domenica 22 agosto 2021

Energia solare, ecco i buoni e i cattivi: corre l’Emilia Romagna, la Puglia frena. - Jacopo Giliberto

 

Mentre l’Alta Italia corre, nel Mezzogiorno si accentrano quasi tutti gli investimenti ma i progetti vengono bocciati. Studio di Elemens.

Gli impegni dai toni accorati, difendere il clima del pianeta, promuovere la transizione energetica, rafforzare la tutela del nostro territorio, salvare la Terra. Tutti pronti a esigere l’energia pulita da fonti rinnovabili, siamo ecologisti sì, ma l’energia solare fatela da un’altra parte.
Mentre l’Alta Italia e il Lazio corrono con il fotovoltaico, al contrario la Puglia dei tanti proclami o la Sicilia-isola-del-sole raggelano senza pietà tutti i progetti verdi. Con intonazioni e motivi differenti, sono le due regioni su cui si accentrano quasi tutti gli investimenti fotovoltaici e sono al tempo stesso le due Regioni che respingono con sdegno quasi tutti gli investimenti solari.
Dal 2019 al 30 giugno 2021 la Sicilia ha autorizzato appena il 2% dei progetti solari presentati.
La Puglia, dopo la corsa forsennata al rinnovabile dei tempi in cui era guidata da Nichi Vendola, raggiunto molti anni fa il primato solare in Italia, ormai non approva nulla; il numero di via libera agli impianti fotovoltaici rimane allo zero spaccato da molti anni e i soli progetti che arrivano alla realizzazione sono quelli centellinati dalle sentenze dei Tar che smontano i no regionali.

I migliori? Bravissima l’Emilia Romagna, bravi Veneto, Sardegna e Piemonte, ma interessante anche il caso del Lazio, una delle Regioni attiva per anni ma che si è bloccata solamente in queste settimane dopo una moratoria regionale contro le rinnovabili.
E poi zero approvazioni nelle Marche. Appena il 2% in Basilicata e il 4% in Calabria.
Nel frattempo diverse Regioni pongono limiti: oltre alla moratoria del Lazio ecco i vincoli della Toscana o il no della Calabria. Il centro studi Elemens — in associazione con Public Affairs Advisors e con un gruppo di aziende delle fonti rinnovabili — ha avviato l’osservatorio Regions 2030 che confronta dal 2019 il divario tra i progetti presentati dagli investitori e quelli poi autorizzati dalle Regioni. La prima edizione dello studio si intitola «Le Regioni italiane e lo sviluppo del fotovoltaico», nelle prossime settimane verranno diffuse le analisi relative alle altre tecnologie rinnovabili, come l’eolico.

La corsa degli investitori al Sud

Il Piano nazionale energia e clima prescrive che entro il 2030 l’Italia si doti di altri 30mila megawatt di solare oltre ai 22mila attuali per arrivare a circa 55mila megawatt fotovoltaici; i piani aggiuntivi delineati dal ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani traguardano fra meno di dieci anni un obiettivo aggiuntivo di altri 50mila megawatt rispetto a oggi.
Gli investitori corrono, nell’ultimo paio d’anni c’è la frenesia di oltre 20mila megawatt fotovoltaici, ma il via libera è arrivato per nemmeno un ventesimo di essi.

«Da circa 18 mesi osserviamo che vengono presentati alle autorità progetti d’investimento fotovoltaico pari a circa mille megawatt al mese», osserva Tommaso Barbetti del centro ricerche Elemens. «Però l’80% delle istanze per nuovi impianti fotovoltaici si concentra in due sole regioni, proprio le più intasate e lente: Puglia e Sicilia».

Il motivo della corsa verso Puglia e Sicilia è semplice. Sono le regioni con la massima insolazione, cui il fotovoltaico è sensibilissimo, e dove è ragionevole il costo dei terreni agricoli da convertire al solare, soprattutto per gli oliveti pugliesi disseccati dal batterio della xylella.
In Alta Italia i terreni agricoli sono più pregiati, costano carissimi, e il sole è meno cocente. Ma almeno al Nord l’investimento è più sicuro nel suo percorso di autorizzazione ed è più facile arrivare alla realizzazione dell’impianto.

Tre anni a confronto.

Ecco una sequenza cronologica dallo studio Regions 2030.

Anno 2019, progetti presentati per 5.799 megawatt, progetti che sono arrivati in fondo all’iter di autorizzazione 1.216 megawatt. Circa un quinto.

Anno 2020, progetti per 14.251 megawatt, progetti realizzati appena 152 megawatt. Male, poco più di un decimo.

Anno 2021, primi sei mesi, progetti presentati per 5.398 megawatt, progetti realizzati numero zero. Zero tondo. E l’ esito fallimentare delle gare del Gse per gli incentivi alle rinnovabili ne è un drammatico termometro.

Lo studio Regions 2030.

