giovedì 22 luglio 2021

Contagio più veloce del previsto: perché è un grave errore affidarsi solo ai vaccini. - M.T. Island

 

Affrontiamo la variante Delta con dati vecchi e inaffidabili, i numeri inglesi non vengono letti correttamente e senza un numero di test adeguato permettiamo al virus di allargare il bacino di replicazione e generare varianti.

Dei tre scenari che avevamo delineato la scorsa settimana, stiamo purtroppo avanzando a passo di corsa verso quello peggiore (30.000 casi al giorno entro fine agosto): il tempo di raddoppio delle nuove infezioni, con una brusca accelerazione, è crollato da 11 a 6-7 giorni. Contro la velocissima variante Delta ci affidiamo ai soli vaccini e alla loro capacità di abbattere ricoveri e decessi: ma “quanto” sia davvero reale questa capacità lo ricaviamo da una lettura errata, anche se molto rassicurante per la popolazione, dei dati inglesi (come vedremo più avanti).

Restiamo ancora ottimisti su un futuro con un impatto sanitario molto inferiore a quello delle prime ondate, quando non avevamo a disposizione il vaccino, ma al tempo stesso stupiti di fronte alla pervicace ripetizione degli stessi errori commessi nel passato nell’affrontare l’epidemia: diminuzione dei test quando andavano aumentati; attesa di un’elevata circolazione virale prima di provare a frenare il contagio; utilizzo di dati vecchi e inaffidabili per decidere gli interventi di contrasto all’epidemia; regole troppo complesse, legate alla sensibilità personale del singolo individuo e, soprattutto, completamente slegate dalla realtà quotidiana.

Approccio sbagliato.

Difficile stupirsi di una simile situazione in un Paese dove l’approccio più comune risulta essere quello del «con questi numeri non servono interventi, se la situazione dovesse peggiorare le scelte potrebbero essere diverse». Senza capire che, una volta peggiorata, la situazione non è più recuperabile se non con interventi ben più pesanti di quelli necessari oggi.

Tutti i Paesi che hanno controllato il virus entro limiti accettabili, pur con crescenti difficoltà dopo l’arrivo della variante Delta (per esempio l’Australia) hanno agito in modo tempestivo prima che il numero dei casi raggiungesse da loro valori molto più bassi (poche decine) rispetto a quelli che noi consideriamo gestibili (qualche migliaio).

In questa fase estremamente delicata sembra in molti prevalere il desiderio di imitare la ingiustificabile (per la scienza) scelta inglese: rimozione di tutte le restrizioni, con la raccomandazione del premier Johnson di essere “cauti”. Se non fosse vero, e non fossero in gioco vite umane, verrebbe da pensare a una sceneggiatura comica.

Prima regola: per affrontarlo con successo, conoscere il nemico.

Può sembrare incredibile, ma dopo un anno e mezzo di epidemia a livello mondiale la scienza trova ancora difficoltà a far capire che la situazione evolve in continuazione e che, di conseguenza, deve evolvere anche il modo di affrontarla. Un esempio pratico? Parlare oggi di Sars-CoV-2 e di Covid-19 significa affrontare due aspetti (virus e malattia) che sono lontani parenti di quelli vissuti nel 2020.

La variante Delta ha completamente stravolto i parametri precedenti, e solo l’avvento dei vaccini (nei Paesi dove sono disponibili in quantità importante) ha permesso di evitare quella che, solo 12 mesi fa, sarebbe stata una catastrofe imparabile. Vediamo perché.

Il virus in circolazione all’inizio della prima ondata (variante DG614) esprimeva un valore di R0 di circa 2,0: escludiamo i picchi anomali di zone geograficamente limitate dove si è arrivati intorno a quota 4,0 (per esempio alcune aree della Lombardia) e per semplicità usiamo il dato medio globale. In termini pratici quel valore di R0 si traduceva, a partire da un singolo contagiato e dopo 5 passaggi, in 63 infezioni.

La variante Alfa, allora nota come inglese, a fine 2020 segnava un primo cambio di passo con un R0 di 3,0: ovvero, sempre a partire da un contagiato e dopo 5 passaggi, 364 infezioni. Un incremento importante, che infatti ha generato un impatto sulla popolazione maggiore rispetto a quello della prima ondata.

Ora discutiamo tranquillamente di variante Delta come se fosse il nostro “caro e vecchio” Sars-CoV-2, dimenticando che nella migliore delle ipotesi esprime un R0 di 8,0: lasciato libero di correre, il virus attuale, a partire da un singolo contagiato e dopo 5 passaggi arriva a quota 42.129 infezioni. Ne parliamo come se fosse un bradipo mentre è diventato un ghepardo.

I rischi della variante Delta.

La variante Delta non solo è più veloce, ma anche clinicamente più pericolosa: come riportava il Bollettino epidemiologico dell'Oms, già in data 8 giugno, a confronto con la variante Alfa si registra un incremento importante del rischio di ricovero in terapia intensiva (hazard ratio: 1.67; IC 95% 1.25-2.23) e ancora maggiore del rischio di ricovero in area medica (hazard ratio: 2.61; IC 95% 1.56-4.36). Tradotto in termini più comprensibili: ogni 100 persone ricoverate in area critica a causa della variante Alfa, la variante Delta ne genera 167; ogni 100 persone ricoverate in area medica a causa della variante Alfa, quella Delta ne genera 261.

Non ci rendiamo conto di questa differenza, almeno finora, e confidiamo che sia così anche in futuro solo perché i vaccini hanno avuto 2 effetti concomitanti:

1) La riduzione progressiva e importante dei soggetti suscettibili all’infezione, in particolare nelle fasce di età più avanzata che sono anche quelle più a rischio.

2) La riduzione degli effetti clinici della malattia nelle persone che vengono infettate nonostante il completamento del ciclo vaccinale.

Anche in questo caso semplifichiamo: i vaccini hanno addomesticato il “ghepardo” variante Delta, riconducendone gli effetti e conseguenze cliniche a livelli lontanissimi rispetto a quelli sperimentati in passato.

L’errata (ma rassicurante) lettura dei dati Uk.

