Posso anche togliere il disturbo, ma, certamente, non perché lo dici tu o quegli altri due o tre. Vedete, io non sono un politico di professione. La mia professione è un'altra. Io sono stato chiamato a guidare il Governo perché c'era bisogno di una persona credibile e ce n'era bisogno perché voi non lo eravate più, non eravate più presentabili, perché voi l'avete sporcata, la politica. L'avete macchiata in maniera indelebile. Voi l'avete trasformata in business personale, in interessi di parte, in favoritismi di comodo. Avete trasformato il "bene comune" in "bene di pochi", avete trasformato la solidarietà in odio, la compassione in derisione, l'amore in indifferenza. Avete trasformato il diverso in nemico da combattere. E lo avete gridato e lo avete rivendicato, senza nessuna vergogna.
Neanche "sei milioni di motivi" vi hanno cambiato, neanche "sei milioni di motivi" vi hanno commosso. Neanche la puzza dei forni crematori che ancora arriva, vi ha fatto versare una lacrima.
Neanche le urla di dolore e le menti martoriate vi hanno intenerito.
Siete rimasti quelli di allora. Persone senza umanità, senza anima, senza cuore.
Avete la visione del mondo di "esisto solo io" in un mondo di oltre sette miliardi di persone. Avete la visione del mondo di "prima noi" in un mondo globalizzato. Conoscete solo l'amor proprio e non l'amore per il prossimo, l'amore per la falsita' e non per la verità, l'amore per il potere e non quello per il popolo.
Io posso anche togliere il disturbo, tornare alla vita di prima, alla vita di sempre. Non è un problema, per me.
Posso senz'altro ritornare ad insegnare e a fare l'avvocato. E lo farei con amore e con passione, come tutte le mie cose. Posso tornare dai miei ragazzi e posso farlo a testa alta, conscio di avere servito il mio paese, con dedizione e passione, con impegno e sagacia. Con l'unico pensiero di fare il bene di tutti. Il bene dei miei concittadini.
Io posso ritornare al mio lavoro, finita la mia esperienza politica.
E voi, cosa farete nella vostra futura vita? Vi resterà solo il vostro odio. Negli occhi, nella mente e nel cuore.
Questo è Giuseppe Conte.
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
mercoledì 20 gennaio 2021
C'ERA BISOGNO DI UNA PERSONA CREDIBILE E CE NE ERA BISOGNO PERCHÈ VOI NON LO ERAVATE PIÙ!. - Golia Giovanni
Governo: Bettini, la rottura con Renzi è troppo profonda.
Esponente Dem: 'La maggioranza dovrebbe 'dialogare con Forza Italia sulla legge elettorale'. Zingaretti? 'E' un gatto...'. Di Conte 'colpisce la tenacia'.
"Matteo Renzi dopo aver aperto la crisi, attraverso Rosato ha detto 'in due ore si risolve tutto'; lo ha detto dopo, non prima. Ma come? Sei insoddisfatto in modo tale da far cadere il governo e poi con lo stesso governo in due ore risolvi tutto? Non è un modo serio di fare.
Io penso che la rottura è stata così profonda che non si può far finta di niente. Addebitare a Conte un vulnus alla democrazia italiana non è superabile". Lo ha detto Goffredo Bettini a Sky Tg24.
Diverso il discorso per i parlamentari di Iv: "Renzi ha fatto astenere i gruppi perché dentro aveva un malessere e molti di loro non hanno condiviso la crisi aperta da Renzi".
Zingaretti è "innanzi tutto onesto, con senso di responsabilità, e sente la sfida. Poi è un uomo molto per bene e poi è un gatto: ha una sensibilità, un istinto felino. La bonomia la lego al fatto che è responsabile, ma in politica non basta la bonomia, occorre l'istinto", aggiunge Bettini rispondendo alla domanda sulle tre principali caratteristiche del segretario del Pd e del Premier Conte.
