mercoledì 6 gennaio 2021

Giuseppe Conte e il tramonto del renzismo. - Tommaso Merlo

 

Quest’anno drammatico si chiude con Giuseppe Conte sotto pressione da parte di quello che rimane del renzismo. Un partitino nato in parlamento raccogliendo fuoriusciti che nonostante non esista nel paese paventa la crisi ogni santo giorno. Un tira e molla riprovevole che ricorda la peggiore egopolitica del passato. Un tira e molla intollerabile perché nel bel mezzo di una devastante crisi pandemica globale che sta mettendo in ginocchio il paese. Decine di migliaia di morti. Macerie economiche, macerie sociali, macerie psicologiche e spaventosi interrogativi per il futuro. In uno scenario di tale gravità era lecito attendersi senso di responsabilità da parte di tutta la politica nostrana. Ed invece le opposizioni sovraniste tentano di lucrare voti fin dal paziente uno mentre quello che rimane del renzismo ha ricominciato a minare il governo di cui fa parte. Invece cioè di lavorare e dare il proprio contributo, quello che rimane del renzismo aizza i giornali e i social con lamentele e provocazioni e ultimatum colpendo Giuseppe Conte in uno dei momenti più topici. La gestione dall’uscita dal tunnel e la progettazione della ripartenza. Un tira e molla politicamente assurdo. Il renzismo è stata una fase politica breve e miseramente tramontata per sempre. È stata una sbornia a destra del Pd. Non riscendo cioè a partorire mezza idea, il Pd ha copiato quelle neoliberiste. Tradendo la sua storia, tradendo i suoi ideali, tradendo le classi sociali che diceva di voler tutelare. Il Pd renziano pensava che andando a braccetto con lobby e padroni sarebbe ripartita la crescita e quindi tutto il paese. Ed invece han solo falcidiato i diritti sociali e fatto dilagare povertà e ingiustizia sociale e l’Italia ha continuato ad occupare gli ultimi posti di tutte le classiche europee. Anche tutti i loro maldestri tentativi di riforma sono finiti male. Una stagione davvero rovinosa e aggravata da due errori storici. La sottovalutazione della questione morale e quella dell’impatto di un’immigrazione clandestina di massa finita fuori controllo. Quello che rimane del renzismo parla spesso di populismo come causa di tutti i mali, ma se è scoppiato il populismo la colpa è loro. La colpa è di una fantomatica sinistra che ha rinnegato le sue radici e che arroccata nei palazzi ha perso completamente il polso di quello che succedeva fuori. La paura, la rabbia, la miseria morale ed economica. Il renzismo è stato il colpo di grazia al centrosinistra italiano e se è esploso il Movimento e il sovranismo, lo si deve proprio ai disastri del vecchio sistema partitocratico in cui destra e sinistra erano diventati la stessa identica cosa. Lo si vede anche oggi, quello che rimane del renzismo e quello che rimane del berlusconismo sono cocci sovrapponibili di quella deleteria stagione. Ma invece di prenderne atto e mettersi al servizio del nuovo corso, quei cocci tramano per una fantomatica risurrezione affidandosi ai soliti vecchi giochetti di palazzo. Poveri illusi. La storia non ha la retromarcia e la nefasta era degli egopartitini è alle spalle. Se lo capiranno da soli bene, altrimenti ci penseranno gli italiani nelle urne. Un presidente del consiglio serio, specchiato e capace come Giuseppe Conte non si vedeva da decenni in Italia. Se venisse tradito dopo quello che sta facendo per il paese e in un momento così drammatico, altro che ammucchiata parlamentare per rimpiazzarlo. Tutti al voto per un 4 marzo bis ancora più devastante. Per riconfermare Giuseppe Conte, per riprendere il cammino interrotto e per sbarazzarsi una volta per tutte dei cocci di una stagione politica fallimentare che non vogliono rassegnarsi al loro irreversibile tramonto.  

