevig



L’ultima settimana di agosto è stata piena di eventi portentosi. Solo qualcuno che non è stato sveglio negli ultimi anni potrà non rendersi conto di come questi eventi a prima vista scollegati facciano parte in realtà della stessa matrice. C’è stata una conversazione sempre più forte nei media mainstream su una recessione globale in avvicinamento, curve di rendimento invertite e rendimenti negativi, che ci dicono che il sistema finanziario occidentale è sostanzialmente in coma ed è tenuto in vita solo da generose iniezioni di liquidità IV dalla banca centrale. Almeno per il momento.
Successivamente abbiamo visto Trump ottenere nuovi successi con i suoi messaggi su Twitter in Cina nella sua grande contesa commerciale a colpi di dazi. Così di volta in volta e i mercati azionari si sono mossi come un ottovolante in reazione a ogni nuovo salvataggio di Twitter. Inoltre, abbiamo avuto sia Trump che Macron che parlavano soavemente del recupero della Russia e della modifica del nome del loro club in G8. Martedì scorso, in una stampa del G7 a Biarritz, i Rothschild hanno sciolto Macron per fargli recitare il “mea culpa”e hanno fatto un altro passo parlando dei motivi per cui improvvisamente bramavano un’amicizia con la Russia: “Stiamo vivendo la fine dell’egemonia occidentale”, ha detto Marcron. Nella stessa serie, il nuovo governo britannico sotto Boris Johnson stava dicendo ai suoi colleghi di Biarritz che ora è decisamente avviato per una Brexit senza accordo,
Forse la notizia più strana per coronare tutto è arrivata da Jackson Hole, nel Wyoming, dove i banchieri centrali occidentali si nascondevano per il loro pensionamento annuale. Il presidente della Banca d’Inghilterra, Mark Carney, ha sorpreso tutti (almeno quelli che non erano presenti) annunciando che il dollaro USA aveva superato il suo momento migliore e che avrebbe dovuto essere sostituito da un qualcosa che i banchieri centrali ancora non hanno in mano.
Il Nuovo Ordine Mondiale sta morendo.
Quello che questi eventi hanno in comune è che i massimi responsabili dell’Occidente iniziano ad ammettere che il progetto globalista del Nuovo Ordine Mondiale, nella sua forma attuale, è defunto, o almeno si trova nella sua agonia. Tale progetto è andato a sbattere la testa contro un muro impenetrabile di quella che è la resistenza cino-russa. L’accesa propaganda totalitaria contro la Russia dal 2001 (quando il Nuovo Ordine Mondiale si rese conto che Putin non era il suo uomo); per il cambio di regime e rivoluzioni di colore nei paesi vicini ha fatto un buco nell’acqua. Hanno tentato colpi di stato a Maidan e a Mosca; e infine hanno provato con le sanzioni che, dal 2014, sono state fondamentali per la strategia degli imperi anglo-sionisti. Dovevano conquistare la Cina o la Russia per vincere l’egemonia mondiale assoluta. Prendendo il controllo di ognuno di loro, avrebbero abbinato il resto, e dopo tutto avrebbero conformato il mondo intero.
Giustamente loro consideravano la Russia il pezzo più debole e lottavano in quella direzione. Il Nuovo Ordine Mondiale voleva approfittare della debolezza della Russia nella forma della sua quinta colonna pro occidentale e di un’intellighenzia liberale scioccata (che domina i media, la cultura e gli affari, come a Hong Kong, BTW), che è costituzionalmente Incapace di pensare con i propri cervelli per sbarazzarsi degli stereotipi dell’era sovietica (“Unione Sovietica / Russia cattiva, occidente buono”).
Quindi si sono resi conto che le sanzioni economiche e culturali (ad esempio il divieto olimpico) insieme alla duplicazione della propaganda avrebbero spezzato il paese. Fortunatamente, il narod russo, la gente comune, ha visto tutto e non ha giocato insieme al nemico. Allo stesso tempo, la Russia esibiva il suo esercito risorto in Crimea e Siria, nonché le sue nuove e formidabili armi ipersoniche da fine del mondo. L’opzione militare per impadronirsi della Russia non era più nelle possibilità degli anglo USA sionisti..
L’economia russa sempre più forte.