"Di Conte - ha detto il dirigente Dem - mi colpisce la tenacia. Mi disse che era nuovo alla politica, ma ai Consigli Ue incontrava gente che aveva 30 anni di esperienza alle spalle che alla fine gli dava ragione per sfinimento. Poi è un uomo molto umano, semplice, piacevole. E poi è libero e questo dà fastidio. Io ho un feeling perché è avvocato e mio padre era avvocato".
Alla domanda se fosse amico di Conte, Bettini ha replicato: "Non mi posso permettere, lui è il presidente del Consiglio, io sono un dirigente scosso, galoppo. Ma da parte mia c'è un senso di amicizia, di piacevole rapporto, scherzoso, praticato in territori fuori dalla politica".
Per quanto riguarda la legge elettorale, Bettini dice che la maggioranza dovrebbe dialogare con Fi. "Vararla in tempi brevi non so, è una sfida difficile, ma la legge elettorale non è cosa astratta. Abbiamo una crisi della rappresentanza, una distanza tra istituzioni e cittadini. Non c'è stata più qualcosa di simile ai partiti di massa. In un Paese così diviso, sbrindellato, non c'è bipolarismo ma pluralità, e il proporzionale è garanzia di dare voce a tutti. Poi questi partiti devono fare compromessi alti, da fare davanti ai cittadini". "Penso - osserva il dirigente del Pd - sia uno dei temi che può essere condiviso da Fi. E' evidente che a una parte grande di Fi non piace stare sotto il tallone di Salvini, di forze amiche di Orban e non di Merkel, perché Fi sta con la Cdu, non con i sovranisti. Poi scelgono con chi stare al governo, e il proporzionale gli permette di avere una voce".
"Non è che le elezioni non si possono fare, perché si fanno in tutta Europa. Ma se non riusciamo a rafforzare il governo, non c'è un governo della destra o con le destre. Superata la fase acuta dell'epidemia si va alle elezioni", dichiara Bettini. Secondo il dirigente del Pd, la verifica sulla possibilità di allargare la maggioranza va fatta "rapidamente", in "poche settimane" dopo di che si potrebbe procedere ad un rimpasto, mentre la sostituzione delle due ministre di Iv andrebbe fatta "subito" con personalità "fuori dalla trattativa" per l'allargamento della maggioranza. "Noi - spiega - abbiamo chiesto la fiducia perché sarebbero state sbagliate le elezioni, fuori tempo, fuori dalla sensibilità dei cittadini, ed ecco perché vogliamo allargare i confini della maggioranza, perché con questi numeri non si può governare fino a fine legislatura". Bettini giudica impraticabile un governo di unità nazionale: "Un Governo con tutti dentro? Sarebbe incomprensibile, perché abbiamo una destra di un certo tipo. Il Pd non lo voterebbe mai". In ogni caso o si allarga l'attuale maggioranza oppure "c'è il voto" perché "non è che le elezioni non si possono fare, dato si fanno in tutta Europa". La verifica sull'allargamento, prosegue, va fatta "in poco tempo, e il tempo si misura in settimane. Si capisce in poche settimane se ci sono le condizioni per un patto di legislatura. Noi del Pd la verifica l'abbiamo chiesta già da prima, ma non in modo distruttivo come ha fatto Renzi, che ha fatto una svolta incomprensibile". Terza tappa il rimpasto: "Noi abbiamo posto il problema di un rafforzamento, Conte è d'accordo e deve avvenire dopo un chiarimento sul programma. In queste settimane dobbiamo lavorare alle emergenze, sostituendo le ministre che si sono dimesse. Suggerisco di scegliere personalità fuori dalle trattative. Poi se in corso d'opera si costruisce una alleanza numerica più ampia e vediamo un programma di legislatura, a quel punto si può pensare a un rafforzamento", ha concluso Bettini.
Il fallimento di Renzi: voleva silurare Conte, e invece si ritrova all’opposizione con Salvini e Meloni. - Luca Telese
È stata – ed è – una partita complicata, che si è chiusa oltre il tempo regolamentare, con una proclamazione sospesa e un finale thrilling. Ma, alla fine, Mattei Renzi ha perso la sua sfida. In un’Aula arroventata, dopo la zuffa, la gazzarra, le urla, le polemiche sul computo del risultato, e addirittura dopo la moviola sul voto sul filo di lana del Senatore ex grillino Lello Ciampolillo, la spallata non è riuscita.