Qui veniamo a un altro capitolo importante: che, come il precedente, lascia stupiti per l'incapacità dopo oltre un anno e mezzo di “digerire” le corrette modalità di interpretazione dei numeri della pandemia.

Sappiamo con certezza che le curve dei singoli parametri che ci permettono il monitoraggio del contagio si collocano a distanza tra loro sulla linea del tempo:

1) Le infezioni individuate oggi sono state contratte circa una settimana fa (range stimato 5-7 giorni per passare dall'infezione alla rilevazione della stessa con test tampone);

2) I ricoverati comunicati oggi hanno ricevuto la diagnosi con test tampone circa una settimana fa (di nuovo abbiamo un range di 5-7 giorni per passare dalla fase di comparsa dei sintomi all'eventuale necessità di ricovero ospedaliero) ma sono stati infettati quasi due settimane prima;

3) I deceduti di oggi sono la conseguenza dei contagi avvenuti all'incirca un mese fa.

Confrontare i ricoveri e decessi quotidiani con i casi dello stesso giorno, come viene regolarmente fatto con i dati Uk, oltre che un errore è un falso scientifico. Un vano tentativo di costringere i numeri a raccontare una storia diversa da quella reale.

Se eseguiamo il calcolo della letalità in Uk seguendo gli errati criteri appena esposti (invece di quelli elencati per punti poco prima) arriviamo a un valore di 0,1%: senza dubbio rassicurante, perché sovrapponibile al tasso di letalità dell'influenza stagionale. Che causa ogni anno 8-12.000 morti in Italia (dati Iss) e 290-690.000 nel mondo (dati Oms).

Un prezzo elevato, in termini di vite umane, con il quale abbiamo tuttavia imparato a convivere ritenendolo accettabile: in realtà basterebbe vaccinare più persone per abbattere questi numeri, ma l’influenza stagionale non è oggi l’argomento dell'analisi.

Se eseguiamo correttamente il calcolo del tasso di letalità in Uk (usiamo i dati ufficiali consolidati disponibili mentre scriviamo, per gli aggiornamenti successivi consigliamo di cliccare qui) arriviamo a un risultato diverso. Non sui livelli delle ondate precedente, ma molto maggiore dallo 0,1% più volte (erroneamente o volontariamente?) sbandierato anche dal premier Boris Johnson.

I decessi in Uk nella settimana mobile1-7 luglio (ultimo dato ufficiale consolidato) hanno registrato una media giornaliera di 32,4. Le infezioni nel periodo 1-7 giugno (a cui dobbiamo far risalire i decessi) una media giornaliera di 6.714. Il tasso di letalità reale è quindi 0,48%, quasi 5 volte superiore a quello rassicurante ma non veritiero. Con un tasso di letalità di questa portata l'influenza stagionale causerebbe, in Italia, da 38.400 a 57.600 decessi (e non 8-12.000).

Questo, al momento, è il tasso di letalità che dobbiamo correttamente applicare alla Covid-19, confidando che il procedere della campagna vaccinale possa ulteriormente abbattere questo valore. Cosa sulla quale, in prospettiva futura e in assenza di nuove varianti con caratteristiche di maggiore pericolosità, siamo ottimisti. Ma per ora dobbiamo “i fare i conti” considerando, senza inutili e futili sotterfugi, i tre momenti “passato, presente e futuro”.

La verità è che sapremo solo tra un mese a quanti decessi corrispondono davvero i casi giornalieri che sta registrando adesso Uk. Sperando, ripetiamo, che i vaccini ne abbattano il numero in modo progressivamente crescente nel tempo, grazie all'aumento della popolazione protetta dal ciclo vaccinale completo.

Se davvero in Italia arrivassimo a 30.000 nuove infezioni al giorno entro fine agosto, come abbiamo indicato nel nostro scenario 3 concordando con le stime del professor Sergio Abrignani (immunologo dell’università di Milano e membro del Cts), applicando il tasso di letalità che ricaviamo dai numeri inglesi (0,48%) arriveremmo a fine settembre a una media giornaliera di 144 decessi. Speriamo ovviamente che non succeda, ma dobbiamo essere consapevoli che in larga parte dipende dalle nostre scelte e dalla tempistica di applicazione delle stesse: più tardi si agisce, peggio è.

L’errore ripetuto del calo dei test.

Una delle regole chiave dell’epidemiologia è quella che prescrive, nelle fasi di riduzione del contagio, il mantenimento e se possibile l’incremento del numero dei test eseguiti per individuare il virus. In questo modo (non ce ne sono altri) si ottengono alcuni risultati fondamentali:

1) Si individua precocemente il maggior numero possibile di positivi, quando i numeri sono ancora bassi.

2) Si tracciano i contatti e si isolano, cosa impossibile al di sopra di certe soglie (in Italia 50 casi per 100.000 abitanti alla settimana, ovvero 4.311 positivi di media giornaliera).

3) Si individuano e si isolano i focolai.

4) Si interrompono le catene di trasmissione del virus.

5) Si impedisce al virus, soprattutto grazie ai soggetti asintomatici, di circolare con efficacia aumentando in modo silente il proprio bacino di replicazione.

In Italia non lo abbiamo mai fatto: anzi, al termine di ogni ondata epidemica abbiamo rapidamente ridotto il numero dei tamponi eseguiti permettendo al virus di agire senza alcun controllo fino al momento in cui ne diventano nuovamente visibili gli effetti sulla popolazione (in particolare il forte rialzo dei casi e dei pazienti sintomatici).

Nella fase attuale, con la circolazione di una variante altamente diffusiva come la Delta, la diminuzione del numero dei test ha permesso al virus (come descritto nel punto 5) di generare un bacino di replicazione per noi del tutto sconosciuto. Non ne conosciamo le dimensioni: né in modo grossolano, né tantomeno esattamente, e in questo modo diventa difficile se non impossibile formulare previsioni attendibili sullo sviluppo epidemico.

Solo una settimana fa il tempo di raddoppio dei nuovi casi era di 11 giorni, attualmente stiamo assistendo a un’accelerazione che lo ha portato a soli 6-7 giorni.