Tommaso Merlo

https://repubblicaeuropea.wordpress.com/2020/12/31/giuseppe-conte-e-il-tramonto-del-renzismo/

Poltrone, valigie e alti ideali. - Antonio Padellaro

 

Pure ieri le ministre di Italia Viva, Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, hanno comunicato al Paese di avere “le valigie pronte”, a conferma dell’estrema gravità di una decisione che è politica e non certamente legata alle “poltrone”. Esse infatti si dicono pronte a “lasciare” a un segnale del loro leader e mentore, Matteo Renzi. Tra le suppellettili più o meno figurate del potere, le valigie e le poltrone ricorrono spesso, quasi sempre in simbiosi poiché come nel caso in esame si fanno le valigie quando si lasciano le poltrone, o viceversa. E nel lasciare le poltrone – se animati da quello spirito di servizio che certamente ispira la ministra dell’Agricoltura e quella per le Politiche della famiglia – non si esita, non si indugia, non si rimugina, non si ritarda neppure di un minuto, tanto è vero che le valigie sono là belle che pronte, presumibilmente accanto alle poltrone.

Una simbologia che denota un deciso e lodevole distacco dagli orpelli del comando, dalle tentazioni terrene – oh vanitas vanitatum – ma che tuttavia possono lasciare irrisolte alcune domande sulle modalità del drammatico abbandono. Curiosità niente affatto banali considerata l’eccezionalità del duplice e coordinato gesto all’interno di un costume politico generalmente poltronista e arraffone. Per esempio, poiché è da almeno un paio di settimane che le ministre hanno fatto sapere che “le valigie sono pronte”, ci auguriamo che nel frattempo abbiano avuto un cambio di abiti a portata di mano. Anche perché, su certi principi, Matteo non transige: quando uno annuncia lascio la poltrona la lascia e basta. Non è che dice che se perde il referendum si ritira dalla politica, e poi non si fa niente (forse perché non aveva preparato il trolley).

Poi c’è lo straordinario caso di Ivan Scalfarotto, sottosegretario agli Esteri di Iv, che afferma: “Io le dimissioni le ho già date a febbraio, ma Renzi mi ha detto di aspettare”, ed è la pura verità. Dunque è quasi un anno che, a causa di una disposizione contraddittoria, costui ha lasciato la poltrona, ma non ancora la stanza dove si presume sosti restando in piedi (ogni tanto forse una corsetta per sgranchirsi le gambe) con accanto un nécessaire

con il rasoio e lo spazzolino. Potete immaginare perciò la disperazione del poveretto quando il capo ha dichiarato a Conte “non vogliamo strapuntini”, che un riposino se lo sarebbe pure meritato. Questa, per sommi capi, è la vita aspra di chi ha giurato fedeltà a un ideale.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/06/poltrone-valigie-e-alti-ideali/6056713/#

Perché lo fa? - Marco Travaglio

 

Più leggiamo le spiegazioni di Messer Due Per Cento sulla crisi di governo, giunte ieri a quota 937, più abbiamo la sensazione che quella vera sia la numero 938. Secondo voi, qual è? Sondaggio a risposta multipla.

1. Conte è presidente del Consiglio e lui no.

2. Conte è primo nei sondaggi e lui ultimo.

3. Tra due mesi e mezzo Conte supera i suoi giorni di permanenza a Palazzo Chigi e lui rosica.

4. Per stare fisso su tutti i giornali e le tv deve minacciare la crisi di governo fissa.

5. Così Iv ha più interviste che voti, persino a Bellanova e Rosato, financo a Bonetti e Scalfarotto.

6. Così, mentre il governo fa le notti sul Covid e sulla scuola, lui sta da Porro a fare il fenomeno.

7. Italia viva è morta e lui non ha un cazzo da fare.

8. Anche le pulci hanno la tosse.

9. Gli han detto che Draghi non vede l’ora di mettersi al suo servizio. E lui ci ha creduto.

10. Gli han detto che, se piazza Guerini all’Interno e Rosato alla Difesa, lo fanno segretario generale della Nato, e pure del Patto di Varsavia. E lui ci ha creduto.

11. L’altro Matteo gli ha detto che lo vuole leader del centrodestra. E lui ci ha creduto.

12. I miliardi del Recovery sono 209, le prossime nomine sono 500 e Gli avvoltoi hanno fame (per le querele, rivolgersi a Don Siegel per il film con Clint Eastwood e Shirley MacLaine).

13. Crede che il Mes sia una roba che si mangia.

14. De Benedetti è a digiuno di insider da Palazzo Chigi.

15. I finanziatori di Open, dopo le ultime perquisizioni, hanno interrotto i bonifici.

16. Gliel’han chiesto babbo Tiziano, Alfredo Romeo e Carlo Russo in un baretto a Firenze.

17. È la prima clausola del Patto di Rebibbia con Verdini.