La scena dei segretari d’Aula che rivedono i video mentre la presidente del Senato Elisabetta Casellati attende per proclamare l’esito finale per un quarto d’ora è un fotogramma cult: una contaminazione quasi grottesca fra la lingua della politica e l’estetica del Var. E poi c’è addirittura il sottofinale: quello che si rivela quando si scopre che dopo Ciampolillo – ammesso in extremis perché è arrivato alle 22.14 – ha votato anche Riccardo Nencini (si potrebbe dire ai supplementari) e che entrambi hanno votato sì.
Ora, come è ormai noto ai lettori, Nencini non è uno qualunque: è il proprietario del simbolo che ha permesso a Renzi di costituire il suo gruppo alla Camera. Il che significa che, da domani, Renzi e i suoi potrebbero ritrovarsi come degli abusivi e parcheggiati al gruppo misto. Il risultato finale del governo, che durante la sospensione era fermo a quota 154, migliora perché con questi due ultimi voti sale a quota 156, molto più della maggioranza richiesta (la metà di chi ha espresso un voto): quindi, tolti i 16 astenuti (tutti renziani) i no si sono fermati a quota 140.
Come abbiamo scritto prima del voto, l’uomo di Rignano ha perso la sua sfida per un motivo ben preciso: se l’è giocata fino all’ultimo, ma forse è stato battuto peggio di come si poteva immaginare alla vigilia, e non solo per un fattore aritmetico. Per mandare a casa Conte, Renzi aveva bisogno di fare e in modo che il governo finisse in minoranza.
Ha fatto di tutto, ha provato a giocare d’astuzia ma non c’è l’ha fatta. Se avesse vinto si sarebbe aperto lo scenario di un nuovo governo, di cui lui diventava antipaticamente king maker e potenziale azionista. Non ce l’ha fatta, e ora il governo lavorerà per rafforzare se stesso. Dal punto di vista Costituzionale la legittimità di un governo che ha la fiducia delle Camere è inattaccabile.
Ed è per questo che Conte, avendo superato la prova, ha un secondo round a disposizione: dopo questo (che ha vinto) il prossimo, che già si prepara da oggi. Renzi – invece – di carta ne aveva comunque una sola. Il presidente del Consiglio, una volta incassata la fiducia continua a governare. E sceglie lui se provare la strada di un nuovo governo per puntare alla maggioranza assoluta: non ha bisogno (come scrive erroneamente qualcuno) di concordare una via con nessuno, in questo caso nemmeno con il Quirinale.
Ha vinto in aula, e per la seconda volta: un anno e mezzo fa con uno dei Mattei, stasera con il secondo. Per essere un dilettante se l’è cavata abbastanza bene. Questa sconfitta di Renzi, invece, è frutto di una grande debolezza: quella di aver fatto un discorso di condanna totale, con toni e temi vicini a quelli del discorso di Matteo Salvini, ma di essersi poi dovuto poi rifugiare nell’astensione, per il rischio di spaccatura di cui abbiamo parlato.
Il governo, invece, dopo aver raccolto la stessa maggioranza relativa con cui altri esecutivi hanno governato per anni (esempio illustre quello di Azeglio Ciampi) ha tutta la possibilità di scegliere il nuovo arredamento della nuova maggioranza di Palazzo Chigi: può decidere se fare un rimpasto o meno.
Oppure se tentare la strada del “ter” (il terzo governo), eventualmente allargando la sua maggioranza ad altre forze, con un nuovo patto di governo. La sua partita si gioca in due round perché tutti quelli che volevano contrattare sono rimasti alla finestra, in attesa di questa fase. Ci sono nuove maggioranze politiche – volendo – sul mercato.