Qualche numero ci aiuta a capire l’errore commesso nella strategia di testing, da noi più volte sottolineato sia nelle analisi settimanali (si veda in particolare al punto 7) sia nei commenti quotidiani. Il numero massimo di tamponi (2.051.720) è stato raggiunto nella settimana epidemiologica 10-16 aprile 2021. Da allora, in corrispondenza con il miglioramento dei numeri del contagio, le Regioni hanno sempre più ridotto il numeri dei test fino ad arrivare agli attuali 1.224.988 (settimana epidemiologica 10-16 luglio): il calo è del 40,2%. Ovvero abbiamo quasi dimezzato la ricerca del virus, probabilmente spinti più dal desiderio di ottenere allentamenti che dalla necessità di controllare l'epidemia.

Il problema dei test rapidi.

A questo trend negativo si aggiunge un secondo problema, quello dei test rapidi: non quelli indicati dall’Iss e ritenuti equiparabili ai test molecolari, ma i molti di vecchia generazione (e con bassissima affidabilità) che vengono ancora regolarmente utilizzati e inseriti senza alcuna distinzione nel conteggio del Bollettino quotidiano. Di fatto stiamo usando i vecchi test rapidi (in media il 50% del totale) per fare un lavoro diverso da quello per cui sono stati pensati: tracciare rapidamente i casi all’interno di cluster limitati (per esempio in presenza di focolai nelle scuole, oppure nelle aziende).

Per tracciare il virus sul territorio i test rapidi non servono, esattamente come non servono per individuare le varianti essendo impossibile sequenziare il materiale genetico virale (se non con alcuni di ultimissima generazione).

In sintesi:

1) Facciamo pochi tamponi in assoluto (un quinto di Uk a parità di popolazione, per fare un esempio).

2) Di quelli che facciamo, nel 50% dei casi non comunichiamo le caratteristiche (cosa indispensabile per i test rapidi) e quindi non ne conosciamo la reale affidabilità.

3) Di quelli che facciamo, il 50% circa (sempre i test rapidi) non servono per sequenziare il materiale virale e individuare le varianti.

Di fatto la situazione è anche peggiore a quella di fine 2020, quando il calo fu altrettanto importante ma tutti i test, perlomeno, erano del solo tipo molecolare e quindi al massimo dell’attendibilità possibile. A metà novembre 2020 in Italia venivano eseguiti quasi 200-250.000 tamponi molecolari al giorno, attualmente siamo a quota 79.048 (media quotidiana della settimana epidemiologica 10-16 luglio).

Il modo migliore per non trovare il virus resta sempre lo stesso: non cercarlo. Almeno in questo mostriamo una costanza ammirevole.

Dati vecchi e scarsamente affidabili

Al proposito potremmo semplicemente rinviare a questa analisi, che risale a dicembre 2020, oppure a questa dello scorso aprile: di fatto, nulla è cambiato. I dati ufficiali continuano a riflettere una situazione senza dubbio correttamente consolidata, ma purtroppo ampiamente superata dall'avanzata impetuosa dell'epidemia.

Basta ricordare che il valore di Rt, comunicato ogni settimana dell’Iss, come conseguenza dei criteri di calcolo rimanda a una circolazione del virus di una-tre settimane precedenti rispetto alla situazione attuale. Sapere che nel periodo 23 giugno - 6 luglio il valore di Rt medio in Italia era di 0,91 (si veda l’ultimo Bollettino epidemiologico a pagina 2) e quindi sotto la soglia critica di 1,0 che divide la fase di espansione da quella di crescita del contagio, riveste interesse dal punto di vista scientifico: ma è totalmente fuorviante nella comunicazione alla popolazione, che prende l'indicazione come rassicurante mentre l'epidemia, dopo quella data, ha iniziato a correre e il valore di Rt puntuale (metodo rapido Kohlberg-Neyman) ha ormai superato quota 1,5.

Prendere decisioni su dati passati costringe, come abbiamo sempre fatto, alla perenne rincorsa di un virus che già nelle forme più “lente” ha dimostrato di essere molto più veloce di noi e dei nostri interventi.

Al problema della tempistica si aggiunge quello dell’affidabilità dei dati: che sarebbe fondamentale per affrontare correttamente l’epidemia mentre invece è bassa a causa delle continue correzioni, rettifiche e imprecisioni nelle comunicazioni da parte di molte Regioni. Per questo motivo abbiamo sottolineato più volte la necessità sia di costituire un campione statistico nazionale in grado di fornire informazioni rapide e certe, sia di mettere a disposizione della comunità scientifica tutti i dati raccolti e non solo una parte di essi.

Per capire cosa intendiamo quando parliamo di dati inaffidabili e di correzioni in corsa riportiamo alcuni esempi del recente passato.

1) Il 15 giugno, a corredo del Bollettino quotidiano, si leggeva testualmente: «La Regione Campania riporta che, a seguito delle periodiche verifiche, si è riscontrato un disallineamento che, dopo un dettagliato ed accurato controllo da parte delle Asl, ha evidenziato 48.078 soggetti ancora riportati erroneamente in “Isolamento Domiciliare” e che, pertanto, sono stati assegnati alla categoria guariti».

Questa correzione ha fatto calare in solo giorno gli attualmente positivi a livello nazionale da 157.790 a 105.906; e, nella sola Campania, da 59.828 a 11.737. Generando una discontinuità statistica puntuale (dati del giorno); e inficiando la validità delle tre serie storiche (a livello regionale e nazionale) relative all’andamento delle positività in corso, dei pazienti in isolamento domiciliare e delle guarigioni/dimissioni quotidiane.

Comunicazioni analoghe, relative a soggetti guariti ma dati ancora per positivi, nelle settimane successive hanno riguardato altre Regioni a partire da Sardegna e Calabria, che come la Campania presentavano da tempo valori chiaramente fuori parametro rispetto alla media nazionale.

2) L’11 giugno, sempre nel Bollettino quotidiano, si leggeva: «La Regione Emilia Romagna (…) rettifica, a causa errore di trasmissione, il dato sul numero complessivo di tamponi antigenici comunicato ieri (10/06/2021) che risulta essere corretto in 1.547.397» (-17.215 test antigenici). La rettifica (non è noto se riferibile a un solo giorno oppure a errori commessi in più giorni ed emersi in blocco nella comunicazione del 10 giugno) ha modificato con un effetto a catena più parametri: tamponi rapidi eseguiti; tamponi totali eseguiti, rapporto positivi/tamponi totali.