Credendo nella propria propaganda, sbagliavano totalmente le loro previsioni. Ripetendo incessantemente i propri punti di discussione egoistici, devono aver davvero immaginato che l’economia russa non fosse altro che l’esportazione di combustibili fossili, che “l’economia russa è la dimensione dei Paesi Bassi”, che “la Russia non produce nulla” e che la Russia “non era altro che una stazione di servizio con bombe nucleari” (riuscendo in qualche modo a ignorare il significato della parte relativa alle armi nucleari). Credo seriamente che la propaganda fosse diventata così convincente che i leader occidentali e le persone dell’intelligence erano davvero venute per adattare la propria propaganda alla verità. Quel che è certo è che tutti i media occidentali, compresi quelli che dovrebbero essere le riviste di business più rispettate e tutti quei think tank, non avevano pubblicato una valutazione onesta dell’economia russa da 15 anni. Ogni pezzo che ho letto negli anni è stato chiaramente scritto con l’obiettivo di denigrare i risultati e lo sviluppo economico della Russia. Da nessuna parte sono stati trovati rapporti su come Putin nel 2013 avesse completamente rivisto l’economia trasformando la Russia nel paese principale diversificato più autosufficiente del mondo con tutte le capacità delle maggiori potenze industriali. In realtà, tendo a pensare che anche i presidenti degli Stati Uniti, Da Bush a Obama, furono nutriti nei loro rapporti dalla intelligence che questa aveva prodotto falsi rapporti sull’economia russa e sull’intera nazione. In realtà, si farebbe un ulteriore passo avanti nello scommettere che la CIA stessa alla fine credeva nella propaganda che aveva partorito.
Ma in realtà tutti i dati erano in vista. Ho preso la briga di compilare un rapporto sulle condizioni reali della nuova economia russa all’inizio della crisi del 2014. Nel rapporto, ho iniziato a dimostrare che la Russia aveva davvero modernizzato e diversificato la sua economia; che aveva una vivace industria manifatturiera in aggiunta al suo settore dell’energia e dei minerali; e che le loro entrate di bilancio e la loro economia in generale non dipendevano dal petrolio e dal gas come affermato. Tra le altre cose, notiamo che la produzione industriale della Russia è cresciuta di oltre il 50% (tra il 2000 e il 2013) mentre era stata completamente modernizzata. Nello stesso periodo, la produzione alimentare è aumentata del 100% e le esportazioni sono aumentate di quasi il 400%, superando tutti i principali paesi occidentali.
L’essenza dello studio può essere riassunta con questa citazione da lui:
«L’economia russa, pur devastata dalla crisi e colpita da anni di capitalismo predatorio e anarchico degli anni ’90, che Putin ha ereditato nel 2000, ha ormai raggiunto una maturità sufficiente a giustificare la convinzione che la Russia possa realizzare l’avanzamento industriale annunciato dal Presidente» .
Gli eventi hanno confermato questa idea. Ed è per questo che la Russia ha vinto la battaglia delle sanzioni.
Il rapporto rappresentava un appello ai leader occidentali a rinunciare alla vana speranza di distruggere la Russia attraverso le loro sanzioni e il rischio di una guerra nucleare. La Russia era invincibile anche da questo punto di vista. A tal fine, ho espressamente aggiunto questa lettera nell’introduzione al rapporto:
“Crediamo fermamente che tutti traggano vantaggio dalla conoscenza del vero stato dell’economia russa, della sua storia reale nell’ultimo decennio e del suo vero potenziale. Conoscere lo stato reale delle arie è ugualmente utile per gli amici e i nemici della Russia, per gli investitori, per la popolazione russa e, di fatto, per il loro governo, che non è stato molto espressivo nel dire progressi reali. Penso che vi sia un grande bisogno di dati precisi sulla Russia, in particolare tra i leader dei suoi nemici geopolitici. I dati giusti aiuteranno gli investitori a realizzare profitti. E i dati giusti aiuteranno i leader politici a mantenere la pace. Sapere che la Russia non è lo specchio del paniere economico rappresentato dagli occidentali, aiuterebbe ad evitare i nemici dal percorso di collisione con la Russia in cui si sono imbarcati.
Un rapporto di follow-up di giugno 2017 che copre gli anni delle sanzioni 2014-2016, ha mostrato come la Russia si stava rafforzando, indipendentemente dai tentativi di isolamento occidentali. Questo rapporto sottolineava che l’economia russa era diventata la più diversificata al mondo, rendendo la Russia il paese più autosufficiente del mondo.
In questo rapporto, abbiamo messo in luce il più grande errore dell’analisi della Russia guidata dalla propaganda. Questa era la ridicola convinzione che la Russia dipendesse presumibilmente interamente dal petrolio e dal gas solo perché quei prodotti costituivano la maggior parte delle esportazioni del paese. Confondendo le esportazioni con l’economia totale, avevano stupidamente confuso la quota di petrolio e gas sulle esportazioni totali, che era ed è ancora del 60%, con la partecipazione di queste materie prime all’economia totale. Nel 2013, la quota di petrolio e gas nel PIL russo era del 12% (oggi 10%). Se gli “esperti” si fossero preoccupati di guardare più da vicino, si sarebbero resi conto che dall’altra parte dell’equazione, le importazioni dalla Russia erano, di gran lunga, le più basse (in percentuale del PIL) di tutti i principali paesi. La differenza qui è che, sebbene la Russia non esporti una grande quantità di prodotti fabbricati, ne produce una percentuale di gran lunga maggiore per il mercato interno rispetto a qualsiasi altro paese al mondo. Prendere il 60% delle esportazioni per rappresentare l’intera economia da cui è stato creato il meme “La Russia non produce nulla”.