Renzi invece adesso è in un luogo per lui molto scomodo: all’opposizione con Salvini e con la Meloni. E ci si ritrova con una pattuglia di parlamentari che, però, sono eletti prevalentemente nel centrosinistra. Un vero trasformista al Senato c’è e – a ben vedere – è proprio lui.
https://www.tpi.it/opinioni/renzi-fallimento-opposizione-con-salvini-meloni-commento-20210120729841/
Antitrust: multa da 12,5 milioni per Eni, Enel e Sen.
"Con riferimento al procedimento AGCM in materia di prescrizione biennale delle fatture emesse per i consumi di energia elettrica e gas, le società del Gruppo Enel precisano di aver sempre agito nel pieno rispetto della normativa primaria e regolatoria di riferimento, riconoscendo il diritto dei consumatori ad ottenere la prescrizione delle fatture".
E' la risposta di Enel alla multa irrogata dall'Antitrust.
Le Società "si riservano sin d'ora ogni azione a propria tutela, confidando di poter dimostrare la piena legittimità e correttezza del proprio operato nelle successive fasi di giudizio".
Salvini e Meloni danno lezioni. Ma loro per vent’anni hanno collezionato disastri. Dal sì al Mes al voto favorevole sul Trattato di Dublino. Ecco i capolavori della Destra nel segno di Silvio. - Antonio Acerbis
A destra sono sicuri: un nuovo governo, a trazione sovranista, farebbe senz’altro meglio di quello in carica. Non avremo quanto meno nessun “Barbapapà”, per citare l’intervento di due giorni fa di Giorgia Meloni. Nessun governo che cerca “complici per mantenere la poltrona”, come spiegato ieri in Aula da Matteo Salvini tra un insulto e l’altro ai senatori a vita. I due, Matteo e Giorgia, sono certi: la rovina di questo Paese è Giuseppe Conte. Perché è “in delirio di onnipotenza” dato che “per rimanere dov’è prima è di destra, poi di centro, poi di sinistra, populista, liberale, socialista, amico e nemico di Salvini, di Renzi, di Di Maio”.
INCOERENZA TOTALE. Eppure. Eppure resta una domanda: quante volte abbiamo visto Salvini e Meloni lavorare in maggioranza? Il primo è da una vita in politica, la seconda è stata addirittura ministra. Fa quantomeno sorridere che la Meloni, per esempio, abbia detto al presidente del Consiglio: “Ricordo quando diceva voliamo alto: con la Mastella Airlines, voi la prima Repubblica la fate ampiamente rimpiangere”. Proprio lei che è rimasta ministra grazie al passaggio in maggioranza dei due ex Idv, Domenico Scilipoti e Antonio Razzi. Ma è soprattutto andando nel concreto dei provvedimenti che scopriamo cosa ci hanno regalato le destre al governo.
Partiamo dal Mes, il tanto odiato e vituperato Mes. Bene: ad approvarlo per la prima volta fu il governo Berlusconi nell’agosto del 2011, tre mesi prima delle dimissioni (e il successivo arrivo di Mario Monti) e ad appena due giorni dalla lettera congiunta del presidente uscente della Bce Jean Claude Trichet e di quello in pectore Mario Draghi con la quale indicarono all’Italia una serie di misure urgenti per superare la crisi. In quel governo sedeva proprio la Meloni ed era appoggiato in maggioranza dalla Lega oggi guidata da Salvini.
LA LUNGA LISTA. Ed è solo il primo esempio di una serie a dir poco infinita di perle. Non si può dimenticare, ancora, che la tanto criticata legge Fornero che ha devastato il mondo dei lavoratori ha collezionato il voto a favore, ancora una volta, tanto della Meloni quanto del Carroccio. Senza dimenticare le tante leggi fortemente volute da Silvio Berlusconi. Una su tutti: il lodo Alfano che assicurava immunità ai parlamentari o, ancora, la depenalizzazione di gravi reati come il falso in bilancio. Leggi che i partiti di centrodestra – e dunque anche Lega e l’allora An, poi Pdl – hanno votato convintamente. Esattamente come convintamente hanno votato norme di cui oggi si direbbero assolutamente contrari, come lo svuota-carceri o le leggi bavaglio sulle intercettazioni, di cui negli anni d’oro del berlusconismo tanto si discuteva.