3) Citiamo ancora in data 11 giugno:«La Regione Puglia comunica che alcuni casi confermati da test antigenico essendo stati successivamente confermati da test molecolare sono stati riclassificati tra questi ultimi». Identica comunicazione (alla lettera) è stata effettuata dalla Regione Veneto il 12 giugno.

Quale sia il numero reale che si cela dietro la definizione di “alcuni casi” è ignoto e lasciato alla libera interpretazione. Ma è facile capire come, con questo tipo di informazioni, sia molto difficoltoso se non impossibile costruire analisi accettabili.

Qualche stima sul prossimo futuro in Italia.

Come indicato in apertura di questa analisi l'epidemia si sta indirizzando rapidamente verso uno scenario di tipo 3, a causa del già citato tempo di raddoppio dei nuovi casi sceso da 11 a soli 6-7 giorni. Questo parametro potrebbe esprimere in futuro valori più moderati, stabilizzandosi intorno ai 14 giorni entro 2-3 settimane, ma ci porta come abbiamo visto a una proiezione di circa 30.000 casi al giorno entro fine agosto. Numeri inferiori non sarebbero figli di una minore circolazione del virus, ma piuttosto della nostra inefficienza nel cercarlo.

Il basso numero di test eseguiti ingigantisce infatti il numero degli asintomatici potenzialmente in circolazione, in gran parte collocabili nelle fasce più giovani della popolazione che non ha ancora raggiunto una copertura vaccinale accettabile.

Età media dei contagiati in calo

La prova è nell’età media dei contagiati, scesa a soli 29 anni (si veda l’ultimo Bollettino epidemiologico a pagina 2): una situazione che replica esattamente quanto accaduto nell’estate del 2020 (età mediana 30 anni il 3 agosto, si veda la tabella a pagina 16 dell'ultimo Bollettino epidemiologico). Allora i giovani avevano costituito il bacino ideale di replicazione del virus, in forma silente in quanto asintomatica, e la situazione era poi esplosa al ritorno dalle vacanze con il contagio portato in famiglia verso soggetti di età più avanzata e con rischio maggiore (o molto maggiore).

Oggi, esattamente come allora, non conosciamo il reale dimensionamento del bacino di replicazione virale, quello dei soggetti che vengono indicati come “attualmente positivi”. Ricaviamo questa informazione dai casi che emergono dai numeri ufficiali, sottostimati a causa del basso numero di test eseguiti.

Nella fase autunnale e invernale dell’epidemia, caratterizzate dalla vecchia variante DG614 e successivamente dalla Alfa (ex inglese), le stime convergevano su un positivo non individuato per ogni caso ufficiale: in altri termini per avere i contagiati reali occorreva moltiplicare per due le infezioni quotidiane. Difficile dire quale sia il moltiplicatore corretto oggi, in presenza della variante Delta che sappiamo essere molto più veloce e diffusiva: azzardiamo un moltiplicatore di 3-4 volte, a causa della circolazione sostenuta tra i giovani che in moltissimi casi sono completamente asintomatici.

Dobbiamo essere consapevoli che aumentando il denominatore (ovvero il numero dei positivi) anche se con valori percentuali più bassi che in passato, aumenta inevitabilmente anche il numero dei ricoverati e dei decessi. Per quanto riguarda i decessi abbiamo già eseguito il calcolo corretto del tasso di letalità nel paragrafo dedicato all’errata lettura dei dati di Uk, ora possiamo procedere con un’operazione analoga a proposito dei ricoverati:

1) Nel periodo 4-10 luglio i dati ufficiali del Regno Unito riportano una media di 616,7 ricoverati giornalieri.

2) Come abbiamo visto questi ricoveri sono riferibili a positività riscontrate una settimana prima, quindi nel periodo 27 giugno - 3 luglio, e non ai numeri attuali molto più alti.

3) La media giornaliera delle infezioni rilevate, nel periodo 27 giugno - 3 luglio, è stata in Uk di 28.542,4.

Effetto Delta sui ricoveri.

In termini semplici possiamo concludere che, sulla base dei dati Uk, al momento la variante Delta causa il ricovero del 2,1% delle persone infettate. Valore che, a fronte dei 30.000 casi giornalieri ipotizzati in Italia per fine agosto, corrisponderebbe a 630 nuovi ricoveri quotidiani.

È facile intuire come, a questo ritmo e nonostante la più giovane età dei soggetti colpiti rispetto alle ondate precedenti, arrivare alle soglie di allerta del sistema sanitario (in Italia 30% di occupazione per le terapie intensive, 40% per i posti letto in area medica) non richiederebbe moltissimo tempo: un mese e mezzo, massimo due. Un effetto che, in assenza di una rapida inversione di tendenza al momento non prevedibile, inizieremo a breve a vedere proprio in Uk.

Non lasciare i vaccini da “soli”

Dobbiamo affidarci ai vaccini, ma non possiamo lasciare ai soli vaccini il compito di frenare il Sars-CoV-2, soprattutto nella nuova forma mutata (la variante Delta) che presenta caratteristiche per noi molto più difficili da controllare.

Non dobbiamo immaginare per forza scenari apocalittici con nuovi lockdown, ma forse mantenere l’obbliago delle mascherine anche all’aperto sarebbe stata una buona idea. Si tratta dell’unico strumento di facile uso che consente di bloccare il virus, incluse tutte le varianti al momento note.

Raccomandare di festeggiare “in sicurezza” la vittoria dell’Italia al Campionato Europeo, pensando che tutti i tifosi possano stare diligentemente a un metro uno dall’altro e indossare la mascherina quando necessario, è un po’ come guardare una pentola d’acqua sui fornelli accesi chiedendo al fuoco di portare a ebollizione solo la metà di destra.E infatti iniziamo a registrarne gli effetti con focolai nelle zone dei cosiddetti “assembramenti”, peraltro con contagi avvenuti tranquillamente all'aperto: condizione che mitiga il rischio, ma che con la variante Delta è purtroppo molto lontana dall'eliminarlo.