La ricerca di Elemens con Public Affairs Advisors e le aziende rinnovabili misura la capacità autorizzativa delle istituzioni e dei piani regionali (appena 5 Regioni si sono dotate di obiettivi rinnovabili da raggiungere nel 2030).
Ma sono stati analizzati anche i divieti e le normative regionali come la legge che si è data mesi fa l’Abruzzo, il quale per (ufficialmente) tutelare l’ambiente (nei fatti) paralizza ogni progetto rinnovabile, o come il no eolico della Basilicata che intanto marcia a tutto petrolio, oppure come la nuova moratoria del Lazio voluta dall’assessora regionale Roberta Lombardi contro le rinnovabili.

Dice lo studio: «Dal monitoraggio di Elemens emerge un boom di istanze di autorizzazioni a partire dal 2019 e, in particolare, dal 2020: a tale incremento di richieste non ha tuttavia corrisposto, ad oggi, una significativa crescita del livello di autorizzazioni rilasciate. Appare dunque opportuno interrogarsi su quanto i soggetti deputati al rilascio di autorizzazioni agli impianti fotovoltaici siano ingaggiati, tecnicamente amministrativamente e politicamente, nel processo di decarbonizzazione».

Alla fine dello studio emergono alcuni indici che misurano Regione per Regione l’attrattività per gli investimenti, la solerzia amministrativa, la presenza di piani energetici e ambientali, gli obiettivi di energia rinnovabile al 2030 e altri indicatori.

«L’indice Regions2030 nasce per monitorare in continuo lo sviluppo e la crescita reali delle rinnovabili in Italia. Non vuole essere un modo per dare pagelle alle regioni, ma per stimolare un confronto su dati effettivi», avverte Giovanni Galgano, direttore di Public Affairs Advisors.

I casi assai diversi di Puglia e Sicilia.

Il quadro del dinamismo degli investitori è impressionante. C’è in Puglia e Sicilia un’ondata di sviluppismo solare come non si vedeva dai tempi frenetici degli incentivi Salva Alcoa. Nella sola Puglia gli investitori hanno appena proposto istanze per 10mila megawatt fotovoltaici.

Stando alle analisi di Elemens ma anche alle indicazioni delle aziende che investono nel settore rinnovabile, la Puglia per anni è stata una delle regioni più attive sul fronte solare, soprattutto durante la presidenza regionale di Nichi Vendola che fino all’estate del 2015 è stato uno dei promotori più attivi dell’energia rinnovabile.
Non a caso la regione si era data un obiettivo di rinnovabili al 2020 che era stato raggiunto e superato, e la Puglia era diventata la parte d’Italia con maggiore densità di solare, eredità che conserva tuttora.
Però poi l’attivismo rinnovabile della Regione è rallentato e sotto la presidenza di Michele Emiliano ha messo un freno agli investimenti solari, soprattutto facendo ricorso al silenzio che paralizza il percorso amministrativo; da diversi anni sono pochissimi i progetti che riescono a superare la freddezza regionale in genere grazie a ricorsi al Tar.

Diverso il caso siciliano, dove la propensione al fotovoltaico sembra maggiore ma dove gli uffici regionali che devono concedere il via libera sembrano intasati dall’eccesso di richiesta. Le domande di autorizzazione arrivate sono ben oltre l’obiettivo che la Sicilia si è data per il 2030.

Regioni a confronto.

Per quanto riguarda i piani regionali energia e ambiente (chiamati comunemente con sigle come Pear) alcune Regioni sono particolarmente virtuose e si sono date un obiettivo rinnovabile al 2030, come le province autonome Trentino e Alto Adige, l’Emilia Romagna, il Lazio e la Sicilia.
Molise e Campania hanno varato la pianificazione ma non si sono dati obiettivi al 2030.
Sono ancora in consultazione i piani regionali al 2030 di Piemonte, Lombardia e Calabria. Tutte le altre Regioni non hanno alcuna pianificazione fino al 2030 ma il ritardo maggiore spicca per Valle d’Aosta, Lazio e la pigerrima Liguria.

Sul fronte delle autorizzazioni, il Lazio nell’ultimo paio d’anni ha autorizzato quasi mille megawatt solari ma almeno la metà poi è stato bloccato per motivi paesaggistici da quelle sovrintendenze che nelle conferenze di servizio non s’erano opposte al via libera.

Ma ecco alcuni casi di dettaglio.

Abruzzo. Tutti i processi autorizzativi sono per il momento sospesi (sia eolici che fotovoltaici) dopo la pubblicazione del progetto di legge 182/21. Ragionevolmente la sospensione verrà superata, ma il mercato ora è bloccato.

Calabria. Per il fotovoltaico la Regione impone nuovi limiti relativamente all’occupazione del suolo agricolo (10% dell’area di proprietà dello sviluppatore) e c’è nel complesso un approccio sfavorevole contro le fonti rinnovabili di energia dopo l'annuncio della moratoria regionale che blocca l’eolico.