Infine, in un rapporto del novembre 2018, poteva dichiarare che la Russia aveva vinto la guerra di sanzioni che ne derivava come una superpotenza quadrupla: superpotenza industriale, superpotenza agricola, superpotenza militare e superpotenza geopolitica.
Macron si rende conto che la Russia è davvero una superpotenza.
Questi fatti hanno finalmente fatto capire che alcuni stakeholder chiave del regime globalista possono essere discerniti dal fatto che hanno affidato al loro presidente eletto fantoccio Macron di fare la pace con la Russia. Trump ha lo stesso incarico, che è evidente dalle sirene dei due leader nella direzione di Putin. Entrambi vogliono invitare Putin ai loro futuri incontri G7-8.
Come detto, Macron si è spinto fino a capitolare unilateralmente e ha dichiarato il declino dell’Occidente. Ha continuato a spiegare che la ragione di questo spettacolare cambiamento geopolitico è stata la nascita dell’alleanza Pechino – Mosca (di fatto) che ha causato un cambiamento terminale sulla scena mondiale. È interessante notare che ha anche incolpato apertamente gli errori degli Stati Uniti per il terribile stato delle cose e ha osservato che “non solo si dovrebbe incolpare l’attuale amministrazione (USA)”. Indubbiamente, il principale di questi errori, pensava Macron, era l’alienazione della Russia e la spinta del paese nel caldo abbraccio della Cina. È abbastanza chiaro che questo è ciò che vogliono rimediare, strappare l’orso al drago. Fortunatamente, questo è un sogno che non si avvererà. Bene, ci sarà un approccio buono e se l’Occidente ci proverà, ma dopo tutto quello che la Russia ha imparato finora non sarà possibile svendere la partnerschip con la Cina in nessun caso. Penso che Putin e i plenipotenziari russi abbiano chiaramente optato per un ordine mondiale multipolare. Questo non è sicuramente quello che i datori di lavoro di Macron e Trump hanno in mente, ma lasciarli provare.
Fino a quando Trump non era entrato in carica, la strategia del regime americano era stata quella di perseguitare la Russia da sola nelle sue ambizioni geopolitiche, ma ormai si era reso conto che la Russia era invincibile, specialmente nell’alleanza di fatto con la Cina. Disperato, l’impero ha aperto un altro grande momento di conflitto con la Cina. Essenzialmente andando di male in peggio.
L’ordine mondiale viene scosso come mai prima d’ora.
“L’ordine mondiale viene scosso come mai prima d’ora …”, questa è un’altra citazione di Macron. Ovviamente, si riferisce alle forze militari e geopolitiche dell’alleanza russo-cinese, ma certamente anche ai cambiamenti economici poiché l’Occidente ha perso e continuerà a perdere il suo dominio economico. Questo ci riporta a Mark Carney della Bank of England e al suo attacco senza precedenti al dollaro USA, sostenendo che era giunto il momento di porre fine al suo status di valuta di riserva globale. Come opzione, Carney ha affermato che le principali banche centrali occidentali emetterebbero una criptovaluta digitale. Cioè, una valuta NWO controllata dalle banche centrali. Ciò significherebbe effettivamente sostituire il cartello della Federal Reserve con un poster delle banche centrali occidentali (la Fed ne fa ovviamente parte).
Cosa avrebbe potuto far venire un’idea così radicale del declino dell’egemonia americana? Ovviamente, uno dei motivi è che le economie occidentali si trovano davvero in quell’estrema condizione critica che sempre più analisti avvertono. (Esamineremo i fatti economici di seguito). C’è una possibilità molto reale che saremo colpiti da una recessione della fine del mondo. Quel che è certo è che lo strano discorso di Carney potrebbe non essersi verificato in un normale contesto economico (così come l’ammissione di Macron che l’egemonia occidentale è finita). Secondo Zerohedge, The Financial Times, l’organo di partito dell’élite globalista, lo ha ammesso nel suo rapporto sull’incontro di Jackson Hole. I banchieri centrali “hanno riconosciuto di aver raggiunto un punto di svolta nel modo in cui hanno visto il sistema globale.