Non adottare misure semplici ma efficaci, pur con l’amaro sapore delle restrizioni e magari distinguendo tra vaccinati e non vaccinati, ha l’effetto immediato e confortante di non disturbare la popolazione proprio nel periodo estivo: ma, soprattutto, quello pericoloso di non disturbare il virus. Che non ha bisogno di regali, e che potrebbe costringerci ad adottare in futuro misure peggiori di quelle che vogliamo evitare oggi.

L’errore più comune che si commette quando si parla di vaccinazioni è considerarle una misura di protezione personale: mentre, in realtà, sono uno strumento fondamentale di salute pubblica.

Il giusto calcolo della percentuale di vaccinati.

Così come è un errore calcolare la percentuale dei vaccinati facendo riferimento ai soli soggetti vaccinabili (in Italia sopra i 12 anni). In questo modo alziamo il dato percentuale, ma è una distinzione che per il virus non esiste: anzi, proprio i non vaccinati (e non vaccinabili) costituiscono per il Sars-CoV-2 l'obiettivo preferenziale. E sono questi i soggetti che dobbiamo a tutti i costi proteggere (obiettivo di salute pubblica) sapendo che oltre ai bambini in questo particolare gruppo dobbiamo considerare un milione circa di persone che, a causa della loro situazione di salute, pur essendo particolarmente esposti al rischio in caso di infezione non possono essere vaccinati.

Affrontiamo l’estate 2021 come se un anno fosse passato invano: abbiamo i vaccini, che sono fondamentali, ma li lasciamo da soli a combattere una guerra che parte da numeri molto diversi. La media attuale (in forte rialzo) è di 2.311 positivi giornalieri (settimana mobile 12-18 luglio) e si confronta con quella di 198 dello stesso periodo 2020; i ricoverati al 18 luglio 2021 sono 1.136, al 18 luglio 2020 erano 757; alla stessa data le terapie intensive sono 156 contro 50.

Come abbiamo sottolineato più volte, grazie ai vaccini non rivedremo percentuali di ricoveri e di decessi analoghe a quelle del passato. Ma lasciando correre il virus, e permettendogli di aumentare a dismisura il denominatore, inevitabilmente arriveremo a valori assoluti comunque elevati. E gli daremo la possibilità di replicarsi, commettere errori nel farlo, generare mutazioni e selezionare varianti.

In attesa, nel frattempo, di raggiungere una copertura vaccinale sufficiente per frenare la corsa della variante Delta: ma, come abbiamo visto in passato (si legga in particolare il punto 3 di questa analisi del 23 giugno scorso) il livello di popolazione da immunizzare è oggi molto più alto di quanto avessimo ipotizzato in base alle caratteristiche delle vecchie varianti.

Errare è umano, e quindi perdonabile. Ma continuare a commettere gli stessi errori dopo quasi 18 mesi di esperienza sul campo diventa diabolico, ingiustificabile e imperdonabile. Vedremo nelle prossime settimane, e speriamo già nei prossimi giorni, se metteremo in campo altre misure (insistiamo sulle mascherine sempre, anche all'aperto) capaci di aiutare i vaccini in una battaglia campale che non possiamo permetterci di perdere.

IlSole24Ore

I Dragaràn. - Marco Travaglio

 

L’ayatollah Khomeini aveva i Pasdaràn, i Guardiani della Rivoluzione. Draghi ha i Guardiani della Restaurazione. Sono i presunti giornalisti che scambiano la Fornero per “esperta di pensioni” (infatti le sfuggì il trascurabile dettaglio di 390mila esodati). Spacciano le critiche di merito al Salvaladri&mafiosi Cartabia alle “bandierine di partito” del M5S e, per farlo, nascondono i gravissimi allarmi del procuratore nazionale antimafia De Raho e del procuratore Gratteri (zero tituli su tutti i giornaloni). Quelli che gabellano la Cartabia per un’esperta di diritto penale, anche se non distingue un tribunale da un phon e dice bestialità (ieri, tentando di smentire i veri esperti, è arrivata a dire che l’improcedibilità non tocca i processi di mafia perché esclude “i reati da ergastolo”: come se la prima attività dei mafiosi fosse uccidere; ma il grosso dei processi di mafia è per associazione mafiosa, concorso esterno, estorsione, corruzione, voto di scambio, riciclaggio, turbativa d’asta, traffico di rifiuti: nessuno punito con l’ergastolo). Quelli che raccontano inesistenti “smentite del Colle” sui timori – confermatici dai portavoce – per il Parlamento che decide i reati da perseguire e da ignorare in barba alla Costituzione.

Quelli che danno del bugiardo a Conte perché ha detto che anche il processo per il ponte Morandi rischia l’improcedibilità (la norma che esclude i reati pre-2020 salterà al ricorso del primo avvocato: il favor rei, cioè la retroattività delle norme più favorevoli all’imputato, che in teoria vale solo per le norme penali sostanziali, è già stato esteso dalla Consulta e da molti tribunali di sorveglianza alle regole dell’esecuzione penale, come quella di Bonafede che negava le pene alternative ai condannati per tangenti: figurarsi se non varrà per una norma processuale che trasforma un condannato in primo grado in un improcedibile in appello; infatti gli avvocati si son già detti pronti a invocarla anche per il ponte Morandi). Quelli che, su due quotidiani di centrodestra come Repubblica, Sole 24 Ore e Giornale, si inventano che la Ue fa “sponda al progetto Cartabia”, lo “loda” e lo “blinda”, citando un documento che sollecita il “ddl del marzo 2020 per migliorare l’efficienza dei processi penali”, senza dire che parla del ddl Bonafede, non il testo Cartabia che lo demolisce. Quelli che riempiono paginate sul boom di contagi per i folli assembramenti per le vittorie azzurre e il bus scoperto della Nazionale, ma si scordano di collegarli all’inerzia del governo Draghi e all’inaudita deroga concessa da Draghi al dl Draghi. Tutto ciò che dà ombra al governo non esiste. Come scriveva Indro Montanelli nel 1977, “ma da quali ometti è rappresentato questo povero giornalismo italiano!”.

ILFQ

Nicola Cosentino condannato a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa nell’appello del processo Eco4.