Emilia Romagna. La Regione si dimostra tempestiva nelle risposte e raggiunge un buon ritmo di rilascio di autorizzazioni uniche, C’è però la presenza di un ricco e complesso novero di vincoli che rischia di limitare lo sviluppo del solare agricolo.

Friuli Venezia Giulia. La Regione si dimostra tempestiva nelle risposte (verifica e valutazione di impatto ambientale) e ciò potrebbe potrebbe preludere a un maggior numero
di autorizzazioni uniche nei prossimi mesi, soprattutto su suolo industriale.

Lazio. Il ritmo di rilascio di autorizzazioni uniche è elevato rispetto agli standard nazionali, ma c’è un elevatissimo tasso di ricorsi (specialmente da parte del ministero dei Beni culturali e delle Sovrintendenze: ne viene colpito quasi 50% dell’autorizzato).

Puglia. Di fronte a un enorme livello di attrattività, il numero di autorizzazioni rilasciate è nullo (nessuna autorizzazione unica dal 2016 al maggio 2021), e per ora stanno arrivando solo dinieghi. La reattività alle rinnovabili però è differente a seconda della provincia.

Sardegna. Prima regione per quanto riguarda il fotovoltaico su suolo non agricolo, si registra una prima apertura da parte della Regione anche agli impianti su suolo agricolo (con un aumento delle istanze negli ultimi mesi).

Sicilia. L’amministrazione regionale dimostra una buona attitudine rispetto allo sviluppo fotovoltaico e il Pear è chiaro e preciso. Il livello di richieste risulta però straordinariamente alto e non comparabile con gli obiettivi al regionali al 2030.

Toscana. Nell’agosto 2020 era stata approvata una legge che impedisce l’autorizzazione di impianti solari di potenza maggiore di 8 megawatt. La legge regionale è stata impugnata dal Governo nazionale.

Veneto. C’è una proposta di una legge regionale che stabilisce forti restrizioni alla taglia e
alla localizzazione dei progetti; l’amministrazione regionale sembra però favorire lo sviluppo del fotovoltaico soprattutto su area non agricola.

Assolta l’Avelar.

Il fotovoltaico è spesso oggetto di polemiche e accuse. Nelle scorse settimane la Coldiretti aveva attribuito a investitori dell’agrofotovoltaico (l’inserimento di solare come integrazione delle colture) alcuni incendi in Sicilia.
Nel frattempo sono state rese note le motivazioni con le quali la Corte d’appello di Milano, riformando la sentenza di primo grado del 2019, ha assolto con formula piena Igor Akhmerov e altri manager che all’epoca dei fatti gestivano in Italia il business del fotovoltaico per la svizzera Avelar Energy (ora Fenice Services); gli accusatori ritenevano irregolari gli incentivi ricevuti per 59 milioni di euro. La Corte ha ritenuto senza fondamento l’accusa di associazione per delinquere (già esclusa in primo grado, ma impugnata dal Pm); per la responsabilità ex D.Lgs. 231/01 delle società veicolo proprietarie degli impianti, la Corte ha confermato l'assoluzione già stabilita in primo grado. Assolti gli imputati Cavacece, Akhmerov e Giorgi dalle contestazioni di truffa ai danni dello Stato. La Corte di è anche espressa su un contenzioso con una società norvegese ma la vicenda pare conclusa per un ricorso in Cassazione. L’azienda ha soggiunto che «i risultati positivi conseguiti finora in sede giudiziaria non compensano il danno reputazionale e i costi legali affrontati» e ribadisce «la correttezza del suo operato e l'impegno nel continuare ad investire per mantenere i parchi efficacemente operativi e il personale necessario per gestirli».

IlSole24Ore

sabato 21 agosto 2021

Taleballe - Marvo Travaglio

 

Il Cretino Collettivo che discetta di tutto lo scibile umano – dai vaccini al green pass, dalla giustizia al Reddito – con la stessa enciclopedica incompetenza, ha traslocato armi e bagagli a Kabul senza muoversi dal divano o dalla sdraio né accettare alcuni dati di fatto. 

1) La guerra l’hanno vinta i Talebani e l’hanno perduta gli Usa e i loro reggicoda, Italia inclusa. 

2) Gli Usa si sono ritirati non perché Trump era sovranista e Biden è un vecchio rinco, ma perché han perso. 

3) Quando finisce una guerra, comandano i vincitori, non gli sconfitti, quindi a Kabul comandano i Talebani (che fra l’altro sono afghani), non gli occidentali (che fra l’altro non lo sono). 

4) I vincitori di solito non piacciono agli sconfitti, perché sono il nemico. Ma è fra nemici che si tratta, non fra amici. Gli sconfitti non possono scegliersi i vincitori preferiti: devono tenersi quelli che hanno, farsene una ragione e decidere se trattarci o meno. Se non trattano, i vincitori fanno come gli pare; se trattano, può darsi che i vincitori li ascoltino, ma solo se gli conviene (in cambio di aiuti o per paura di ritorsioni). 