18. La Boschi ha la faccia come la Boschi e del resto, “dopo una certa età, ognuno è responsabile della sua faccia” (per le querele, rivolgersi ad Albert Camus).

19. Vuole entrare nel Guinness dei primati come il primo politico al mondo che finisce sotto zero nei sondaggi.

20. Vuole finalmente mantenere la promessa di lasciare la politica e si butta nel racket.

21. Scrivere letterine a Conte gli dà più gusto che scriverle a Babbo Natale, che gliele respinge sempre al mittente.

22. Confonde i servizi segreti con i servizi igienici.

23. Vuole la Boschi ministra perché non sopporta un governo senza indagati e neppure lui sa chi siano queste Bellanova&Bonetti.

24. Raccontare 937 balle in un solo mese e venire creduto è una novità persino per il Bomba.

25. Da piccolo lo prendevano tutti in giro e ora si vendica sul primo che capita.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/06/perche-lo-fa/6056682/

Tutti i ricatti renziani a giornaloni unificati. - Lorenzo Giarelli

 

Cinquanta interviste in un mese, solo per restare ai quotidiani nazionali. Con menzione speciale per Teresa Bellanova, capace di farsi ospitare 10 volte da 8 giornali diversi.

Sfogliando le principali testate, non si fa fatica a capire la strategia comunicativa di Italia Viva durante la crisi di governo. Da un mese i renziani riempiono i giornali di condizioni, appelli, moniti, avvisi che i quotidiani sono ben lieti di accogliere, distribuendosi ogni mattina gli intervistati. Qui forniamo un didascalico resoconto.

5 dicembre: Teresa Bellanova sul Foglio, Matteo Renzi su La Stampa. 6.12: Bellanova su Avvenire. 7.12: Bellanova sul Messaggero, Renzi su Repubblica. 8.12: Maria Elena Boschi sul Corriere, Davide Faraone sul Foglio e su La Stampa, Ettore Rosato sul Messaggero. 9.12: Faraone sul Dubbio, Rosato su Avvenire, Bellanova su Repubblica. 10.12: Luciano Nobili sul Dubbio, Boschi su La Stampa. 11.12: Renzi sul Messaggero. 12.12: Renzi su La Stampa, Michele Anzaldi sul Giornale. 13.12: Gennaro Migliore sul Mattino, Bellanova sul Corriere. 14.12: Elena Bonetti su Repubblica. 15.12: Rosato sul Foglio, Faraone sul Mattino. 16.12: Boschi sul Messaggero, Rosato su Qn. 17.12: Nobili sul Foglio, Luigi Marattin sul Riformista, Rosato su La Stampa, Bellanova sul Foglio. 18.12: Renzi sul Corriere, Bellanova su Mattino e La Stampa. 21.12: Rosato su Repubblica, Bonetti sul Corriere.

E ancora, il 22.12: Faraone sul Dubbio. 23.12: Boschi sul Foglio, Bellanova su La Stampa. 30.12: Raffaella Paita su Repubblica, Bellanova sul Corriere. 31.12: Boschi su Avvenire, Ivan Scalfarotto sul Corriere, Renzi sul Sole 24 Ore. 2.1: Renzi sul Messaggero, Boschi su Repubblica. 3.1: Bonetti su Avvenire, Rosato su La Stampa. 4.1: Renzi sul Corriere, Bonetti su Repubblica, Faraone sul Giornale, Rosato sul Mattino. 5.1: Scalfarotto sul Foglio.

Il totale è di 50 interviste in 30 giorni, con Bellanova a quota 10, Renzi e Rosato a 8, Boschi e Faraone a 6. Tra i quotidiani, il record ce l’ha La Stampa con 8 interviste, poi Corriere, Repubblica e Foglio a 7, Messaggero a 5 e Mattino, che appartiene allo stesso gruppo, a 4.

E proprio i grandi gruppi editoriali, più che i renziani, sembrano essere i protagonisti di questa storia. Molti proprietari dei quotidiani sono da tempo forti oppositori del Conte 2 e le bizze di Iv possono essere il grimaldello per un ribaltone. Basti pensare a cosa disse qualche mese fa Carlo De Benedetti, fondatore del Domani: “Per isolare Salvini e Meloni trangugio anche Berlusconi, purché col benservito a Conte, che rappresenta il vuoto pneumatico ed è peggio di Berlusconi”.