 

Secondo l'accusa l'ex sottosegretario berlusconiano era il referente politico nazionale del clan dei casalesi, con il quale l'esponente politico aveva stretto un patto di ferro per ottenere appoggio elettorale in cambio di un contributo ai camorristi. Questo processo sarebbe morto se fosse già entrata in vigore la Riforma Cartabia.

novembre 2016 nove anni di carcere in primo grado. Ora 10 anni nell’appello di un processo che sarebbe morto se fosse già entrata in vigore la Riforma Cartabia. È la decisione dei giudici della quarta sezione del Corte d’Appello di Napoli, che hanno condannato per concorso esterno in associazione mafiosa Nicola Cosentino, ex sottosegretario all’Economia ed ex coordinatore regionale del Pdl Campania. La sentenza è stata pronunciata al termine del processo Eco4, dal nome del consorzio che si occupava della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti in diversi comuni del Casertano. In primo grado Cosentino, assistito dagli avvocati Stefano Montone e Agostino De Caro, era stato condannato a 9 anni di carcere (la richiesta era di 16 anni) e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per concorso esterno in associazione camorristica, con sentenza pronunciata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere il 17 novembre 2016, dopo oltre 140 udienze. La richiesta della Procura generale di Napoli, espressa nel corso dell’udienza dello scorso 9 dicembre, era di 12 anni di reclusione. Prima di oggi, l’ultima volta che il nome di Cosentino era ricomparso nelle pagine di cronaca giudiziaria era per l’assoluzione del 29 settembre 2020 nell’appello del processo ‘Il Principe e la Ballerina’. In quella occasione, esprimendo soddisfazione per la sentenza, Mariastella Gelmini e Anna Maria Bernini (capogruppo forziste a Montecitorio e Palazzo Madama) denunciarono il cattivo funzionamento della giustizia, descrivendo Cosentino come vittima di un processo politico. Oggi, dopo la condanna a 10 anni per concorso esterno in associazione camorristica, nessun forzista ha finora commentato.

Le accuse nei confronti dell’ex esponente di Forza Italia
La vicenda da cui nasce la condanna odierna è quella relativa al cosiddetto processo “Eco4” che descrive Cosentino – di questo sono convinti i magistrati della procura generale di Napoli che avevano chiesto 12 anni di carcere – come il referente politico nazionale del clan dei casalesi, con il quale l’ex sottosegretario avrebbe stretto un patto di ferro per ottenere appoggio elettorale in cambio di un contributo ai camorristi. Fra le accuse, da qui il nome dell’inchiesta, ci sono i presunti favori relativi all’appalto vinto nel 1999 dai fratelli Orsi, imprenditori ritenuti vicini al clan Bidognetti. La gara cui fa riferimento il processo è quella indetta dal Ce4, consorzio di 20 Comuni del Casertano che si occupava del ciclo dei rifiuti. Secondo i pm, è stato proprio Cosentino a permettere ai fratelli Orsi di associarsi al consorzio creando la società mista Eco4 che ottenne poi affidamenti diretti. Ma se in primo grado Cosentino è stato riconosciuto come il “referente nazionale del clan dei Casalesi” almeno fino al 2004, la Dda di Napoli ha presentato appello sostenendo che l’appoggio dell’ex sottosegretario ai Casalesi fosse andato avanti almeno fino al 2007-2008. Da qui la richiesta di una pena maggiore di quella decisa in primo grado. Un processo, quello a Cosentino, basato anche sulle parole dei collaboratori di giustizia, e che lo vede, stando alle accuse, come il dominus del Ce4, all’interno del quale l’ex sottosegretario avrebbe fatto assumere molta gente nei periodi pre-elettorali, così ‘controllando’ il risultato di varie elezioni, soprattutto nei Comuni rientranti nel bacino del consorzio. Il tutto, sempre stando ai pm, con la consapevolezza che i fratelli Orsi fossero vicini ai clan.

Le posizioni di pubblica accusa e difesa.
Argomentazioni, quelle della pubblica accusa, rintuzzate dagli avvocati difensori di Cosentino, Stefano Montone, Agostino De Caro ed Elena Lepre, convinti che non esistano segni della prestazione di un contributo di Cosentino al clan in 25 anni di attività politica. Per i legali, non c’è un solo segno di un effettivo contributo elettorale che la camorra avrebbe dato a Cosentino, anche perché in passato, quando il clan si è schierato a favore di un candidato alle elezioni politiche, gli esiti sono stati del tutto evidenti. E quest’accusa, voti in cambio di favori, hanno spiegato gli avvocati, è una delle gambe dell’accordo sinallagmatico che la procura sostiene, ma allo stato – secondo i difensori – non c’è traccia che Cosentino abbia ricevuto i voti della camorra, mentre per quanto riguarda i favori, i legali hanno rammentato non solo che nel frattempo Cosentino è stato assolto negli altri processi dove era imputato con l’aggravante mafiosa, ma anche che nelle decine di altri processi contro il clan dei Casalesi su appalti, grandi opere e così via, non è emerso nessun ruolo di Cosentino. Circostanza, questa, che per i legali porta a concludere che l’ex sottosegretario non può essere il referente nazionale dei Casalesi. Stando ai legali, inoltre, allo stato c’è solo il dato dell’interessamento di Cosentino nelle vicende della società mista Eco4, ma si tratta di vicende nelle quali Cosentino interviene nella sua qualità di politico. La società Eco4 – hanno argomentato i difensori di Nick ‘0 mericano – è il braccio operativo del consorzio Ce4, e questo, a valle delle elezioni del 1999, si sposta come riferimento dal centrosinistra al centrodestra, ed è dunque normale che Cosentino e Landolfi ne assumano il controllo, trattandosi di un organismo di tipo politico. Organismo che opera attraverso la Eco4 che Cosentino, hanno spiegato i legali, ‘eredita’, in quanto gli Orsi la costruiscono indipendentemente e prima che Cosentino si affacci sulla scena. Quanto alle fonti dichiarative, per i legali sono state chiaramente sconfessate. Da ultimo, a parte il ‘pentito’ Nicola Schiavone, figlio del capoclan dei Casalesi Francesco “Sandokan” Schiavone, che in aula si è contraddetto, anche altri collaboratori di giustizia, sostengono i difensori di Cosentino, sono stati smentiti. L’ultimo dei quali, Luigi Guida, che accusa Cosentino de relato, in una diversa sentenza è stato ritenuto inattendibile e mendace quando parla di un incontro al quale avrebbe fisicamente partecipato e che, in realtà, non si è mai verificato.