MIGRANTI SI’, MIGRANTI NO. Forse, però, una delle leggi più controverse votate in tempi non sospetti dalla destra è il Trattato di Dublino, il regolamento europeo che dispone che gli immigrati possano fare domanda di asilo nel Paese di approdo. Un trattato iniquo che ha determinato quella che oggi per quella stessa destra è una “invasione” assurda e ingiustificata. Peccato che, in un certo senso, siano stati proprio loro a volerla e determinarla. Già, perché il regolamento di Dublino II è stato adottato nel 2003 e votato in sede di Consiglio dal governo Berlusconi. E chi c’era in maggioranza? L’allora Alleanza Nazionale e la Lega.
TRISTE RISULTATO. Basta questo piccolo ex-cursus per compendere che le parole di Salvini e Meloni – che ora, nel gioco delle parti, chiedono a gran voce le elezioni e annunciano un incontro urgente con Sergio Mattarella – se le porta via il vento. Parlare di poltrone, di incoerenza, di incapacità e inaffidabilità è come lanciare un boomerang. E restare fermi. Perché prima o poi quelle stesse parole di accuse e attacchi torneranno indietro. Purtroppo capita sempre così con chi ha campato di politica come Salvini e la Meloni (e a differenza di Conte). Adesso sono loro a parlare di “poltrone”. Sarebbe però curioso capire quando loro molleranno la loro, di poltrona.
La politica per Renzi e Salvini è come la PlayStation: prima distruggi, poi cerchi un accordo. - Luca Telese (16-1-2020)
Indietro non si torna, e martedì in Parlamento si decide chi ha vinto e chi ha perso, in questa crisi. Senza trucchi, senza prove di appello, spero. Nella vigilia della battaglia si cerca sempre il compromesso, questo è noto. Ma c’è qualcosa di incredibile nella notizia di queste ore, nel tentativo di ricomposizione della maggioranza messo in atto dai messaggeri di Italia Viva.
Nell’idea cioè che – non prima e non dopo, ma proprio mentre infuria la battaglia – si possa anche pensare di rappacificarsi: ti tendo una mano mentre con l’altra, pronto a colpirti, impugno il coltello dietro la schiena. Il vero momento in cui Giuseppe Conte ha iniziato la partita della sua vita – lo abbiamo scritto – è stato proprio quello in cui ha cancellato la subordinata dell’accordicchio, il momento in cui ha detto molto grande nettezza: “Se Renzi esce dal governo non ci può più tornare”.
Questa è oggi la linea, non solo sua, ma del governo, di Nicola Zingaretti, del M5s e del Pd. Non potrebbe essere altrimenti, se si segue il codice minimo della morale politica, viene da dire: ma evidentemente non è così, o il codice della morale non appartiene a tutti. E così ieri parla l’ex ministra Elena Bonetti e lancia messaggi concilianti dai microfoni di Sky, parla Teresa Bellanova e tenta di dialogare, parlano persino i pretoriani come Luciano Nobili, che in questa vigilia di battaglia finale usano per la prima volta paroline dolci.
Emergono ipotesi strampalate, come quella secondo cui i renziani in Aula potrebbero addirittura astenersi nel voto di fiducia: dal momento che qualsiasi altro voto li porterebbe a spaccarsi. Ma se io ho appena detto di un premier che mette a rischio la democrazia, e che può esserci un altro “tizio” al suo posto (parole di Renzi, solo 48 ore fa) come posso poi immaginare di dargli via libera?
Davvero la linea può cambiare solo in base alle convenienze del momento? E qui, a far scattare un interrogativo non è il classico e sempre valido adagio: “Timeo Danaos, et dona ferentes”, e cioè che bisogna diffidare dei nemici soprattutto quando dicono di voler portare dei regali. Ma la singolare coincidenza tra il modo di agire dei “due Mattei”, che accomuna nel momento estremo delle crisi sia Salvini che Renzi.
