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mercoledì 18 settembre 2019
domenica 3 febbraio 2019
Perché Sì. - Marco Travaglio
Più crescono i 5Stelle contrari all’autorizzazione a procedere su Salvini nel caso Diciotti, più aumentano gli elettori e i simpatizzanti che ci scrivono inferociti e/o sconcertati per quello che considerano un tradimento imperdonabile e un suicidio di massa. E hanno almeno 10 buoni motivi per pensarlo.
1. Il premier Giuseppe Conte, da giurista, spiega che qui “l’immunità non c’entra nulla”. E ha ragione. Aggiunge: “Chi ha letto le carte sa che è stato un atto politico”. E anche questo è vero. Ma il fatto che un atto sia politico non implica che sia anche legittimo o lecito, né tantomeno che vada sottratto al giudizio della magistratura: altrimenti qualunque governo nazionale e giunta locale sarebbero autorizzati a violare impunemente le leggi con atti politici senza che i tribunali possano sanzionarli.
2. Ancora il premier: “Bisogna avere chiaro il quesito giuridico a cui saranno chiamati a rispondere i senatori: se Salvini abbia agito per il perseguimento di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o di un interesse pubblico inerente alla funzione di governo; o se abbia agito al di fuori del suo ruolo ministeriale per i suoi propri interessi personali”. E qui Conte ha ragione fino al punto e virgola.
Su quei 5 giorni di divieto di sbarco per i migranti dalla nave Diciotti, le possibilità non sono soltanto le due evocate da lui (Salvini ha agito o “per un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o di un interesse pubblico inerente alla funzione di governo”, oppure “al di fuori del suo ruolo ministeriale per i suoi propri interessi personali”). Entrambe possono tranquillamente essere escluse, a vantaggio di una terza: cioè che Salvini, pur animato da finalità politico-istituzionali (richiamare l’Ue agli impegni assunti e all’accoglienza condivisa dei migranti) e non personali (i suoi interessi propagandistico-elettorali), abbia assunto una decisione discrezionale, per nulla obbligata da “un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante” o da “un preminente interesse pubblico”.
Quale sarebbe infatti l’articolo della Costituzione che gl’imponeva di vietare quello sbarco? Quale catastrofe si sarebbe abbattuta sulla Nazione se i 177 migranti fossero sbarcati nel porto di Catania dopo un giorno o due anziché dopo cinque e avessero atteso nell’hotspot le decisioni degli altri Paesi Ue? Non è vero, dunque, che l’autorizzazione a procedere squalificherebbe la scelta di Salvini come “personale” consegnandolo a condanna sicura.
Il governo può difendere quella scelta e chi la firmò, ma senza spacciarla per un obbligo costituzionale né sottrarla al giudizio della magistratura. Anche chi scrive dubita che il caso Diciotti sia stato un sequestro di persona. Ma in uno Stato di diritto spetta ai giudici stabilirlo, non alla maggioranza parlamentare (di cui l’imputato fa parte). Salvini si difenda nel (e non dal) processo e porti le sue ragioni in tribunale, insieme alle testimonianze o alle autodenunce degli alleati. Ma nessuno crei un pericoloso precedente che potrebbe in futuro consentire a questo o ad altri governi di sottrarsi al giudizio dei magistrati.
3. Salvini usa il caso Diciotti per regolare i conti con la magistratura, a nome di tutto il vecchio centrodestra. B. lo aizza alla battaglia finale contro le odiate toghe rosse. Che lo stesso vicepremier accusa, copiando dall’armamentario berlusconiano, di “invasione di campo”, come se il Codice penale non fosse il loro campo. Intanto i suoi giannizzeri, fra cui il cosiddetto ministro della Famiglia Lorenzo Fontana, raccolgono le firme in piazza, chiamando a raccolta il popolo leghista nei gazebo contro i magistrati. Una deriva eversiva che i 5Stelle – quelli di “onestà! onestà!” – devono denunciare, non assecondare.
4. I 5Stelle, Conte in primis, temono per la solidità della maggioranza e la tenuta del governo. Ma è improbabile che Salvini aprirebbe la crisi se facessero ciò che lui stesso auspicava fino a una settimana fa, cioè autorizzassero il suo processo: lo sa benissimo che gli italiani, inclusi i suoi fan, vogliono la stabilità e non il caos, men che meno il suo ritorno fra le braccia di B. Se rovesciasse il governo, sarebbe il primo a pagarne le conseguenze. In ogni caso, nessun governo vale il prezzo di una rinuncia ai valori indisponibili della legalità.