Chi meglio impersonifica questo desiderio diffuso è Sabino Cassese, già giudice della Corte costituzionale e ora instancabile editorialista (quando non è intervistato) su metà dei quotidiani sopracitati. Giusto per stare alle ultime uscite, il 3 gennaio, sul Giornale, Cassese ha parlato di un esecutivo che “disprezza il Parlamento”. Quattro giorni prima, eccolo sul Corriere a commentare la manovra, i cui autori “non hanno avuto paura del ridicolo” nel partorire questa “apoteosi del corporativismo in salsa populista”, giacché “dietro le quinte” agiscono “brokers, lobbies e organizzatori di categoria”. Prima di Natale, Cassese era su Libero: “Il premier è un pirata, usurpa i poteri dei ministri e dei governatori. Draghi? Avrebbe autorevolezza ed esperienza”.

L’idea di un nuovo premier stuzzica anche Carlo Verdelli, che due giorni fa sul Corriere ha stroncato il governo: “Non è mai stato un governo normale. Ha trovato un senso nella prima emergenza, l’ha perso durante l’estate e da allora non l’ha più recuperato”. Soluzioni? “Sostituire chiunque abbia una qualche responsabilità. Resta da capire se c’è la volontà di mettere subito nei posti chiave donne e uomini capaci”.

E che dire di Stefano Folli, che su Repubblica ha già celebrato il funerale dell’esecutivo: “È la difficoltà del premier di garantire un sufficiente grado di efficienza nella messa in opera del Recovery a infastidire i partner. Una questione di credibilità, in primo luogo”. Quanto al Messaggero della famiglia Caltagirone, basta l’ultimo editoriale di Carlo Nordio: “Può un giovane fidarsi di un governo che lo ha gettato nella confusione totale? Insieme alla fiducia, rischia di perdere anche quel residuo di disciplina che nasce solo dalla convinzione di uno scopo condiviso. Uno scopo che il governo non riesce nemmeno più a elaborare, tra promesse ondivaghe e reiterati rinvii. Che, come è noto, sono, assieme all’indecisione, i genitori del fallimento”. E crisi sia.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/06/tutti-i-ricatti-renziani-a-giornaloni-unificati/6056691/

Mattarella ha firmato decreto con misure anti-covid. - Luca Laviola

 

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha firmato in serata il decreto legge con misure anti-covid approvate dal consiglio dei ministri di lunedì notte.

Di certo, o quasi, c'è solo il periodo fino al 15 gennaio, data di scadenza del Dpcm in vigore.

Poi nella gestione della pandemia da Coronavirus e della libertà di movimento degli italiani ci vorranno nuove disposizioni del governo. Fino alla scadenza dello stato d'emergenza il 31 gennaio, che potrà essere rinnovato ancora per sei mesi per arrivare al 31 luglio.

Fino a domenica 10 gennaio, infatti, varranno le stesse regole per tutta Italia, seppur diverse giorno per giorno, mentre da lunedì si ritornerà alle zone di colore, che cambieranno in ogni regione dopo il nuovo monitoraggio. Bisognerà quindi aspettare venerdì prossimo 8 gennaio per conoscere le decisioni del ministro della Salute Roberto Speranza in base ai dati del contagio che attribuiranno i colori alle regioni (rosso, arancione e giallo).

I parametri di valutazione cambieranno in senso più restrittivo: per passare da giallo ad arancione ci vorrà un indice di contagio Rt di 1 (prima era 1,25) e per la zona rossa Rt a 1,25 e non più a 1,50.

Il 6 gennaio, giorno dell'Epifania, ancora zona rossa con divieto di spostamento se non per motivi di necessità, salute e lavoro, per ricongiungimenti familiari o per fare visita ad amici o parenti una sola volta al giorno, con autocertificazione. Previste tutte le altre disposizioni del massimo livello di contenimento che abbiamo imparato a conoscere in questi 10 mesi.

Giovedi 7 e venerdi 8 gennaio il Paese torna in giallo, ma con divieto di spostamento tra regioni, salvo i consueti casi previsti. Ci si potrà muovere all'interno della propria regione. Coprifuoco sempre dalle 22 alle 5 dell'indomani. Bar e ristoranti potranno riaprire in quei due giorni fino alle ore 18, poi solo asporto fino alle 22 e consegna a casa. Negozi aperti fino alle 20, via libera anche ai centri commerciali. 