Putin e premier cinese.

C’era un’ammissione efficace che i banchieri centrali avevano finito i trucchi per far uscire le economie dal disastro di tutto, per non parlare dell’imminente recessione della fine del mondo. Secondo FT, Carney è arrivata al punto di mostrare la lettera di guerra dicendo: “Casi passati di tassi molto bassi tendevano a coincidere con eventi ad alto rischio come guerre, crisi finanziarie e fallimenti nel regime monetario”. Da un lato, questo può essere visto come un’ammissione di quanto siano profondamente tormentati dalla situazione finanziaria e da cosa potrebbe accadere quando crolla. D’altra parte, può essere visto come un passo di vendite degli asset, “solo noi possiamo ripararlo, fidati di noi, darci una carta bianca”. O più probabilmente, entrambi.
Nota dall’alto di Carney che dice: “Gli Stati Uniti non possono più essere considerati un attore prevedibile nella politica economica o commerciale”. Il presidente della Bank of England attacca direttamente il presidente Trump.
E solo un paio di giorni dopo, William Dudley, ex presidente della Federal Reserve Bank di New York (la più influente delle 12 banche della Federal Reserve che compongono il Federal Reserve System) ha fatto seguire un attacco diretto a Trump . Ma come si dice delle spie, non ci sono ex-spie e penso che lo stesso valga per l’élite finanziaria globale. E sì, infatti, Dudley è membro del Council on Foreign Relations. Dudley aveva scritto un pezzo d’opinione per Bloomberg intitolato “La Federal Reserve non dovrebbe permettere a Donald Trump”, in cui preme apertamente affinché la Federal Reserve danneggi deliberatamente l’economia per neutralizzare le politiche (cioè le guerre commerciali) del presidente ad interim. ed evitare le loro possibilità di rielezione rovinando deliberatamente l’economia.
Una cosa è certa, l’élite è disperata e in grave disordine. Molto probabilmente anche l’élite è divisa. Sembra che ci siano due fazioni globaliste in competizione tra loro e che vogliono seguire strategie molto diverse. Una fazione sostiene Trump e l’altra è contro di lui. Forse, uno che vuole fare le cose con forza e un altro che vuole vincere di nascosto. Potrebbe essere il Pentagono e il complesso militare-industriale di fronte all’élite finanziaria, che possiede anche i media. La mia argomentazione non dipende dalla veridicità di queste linee di demarcazione, ma ci deve essere una pausa nel contrasto tra le élite, altrimenti Trump sarebbe già stato espulso con tutta quella pressione su di lui.
Riassumendo,
il mondo occidentale è in crisi: la schiacciante dominazione geopolitica precedente è andata e viene; le soluzioni militari contro i principali avversari, Cina e Russia, sono prive di possibilità; le guerre ibride contro di loro sono fallite; Cina e Russia sono economicamente più forti che mai, troppo forti per l’avversario; e, per cominciare, le economie domestiche occidentali hanno una forma di crisi straordinaria, rischiando una depressione di proporzioni epiche.