5. Un conto è la lealtà fra alleati, un altro è la complicità fra compari. Lealtà è sostenere che Salvini e tutto il governo non hanno sequestrato nessuno. Ma impedire ai giudici di stabilirlo sarebbe complicità. E sinora l’unico sleale con i partner è stato proprio Salvini, che tratta i 5Stelle come zerbini. Per cinque mesi si dice pronto a farsi processare. Poi, senza alcun preavviso, intima al M5S di salvarlo dal processo con una lettera al Corriere. Infine va a Porta a Porta a raccontare il falso, cioè di averli avvertiti. Tanto sa che il prezzo delle sue giravolte non lo pagherà lui, ma il M5S. Un “alleato” così scorretto merita a stento la lealtà, non certo la complicità.
6. Sul Tav, Salvini si comporta con la stessa slealtà del caso Diciotti. Firma, nel contratto di governo con i 5Stelle, l’impegno a “ridiscuterne integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia eFrancia”. Poi se lo scorda e dichiara mille volte che il Tav si fa. Poi si rimette all’analisi costi-benefici degli esperti incaricati dal (suo) governo nella persona del ministro Toninelli. Poi manda i suoi parlamentari a marciare due volte in piazza con i Sì Tav, a braccetto con FI e Pd, cioè con gli oppositori del (suo) governo. Poi commissiona una controanalisi costi-benefici della Lega a presunti esperti in pieno conflitto d’interessi (lavorano per i costruttori) a base di dati farlocchi (“danni fino a 24 miliardi” se si bloccano i cantieri), come se lo studio del governo fosse roba di partito dei 5Stelle. Poi va in visita ai cantieri e spaccia un tunnel geognostico per l’opera vera e propria, fortunatamente mai iniziata, chiedendo di “completarla”. E intanto pretende lealtà dai 5Stelle. E qualcuno di loro vorrebbe pure dargliela: sindrome di Stoccolma?
7. Avendo già cambiato idea una volta, Salvini potrebbe cambiarla una seconda. Poniamo che in Giunta i 5Stelle votino no all’autorizzazione a procedere, perdendo faccia, consensi, parlamentari ed elettori. Chi garantisce che in aula, all’ultimo momento, Salvini non farà il beau geste di chiedere lui stesso il processo, scavalcandoli a sinistra e lasciandoli in brache di tela?
8. Da tutte le sue giravolte e provocazioni, si capisce benissimo che a Salvini del processo Diciotti importa poco o nulla: ciò che gli interessa è affermare che comanda lui, che il governo è cosa sua. E non perché ciò sia vero, come scrive falsamente fin dal primo giorno la stampa mainstream (ignorando che finora il M5S ha prodotto molte più leggi della Lega, ferma al ridicolo dl Sicurezza); ma proprio perché sa che è falso. Non riuscendo a far nulla e avendo tradito quasi tutte le promesse, punta tutto sulla sua immagine propagandistica di uomo forte e furbo che mette nel sacco tutti. Se i 5Stelle ci tengono a finire nel suo sacco, non hanno che da negare l’autorizzazione al suo processo.
9. Quando arrivò la richiesta di autorizzazione a procedere, Di Maio annunciò che il M5S l’avrebbe concessa. Può bastare il voltafaccia di Salvini per giustificare quello del Movimento? I sondaggi insegnano che gli elettori leghisti seguono Salvini in tutte le giravolte senza fiatare perché lo considerano “il capo”; invece quelli del M5S pretendono coerenza dai propri leader ed eletti, perché li considerano i propri “dipendenti”.
10. I 5Stelle hanno sempre ripetuto che il Movimento prescinde dagli eletti del momento (“uno vale uno” e tutti scadono dopo due mandati, compreso il capo politico). Ciò che conta sono il mitico “programma” e i valori retrostanti, dall’onestà alla legalità. Se gli attuali capi ed eletti pro temporesalvassero Salvini dal processo, non perderebbero soltanto la propria diversità e la propria innocenza, ma comprometterebbero quelle dell’intero movimento, invece di consegnarle intatte a chi verrà dopo di loro. Sempreché, dopo di loro, i 5Stelle esistano ancora.
mercoledì 19 agosto 2015
Permessi edili, una sentenza cambia le regole Nessuna autorizzazione per i manufatti. - Armando Yari Siporso
Costruire ed installare pergolati e strutture amovibili su balconi e terrazzi privati è possibile anche senza chiedere alcuna autorizzazione al Comune. La sentenza 1777/2014 del Consiglio di Stato chiarisce una questione da anni dibattuta, aprendo di fatto la strada a proprietari ed inquilini che intendano sfruttare al meglio le superfici esterne delle proprie abitazioni e dei propri uffici.