5) I talebani si son travestiti da dialoganti (“fanno i democristiani”, diceva il nostro titolo ironico su un fatto decisivo, notato da tutti gli osservatori) per mettersi all’asta nelle trattative. E con loro già trattano i russi e i cinesi (avvantaggiati dal fatto di non averli mai attaccati). Chi, in Europa, piagnucola perché Pechino e/o Mosca si pappano Kabul dovrebbe fare qualcosa di più astuto che tenere il broncio ai talebani: tipo smarcarsi dagli Usa, che ci hanno bellamente scaricati (Biden non cita mai Ue e Nato), e offrire loro qualcosa in cambio di corridoi umanitari e politiche meno efferate di 20 anni fa.

6) Coi talebani gli Usa trattano da sempre: Reagan per foraggiarli contro l’Urss, Clinton per farsi consegnare Bin Laden dopo i primi attentati di al Qaeda, Obama a guerra ormai persa, Trump per siglare l’accordo di Doha sul ritiro Usa, ora militari e diplomatici rimasti per l’esodo dei collaborazionisti (nessuno parte senza l’ok dei talebani). 

7) Chi vuole sperare in corridoi umanitari e in un regime meno feroce e sessista deve parlare coi talebani, almeno fingere di credere alle loro aperture e metterli alla prova. L’han detto Borrell della Ue (“Ue obbligata a dialogare coi talebani”), Grandi dell’Unhcr (“Per ora i talebani mostrano pragmatismo, ma se non trattiamo non potremo mai accertarlo né ottenerlo”) e i ministri del G7. Ma appena lo dice Conte, i giornali di destra gli danno dell’“avvocato dei tagliagole” (Libero) col “fascino del kalashnikov” (Repubblica). In attesa del primo videomessaggio del Mullah Giuseppi dalla caverna con la pochette a tre punte sulla bandiera nera di al Qaeda, qualcuno chiami l’ambulanza.

ILFQ

Tutta cene, voli e bodyguard. E per il Colle spera in Renzi. - Ilaria Proietti

 

Pugno duro - Gli sfoghi in Aula, la moria dei portavoce e la scorta ovunque: “l’operazione simpatia” non è ancora esattamente riuscita.

I bookmakers non la quotano ancora, ma lei ci crede. Maria Elisabetta Alberti Casellati intende giocarsela eccome per il soglio quirinalizio e ha fede: Dio, Patria e soprattutto Famiglia, la sua. E chi se ne importa se accusano i suoi gioielli, Ludovica e Alvise, di essersi fatti aiutare nella vita da mammà, prima donna presidente del Senato? Lei si duole per le critiche ma più che altro non si spiega perché non sia ancora un’icona nazionalpopolare, almeno come la Carrà. Per non sbagliare se la piglia con i portavoce che rottama uno via l’altro anche se, poveretti, loro responsabilità per la cattiva stampa proprio non ne hanno. Se non è amata è piuttosto colpa dei voli di Stato che ha usato come taxi durante l’emergenza Covid per far da spola con Padova, sua città natia. O per la storiaccia del vitalizio che le era stato prima negato per gli anni trascorsi al Csm, salvo vederselo, guarda un po’, assegnare quando invece era ascesa allo scranno più alto a Palazzo Madama. Ma non rinuncia a diventare dama di cuori, anche se finora nisba. La sua apparizione al bar dei dipendenti del Senato qualche mese dopo l’elezione, doveva esser gesto di vicinanza alle maestranze: fu la prima e l’ultima, ché non le sono andate giù le critiche per essersi presentata coi bodyguard al seguito, neppure temesse un attentato a Palazzo.

Non le è servito neppure farsi paladina della causa femminile: “Le donne devono essere protagoniste della rinascita dopo esserlo stato della resistenza alla pandemia” ripete da qualche tempo. Epperò le sue parole non tirano l’applauso, neppure tra le colleghe senatrici che mantengono le distanze: alcune mancano persino visita alle cene periodiche che ha organizzato per fare spogliatoio a Palazzo Giustiniani. Perché? Non si fidano e in molte ancora le rinfacciano la difesa del Cav all’epoca di Ruby-nipote-di-Mubarak.

Il fatto è che risultano indigesti i modi da carabiniera che l’hanno consacrata nell’empireo forzista e che replica pure oggi dai banchi della Presidenza. “Non accetto lezioni da nessuno sulla conduzione dell’Aula”, “decido io”, “non accetto strumentalizzazioni” grida spesso brandendo la campanella d’ordinanza ché le intemperanze – e anche meno – la irritano a morte. Ma è un sentimento ricambiato: certe sue acrobazie sulla gestione del calendario dei lavori come per il ddl Zan hanno fatto venire l’orticaria a chi l’accusa di essere rimasta di parte. Come al tempo in cui, partigiana di Silvio, ci dava sotto con le leggi ad personam o picchettava l’ingresso di Palazzo di giustizia a Milano ritenuto il covo dei magistrati ostili a B.