Sabato 9 e domenica 10 l'Italia tornerà arancione, e si prevede che sia così per tutto gennaio, ogni weekend. Vietato muoversi da regione e da comune, tranne le consuete eccezioni anche per centri con meno di 5 mila abitanti (in un raggio di 30 chilometri), sempre con autocertificazione. Bar e ristoranti aperti, ma solo per asporto (fino alle 22) e consegna a domicilio. Negozi aperti, centri commerciali chiusi.

Da lunedì 11 a venerdì 15 gennaio si entra in una fase al momento senza certezze, dipenderà dalla divisione in fasce di colore. Saranno in ogni caso vietati gli spostamenti tra regioni, anche gialle. Nelle zone rosse la deroga agli spostamenti per due persone per andare a trovare amici o familiari è limitata al comune e non più alla regione come nelle feste di Natale.  

In generale per la seconda metà di gennaio si valuteranno i dati del contagio per le restrizioni.

https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2021/01/05/covid-le-misure_2b945e85-3ac6-4820-a8a7-f04f22a0b1b3.html

martedì 5 gennaio 2021

Trattativa Stato-mafia: solo il buon giornalismo ne parla. - Marco Lillo

 

La trasmissione Report dedicata ieri alle stragi e alla trattativa Stato-mafia è una prova di grande giornalismo e “servizio pubblico”. L’inchiesta firmata da Paolo Mondani e Giorgio Mottola ha messo in fila elementi già esaminati dal Fatto, dai nostri documentari Sekret (su www.iloft.it) e nei libri La Repubblica delle stragi e Padrini fondatori, editi dalla nostra PaperFirst.

Il grande merito di Report è stato lavorare sodo su quella base di informazioni per tirar fuori un racconto inedito pieno di rivelazioni, che mette in sequenza la storia della politica italiana, della mafia, della massoneria e delle stragi.

Mondani e Mottola finalmente hanno riunito due film che finora scorrevano su schermi paralleli. C’erano le trasmissioni sulle stragi solitamente in occasione degli anniversari della morte degli eroi antimafia. E c’erano i documentari sull’evoluzione della politica italiana. Accostare le due storie era un tabù, finalmente rotto in prima serata sulla Rai. Tutti i giornalisti dovrebbero cercare risposte alle troppe domande poste dai misteri del periodo 1992-1994 e dai legami tra questi misteri e quelli del decennio precedente.

Finora invece i media mainstream hanno delegato questo compito ai magistrati di Palermo e Reggio Calabria e a pochi giornalisti ‘eretici’ come quelli del Fatto. Report, diretto da Sigfrido Ranucci, e la Rai3 diretta da Franco Di Mare, hanno avuto il merito di non ‘evitare’ gli snodi più sensibili politicamente.

La trasmissione di ieri segna un punto di non ritorno. Non si potrà più parlare delle stragi da un lato e delle indagini su Berlusconi e Dell’Utri senza spiegare perché i due fondatori di Forza Italia siano indagati per le stragi del 1993 a Firenze e Milano e per gli attentati di Roma, fatti dalla mafia. Il Fatto ha approfondito più volte i retroscena e le ragioni che hanno portato i pm a iscrivere nel registro degli indagati per le stragi del 1993 il politico che ha dominato la scena imprenditoriale e poi quella politica per decenni. Si tratta di ipotesi di accusa che fanno tremare i polsi e che vanno verificate tenendo sempre a mente la presunzione di innocenza, ma non si può ignorarle. Le grandi tv e i grandi quotidiani invece hanno sempre ignorato questi temi. Se nomi come Graviano, Bellini o Ilardo sono semisconosciuti al pubblico è merito di questa congiura del silenzio.

Sigfrido Ranucci, il conduttore e ‘capo’ di Report, ha avuto il coraggio di rompere questo tabù. Così ha una valenza simbolica la trasmissione di parte dell’intervista a Paolo Borsellino in cui il magistrato parla nel 1992 a due giornalisti francesi di Berlusconi e dei rapporti di Dell’Utri con il mafioso Vittorio Mangano. Proprio Ranucci scovò quell’intervista scomparsa e la trasmise 20 anni fa con grande difficoltà a tarda notte per pochi intimi solo su Rainews. Poi Marco Travaglio ne scrisse e ne parlò nella trasmissione Satyricon di Daniele Luttazzi, mentre Enzo Biagi osò citarla. Infine Michele Santoro la trasmise più ampiamente facendo infuriare in diretta Berlusconi.