Si tratta di un nuovo moderno ossimoro della politica italiana, quello per cui, mentre provo ad ammazzarti, cerco contemporaneamente anche ad usarti come rete di sicurezza. Così un anno e mezzo fa Matteo Salvini, proprio mentre provava ad accoppare il M5s al Senato, offriva la presidenza del Consiglio a Luigi Di Maio. E così oggi Matteo Renzi, proprio mentre prova ad accoppare Conte al Senato, gli spiega che ci si potrebbe anche rimettere allegramente insieme in un Conte ter.
Così uno tiene la poltrona, l’altro salva la faccia, e tutti sono contenti. Mi viene in mente, mentre associo questi due tic politicistici, che “i due Mattei” rivelano una affinità anagrafica e culturale, e quindi anche politica. Non a caso hanno esordito entrambi nella palestra dei quiz televisivi. E non a caso hanno una idea della politica che pare fondata più sui social e sulla Playstation, che sulle idee.
Il social non ha memoria lunga, perché è un frutto che rinasce ogni giorno: puoi avere successo anche sostenendo posizioni contrapposte, se nessuno ti ricorda la tua incoerenza. E il videogame è fondato sull’idea che tu hai tre o cinque vite, che al contrario di quella reale, puoi giocarti in modo diverso, e ogni volta ricominci: una per morire nel burrone, una per imparare ad usare un’arma.
Come in quel film con Tom Cruise che muore e risorge nella stessa battaglia – “Vivi, muori ripeti” – Renzi pensa che se una volta salti su una mina girando a destra, quella successiva puoi salvarti girando a sinistra. Ecco perché ai giocatori di playstation di Italia Viva non sembra un assurdo uccidere e rappacificarsi, perché il gioco non pone vincoli di valore.
Fai solo quello che ti diverte, o che ti permette di passare ad un altro quadro. Sarebbe molto bello se Conte e Zingaretti, come sembra, non cadessero in questa tentazione, così lontana dalla loro formazione. Il mondo e la politica si reggono su regole antiche: in una lotta fratricida tertium non datur: se sopravvivi hai vinto, se muori ha perso. E se martedì Renzi fallisce nella sua congiura di Palazzo, non c’è un altro quadro in cui giocare, c’è solo il Game over.
https://www.tpi.it/opinioni/renzi-salvini-politica-playstation-commento-telese-20210116728319/
Governo: fiducia stretta per Conte in Senato. Zingaretti: "Ora rafforzare il governo". - Chiara Scalise
Sono 156 i 'sì', i 'no' 140, 16 gli astenuti. Il premier: ora rendiamo più solida la maggioranza. Renzi: pronti a un esecutivo di unità nazionale.
"Oggi i costruttori vanno cercati nel Paese", dice intanto il segretario della Cgil Landini, che sollecita il governo a convocare subito le parti sociali, a partire dal confronto sul Recovery plan, perché dai 'ringraziamenti bisogna passare ai fatti'.
IL FILM DELLA LUNGA GIORNATA AL SENATO.
Niente maggioranza assoluta in Senato ma 156 voti favorevoli alla fiducia consentono al governo di andare avanti, per il momento. I no sono 140, 16 astenuti. Il verdetto dell'Aula di Palazzo Madama arriva segnato dalla polemiche. Il presidente Casellati blocca il voto: l'ex 5S Ciampolillo e Nencini arrivano sul filo e riescono a votare, a sostegno del governo, solo in extremis. Protestano Lega e FdI, che annunciano si appelleranno al Colle. Italia Viva conferma l'astensione, in segno di "disponibilità", seppure a tempo, a discutere ancora con la maggioranza. I senatori guidati da Matteo Renzi al momento tengono in ostaggio l'esecutivo giallo-rosso: se si sommassero alle opposizioni, a Palazzo Madama i rapporti di forza cambierebbero (senza Nencini, sono infatti 17 in tutto, contando anche un senatore assente per Covid, e dunque sommati ai 140 no delle opposizioni supererebbero l'attuale maggioranza).