Che resta la sua stella polare e un solido alleato per il futuro. Appena insediata alla guida del Senato il primo pensiero è stato proprio per lui che ne era stato “esiliato” nel 2013, causa condanna per frode fiscale. Lei invece lo ha invitato a cena a Palazzo accogliendolo come un re: “Questa, caro Silvio, resta casa tua”. Magari poter replicare l’invito anche una volta eletta al Colle se, come pare, Berlusconi non troverà nessuno o quasi a perorarne la causa. Matteo Salvini l’ha mollato dopo averlo illuso, Giorgia Meloni non lo può proprio vedere e invece potrebbe digerire lei: Queen Elisabeth presidente della Repubblica potrebbe allettare il centrodestra, ma anche Matteo Renzi che, si sa, ama sparigliare. Casellati lo stima e soprattutto lo ritiene capace di qualunque mandrakata: adoperandosi per lei conquisterebbe il ruolo di primo Queenmaker della storia. Ma soprattutto si farebbe guida di quella rete dei moderati che Denis Verdini, amico di Renzi e suocero di Salvini, aveva tentato di sublimare già nel 2016 con quel partito della Nazione poi mai nato.

Spera, dunque, Casellati nei buoni uffici del leader di Italia Viva, ma anche nel feeling che quest’ultimo ha con l’altro Matteo. Con il quale lei stessa coltiva eccellenti rapporti: è merito suo se l’affaire Metropol del tandem Salvini-Savoini non è mai sbarcato in aula per il dibattito richiesto a gran voce dal Pd nel 2019 e stroncato sul nascere da Sua Presidenza: “Il Senato non può essere il luogo del dibattito che riguarda pettegolezzi giornalistici”. Ancor di più è stato gradito il suo interventismo sul citato ddl Zan, prima con l’invito al rinvio (“non si dica che in questa Aula rinunciamo al dialogo per la differenza di una settimana”), poi con una riconvocazione rocambolesca della conferenza dei capigruppo quando era già all’ordine del giorno dell’aula: fatto sta che il disegno di legge alla fine è sparito dai radar. Con tante grazie dalla Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia ostili alle norme sull’omotransfobia. Ma pure da Renzi che sulla necessità di mediare con il centrodestra ha mandato in testa coda il segretario del Pd Enrico Letta.

Ovviamente Casellati s’è fatta anche molti nemici. In tante occasioni dai banchi M5S, Pd e LeU si sono levate proteste all’indirizzo di Sua Presidenza e delle sue decisioni inappellabili. Come quando ha stralciato emendamenti tabù per il centrodestra, tipo la regolamentazione della cannabis light o il trattenimento in servizio oltre l’età di pensione dei magistrati: giammai! Lei rivendica di essere super partes e tira dritto: il physique du rôle per il Colle crede di averlo con annessi carabinieri a due e a quattro ruote che le fanno strada ogni volta che esce da Palazzo. Per ora del Senato, domani chissà.

ILFQ

Superbonus 110%, rilancio in 10 mosse. Ecco come superare i nodi burocratici. - Dario Aquaro e Cristiano Dell'Oste

 

Dopo un avvio frenato da regole troppo complicate, il superbonus sta accelerando: solo a giugno sono stati comunicati nuovi lavori per 981 milioni, portando il totale a 3,5 miliardi. Il decreto Semplificazioni – convertito dal 31 luglio – scioglie diversi nodi procedurali. Ma il pieno rilancio del 110% dipende anche da altri fattori: dalle proroghe al costo dei materiali.
Ecco i dieci punti chiave, tra questioni risolte e da chiarire.

1. Cila semplificata.

La legge di conversione del Dl semplificazioni ha “creato” un titolo abilitativo specifico per il superbonus: la comunicazione di inizio lavori asseverata semplificata (Cilas). Un titolo che già nella versione iniziale del decreto non richiedeva più al professionista di attestare la conformità edilizia dell’immobile (lo “stato legittimo”). E che ora può essere usato anche per lavori strutturali, modifiche dei prospetti e varianti, senza allegare i progetti. Il modulo unico della Cilas, approvato in Conferenza unificata, è utilizzabile dal 5 agosto.

Così il tecnico evita i tempi lunghi dell’accesso agli atti per recuperare le vecchie licenze edilizie, ma la Cilas non sana eventuali difformità già presenti. Spiega Francesca Zaccagnini, della direzione Edilizia, ambiente e territorio dell’Ance: «Il vero impatto di questa semplificazione è che si slega l’agevolazione fiscale dalle verifiche di conformità edilizia».