Dopo la vittoria alle elezioni nel 2001 tutti sparirono dagli schermi: Biagi, Santoro e Luttazzi.

Ranucci proseguì la sua ricerca in un libro sull’uccisione di un confidente, Luigi Ilardo, che stava raccontando i retroscena della trattativa al colonnello del Ros Michele Riccio (Il Patto, Chiarelettere, con Nicola Biondo). Ieri nella puntata di Report, proprio Ranucci ha trasmesso quell’intervista sparita al giudice. E nello speciale c’era anche l’intervista di un ex detenuto che metteva in guardia proprio Ranucci nel 2016 perché il boss Madonia, a suo dire, voleva ucciderlo proprio per quel libro.

Chi scava nei rapporti tra mafia, apparati dello Stato e politica rischia molto. Non solo la vendetta della mafia.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/05/trattativa-stato-mafia-solo-il-buon-giornalismo-ne-parla/6055666/

Nessuno tocchi Gallera. - Marco Travaglio

 

Siccome corre voce che la Lega voglia privarci di Giulio Gallera, lo diciamo chiaro e forte: non ci provate. In tempi così cupi, manca solo che ci venga a mancare la nostra prima fonte di buonumore. E perché, poi? Perché – dicono i leghisti – “le sue dichiarazioni non sono state condivise e non rappresentano il pensiero del governo della Lombardia”. Ma scherziamo? Avete mai visto un comico che concorda battute, gag e sketch con un partito? Non contenti di avergli chiuso i teatri, ora vorrebbero pure imbrigliare la sua creatività artistica. E poi come sarebbe che le sue dichiarazioni non rappresentano il pensiero della giunta? E chi lo decide, il pensiero: Fontana dalle Bahamas o da un caveau svizzero? Gallera è il miglior rappresentante del pensiero (si fa per dire) del governo (si fa sempre per dire) lombardo. E non si vede cos’abbia detto di strano rispetto ai suoi standard. Ha solo raccontato alla Stampa che “abbiamo medici e infermieri con 50 giorni di ferie arretrate. Non li faccio rientrare per un vaccino nei giorni di festa” e ovviamente non è vero. Ma perché: le cazzate che han detto lui e Fontana nell’ultimo anno erano forse vere e concordate con la Lega? Poi ha rivelato che “abbiamo preparato un’agenda” e lì ha scoperto che “il 31 era l’ultimo giorno dell’anno”. Fatto vero, fra l’altro, anche se l’ha notato solo lui: infatti altre Regioni hanno seguitato a vaccinare pure il 31, decuplicando le dosi iniettate dal famoso modello Lombardia.

E lui giustamente se l’è presa con quelle che han fatto meglio (tutte, salvo Molise, Calabria e Sardegna): “Agghiacciante. Han fatto la corsa per dimostrare di essere più brave di chissà chi”. Cioè di lui. Anche qui ha ragione da vendere: ma come, invece di stare tutti fermi in attesa che la Lombardia tornasse dalle ferie, si mettono a vaccinare medici, infermieri e anziani pure il 31 per farla sfigurare? Ma si fa così? Non è sportivo. Si chiama recidiva: certe Regioni hanno persino comprato i vaccini antinfluenzali solo per sputtanare la Lombardia che invece, furba lei, aveva evitato. Basta, c’è un limite a tutto. Noi siamo con lui. E lanciamo una petizione a nome di tutto il mondo dell’avanspettacolo: “Giù le mani da Gallera”. A meno che non si trovi un altro assessore alla Sanità che non conosce la legge 833/ 1978 “Istituzione del Servizio Sanitario nazionale”. O chiama “ospedale” il baraccone di Bertolaso in Fiera. O impone le mascherine all’aperto, ma precisa che vanno bene pure “sciarpe e foulard”. O, sull’indice R0 a 0,5, spiega che “ora bisogna trovare due persone infette allo stesso momento per infettare me”. O vanta, tra le referenze, quella di “Cavaliere del Bollito Misto”. Un altro cabarettista così deve ancora nascere. Guai a chi ce lo tocca.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/05/nessuno-tocchi-gallera/6055621/