Non occorre chiedere alcun “Nulla osta” alle amministrazioni locali – si legge nella sentenza – per “strutture di arredo, installate su pareti esterne dell’unità immobiliare ad esclusivo servizio, costituite da strutture leggere e amovibili, caratterizzate da elementi in metallo o in legno di esigua sezione, coperte da telo anche retrattile, stuoie in canna o bambù o materiale in pellicola trasparente, prive di opere murarie e di pareti chiuse di qualsiasi genere, costituite da elementi leggeri, assemblati tra loro, tali da rendere possibile la loro rimozione previo smontaggio e non demolizione – dal momento che queste opere – non configurano né un aumento del volume e della superficie coperta, né la creazione o modificazione di un organismo edilizio, né l’alterazione del prospetto o della sagoma dell’edificio cui è connessa, in ragione della sua inidoneità a modificare la destinazione d’uso degli spazi esterni interessati, della sua facile e completa rimovibilità, dell’assenza di tamponature verticali”.
Il permesso di costruire, in genere, è un atto amministrativo rilasciato dal Comune che trova la propria disciplina nell’art. 10 del d.p.r. n. 380/2001 per cui: “Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire: gli interventi di nuova costruzione; gli interventi di ristrutturazione urbanistica; gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici o che comportino mutamenti della destinazione d’uso nonché gli interventi che causino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni”.
E proprio le tante modificazioni alla normativa avvenute nel corso degli anni hanno generato una certa confusione nei cittadini chiamati ad interpretarle per esercitare i propri diritti senza commettere abusi.
Alla luce dell’art. 10 del d.p.r. n. 380/01, in via generale, le nuove costruzioni e gli interventi di ristrutturazione edilizia e urbanistica di un certo rilievo sono quasi sempre soggetti al rilascio del “nulla osta”, ma ora, con la sentenza del Consiglio di Stato, si apre una nuova strada per l’installazione di strutture prive di opere murarie e di pareti chiuse di qualsiasi genere, costituite da elementi leggeri.
giovedì 12 febbraio 2015
Cura Di Bella gratis in tutta Italia.Un giudice ne autorizza la somministrazione gratuita. -
E’ trascorso ormai molto tempo da quando, negli anni Novanta, in Italia, imperversava il dibattito sulla tanto discussa cura Di Bella, bocciata nel ’98. Eppure, oggi, mentre nel nostro Paese non si fa altro che parlare di un altro controverso metodo Stamina, la terapia messa a punto dal dottor Luigi Di Bella torna a far parlare di sé.
Il giudice del Lavoro del Tribunale di Brindisi, Maria Cristina Maffei, ha infatti disposto, con una ordinanza dello scorso 14 aprile, alla Asl della stessa città di autorizzare la somministrazione gratuita per 12 mesi del multi trattamento antitumorale noto come Terapia di Bella.
Lo rende noto Giovanni D’Agata, presidente dello Sportello dei Diritti di Lecce, associazione che da anni si batte anche per la tutela dei diritti dei malati.
Il magistrato del tribunale salentino, aderendo all’orientamento secondo cui l’articolo 32 della Costituzione che tutela il diritto alla salute ha immediata efficacia precettiva, ha dichiaratamente «posto a carico del Servizio Sanitario Nazionale l’onere economico necessario a permettere la somministrazione di farmaci facenti parte del Metodo Di Bella se questi, nel concreto, risultino terapeuticamente efficaci e insostituibili stante l’inutilità del trattamento autorizzato e garantito dal Cup».
In virtù di ciò,per via di questa iniziativa,facendo sempre appello all’articolo 32 della costituzione, esiste una seria possibilità che la cura Di Bella venga definitivamente approvata in Italia e diventi a totale carico dello stato, in quanto produce benefici.
In un altro caso analogo
Il giudice del Lavoro del Tribunale di Lecce, infatti, ha ordinato all’Asl la somministrazione gratuita della cura per una paziente malata di tumore rilevando come “la terapia ufficialmente riconosciuta “sia stata inefficace nel caso” di una donna, mentre il metodo Di Bella “oltre che notevoli benefici di tipo soggettivo, ha prodotto anche un miglioramento obiettivo e iconografico”.
A nulla valgono dunqe le preoccupazioni del mondo scientifico in merito. Con la sentenza notificata il 28 gennaio scorso, il giudice del tribunale pugliese, Francesca Costa, ha condannato ugualmente la Asl a rimborsare la donna con 25mila euro, ovvero le spese sostenute per la terapia Di Bella. Per il magistrato, infatti, “dagli ultimi documenti emerge una situazione clinica in cui accanto ad una progressione di malattia sono evidenti riduzioni e addirittura la scomparsa di alcune lesioni con un miglioramento rispetto al periodo pre-trattamento che rende il trattamento stesso insostituibile“.
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