In Aula come nelle commissioni, paralizzando l'attività parlamentare. Che vi sia un "problema di numeri" lo mette a verbale anche il premier: "se non ci sono, il governo va a casa", dice chiaro e tondo davanti ai senatori. Dove ingaggia anche un duello con l'ormai rivale Renzi: l'ex premier sceglie di intervenire in discussione generale, così da garantirsi la replica del premier. Lo accusa di "non essere salito al Quirinale per paura" e di chiudersi in "un arrocco dannoso". Come il centrodestra, parla di "mercato indecoroso di poltrone" e con un tono apocalittico torna a ripetere la necessità di un cambio di passo, dalla scuola all'economia, "o i nostri figli ci malediranno", dice. C'è chi si chiede se il leader di Iv abbia in serbo un cambio di strategia, cercando la rottura definitiva e infischiandosene del rischio diaspora fra i suoi: i parlamentari di Italia Viva si riuniranno poco dopo e confermeranno l'astensione.
Conte riprende la parola e si difende: rivendica il dialogo e ribadisce come la responsabilità della rottura sia tutta sulle spalle di Italia Viva, "difficile governare con chi mina equilibri", attacca. Occupare "le poltrone" poi non la reputa un'accusa pertinente: l'importante è farlo "con disciplina e onore", come recita la Costituzione. Quello di cui il Paese ha bisogno "è una politica indirizzata al benessere dei cittadini" per evitare che "la rabbia sociale" esploda e si trasformi in "scontro", è la tesi argomentata dall'avvocato. E dunque serve un governo, in grado di agire. Con il voto a tarda sera si chiude la maratona parlamentare e si apre però la difficile composizione della crisi aperta dal senatore di Rignano con le dimissioni delle ministre una settimana fa. E ora sarà il momento delle scelte: c'è il ministero dell'Agricoltura da affidare, la delega dei servizi da esercitare e, soprattutto, l'azione del governo da rilanciare con un nuovo patto di legislatura, a partire dal Recovery plan, cercando di allargare la maggioranza a quel drappello di responsabili o 'volenterosi', come li ha definiti il presidente del Consiglio, in grado di traghettare in acque più sicure l'esecutivo.
Dieci giorni è l'arco temporale che il presidente del Consiglio si dà per rimettere mano alla sua squadra. Sono le 9.30 quando il premier si alza nell'Aula del Senato la prima volta ma i pontieri non hanno in realtà mai smesso di tenere i contatti e fare di conto. La senatrice Liliana Segre, classe 1930, scende a Roma da Milano per garantire il proprio sostegno. L'Aula le tributa un lungo applauso al suo arrivo e molte le dichiarazioni che ne apprezzano la scelta. A metà mattinata l'asticella segna quota 153 voti certi in favore del governo, 8 in meno dalla maggioranza assoluta pari a 161 (anche se un senatore 5S è assente giustificato per ragioni di Covid), che metterebbe in sicurezza il Conte II.
Alla maggioranza basta, lo vanno ripetendo nei corridoi da giorni, qualche voto in più delle opposizioni per cavarsela. Annunciano il voto favorevole anche il senatore a vita Mario Monti, convinto dalla conversione europeista del premier, la senatrice a vita Cattaneo e Casini. Non ci sono Renzo Piano e Carlo Rubbia. Ma proprio senatori a vita subiscono l'attacco di Matteo Salvini: tira in ballo Grillo, il leader della Lega e ricorda - scatenando la bagarre nell'emiciclo - quando il fondatore M5S diceva "muoiono troppo tardi" per stigmatizzare la loro discesa nell'arena parlamentare. Per il sì sono poi arruolati, Lonardo (la moglie di Mastella), l'ex M5S Buccarella, Tommaso Cerno che annuncia di tornare nel Pd e De Falco. Durante tutta la giornata si spera anche nell'effetto Polverini (che ha votato alla Camera la fiducia lasciando FI e ritrovandosi al centro di molti gossip): e a sera sono due i senatori azzurri che votano sì, Maria Rosaria Rossi, che è la vera sorpresa, dal momento che era fra le fedelissime di Berlusconi, e Andrea Causin. Espulsi entrambi dal partito, sono un viatico per l'operazione responsabili.