«Certo, le eventuali irregolarità preesistenti potranno essere sanzionate, ma senza inficiare la detrazione. Inoltre, va detto che in molti casi si tratta di irregolarità di minima importanza e risalenti nel tempo», aggiunge Armando Zambrano, presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri e coordinatore Rete professioni tecniche.

In alcuni casi, però, gli abusi sono più gravi. «Lo stato legittimo può non essere “attestato” formalmente, ma andrebbe sempre “controllato”, anche per evitare che il committente si autodenunci o abbia problemi in caso di lavori futuri», avverte Andrea Barocci, presidente dell’associazione Ingegneria sismica italiana.

2. Scadenza dell’agevolazione

Il 110% scade il 30 giugno 2022 per i privati o il 31 dicembre 2022 per i condomìni (si vedano i quesiti a destra). Termini quasi impossibili da rispettare, partendo oggi. «Potremmo avere ancora 3-4 mesi di boom delle domande e poi un blocco, perché il timore di non finire in tempo diventa grave», osserva Flavio Monosilio, direttore del centro studi Ance.

«Noi abbiamo già tutti gli ordini per il 2022 e so che molte aziende si sono ritirate dai condomìni per puntare sulle villette – rileva Renato Cremonesi, presidente di Cremonesi consulenze –. Così si rischia di intervenire solo sullo 0,8% degli 1,2 milioni di condomìni da riqualificare: se si vuol avere un impatto reale, la misura va prolungata». Il ministro dell’Economia, Daniele Franco, ha però affermato che la proroga del superbonus al 2023 sarà affrontata solo con la legge di Bilancio.

3. Materiali e manodopera.

A complicare il rispetto dei tempi c’è la scarsità di manodopera, unita al rincaro e razionamento dei materiali. Spiega ancora Monosilio: «Oggi capita di versare la caparra per un ponteggio con consegna tra 4-5 mesi». Concorda Cremonesi: «Il costo di un “cappottista” qualificato è passato dai 20-25 euro al metro quadrato a 30-35 e i prezzari Dei, che dettano la congruità delle spese, per molte voci non sono più aggiornati».

4. Abusi e violazioni formali.

Tra tanti ostacoli, la legge cerca di snellire qualche altro passaggio. Innanzitutto, fa salve le violazioni formali «che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo». E che quindi non fanno venir meno il superbonus. «Si tratta di errori in buona fede, come la svista sul costo di un componente o un piccolo errore di calcolo», spiega Zambrano.

Inoltre, quando le infrazioni non sono lievi, viene previsto che si perda il 110% solo per il singolo intervento irregolare e non per tutto il cantiere.

5. Cappotti termici e distanze.

Sempre la legge permette di derogare alle distanze minime tra edifici fissate dal Codice civile per installare i cappotti termici. «Ma ciò che serve sarebbe la possibilità di mitigare i ponti termici senza dover raggiungere gli attuali requisiti, com un risparmio di costi senza peggiorare le prestazioni», osserva Cremonesi.

6. Termini da 18 a 30 mesi.

Vengono inoltre portati a 30 mesi due termini: quello per la vendita delle case ricostruite dalle imprese (sismabonus acquisti) e quello entro cui deve trasferirsi chi acquista la prima casa e fa il 110 per cento.

7. Unità indipendenti.

Restano comunque diversi punti incerti. Uno dei più gravi è se sia obbligatorio o facoltativo (come pare logico) trattare a sé le unità indipendenti comprese in edifici plurifamiliari. Ciò si riflette sui limiti di spesa, sull’Ape e sulle asseverazioni e sta bloccando molti lavori.

8. Termine dei lavori trainati.

Non è chiaro, inoltre, se il termine attuale di fine 2022 valga anche per i lavori effettuati nei singoli appartamenti del condominio (trainati). Alla lettera sembra di no, ma sarebbe una soluzione illogica.

9. Modifica delle finestre.

Una parziale apertura è invece arrivata dalla Entrate sulla possibilità di modificare la forma delle finestre, senza cambiare la superficie complessiva (interpello 524/21).

10. Sismabonus e villette.

Altra apertura – stavolta della Commissione ministeriale di monitoraggio – riguarda la possibilità di fare il 110% antisismico sulle singole villette a schiera senza dover considerare la cosiddetta “unità strutturale”.

Domande & Risposte.

Quando scade il superbonus e quando si deciderà la proroga?
La scadenza “base” è il 30 giugno 2022, ma in alcuni casi c’è più tempo. I condomìni hanno fino al 31 dicembre 2022. Per gli edifici composti da due a quattro unità e posseduti da un unico proprietario (o in comproprietà tra più persone fisiche), si può arrivare al 31 dicembre 2022 se a fine giugno di quell’anno è stato realizzato almeno il 60% dell’intervento. Per le case popolari e assimilate la scadenza è il 30 giugno 2023, che può diventare 31 dicembre 2023 se a fine giugno si è completato il 60% dei lavori.
Eventuali proroghe oltre le date ora prestabilite saranno decise con la prossima manovra.