Condanne e assoluzioni: tutti i guai giudiziari dell’ex sottosegretario berlusconiano
Sono più d’uno i processi, le condanne e le assoluzioni per Nicola Cosentino, ex sottosegretario del governo Berlusconi. L’ultima sentenza in ordine di tempo prima di quella di oggi per concorso esterno, è datata 29 settembre 2020 ed è relativa al processo “Il principe e la scheda ballerina“, conclusosi con l’assoluzione. Ma ancora prima l’ex coordinatore campano di Forza Italia era stato assolto (in via definitiva) anche nel processo cosiddetto “Carburanti“. Cosentino, inoltre, ha anche subìto una condanna definitiva per aver corrotto un agente della polizia penitenziaria mentre era detenuto e un’altra, per diffamazione, nell’ambito dell’inchiesta “P3”. Nello specifico, l’ex sottosegretario è stato assolto nel processo d’appello “Il principe e la scheda ballerina” dall’accusa di tentativo di reimpiego di capitali illeciti, con l’aggravante mafiosa, in relazione alla costruzione di un centro commerciale (mai edificato) voluto dal clan dei Casalesi a Casal di Principe (in primo grado Cosentino era stato condannato a 5 anni dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere). Nelle motivazioni alla sentenza di assoluzione, i giudici hanno evidenziato che Cosentino non aveva interesse a realizzare il centro commerciale, mentre le ricostruzioni dei collaboratori di giustizia (fra i quali Nicola Schiavone, figlio del capoclan dei Casalesi Francesco “Sandokan” Schiavone) sono state giudicate generiche, non riscontrate e in molti casi smentite in dibattimento.

Nel giugno del 2019, poi, Cosentino è stato assolto dalla Cassazione (che ha rigettato il ricorso della procura generale) nell’ambito del processo “Carburanti”. In questo caso l’ex sottosegretario era alla sbarra insieme ai fratelli Giovanni e Antonio e ad altri imputati, accusati a vario titolo di estorsione e concorrenza illecita aggravati dalle modalità mafiose. I fatti facevano riferimento all’azienda di famiglia dei Cosentino, l’Aversana Petroli. Nell’ottobre del 2018 già la Corte d’Appello di Napoli lo aveva assolto, mentre in primo grado Cosentino era stato condannato a 7 anni e sei mesi di carcere. Definitiva, invece, la condanna a 4 anni di reclusione per aver corrotto un agente della polizia penitenziaria del carcere di Secondigliano allo scopo di introdurre in cella generi alimentari, vestiti e un ipod. Infine, nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta “P3”, Cosentino è stato condannato a 10 mesi non per i reati connessi all’associazione a delinquere ma per diffamazione e violenza privata nei confronti dell’ex presidente della Regione Campania Stefano Caldoro.

Un anno fa l’esultanza di Gelmini e Bernini per l’assoluzione.
A settembre scorso, il nome di Cosentino fu utilizzato dai suoi colleghi di partito per rinvigorire la richiesta di riformare la giustizia italiana, storico cavallo di battaglia di Silvio Berlusconi. “Dopo nove anni di calvario giudiziario, l’ex sottosegretario di Forza Italia Nicola Cosentino è stato assolto in Appello da tutte le accuse di collusione con la camorra – disse in quella occasione Anna Maria Bernini – È uno dei casi più sconvolgenti di uso politico della giustizia, che conferma quanto sia urgente una profonda riforma che scongiuri il massacro preventivo di imputati che poi risultano innocenti”. Sullo stesso tono il commento della capogruppo di Fi alla Camera Mariastella Gelmini: “L’assoluzione di Nicola Cosentino, la cui colpa principale a quanto pare è stata di essere un dirigente e parlamentare di Forza Italia, è un emblematico esempio di malfunzionamento della giustizia, di uso improprio della custodia cautelare e di creazione di veri e propri processi politici. La vita di un uomo, la sua carriera politica, i suoi affetti – sentenziò la Gelmini – sono stati devastati dall’accusa di collusione con la camorra e dall’applicazione di una carcerazione preventiva per reati infamanti che non esistevano. Verrebbe da gioire, per Cosentino, per la sua famiglia, per la storia di Forza Italia e per il fatto che, giustamente, la Camera all’epoca respinse la richiesta d’arresto per l’evidente fumus persecutionis di quella inchiesta. Dopo nove anni però è difficile perfino gioire, nella consapevolezza che niente e nessuno potrà risarcire Nicola Cosentino e i suoi affetti”. A distanza di meno di un anno, però, per l’ex responsabile politico di Forza Italia in Campania è arrivata la condanna più pesante, per l’accusa più pesante, nel processo più complesso della vicenda giudiziaria di Nick ‘o mericano.

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Concorso esterno, ex senatore di Forza Italia Antonio D’Alì condannato in appello a 6 anni: “Era a disposizione dei Messina Denaro”. - Marco Bova

 

La sentenza è stata emessa dai giudici della Corte d’Appello, al termine di un lungo iter processuale iniziato nel 2011.

L’ex senatore berlusconiano Antonio D’Alì è stato condannato a 6 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. La sentenza è stata emessa dai giudici della Corte d’Appello, al termine di un lungo iter processuale iniziato nel 2011. “E’ stato il politico a disposizione dei Messina Denaro, prima del vecchio don Ciccio e poi del figlio Matteo, tuttora ricercato”, ha detto il procuratore generale Rita Fulantelli, che al termine di una requisitoria durata due ore aveva chiesto la condanna a 7 anni e 4 mesi. La corte d’Appello inoltre lo ha interdetto per 3 anni dai rapporti con i pubblici uffici. Le motivazioni saranno depositate entro 90 giorni. Il processo d’Appello bis ha avuto inizio dopo l’annullamento nel gennaio 2018 della Corte di Cassazione del precedente giudizio di assoluzione e prescrizione per i fatti precedenti al 1994. Anche in questo caso, come nel caso del processo d’appello a Nicola Cosentino concluso oggi, se fosse stata in vigore la riforma Cartabia sulla prescrizione, la sentenza non sarebbe stata pronunciata perché sarebbe già stato superato il limite di 3 anni previsti dal disegno di legge della ministra per reati di mafia.