*Jon Hellevig Nato il 26 febbraio 1962 (57 anni) Helsinki ,
Nazionalità Finlandese - Avvocato, scrittore e politico finlandese. Risiede in Russia, uomo d’affari finlandese che lavora in Russia dai primi anni ’90. È il managing partner della società legale con sede a Mosca Hellevig, Klein & Usov Llc. Hellevig ha scritto libri sulla legislazione e la società russe e scrive colonne per i media russi . Hellevig è stato candidato alle elezioni del Parlamento europeo nel 2014.


Fonte: Russia Insider
Traduzione: Sergei Leonov

mercoledì 18 settembre 2019

Camera: Aula nega arresti domiciliari per Sozzani (Fi).

Diego Sozzani nella foto del suo profilo Facebook © ANSA

A luglio la Giunta delle Autorizzazioni aveva dato l'ok con il sì di Pd e M5S.

L'Aula della Camera ha negato l'autorizzazione all'applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti del deputato di Forza Italia Diego Sozzani. I voti a favore sono stati 235, 309 i contrari, un astenuto. A fine luglio la Giunta per le Autorizzazioni di Montecitorio si era invece espressa per l'ok ai domiciliari a maggioranza, con il voto a favore di M5S e Pd: una decisione annullata oggi dall'Assemblea, a scrutinio segreto.
L'Aula della Camera ha anche negato l'uso delle intercettazioni delle conversazioni del deputato di Fi Diego Sozzani, chiesta nell'ambito di un procedimento per finanziamento illecito relativo ad una fattura di diecimila euro. Il voto dell'Assemblea conferma la decisione assunta dalla Giunta per le Autorizzazioni presieduta da Andrea Delmastro (Fdi), nel senso del diniego dell'uso delle intercettazioni, che sono state realizzate dagli inquirenti 'a strascico' con un Trojan installato su un dispositivo di un collaboratore del deputato di Forza Italia. L'autorizzazione è stata negata con 352 sì, 187 no e due astenuti. Solo i deputati M5S hanno votato per la concessione dell'autorizzazione. L'Assemblea dovrà ora esprimersi sulla richiesta di arresti domiciliari nei confronti di Sozzani.
"Qualcuno dice che il voto odierno "è tema di Governo", io rispondo "è tema di valori". Oggi chi ha votato contro l'arresto di Sozzani dovrebbe risponderne davanti all''opinione pubblica - il leader M5S Luigi Di Maio su facebook ha commentato il voto su Sozzani -. E invece a causa del voto segreto, non ne risponderà davanti agli italiani. È proprio in questi casi che emerge tutta la differenza tra noi e il resto del sistema. Qui non si tratta di giustizialismo o di presunzione di innocenza. Qui si tratta di normalità, di regole".
"Il voto segreto va abolito. Ognuno deve assumersi le sue responsabilità - spiega Di Maio - . Da parte nostra, orgogliosi di aver dimostrato ancora una volta di essere l'unica forza politica in grado di interpretare un principio sacrosanto e inderogabile, quale è quello della giustizia sociale". Voto sul quale, spiega Di Maio, "solo il MoVimento 5 Stelle ha votato compatto a favore degli arresti domiciliari e sulla richiesta di autorizzazione dei giudici a utilizzare intercettazioni".