Dopo il Dl Semplificazioni, quale pratica edilizia è necessaria?
Con la legge di conversione del Dl Semplificazioni (legge 108/2021) è stato “creato” un nuovo titolo abilitativo: la Cila semplificata (Cilas). Mercoledì scorso è stato approvato in Conferenza unificata il nuovo modello, utilizzabile dal 5 agosto. La Cilas – il cui utilizzo è comunque facoltativo – consente di non attestare la conformità edilizia dell’immobile e di non allegare progetti e grafici. Inoltre, in caso di varianti in corso d’opera, si può procedere con una semplice integrazione della Cilas alla fine dei lavori, senza necessità di un nuovo titolo.

Se l’immobile su cui si interviene presenta già degli abusi edilizi realizzati in passato, quali conseguenze si rischiano?
Con la Cilas non occorre attestare che l’edificio è “legittimo”, ma ciò non sana eventuali abusi già presenti, tant’è vero che la norma dice che «resta impregiudicata ogni valutazione circa la legittimità dell’immobile oggetto di intervento». Perciò il Comune potrà sempre fare i propri controlli in materia edilizia. Sotto il profilo fiscale, però, lo stesso Dl Semplificazioni assicura che le vecchie irregolarità edilizie non faranno perdere il 110% sui nuovi lavori.

Cosa accade se vengono commesse violazioni nell’ambito dell’intervento agevolato dal 110?
Si rischia la decadenza dall’agevolazione fiscale. Il Dl Semplificazioni, però, indica i casi tassativi di decadenza e fa salve le violazioni «meramente formali che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo». Ad esempio, un piccolo errore di calcolo o di riporto di una cifra. Inoltre, anche in caso di violazioni «rilevanti», viene previsto che la decadenza scatterà solo per il singolo intervento oggetto di irregolarità.

IlSole24Ore (19.8.2021)

venerdì 20 agosto 2021

Afghanistan: Emergency, notizie di blitz talebani in case di attivisti.

 

'Cercano armi e documenti per screditarli, mancano conferme'. Ucciso il parente di un giornalista tedesco.


"Abbiamo notizie ufficiose di talebani che entrano nelle case di ex attivisti, artisti e persone che si erano schierate in passato contro il regime talebano. I talebani entrerebbero nelle case di privati per cercare armi e documenti, che possono rovinare la loro reputazione in città".

Così in un briefing con la stampa Alberto Zanin, coordinatore medico del Centro per feriti di guerra di Emergency nella capitale afghana, il quale specifica che "su questo ci sono solo rumours, non abbiamo notizie dirette".

"Ieri sono arrivati nuovi feriti da arma da fuoco dall'aeroporto di Kabul, in tutto cinque o sei persone. Gli scontri in aeroporto - ha detto Zanin - sono una realtà ancora viva e presente: è l'unico posto in cui continua ad esserci caos e tensione. Si parla di diecimila persone che cercano di prendere voli di evacuazione". "I pazienti feriti che arrivano dall'aeroporto nel nostro ospedale non hanno voglia di parlare in merito a quanto gli è accaduto".

Talebani uccidono parente giornalista tedesco - Talebani alla ricerca in Afghanistan di un giornalista che lavora per Deutsche Welle (Dw) hanno sparato uccidendo un membro della sua famiglia e ferendone gravemente un altro, rende noto la radio tedesca stamattina sul suo sito web. L'identità del giornalista in questione, che ora risiede in Germania, non è stata specificata. Diversi altri membri della sua famiglia sono riusciti a fuggire in extremis mentre i talebani andavano di porta in porta per cercarlo. "L'omicidio ieri di un parente di uno dei nostri redattori da parte dei talebani è incredibilmente tragico e mostra il grande pericolo in cui si trovano tutti i nostri dipendenti e le loro famiglie in Afghanistan", ha commentato Peter Limbourg, direttore generale di Dw. 

Un cittadino tedesco è stato colpito da un proiettile a Kabul, mentre si recava all'aeroporto per provare a lasciare il Paese, ma non è in pericolo di vita e sarà presto evacuato. Lo ha affermato Ulrike Demmer, portavoce del governo tedesco, in conferenza stampa a Berlino. 