Nel corso del processo, per la prima volta, sono sfilati una ventina di testimoni, alcuni finora mai ascoltati in aula, nel tentativo di colmare “cadute logiche” evidenziate dalla Suprema Corte nel primo giudizio di appello pronunciato nel 2016. Tra le “lacune” da colmare c’era soprattutto la “cesura illogica della suddivisione netta in due periodi”, pre e post 1994, che sia in primo grado che in Appello, era stato fissato con la data dell’ultimo assegno consegnato da D’Alì a Francesco Geraci, amico del latitante di Castelvetrano, per una compravendita fittizia di un terreno in contrada Zangara, la stessa in cui lavorava don Ciccio. Un episodio accertato da tutte le sentenze finora emesse, seppur coperto da prescrizione, che data all’indomani delle Stragi del ‘92 il link tra D’Alì e l’ultimo ricercato di Cosa Nostra.

“Con il suo operato ha consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno e al rafforzamento di Cosa Nostra – ha detto il pg durante il suo intervento – mettendo a disposizione le proprie risorse economiche e successivamente il proprio ruolo istituzionale di Senatore della Repubblica e di Sottosegretario di Stato”. A partire dalle discusse elezioni politiche del 1994, D’Alì ha seduto per vent’anni in Senato, più volte rieletto nel suo feudo elettorale. Da alcuni anni il politico trapanese, adesso 69enne, si è defilato dalla politica e recentemente la Cassazione ha confermato la revoca della misura di prevenzione dell’obbligo di dimora nella sua città, dopo un anno di effettive limitazioni. Tra gli episodi affrontati nel corso del processo d’Appello bis, c’era la vicenda della ‘Calcestruzzi Ericina’, l’azienda confiscata al boss Vincenzo Virga, ed il trasferimento del prefetto Fulvio Sodano, ratificato in Consiglio dei Ministri l’1 luglio 2003. Secondo l’accusa, l’obiettivo di Cosa Nostra, attraverso D’Alì, era quello di “estromettere la Calcestruzzi Ericina attraverso escamotages” e “condizionare il mercato del calcestruzzo” in favore delle imprese vicine, per “svuotare l’Ericina”, fin quando un imprenditore amico avrebbe l’avrebbe acquisita “con la benedizione della Prefettura, ma l’opposizione di Sodano bloccò tutto”. Ma anche del tentativo di allontanare capo della Squadra Mobile di Trapani, Giuseppe Linares. Che alla fine del 2010 fu davvero trasferito ma i fatti contestati riguardano gli anni precedenti.

Sul trasferimento di Sodano i giudici hanno ascoltato tre testimoni di spessore come l’ex ministro Beppe Pisanu, l’ex presidente della Regione Siciliana Totò Cuffaro ed il prefetto Carlo Mosca, capo di gabinetto di Pisanu. Testimonianze che non avevano convinto la Procura generale, né la corte d’Appello, che ha disposto la trasmissione dei loro interrogatori alla Procura per falsa testimonianza. Nel corso delle indagini, i magistrati riuscirono ad interrogare il prefetto Sodano, all’epoca costretto ad una mobilità ridotta a causa di una grave malattia e morto nel febbraio 2014. “Mi rivolsi al Presidente della Regione (Cuffaro) chiedendogli di accertare il vero motivo del trasferimento, dopo qualche giorno lo stesso mi riferì che si era fatto ricevere da Pisanu il quale gli aveva detto che dopo aver resistito alle pressioni del D’Alì alla fine aveva dovuto cedere alle insistenze del sottosegretario che pur sempre era uno dei suoi più stretti collaboratori”, raccontò Sodano il 19 aprile 2007.

Nel corso del processo la Corte ha ascoltato anche il collaboratore di giustizia Antonino Birrittella, che ha riferito dei rapporti l’intervento di D’Alì in diversi appalti pubblici, tra cui quelli per il rifacimento del porto di Trapani, che portarono alla Louis Vuitton Cup, e le procedure in favore del Consorzio Trapani Turismo, formato da imprenditori sfiorati da indagini antimafia. Ma anche l’ex collaboratore di giustizia, Giovanni Ingrasciotta, per cui la procura generale, al termine della requisitoria, ha chiesto la trasmissione degli atti per falsa testimonianza. Nonostante in fase di indagini avesse parlato dei rapporti tra D’Alì e Matteo Messina Denaro, raccontando anche di un incontro tra i due, successivo al periodo delle Stragi, nel corso della sua audizione ha glissato ad alcune domande, rispondendo con molti “non ricordo”. “Purtroppo signor procuratore, nella vita sa com’è? – ha detto in aula, prima di riferire di alcune presunte minacce subite in seguito alle sue dichiarazioni su D’Alì. – Ci sono momenti che nella vita uno non si ricorda neanche come si chiama, come adesso”. Anche il suo interrogatorio sarà trasmesso per falsa testimonianza alla Procura di Palermo.

Per l’avvocata di D’Alì Arianna Rallo quest’ultima sentenza “desta profonda sorpresa” perché, sottolinea, “tutte le acquisizioni probatorie di questo giudizio di rinvio hanno rinforzato la tesi difensiva e avvalorato la correttezza delle motivazioni del gip del Tribunale di Palermo”. Rallo sottolinea che “nel doveroso rispetto che attribuiamo ad una decisione giudiziaria, attendiamo le motivazioni per comprendere quale sia stato l’iter logico-argomentativo che ha condotto la Corte di Appello ad una diversa valutazione dei fatti e se lo stesso possa dirsi esente da vizi di legittimità, giustificanti ovviamente il ricorso per cassazione. Peraltro, la recentissima statuizione della Corte di Cassazione, dello scorso 17 giugno, che ha irrevocabilmente giudicato ingiusto e illegittimo che Antonio D’Alì sia stato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale da parte del Tribunale di Trapani, deponeva certamente per una valutazione dei fatti corrispondente alla prospettazione difensiva”.

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