ANSA

giovedì 19 agosto 2021

È stato Di Maio. - Marco Travaglio












Non fai in tempo ad attaccare Di Maio che subito l’“informazione” all’italiana ti costringe a difenderlo. L’avevamo appena preso in giro paragonandolo al draghetto Grisù per le professioni di fede governista e draghiana, decisamente eccessive visto l’impegno con cui i Migliori stanno smantellando tutte le riforme targate M5S. Infatti i giornaloni, che fino al giorno prima sghignazzavano sul “bibitaro” (anche se non ha mai venduto una bibita: faceva lo steward allo stadio, da ragazzo del Sud che doveva sbarcare il lunario, non essendo figlio di papà), l’avevano subito eletto a statista e “stabilizzatore” in antitesi a Conte, noto brigatista rosso. Come ministro degli Esteri, però, c’è poco da ridire: chi lo vede all’opera sa che Di Maio non è Talleyrand né De Gasperi, ma nemmeno il baluba che si vorrebbe far credere. È un secchione che studia e lavora molto e impara presto: tutti, nell’ambiente, ne parlano bene. Il 13 agosto, alle prime avvisaglie del disastro afghano, s’è attaccato al telefono per tre giorni coordinando l’evacuazione dell’ambasciata e la sera di Ferragosto l’aereo italiano è decollato da Kabul. Poi però Di Maio è stato beccato su una spiaggia pugliese a chiacchierare con Emiliano e Boccia fra centinaia di bagnanti. Apriti cielo! Ma come, il ministro degli Esteri se ne sta coi piedi a mollo e addirittura sorride mentre cade Kabul? Pareva quasi che la disfatta dell’Occidente dopo 20 anni di “guerra al terrorismo” e di “esportazione della democrazia” fosse colpa sua e bastasse il suo rientro a Roma o almeno in albergo per ribaltare le sorti del conflitto con la sola forza del pensiero.

Raramente si è vista una polemica più ridicola. Nell’agosto 2008 il ministro Frattini Dry commentò la crisi in Ossezia da un atollo alle Maldive e disertò il Consiglio Ue a Bruxelles: perciò fu attaccato. Ma stavolta non c’erano appuntamenti istituzionali a Roma, tuttora deserta (il dibattito parlamentare su Kabul è fissato per il 24 agosto), né in Europa. I capi di governo e i ministri degli Esteri e della Difesa si vedono e si sentono in call perlopiù dai luoghi di vacanza. E per dirsi cose ovvie e scontate, visto che nessuno può fare o dire nulla che influisca sulla catastrofe afghana. Infatti ora che Di Maio è rientrato a Roma da tre giorni, nulla è cambiato. Guerini resta in ferie, anche se nessuno lo riconosce. E Draghi, dopo l’intervista al Tg1, è tornato giustamente a Città della Pieve. Lì si trovava già mentre tutti urlavano contro Di Maio sul bagnasciuga e lodavano “il premier che, come un cittadino qualunque, va in macelleria sulla sua Bmw e chiede consigli sulla carne”. Evento sensazionale tipico dei Migliori: un altro, al posto suo, avrebbe chiesto al macellaio di fargli il pieno di benzina.

ILFQ

Afghanistan, il drammatico racconto: 'Donne lanciano i bimbi oltre il filo spinato dello scalo di Kabul'.

 

Skynews, disperate chiedono ai soldati di portarli in salvo.


Scene drammatiche all'aeroporto di Kabul. "E' stato orribile, le donne hanno lanciato i loro bambini oltre il filo spinato" all'aeroporto "chiedendo ai soldati di prenderli". E' il racconto a Skynews di un alto ufficiale afgano, che ha aggiunto che alcuni bimbi "sono rimasti impigliati nel filo spinato". 

IL VIDEO

E sono 12 le persone che sono morte all'aeroporto di Kabul da domenica, quando lo scalo è stato preso d'assalto da afgani e stranieri terrorizzati per l'entrata dei talebani nella capitale: lo hanno riferito a Skynews sia i talebani che fonti Nato.

Migliaia di persone stanno ancora cercando di fuggire dal Paese attraverso l'aeroporto Hamid Karzai, ma i talebani continuano a lanciare appelli agli afgani affinché tornino nelle loro case.

E ancora morti e feriti a Asadabad e a Jalalabad: i talebani hanno aperto il fuoco sulla folla durante le celebrazioni annuali dell'indipendenza del Paese. A Asadabad, nell'est dell'Afghanistan, almeno 4 morti e otto feriti. Non è chiaro ancora se i decessi siano stati provocati dai proiettili dei fondamentalisti o dal fuggi fuggi causato dagli spari. E feriti, almeno due, un uomo e un ragazzo, a Jalalabad, sempre per la stessa situazione, riporta Al Jazeera, riferendo inoltre che a Khost (sud) i fondamentalisti hanno imposto il coprifuoco per impedire alla popolazione di protestare contro di loro.

Nelle ultime 24 ore la situazione dei feriti ricevuti dal Centro chirurgico per vittime di guerra di Emergency a Kabul è "nettamente migliorata": l'ospedale ha ammesso solo 6 pazienti a rischio di vita e ha trattato 24 persone nel proprio pronto soccorso, mentre due persone erano già morte al momento dell'arrivo al Centro. "In questo momento in città non si registrano combattimenti aperti, ma rimane alta la tensione all'interno dell'aeroporto: nel corso della mattinata abbiamo già ricevuto due pazienti con ferite da proiettile provenienti da lì," racconta Alberto Zanin, Coordinatore medico di Emergency a Kabul.

ANSA